sabato 2 luglio 2011

Il grottesco caso dell'espulsione di Fabiana Stefanoni dal suo sindacato



Intervista a Fabiana Stefanoni
coordinatrice di Unire le lotte – Area Classista Usb



Fabiana Stefanoni, dirigente del Pdac e coordinatrice nazionale di Unire le lotte - Area Classista Usb, è stata espulsa dal suo sindacato. La minoranza di Usb ha avviato una campagna di solidarietà e per il reintegro in Usb della compagna.
La redazione web ha incontrato Fabiana Stefanoni per capire cosa sta succedendo in Usb.
Fabiana, tu sei una insegnante precaria: siamo a inizio luglio e il tuo contratto di lavoro è in scadenza...                                                                                        A dire il vero è già scaduto il 30 giugno. Adesso sono disoccupata: una sorte che condivido con altre centinaia di migliaia di precari della scuola. Il governo Berlusconi ha predisposto, per l’anno prossimo, il taglio di altri 40 mila posti di lavoro (sono almeno 180 mila in tre anni). Non solo. La manovra Tremonti, varata dal consiglio dei ministri, prevede, attraverso l’accorpamento di 10452 istituti, ulteriori pesantissimi tagli: in queste ore si parla di altri 100 mila posti di lavoro in meno. A noi precari il governo offre solo la disoccupazione, ma è evidente che lo scopo del trio Gelmini-Tremonti-Brunetta è quello di arrivare al licenziamento anche del personale assunto a tempo indeterminato.





E oltre che dal lavoro sei stata espulsa... anche dal tuo sindacato, vero?    Ebbene sì: e si tratta della prima e unica espulsione nella storia di Usb. Si espelle una lavoratrice precaria, una dei tanti precari che hanno animato una stagione di lotte contro i tagli della Gelmini. Guarda caso, la coordinatrice dell’unica minoranza organizzata all’interno di Usb: l’area classista “Unire le lotte”.


Poi torniamo su questa espulsione: ma partiamo dalla tua attività sindacale. Tu sei stata portavoce di un coordinamento di precari della scuola nella città dove vivi, Modena: una bella lotta la vostra, che ha avuto un rilievo nazionale.                                                                                                                          Anche a Modena abbiamo cercato di contrastare i tagli della Gelmini. Pur avendo dall’altra parte della barricata non solo il governo, ma anche le burocrazie dei sindacati concertativi e gli amministratori del centrosinistra, lo scorso anno abbiamo organizzato con successo presidi con centinaia di precari e un riuscitissimo sciopero che, a fine anno scolastico, ha messo in crisi tutto il sistema dell’istruzione modenese. Una lotta che ha visto uniti studenti, insegnanti, personale Ata, compagni del movimento antagonista modenese, operai delle fabbriche. Anche in tante altre città i precari della scuola hanno dato vita a momenti di lotta dura. Purtroppo, per ora, è una lotta che abbiamo perso: i tagli sono passati, tra molti precari regna la rassegnazione e lo sconforto, quando non si strappano risultati va a finire che prevale la guerra tra poveri, precari del Nord contro precari del Sud e viceversa. Anche su questo terreno, come negli altri ambiti che riguardano le lotte dei lavoratori, abbiamo pagato l’assenza di una direzione sindacale all’altezza dello scontro in atto. La Cgil ha fatto un’opposizione solo di facciata, i sindacati di base, anche nella scuola, sono purtroppo isolati e divisi, talvolta addirittura in competizione tra loro (abbiamo visto spesso scioperi separati proclamati in giorni diversi nel giro di poche settimane). Tuttavia, non dobbiamo scoraggiarci: anche dalle sconfitte è possibile trarre degli insegnamenti, in vista di una ripresa delle lotte.
Nel testo di denuncia di Unire le lotte (consultabile sul sito www.sindacatodiclasse.org) si sostiene che la tua espulsione da Usb serva per colpire la minoranza interna al sindacato. Quali sarebbero i motivi per cui ti hanno espulsa? L’espulsione da un sindacato, con la conseguente perdita di tutela sindacale, è un atto molto pesante, soprattutto per chi, come te, si è sempre esposto in prima persona nell’organizzare le lotte dei lavoratori.                                                                                                                L’espulsione è, palesemente, un modo con cui l’Esecutivo nazionale di Usb cerca di soffocare l’unica minoranza organizzata all’interno del sindacato, Unire le lotte – Area Classista Usb. E’ evidente che l’espulsione della coordinatrice nazionale dell’unica minoranza interna non può essere un fatto casuale. Se poi andiamo a vedere i motivi ufficiali per cui mi hanno espulsa, il carattere pretestuoso di questo atto salta subito agli occhi. Sono stata espulsa per aver mandato una mail “non autorizzata” a qualche decina di colleghi e compagni...
Come? Per una mail?                              Proprio così. E’ mia abitudine ormai da mesi mandare ai colleghi e ai compagni con cui ho condiviso le lotte contro la Gelmini delle mail informative. Negli ultimi mesi ho cercato di costruire un nucleo di precari della Scuola di Usb, in una città, quella in cui vivo, dove purtroppo Usb non esiste (non ha sedi, ha pochissimi iscritti e ancor meno attivisti). Improvvisamente, dopo aver mandato una mail in cui, tra le altre cose, comunicavo l’adesione di noi precari di Usb allo sciopero dei lavoratori immigrati del 15 aprile (indetto dal Comitato Immigrati in Italia insieme a Cub e Si.Cobas), ho ricevuto, senza nemmeno essere convocata o solo sentita, una raccomandata in cui mi si notificava l'espulsione da Usb.
Ci stai dicendo che tra i motivi dell'espulsione ci sarebbe quello di aver aderito a uno sciopero degli immigrati?!                                                                     Proprio così. Nel provvedimento disciplinare si denuncia il fatto che ho affermato di aver aderito a uno sciopero “indetto da una organizzazione sindacale diversa da Usb”. Cosa che peraltro avevo già fatto, ad esempio in occasione dello sciopero dei metalmeccanici di fine gennaio, non sostenuto da Usb nel pubblico impiego. Tieni conto che, se avessi dovuto fare soltanto gli scioperi che Usb ha proclamato nella scuola, non avrei potuto scioperare da settembre fino a fine maggio visto che anche l'11 marzo (giorno dello sciopero generale di Usb) per motivi tecnici la scuola non ha scioperato. Mi chiedo: scioperare è una colpa per un’attivista sindacale di Usb?
Il provvedimento di espulsione contiene però anche altre accuse, giusto?Sì, alcune tra l’altro palesemente false (del resto, non c’è stata alcuna volontà di verifica). Mi si accusa di aver cercato di rappresentare Usb “senza ricoprire alcuna carica” né “essere stata investita di un qualsiasi potere di rappresentanza di Usb”. Mi chiedo cosa significhi tutto ciò. Se un lavoratore cerca di costruire, nel suo ambito di lavoro, un gruppo di attivisti di Usb, da chi dovrebbe essere “investito”? C’è forse qualche padrone in Usb, che stabilisce chi può costruire il sindacato e chi no? Evidentemente, per alcuni dirigenti, che si sentono “padroni” del sindacato, le cose funzionano così. Non credo però la pensino così tanti compagni e attivisti di Usb. 
Ma, come dicevo, ci sono anche alcune accuse palesemente false: ad esempio scrivono che non avrei informato gli organismi dirigenti dell’esistenza del nostro piccolo nucleo di precari della scuola di Usb, mentre conservo ancora le mail con cui informavo il coordinamento regionale. Scrivono inoltre che io avrei mandato un comunicato stampa a nome di Usb, mentre non ho mandato alcun comunicato stampa, ho solo mandato una mail a colleghi e compagni di lotta.
Poi sei accusata anche di aver cercato una sede per le riunioni del sindacato. Cosa significa?                                   Su questo argomento le falsità hanno assunto un carattere calunnioso. Nella mail citata, invitavo i colleghi e i compagni a donare il 5 per mille a una onlus antirazzista che si era offerta di aprire una propria sede a Modena, in cui ospitare anche le riunioni dei sindacati di base (che a Modena non hanno loro sedi). E’ una onlus che collabora con varie organizzazioni anticapitaliste (associazioni di immigrati, comitati operai e anche con il Pdac): è la stessa onlus che due anni fa ha organizzato la campagna di raccolta fondi per Haiti, campagna promossa da Conlutas (il più grande sindacato di base dell’America Latina) e sostenuta anche da Rdb (ora confluito in Usb). Insieme con gli altri attivisti Usb di Modena, avevamo deciso di sostenere il progetto di questa onlus di aprire una propria sede. Come vedi, niente di oscuro. Ma l'Esecutivo Usb ha sollevato un polverone di allusioni calunniose come se io avessi avuto un qualche interesse economico dall'aver chiesto a un po' di colleghi di sostenere questa onlus utilizzando il nome di Usb. La cosa è ridicola, tanto più perché a Modena tra i precari della scuola Usb è conosciuta solo perché io sto cercando di costruirla: prima del mio arrivo nessun lavoratore della scuola (e purtroppo anche in tanti altri ambiti) nemmeno sapeva cosa fosse Usb.
In ogni caso, non si capisce dove sarebbe il “danno” che, come dicono, avrei arrecato al sindacato. E’ noto che con il 5 per mille si sottrae solo qualche soldo allo Stato borghese; soldi che, diversamente, verrebbero impiegati per mandare la polizia a manganellare gli operai, gli studenti, gli abitanti della Val di Susa. Dove starebbe lo scandalo? Tra l’altro in tutti i caf di Usb, senza che la cosa sia mai stata ufficializzata, gli addetti chiedono ai contribuenti di donare il loro 5 per mille per una onlus: non mi pare che nessuno di loro sia mai stato espulso dal sindacato per questo.
Che tutto sia pretestuoso emerge anche da un’altra accusa scritta nero su bianco sul provvedimento di espulsione: il fatto di aver cercato una sede per il sindacato “senza autorizzazione”. Mi chiedo: se uno cerca di far crescere il sindacato nella sua città, adoperandosi per cercare uno spazio per le riunioni, che danno fa al sindacato?
Ma quando si prendono provvedimenti disciplinari contro qualcuno in qualsiasi sindacato, partito o associazione, non si dovrebbe indicare con esattezza quali articoli dello statuto di quella struttura sono stati violati? e non gli si dovrebbe consentire di difendersi? Tu, a quanto ci hai detto, hai ricevuto il provvedimento di espulsione senza nemmeno essere stata convocata da un organismo di garanzia. E' così?                                                       Di più: non ho ricevuto nemmeno una telefonata prima della mia espulsione. Nemmeno mi hanno chiesto spiegazioni rispetto a queste accuse. Quanto agli articoli dello Statuto, non so dirti quali avrei violato, perché nel provvedimento non sono indicati.
Ma non è un problema formale: per quanto le forme e il rispetto delle regole interne non sia cosa da sottovalutare. Il problema è sostanziale: lo scopo dell’espulsione è colpire Unire le lotte, l’unica minoranza interna a Usb. Ciò che spaventa l’Esecutivo nazionale è che le nostre rivendicazioni – l’unità del sindacalismo di base e il superamento del settarismo negli scioperi – stanno trovando consenso tra la base del sindacato. Basta pensare al successo della nostra battaglia in occasione dello sciopero della Fiom di fine gennaio: tantissimi attivisti, nonostante il parere contrario dell’Esecutivo, hanno sostenuto il nostro appello a trasformare quella giornata in un grande sciopero generale del sindacalismo di base. Nella fase attuale, con i pesantissimi e per nulla ordinari attacchi di governo e padroni, anche la risposta dei sindacati di lotta non può e non deve essere ordinaria: non è più il tempo per scioperi autoreferenziali, utili solo per dimostrare di esistere alla controparte nella speranza che ci conceda qualche briciola. Il governo e la Confindustria non vogliono più distribuire nessuna briciola: per questo serve un’azione unitaria della classe lavoratrice che porti alla costruzione di un grande sciopero prolungato che blocchi il Paese. I lavoratori sono stanchi di scioperi inutili.
Poi però hai fatto ricorso alla Commissione nazionale di garanzia di Usb Pubblico Impiego. Come è andato?                                                A questo punto sono finalmente stata ascoltata. Ma il ricorso è stato respinto. La mia impressione è che la Commissione abbia subito pressioni. Ho saputo, tra l’altro, che quando ho inviato il ricorso non esisteva ancora alcuna Commissione nazionale di garanzia: è stata nominata successivamente all’espulsione. Figurati che quando sono arrivata mi sono trovata nella stessa stanza con i “rappresentanti dell’accusa” (cioè dell’organismo che mi ha espulsa). L’intenzione era quella di ascoltarmi insieme a loro: un processo, più che una garanzia...
Incredibile!                                                                                                                          Già. La mia richiesta di essere ascoltata separatamente è stata accolta dalla commissione, che ha tuttavia ascoltato prima me e poi chi mi ha espulsa: nemmeno il diritto di essere ascoltata per ultima e quindi di poter replicare alle accuse. In ogni caso, è emerso chiaramente durante l'audizione che non c’erano motivi per giustificare un'espulsione. E invece dopo qualche giorno ho ricevuto la conferma dell’espulsione. Ora resta un’ultima istanza di garanzia nel sindacato: anche visti i precedenti, Unire le lotte ha deciso di non aspettare passivamente ma di affiancare al ricorso la campagna pubblica per il mio reintegro. Siamo convinti che solo creando attenzione tra la base del sindacato e tra i lavoratori sull’importante questione della democrazia sindacale, che non riguarda solo la mia vicenda, si potrà evitare che l’Esecutivo nazionale di Usb conduca tutto il sindacato verso una pericolosa deriva antidemocratica. Penso, ad esempio, ad alcune recenti vicende successe in Veneto, dove le decisioni assunte da attivi regolarmente convocati sono state annullate d'imperio perché non gradite all'Esecutivo.
E come sta andando questa campagna per il tuo reintegro?                             Sinceramente siamo sorpresi noi stessi per l'enorme quantità di adesioni arrivate in pochi giorni. A breve pubblicheremo un elenco aggiornato sul sito di Unire le lotte. Tra i firmatari ci sono importanti protagonisti delle lotte e tanti dirigenti del sindacalismo conflittuale. Ho avuto da subito attestati di solidarietà dalle associazioni degli immigrati, dagli operai della Fiat di Modena (Ferrari e Cnh), da decine di precari della scuola da ogni parte d’Italia, da dirigenti di Usb, Cub e Si. Cobas, da attivisti dei Cobas della Scuola, dai compagni dei centri sociali, ecc. La campagna si è estesa anche a livello internazionale, a dimostrazione del fatto che la democrazia sindacale è un valore che sta a cuore a tutti coloro che vogliono far crescere e difendere le lotte dei lavoratori. Dall'estero sono già arrivate le adesioni di dirigenti dei Cobas di Spagna, di dirigenti sindacali del Portogallo, della Gran Bretagna, per quanto riguarda l'Europa. Dall'America Latina sono arrivate centinaia di adesioni dal Cile, dal Perù, dal Paraguay, dalla Colombia. Dal Brasile ci è arrivata l'adesione di tutto il gruppo dirigente (a partire dal presidente) del principale sindacato dei metalmeccanici di São José dos Campos, che è il più importante polo industriale del Paese, dove c’è la General Motors. L'assemblea degli operai del Sindacato dei metalmeccanici ha votato un ordine del giorno in mia solidarietà.
E siamo solo all’inizio.
Ci è stato detto che i membri dell’Esecutivo nazionale stanno facendo telefonate a molti di quelli che hanno sostenuto l’appello per il tuo reintegro. Addirittura l’Esecutivo, dopo la pubblicazione del testo di denuncia di Unire le lotte, ha mandato a tutte le strutture locali un comunicato in cui si afferma (leggiamo) che la tua espulsione è stata determinata “dalla valutazione su uno specifico atto che si è ritenuto assolutamente inaccettabile e non regolare dal punto di vista non solo formale ma soprattutto sostanziale a livello amministrativo e che potrebbe avere implicazioni di carattere penale. Atto quindi che potrebbe mettere in discussione l'immagine e l'onorabilità del sindacato” (sic).                                Quali implicazioni di carattere penale e, soprattutto, quale messa in discussione dell’immagine e dell’onorabilità del sindacato ci sia nell’aver aderito allo sciopero degli immigrati o nell’aver tentato di cercare una sede per il sindacato è proprio difficile dirlo...
E’ poi vero quello che dici: chi firma il nostro appello riceve telefonate dai massimi dirigenti, in cui, non avendo argomenti politici, si utilizza la calunnia. Un metodo vecchio come il mondo: che gli stalinisti perfezionarono negli anni Trenta contro i rivoluzionari.
Continuando a scorrere questo comunicato inviato dall'Esecutivo alle strutture locali, leggiamo: “Diffidiamo quindi chiunque a diffondere notizie che mettano in discussione i metodi democratici e trasparenti dell'Unione Sindacale di Base”. Sembra di essere entrati in un romanzo di Orwell: si ordina a tutti di dire che il sindacato è democratico! E chi non lo fa o ha dei dubbi viene diffidato dal "rappresentante legale di Usb".                                        Sì, se non fosse una cosa grave, ci sarebbe da ridere. Quel monito parla da solo: “diffidare” dal porre la questione democratica nel sindacato dà l’idea di quanto sia aberrante la concezione della democrazia sindacale e del dibattito interno che hanno i membri dell’Esecutivo nazionale. Del resto, è da loro stesso rivendicato: per i membri dell’Esecutivo non sono legittime aree all’interno del sindacato. Per questo, la campagna per il mio reintegro è importante e va al di là del mio caso personale: senza democrazia interna ogni sindacato è destinato a morire, a ghettizzarsi, a diventare la proprietà privata di qualche dirigente.
Abbiamo visto che su un forum di discussione in internet uno dei dirigenti che ti ha espulsa riferiva che tra i motivi per cui si è convinto della giustezza di espellerti c’è il fatto che “sei dirigente di un partito”. Com’è possibile una cosa del genere?                                                                              Come insegnano i giallisti, il miglior mezzo che ha l’assassino per tentare di sfuggire all’arresto è accusare gli altri del crimine che lui ha commesso. Fuor di metafora, è scandaloso che si usi, per giustificare la mia espulsione, il fatto che sono la dirigente di un’organizzazione politica, Alternativa Comunista. Questo per due motivi.
Primo, perché in Usb ci sono dirigenti o militanti non solo di partiti della sinistra ma anche dei partiti borghesi e persino esponenti di destra. Usb ha anche organizzato convegni nazionali con rappresentanti dell’IdV e del Pd (ad un convegno del 18 novembre scorso sono stati persino invitati i ministri Sacconi e Brunetta!). Per fare solo un altro esempio: uno dei dirigenti di Usb a Salerno si è candidato nelle liste di De Luca, il sindaco sceriffo che prende a modello il leghista Tosi. Come mai la presenza di una dirigente di un’organizzazione comunista suscita scandalo e, ad esempio, una candidatura indecente così no?
Secondo, la gran parte dei membri dell’Esecutivo nazionale di Usb, incluso il portavoce nazionale, sono membri della Rete dei Comunisti, un piccolo partito stalinista che ha tra i suoi miti Gheddafi e Stalin. Il legame è così stretto che è quasi impossibile distinguere tra l’organizzazione politica della Rete dei Comunisti e l’apparato centrale del sindacato. La conclusione che traggo è questa: in Usb c’è ampio spazio per i dirigenti e gli attivisti di partito, tranne per quei partiti i cui dirigenti o attivisti sostengono le posizioni che i membri dell’Esecutivo non condividono.
Certo non deve essere facile per te dover affrontare, oltre alla disoccupazione, anche un sindacato che minaccia denunce per una mail mandata a qualche compagno...                                            Guarda, con la fase che si apre e con le rivoluzioni arabe che stanno contagiando l’Europa, dobbiamo prepararci a prove di ben altro tenore: prima o poi le lotte esploderanno anche nel nostro Paese, e dovremo essere pronti allo scontro con lo Stato e i suoi apparati repressivi. Piuttosto mi chiedo se i lavoratori che pagano le quote al sindacato siano d’accordo col fatto che i soldi vengano spesi in azioni legali contro una precaria della scuola... Al di là di queste questioni tragicamente ridicole, ti dico solo questo: tra i primi firmatari dell’appello per il mio reintegro ci sono dirigenti sindacali che, per difendere i lavoratori, sono stati mesi in galera e hanno subito torture. Penso ai compagni Pedro Condori Laurante e Rony Cueto, dirigenti delle lotte dei minatori peruviani. Il loro sostegno mi onora: credo che non ne sarei degna se mi preoccupassi delle denunce penali senza fondamento minacciate da qualche dirigente nazionale di Usb a cui è partita, evidentemente, qualche valvola nel cervello. 
Concludiamo l’intervista con una domanda che forse avremmo dovuto farti all’inizio: perché hai deciso di sostenere, in Usb, l’area classista Unire le lotte? Tu sei tra i compagni che hanno fondato l’area e che la coordina.                  Io e gli altri compagni del Pdac iscritti a Usb abbiamo sostenuto Unire le lotte perché crediamo che le questioni che Unire le lotte ha posto siano fondamentali oggi per le sorti della lotta di classe in Italia. Mentre la Camusso torna, come avevamo da tempo previsto, al tavolo della concertazione, mentre stringe la mano alla Marcegaglia e si appresta a dare il via libera allo smantellamento del contratto nazionale di lavoro, il sindacalismo di base non sembra in grado di rappresentare un’alternativa credibile alla Cgil. Questo non per volontà della base e degli attivisti, ma spesso per settarismo e autoreferenzialità dei dirigenti. La battaglia di Unire le lotte per l’unità del sindacalismo di base, per l’unità delle lotte di tutti lavoratori ovunque collocati, per lo sciopero prolungato è oggi fondamentale per sviluppare in Italia una direzione sindacale in grado di contrastare la stagione concertativa che si apre. Usb può essere un importante strumento: ma non finché l’Esecutivo nazionale anteporrà le proprie idiosincrasie e i propri microinteressi agli interessi generali della classe lavoratrice. Con dirigenti simili non andiamo da nessuna parte.
Ancora una domanda, personale. Hai detto che hai ricevuto molti comunicati di solidarietà. Qual è quello che ti ha fatto più piacere?                        E’ difficile scegliere, sono molti e tutti molto belli. Se proprio devo scegliere, allora scelgo quello che mi è arrivato dai compagni del Coordinamento Migranti di Verona. Una sola semplice frase: “Noi come gruppo del Coordinamento Migranti di Verona siamo contro l’espulsione della nostra compagna Fabiana Stefanoni dal suo sindacato Usb”. Credo che in quel “nostra compagna” sia riassunto tutto il senso della battaglia che, coi compagni di Unire le lotte, da mesi stiamo facendo: unità dei lavoratori in lotta – immigrati, nativi, precari, operai – ovunque collocati. Il nemico è lo stesso: i padroni, la Confindustria e i governi (di centrodestra e centrosinistra) che li sostengono. I padroni e i burocrati dei sindacati cercano di dividerci, ma noi vogliamo lottare uniti. 

La ControTremonti

 http://www.sbilanciamoci.info

La manovra di Tremonti varata in queste ore dal governo affossa ancora di più il paese nella depressione economica, deprime le possibilità di ripresa dell'economia, fa pagare alla parte più esposta del paese il peso e le conseguenze di questa crisi. Il pareggio di bilancio del 2014 non ci è stato imposto dall'Unione Europea. È una scelta politica di Tremonti che in questo mondo rischia di portare il paese ancora di più nella recessione. È una manovra tutta concentrata furbescamente nel 2013-2014, quando – speriamo – potrebbe esserci un altro governo a fronteggiare l'emergenza economica.
Dopo mesi di inutile ottimismo e di stupida sottovalutazione della portata della crisi, il governo si trova a dover prendere amaramente atto del fallimento della sua politica economica, della fallacia delle sue previsioni iniziali, della futilità delle speranze dell'"effetto traino" legato alla possibile ripresa dell'economia mondiale. Dopo tre anni di provvedimenti tappabuchi, di mezzemisure all'insegna del marketing e di fumo negli occhi, la situazione economica del paese è gravissima, ed il peggio deve ancora venire. Avere tenuto sotto (parzialissimo) controllo i conti pubblici, senza rilanciare l'economia e la domanda interna, senza dare adeguata protezione sociale ed ai redditi si è dimostrata una strategia fallimentare ed autolesionista, senza futuro.
La manovra di queste ore ne è la dimostrazione, e ora ne paghiamo il prezzo E ancora una volta a subirne le conseguenze è la parte più debole del paese: pensionati, lavoratori a basso reddito, consumatori, utenti dei servizi pubblici.. La reintroduzione dei ticket, l'inserimento dei costi standard nella sanità, la riduzione dei trasferimenti agli enti locali, il blocco degli stipendi nella pubblica amministrazione, l'intervento sulle pensioni stanno lì a dimostrare quanto ancora una volta il prezzo della crisi è pagato dalla fasce sociali più deboli. Tra i più colpiti sono i giovani+
È possibile, era possibile fare diversamente?
Sbilanciamoci – con la sua manovra da 51 miliardi di euro in 3 anni (per le proposte nel dettaglio v. il pdf allegato) – dimostra che si può fare. Anche tagliando la spesa pubblica: quella militare, delle grandi opere, per le scuole private, per il business della sanità privata. E con una politica fiscale che colpisca le rendite e non i salari, i grandi patrimoni e non i bassi redditi, i consumi ecologicamente dannosi e non i consumi pubblici ed i servizi sociali. È possibile garantirsi in questo modo un flusso costante di risorse da destinare da una parte all'abbattimento del debito e dall'altra a dare protezione sociale a chi è colpito dalla crisi e a rilanciare un'economia diversa fondata su un nuovo modello di sviluppo.
Serve una tassa sui patrimoni milionari (che ci porterebbe oltre 10 miliardi di euro di entrate), bisogna portare la tassazione delle rendite al 23% e bisogna aumentare l'imposizione fiscale sui redditi superiori ai 70mila euro annui dal 43 al 45%. Nel contempo è necessario ridurre del 20% la spesa militare e cancellare il programma di 131 cacciabombardieri F35 (che ci costano più di 16miliardi di euro). Questi sono passi obbligati in tempi di crisi: in Germania e in Gran Bretagna sono state ridotte le spese militari, in Italia, ancora no.
E servono misure per rilanciare l'economia attraverso un programma di "piccole opere" (cancellando Ponte sullo Stretto e Tav), di sostegno alla green economy (energie rinnovabili, mobilità sostenibile, agricoltura biologica, ecc), di incentivo e difesa dei redditi, unica garanzia perchè possa riattivarsi una domanda interna. In questo senso la lotta al precariato, il sostegno alle pensioni più basse, il recupero del fiscal drag e il reddito di cittadinanza sono misure assolutamente necessarie in questa fase.
L'Italia con questo governo e con le politiche fatte negli ultimi tre anni rischia di "uscire" dalla crisi ancora peggio da come ci era entrata. Altri paesi stanno aggiustando la mira, stanno cambiando in parte le loro politiche, si stanno dando, almeno in parte, una vera politica economica ed industriale. Il governo Tremonti ha assecondato un nefasto mix di corporativismo, assistenzialismo e neoliberismo che sta portando l'economia italiana verso una situazione di neofeudalesimo economico. La distruzione del capitale umano e sociale (l'università, la scuola, la coesione sociale, il welfare) rischia di avere effetti nefasti per il futuro e di produrre un livellamento verso il basso accompagnato però dall'accentuazione della forbice delle diseguaglianze, dalla crescita dei privilegi e del disagio sociale. E' ora di cambiare rotta, mettere questo governo quanto prima nelle condizioni di non nuocere e ricostruire le ragioni della speranza di un paese diverso: con un modello di sviluppo fondato sulla sostenibilità ed i diritti.

Il Mediterraneo non è proprietà di Israele

Freedom Flotilla Italia   


Freedom Flotilla Italia – Comunicato stampa 1 luglio 2011
La nave Statunitense "Audacity of Hope" ha deciso di tenere fede al proprio nome ed è salpata, per essere bloccata dopo un quarto d’ora di navigazione dalle autorità portuali greche che hanno intimato agli attivisti di tornare in porto ad Atene minacciando l’equipaggio ed i passeggeri con le armi. Stesso tentativo e stesso esito per la nave canadese Taharir. Intanto una nota del Ministero per la sicurezza interna greco mostra tutta la subalternità del governo di Papandreou alle politiche israeliane, dichiarando che la Grecia vieta alle barche della Freedom Flotilla 2 di salpare per Gaza. Nel mare greco, in queste ore, si sta giocando un vero e proprio braccio di ferro tra i sostenitori del diritto internazionale e quelli del diritto di Israele, diritti che come è dimostrato sin dalla nascita dello Stato di Israele non fanno che confliggere. Come ignora Gianni Letta che risponde alla sollecitazione della Freedom Flotilla Italia con un comunicato dove dice che non è in grado di garantire la sicurezza degli italiani diretti a Gaza “…trattandosi di iniziative in violazione della vigente normativa israeliana”. “Non immaginavamo che tutto il Mediterraneo fosse proprietà di Israele” hanno commentato dalla FF2 gli attivisti internazionali determinati a portare a termine la missione, non solo umanitaria, ma soprattutto politica di fare approdare le navi a Gaza. L’obiettivo è quello di rompere un assedio che si protrae da troppo tempo ai danni di una popolazione che subisce una punizione collettiva, laddove sono proprio il diritto internazionale, le convenzioni e i trattati, nati per salvaguardare le popolazioni oppresse, ad affermare che tutto questo oltre a essere inumano, è fuorilegge.
 MOBILITIAMOCI PER FARE PRESSIONE SUL GOVERNO GRECO  
Freedom Flotilla Italia indice un presidio davanti all’Ambasciata greca in Via Mercadante a Roma  
Lunedì 4 luglio alle 17,00 e invita alla mobilitazione in tutta Italia 
Invitiamo tutte e tutti a scrivere all’ambasciata di Grecia in Italia, all’indirizzo gremroma@tin.it, a telefonare al n. 06-8537551 e ad inviare fax al n. 06-8415927.

Per adesioni: roma@freedomflotilla.it

Contatti: 333/5601759 – 338/1521278



Il coraggio di divorziare dalla CGIL

Matteo Iannitti  dell'  Esecutivo Nazionale Giovani Comuniste/i

La Camusso, l’accordo ed il ruolo della sinistra.
Chissà se Susanna Camusso ha pensato alle straordinarie giornate del 16 ottobre, del 28 gennaio e del 6 maggio mentre firmava l’accordo su contratti e democrazia sindacale con Confindustria, Cisl, Uil e Ugl? Probabilmente ha rivisto nei suoi occhi quei migliaia di giovani, di cui il 29,6 % disoccupati, che sfilavano davanti alle fabbriche e nelle piazze di tutte le città d’Italia. Ha ricordato quelle tute blu che minacciate da Marchionne hanno comunque, nonostante le sue velate direttive, votato per la dignità, anche a costo di perdere il posto di lavoro. Per alcuni secondi sarà addirittura ritornata a quelle contestazioni a Bonanni, Angeletti, Confindustria, Marchionne di chi non accettava di svendere i propri diritti.  Chissà se ha rivisto quegli studenti arrabbiati che chiedevano da ottobre uno sciopero generale? Sicuramente Susanna Camusso e con lei tutti coloro che in CGL hanno condiviso quella firma su quell’inaccettabile accordo hanno pensato a tutto questo. E proprio per questo hanno firmato.


Non era normale per l’Italia infatti la straordinaria mobilitazione dell’autunno e dell’inverno, non era normale uno sciopero generale convocato in assurdo ritardo ma comunque partecipatissimo, non era normale la rabbia di operai e studenti, dalla Sapienza ai Cantieri Navali, che, per la prima volta da tanto tempo, affrontava potenti e potere senza la paura della loro repressione. E occorreva ritornare alla normalità: lasciare gratuitamente lotta e conflitto per restaurare una concertazione al ribasso. Troppo schiamazzo facevano quei rozzi operai e quegli ignoranti degli studenti. Avevano perfino vinto un referendum palesemente antiliberista, per il pubblico contro le privatizzazioni, per i beni comuni contro i profitti. Infondo non si poteva fare altrimenti, l’Italia si prepara al post-Berlusconi e bisogna apparire affidabili, migliori di quelli che c’erano prima, più coraggiosi e meno combattivi, pacati e moderati. Ovviamente agli occhi dei poteri forti.
Non credo che in questa sede occorra addentrarsi nella valutazione sistematica dell’accordo sottoscritto. Per capire a cosa va incontro tutto il mondo del lavoro probabilmente basta leggere le reazioni di Governo e Confindustria o gli articoli di Loris Campetti su Il Manifesto o le dichiarazioni di Giorgio Cremaschi.
Ciò su cui vorrei che con onestà ci confrontassimo, senza quell’orrendo opportunismo politico che contraddistingue qualsiasi discussione che tira in ballo il maggiore sindacato italiano, è il ruolo della sinistra alla luce del ricompattamento di destra, Confindustria e Cgil, il nostro ruolo nei confronti di coloro che credono ancora nell’efficacia della lotta e del conflitto, il nostro rapporto con la dirigenza sindacale della Cgil francamente incompatibile con tutte le parole d’ordine urlate in piazza nello scorso autunno e durante le mobilitazioni dell’inverno.
La Cgil infatti non è più davanti ad un bivio. Ha legittimamente imboccato una strada. Quella sbagliata. Al vento di cambiamento si è preferita l’afa della compatibilità di sistema, al sollevamento di intere fasce della popolazione italiana si è preferito l’ossequioso inchino ai soliti potenti. Proprio mentre un referendum puntellava gli equilibri e il silenzio intorno al sistema neoliberista dominante, mentre si affacciava la speranza di mettere all’ordine del giorno del dibattito politico la critica ed il cambiamento dell’attuale modello di sviluppo, la Cgil ha deciso di salire sul carro di quei perdenti che, purtroppo e speriamo ancora per poco, detengono il potere.
E di fronte a ciò, che fare? Certo non si può fare di tutta l’erba un fascio, la Cgil non è tutta uguale, il suo dibattito interno è composito e acceso, le sue categorie, a partire da FIOM e FLC, hanno spesso osato e dato battaglia. Ma ci sono delle regole “democratiche” e chi parla, chi firma, lo fa a nome di tutti. La sinistra, quella vera, quella che continua ad avere le stesse posizioni dell’autunno su CCNL e diritti dei lavoratori, da una parte non può che caldeggiare un cambiamento di rotta della Cgil, un mutamento dei rapporti di forza al suo interno. Ma dall’altro non può che prendere una posizione netta, drastica, efficace sul più grande sindacato italiano.
Basterebbe, con chiarezza, rompere la subalternità. La sinistra assomiglia infatti sempre più ad un coniuge continuamente cornificato, tradito, umiliato ma che, chissà se per amore o interessi, non ha mai uno scatto d’orgoglio, non chiede mai la separazione. Continua a subire, con la consapevolezza di non essere più amato. Forse, dopo trent’anni di concertazione al ribasso nei quali stipendi e diritti si sono via via assottigliati, è ora di emanciparsi. Di chiedere il divorzio. Infondo abbiamo ragione noi, lo hanno dimostrato i fatti. Se l’amore si dovesse riaccendere e chi ha tradito e fallito riconoscerà gli errori commessi allora la grande madre o moglie o marito che è la Cgil potrà pure tornare. Chiedendo scusa. E certamente non dovrà inginocchiarsi di fronte ad un ceto politico della sinistra sistematicamente complice delle cattive scelte del sindacato, ma di fronte a migliaia di donne e uomini che credono ancora nel conflitto, nella dignità del lavoro, nell’imprescindibilità dei diritti, di fronte a tante e tanti che proprio per la delusione verso un sindacato moderato e troppo opportunista, hanno perso la voglia di combattere.


D’altronde per la sinistra c’è in Italia un mare aperto e sconfinato, fatto di movimenti, comitati, sindacati di base, centri sociali, associazioni, sezioni di partito. C’è quel mare di gente che, nonostante tutto, ha detto no alla privatizzazione dell’acqua e al nucleare. Quella gente esasperata che a Napoli ha votato per il cambiamento radicale. C’è per la sinistra ed è la sinistra quella moltitudine che non ha mai smesso di lottare che spesso in solitudine ha creato conflitti e battaglie, che ha avuto il coraggio di mantenere passione e coerenza, che ha prodotto percorsi politici indipendenti e radicali. Non è una minoranza né inutile, né minoritaria. È la forza di un cambiamento che nel nostro Paese e nel mondo è quanto mai necessario.
La sinistra e non la Cgil è davanti a un bivio. Può continuare nel solco dell’ambiguità, come ben continua a fare Sinistra Ecologia e Libertà, da un lato retoricamente vicina ai movimenti sociali e dall’altro piegata alle logiche politiciste ed affariste del Partito Democratico, o come fa Lavoro e Solidarietà, area della CGIL interna alla Federazione della Sinistra, che da un lato chiede lo sciopero generale contro il piano Marchionne e poi difende la firma al piano Marchionne nazionale rappresentato dall’accordo con Confindustria sui contratti. Oppure possiamo guardare oltre.
Gli ultimi avvenimenti politici italiani dimostrano che cambiamento radicale, coerenza e determinazione sono vincenti, sono maggioritari. Bisogna, ora o mai più, trovare il coraggio di stare dalla parte del cambiamento. Che esso provenga da una minoranza della Cgil, dai sindacati di base, dai movimenti. Se vinceremo questa sfida, daremo una speranza in più a chi ogni giorno combatte. Se questa sfida decideremo di non affrontarla, schiavi dei nostri equilibri, allora avremo già perso. Il vento di cambiamento calerà definitivamente. E torneremo ad un’Italia normale. Ad un’Italia francamente insopportabile.

Non si può imbavagliare Internet

 Giulia, Luis, Ben, Ricken, Pascal, Benjamin e tutto il resto del team di Avaaz

La situazione si fà seria: oltre 100.000 di noi hanno inviato messaggi per fermare il bavaglio a internet e ora ci rimangono solo 5 giorni per agire. Inoltra questa e-mail a tutti!

Cari amici,


Fra pochi giorni l'Autorità per le comunicazioni potrebbe votare un provvedimento che metterebbe il bavaglio alla rete, arrivando perfino a chiudere siti internet stranieri in modo arbitrario e senza controllo giudiziario. Inondiamo i membri dell'Autorità di messaggi per difendere la nostra libertà d'informazione su internet!

Il nostro governo ha lanciato un nuovo attacco alla libertà di accesso all'informazione, e fra qualche giorno un organo amministrativo sconosciuto ai più potrebbe ricevere poteri enormi per censurare internet.

L’Autorità per le comunicazioni, un organo di nomina politica, sta per votare un meccanismo che potrebbe perfino portare alla chiusura di qualunque sito internet straniero - da Wikileaks a Youtube ad Avaaz! - in modo arbitrario e senza alcun controllo giudiziario. Gli esperti hanno già denunciato l’incostituzionalità della regolamentazione, ma soltanto una valanga di proteste dell’opinione pubblica può fermare questo nuovo assalto alle nostre libertà democratiche.

Non c'è tempo da perdere. La prossima settimana l'Autorità voterà la delibera, e se insieme costruiremo un appello pubblico enorme contro la censura su internet potremo fare la differenza. Inondiamo i membri dell'Autorità di messaggi per chiedere di respingere la regolamentazione e preservare così il nostro diritto ad accedere all’informazione su internet. Agisci ora e inoltra l'appello a tutti!

http://www.avaaz.org/it/it_internet_bavaglio/?vl

Negli anni Berlusconi ha cercato più volte di controllare l’informazione su internet, ma finora i suoi tentativi sono sempre falliti. Ora, lontano dai riflettori, il governo ha la possibilità concreta di espandere i suoi tentacoli sulla rete, a meno che i cittadini non alzeranno la voce per fermarlo.

La nuova regolamentazione permetterebbe all'Autorità per le Comunicazioni di rimuovere contenuti sospetti di violazione del copyright da siti internet italiani senza alcun controllo giudiziario. Ancora peggio, la pubblicazione di una canzone o di un testo sospetto potrebbero perfino portare alla chiusura di interi siti internet stranieri, inclusi siti d’informazione, portali di software libero, piattaforme video come YouTube o d’interesse pubblico come WikiLeaks.

Se approvata, la nuova regolamentazione garantirebbe di fatto poteri legislativi e giudiziari a un organo amministrativo le cui funzioni dovrebbero essere esclusivamente consultive e di controllo, aprendo così la strada a un processo decisionale arbitrario e incontrollato. L'Autorità, nella speranza di passare inosservata, sta velocizzando al massimo la decisione, che è prevista per la prossima settimana.

Ma insieme possiamo costruire un enorme grido pubblico e convincere i membri chiave dell'Autorità che sono ancora indecisi a opporsi alla regolamentazione e rimandare così la questione all'unico organo che ha i poteri costituzionali per legiferare sulla materia: il Parlamento. Manda un messaggio ora e inoltra l'appello il più possibile:

http://www.avaaz.org/it/it_internet_bavaglio/?vl

I governi sono sempre più impauriti da internet, che è diventato uno strumento per aprire il dibattito pubblico e per la mobilitazione dei cittadini, e stanno cercando così di imporre regole più strette di censura. Ma i cittadini stanno rispondendo, come in Gran Bretagna, dove l'opposizione dell'opinione pubblica ha costretto il governo a ritirare la legislazione sul copyright che voleva mettere un bavaglio alla rete. In Italia lo scorso anno siamo riusciti a fermare la "legge bavaglio" liberticida. Vinciamo di nuovo!


venerdì 1 luglio 2011

Let our people go

Rabbi Alissa Wise, National Organizer
Jewish Voice for Peace


Dear Luciano,

Just an hour ago, I couldn't believe it when I heard that the US boat to Gaza had finally left port in Greece. But just a few minutes ago we learned they are not being granted passage out of Greek waters and they have issued an urgent call for our help THIS VERY MINUTE. Armed Greek soldiers are approaching the boat now as the passengers chant, afraid they are planning a raid.

Let our people go.


This is the traditional biblical cry of people fighting for freedom from slavery and oppression.

And it's exactly the message I want you to send now to the United States and the government of Greecewhich is in this very moment preventing the remaining boats in the Gaza Flotilla from leaving port to break the illegal siege of Gaza.

Let our people go.

Our people are the 1.6 million Palestinian men, women and children who are virtual prisoners who cannot leave Gaza and who cannot get access to sufficient food, medical supplies and resources they need to live.

Our people are the Americans and internationals, including Jewish Voice for Peace members, who are risking their lives to show the world the injustice of the siege, and who bring a message of hope and solidarity to the Palestinians of Gaza.

You and I can't be there in Greece or Gaza right now, but we can stand with peace activists from all over the world, including and especially from Palestine, who have taken up the nonviolent struggle to end occupation and assert the full humanity of all people.

These modern-day Freedom Riders need our help right now. Please take a moment to send a letter now and then tell your friends to do the same.

They are facing extraordinary forces of opposition from the Israeli and US governments—and yet, we already have won by bringing the world's attention to the people of Gaza. But it's not over yet. They need your help. Now.

Let our people go:
Let the ships sail. Break the siege of Gaza.

As I hope and pray for safe passage, I can't help but smile at the name of the U.S. boat: "The Audacity of Hope." There is audacity in hope. Moses had it when he made his case to Pharoah. And we have it when we act to bring about a future where all of us are free.

Audaciously,

Rabbi Alissa Wise, National Organizer

Jewish Voice for Peace



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Solo un’ora fa non  avrei potuto crederci  La nave statunitense diretta a Gaza alla fine ha lasciato il porto di Grecia. Ma solo pochi minuti fa abbiamo appreso che non viene garantita l’uscita dalle acque territoriali greche.  Dalla nave hanno trasmesso un appello urgente chiedendo il nostro aiuto in questo preciso istante. I passeggeri segnalano che soldati armati greci si stanno avvicinando alla nave e temono  che questi stiano progettando un raid.


Lasciate andare la nostra gente.

Questo è il tradizionale pianto biblico  dei popoli che stanno lottando per la liberazione dalla schiavitù e dall’oppressione

E questo è esattamente il messaggio che vorrei inviaste ora agli Stati Uniti e al governo Greco per cui in questo preciso momento consentano alla navi  rimanenti della flottilla di lasciare il porto per interrompere l’assedio illegale a Gaza

Lasciate andare la nostra gente.

La nostra gente è quel  milione e seicentomila palestinesi fra donne bambini e uomini  che sono virtualmente prigionieri che non possono lasciare Gaza che non hanno cibo a sufficienza, forniture mediche  e tutte quelle risorse necessarie per vivere.

La nostra gente sono americani e internazionali, inclusi i membri di Jewish Voice for Peace che stanno rischiando la propria vita per mostrare al mondo l’ingiustizia dell’occupazione e che portano un messaggio di speranza e di solidarietà ai Palestinesi di Gaza. Voi ed io non possiamo fisicamente essere in Grecia o a Gaza ora ma possiamo essere accanto gli attivisti di pace da tutto il mondo compresi in particolar modo chi dalla Palestina ha intrapreso una lotta non violenta per porre fine all’occupazione e affermare la piena umanità di tutti i popoli. Questi moderni cavalieri di libertà hanno bisogno del nostro aiuto ora. Per favore, prendetevi un attimo di tempo per spedire una lettera ora e poi dite ai vostri amici di fare lo stesso.  Loro si trovano ad affrontare le straordinarie forze di opposizione di Israele e ancora degli Stati Uniti. Abbiamo già vinto portando l’attenzione del mondo al popolo di Gaza, ma non  è ancora finita. Hanno  bisogno del vostro aiuto ADESSO.

Lasciate andare la nostra gente:  Lasciate navigare le navi Rompete  l’assedio a Gaza

Come  spero e prego per una navigazione sicura, non posso aiutarli, ma sorridere al nome della nave americana “L’audacia della speranza” Esiste audacia nella speranza. Mosè l’aveva quando presentò il suo caso davanti al Faraone, noi l’abbiamo quando ci spendiamo per realizzare un futuro in cui tutti noi saremo liberi. 

Cliccando sulle frasi in rosso del testo in inglese si accede alle  lettere da inviare e agli indirizzi dei loro destinatari.



No a un treno pieno di signori

Luc Girello

Domenica prossima 3 luglio è prevista in Val di Susa una  manifestazione nazionale in appoggio ai comitati NO TAV  per rivendicare, in base  all’indirizzo espresso dai cittadini tramite i referendum sui beni comuni, che anche il territorio è bene comune e dunque non può essere oggetto di speculazione e profitto.  Tutto il programma legato alla TAV (Treni ad alta velocità) soggiace palesemente agli interessi speculativi dei soliti noti,  le lobby del cemento, e gli istituti finanziari   che andranno a gestire gli enormi  profitti distribuiti  dalla montagna di soldi europei incanalata nella   fitta rete di appalti e subappalti.  Il tutto senza alcun benefico per la popolazione, anzi. Questa dovrà subire il saccheggio di enormi porzioni di territorio, oltre che rischiare la propria salute minacciata dai veleni di cui i materiali di risulta degli scavi sono pieni. La pianificazione  di una modernizzazione della rete ferroviaria italiana risale a venti anni fa. In questo scenario si inseriva il progetto treni ad alta velocità con due direttrici principali: uno verticale: Napoli- Roma-Milano, l’altro orizzontale: Venezia-Milano-Torino con sconfinamento in Francia: Lione - Parigi. Il progetto avendo come priorità assoluta l’alta velocità, necessitava di tratte il più possibile rettilinee   con l’obbligo di attraversare  montagne e il gravoso impegno, sia economico, sia di impatto ambientale  di scavare chilometri e chilometri di gallerie stravolgendo l’equilibrio naturale del territorio. In relazione alla Torino Lione, all’epoca (1991) fu proposto dalle associazione ambientaliste un intervento molto meno impattante. La proposta prevedeva, non già la costruzione di una nuova tratta, ma il raddoppio di quella esistente, in modo da riservare al solo traffico passeggeri la nuova parallela e destinare la vecchia  al transito merci, incentivando il trasporto su ferro rispetto a quello su gomma, con inevitabili benefici per l’ambiente. Il programma si sarebbe realizzato nel giro di cinque sei anni con costi non elevatissimi,  avrebbe liberato la valle dall’inquinamento dei camion e reso disponibile una linea   per i passeggeri, sicuramente meno veloce della TAV , ma ugualmente molto confortevole. I partiti di allora, compreso i DS, così si chiamavano,  decisero che la velocità doveva essere la priorità. Per cui via al treno ad alta velocità e via alla perforazione dell’intera valle. Dunque pianificazione costi elevati, e rinvio della questione sull’incremento del trasporto merci su ferro che ancora oggi non è risolta e che la  soluzione TAV tenderà a peggiorare. Il progetto verticale Napoli-Roma-Milano della TAV ebbe inizio   nel 1993 e si concluse nel 2006. Nella nostra Provincia la ferrovia a scorrimento veloce  si estende nella già martoriata Valle del Sacco. Qui  l’impatto ambientale   è stato devastante , peggiorando le condizioni di una zona distrutta dall’inquinamento, dai liquami industriali sversati nel Fiume Sacco e dalla decomposizioni dei rifiuti tossici sotterrati dalla Snia diventata in seguito Simmel difesa. Le sponde del fiume per nove comuni da Roma e Frosinone sono state contaminate da B-HCHe dal LINDANO sostanze altamente tossiche che si erano diffuse anche nei terreni circostanti. Questa terra avvelenata  rimossa dallo sbancamento per i lavori della TAV è poi finita nel foraggio degli allevamenti circostanti e nelle coltivazioni della zona, estendendo l’area contaminata  per ettari ed ettari di terreno oltre le sponde del fiume. Intere coltivazioni a causa  dell'utilizzo di questra terra sono andate perdute chilometri di territorio sono stati bruciati dal terriccio che i dirigenti responsabili dei cantieri cedevano ai contadini spacciandolo come adatto alla coltivazioni . La vicenda è bene spiegata in una ricerca dell’università di Urbino consultabile sul sito. http://www.uniurb.it/giornalismo/lavori2006/minutola/terra.htm. Traendo un bilancio su i danni arrecati dalla TAV nel nostro territorio, si può tranquillamente affermare che per consentire ad un treno pieno di signori di raggiungere Napoli da Roma in un’ora circa, si sono distrutti e sottratti all’uso della collettività chilometri e chilometri di terra, si è compromessa la salute di intere popolazioni. In contemporanea i treni dei pendolari che seguono la tratta normale continuano ad essere sempre più sporchi e ad arrivare sempre più in ritardo. Dalla triste esperienza vissuta in Ciociaria, giunge il monito alla Val Di Susa. RESISTETE NON FATEVI BUGGERARE DALL’ENNESIMO TENTATIVO DI FURTO DI UN CAPITALISMO MALATO ORMAI ALLA FRUTTA.

Appello: la Tav questione nazionale

Paolo Beni, Marcello Cini, Luigi Ciotti, Beppe Giulietti, Maurizio Landini, Alberto Lucarelli, Ugo Mattei, Luca Mercalli, Giovanni Palombarini, Valentino Parlato, Livio Pepino, Carlo Petrini, Rita Sanlorenzo, Giuseppe Sergi, Alex Zanotelli


ll referendum del 12 e 13 giugno hanno cambiato lo scenario politico ponendo al centro dell’attenzione pubblica i beni comuni e il bene comune. Di fronte a noi – ai milioni di donne e uomini che hanno contribuito al successo referendario – sta ora l’obiettivo di costruire una agenda politica in grado di mettere in campo un nuovo progetto di società, di sviluppo e di partecipazione democratica.
Di questa prospettiva c’è oggi un banco di prova non eludibile: lo scontro tra istituzioni e popolazione locale sull’inizio dei lavori di costruzione, in Val Susa, di un cunicolo esplorativo in funzione preparatoria del tunnel di 54 km per la progettata linea ferroviaria ad alta capacità Torino-Lione. Per superare la situazione di stallo determinata da tale scontro si prospetta un intervento di polizia (o addirittura militare) che rimuova le resistenze in atto. Sarebbe una soluzione sbagliata e controproducente.
Ci possono essere opinioni diverse sulla necessità di potenziare il trasporto ferroviario nell’area e sulle relative modalità ma una cosa è certa. La costruzione della linea ad alta capacità Torino-Lione (e delle opere ad essa funzionali) non è una questione (solo) locale e l’opposizione delle popolazioni interessate non è un semplice problema di ordine pubblico. Si tratta, al contrario, di questioni fondamentali che riguardano il nostro modello di sviluppo e la partecipazione democratica ai processi decisionali.
Per questo, unendoci ai diversi appelli che si moltiplicano nel Paese, chiediamo alla politica e alle istituzioni un gesto di razionalità: si sospenda l’inizio dei lavori e si apra un ampio confronto nazionale (sino ad oggi eluso) su opportunità, praticabilità e costi dell’opera e sulle eventuali alternative. In un momento di grave crisi economica e di rinnovata attenzione ai beni comuni riesaminare senza preconcetti decisioni assunte venti anni fa è segno non di debolezza ma di responsabilità e di intelligenza politica.