sabato 8 settembre 2012

Quel sacrario per Graziani è una vergogna

ANPI NAZIONALE

Intervista su l'Unità di oggi al Presidente Nazionale ANPI, come da oggetto, in occasione del dibattito alla Festa democratica nazionale di Reggio Emilia sul tema: "Per un nuovo impegno e una nuova cultura antifascista"




Sarà il 6 ottobre

Le associazioni hanno scelto il 6 Ottobre.
Le parti sociali hanno scelto il 6 Ottobre.
I singoli cittadini hanno scelto il 6 Ottobre.


Il Coordinamento della Valle del Sacco, che ciascuna realtà riunisce, ha scelto il 6 Ottobre.

Ha scelto il 6 Ottobre per non dimenticare i quattro inceneritori.
Ha scelto il 6 Ottobre per non dimenticare la discarica di Colle Fagiolara.
Ha scelto il 6 Ottobre per non dimenticare i fusti tossici interrati.
Ha scelto il 6 Ottobre per non dimenticare i capi di bestiame abbattuti, le fattorie distrutte e gli
agricoltori rovinati.
Ha scelto il 6 Ottobre per non dimenticare che l’aria, l’acqua e la terra sono stati compromessi.
Ha scelto il 6 Ottobre per non dimenticare il significato della parola dignità.

La dignità di un territorio seviziato, stuprato ed abbandonato a sé stesso.
La dignità di quel 55% di contaminati a vita da Beta-HCH, su un campione di 256 persone.
La dignità dei malati dei tumore, di leucemia, di chi lotta per la vita e di chi invece la battaglia per
la vita l'ha già persa.

Ha scelto il 6 Ottobre per ribadire la sacralità del diritto alla salute.
Ha scelto il 6 Ottobre per ribadire la sacralità del diritto al futuro.

Se hai a cuore tutto questo, il 6 Ottobre scendi in strada al nostro fianco, manifesta.

Manifesta, per urlare il tuo NO al piano regionale rifiuti della giunta Polverini.
Manifesta, per urlare il tuo NO agli snaturati progetti di impianti TMB a Castellaccio (Paliano) e
Colleferro.
Manifesta, per una vera raccolta differenziata, porta a porta.
Manifesta, per una gestione che valorizzi il rifiuto, quale materia prima secondaria, anziché
promuoverne l'eliminazione per incenerimento.
Manifesta, per un futuro a rifiuti zero.
Manifesta, per rivendicare il tuo ruolo da protagonista.
Manifesta, per non dover manifestare più.

Il 6 Ottobre, scendi in strada.
Il 6 Ottobre grida al mondo che non SEI UNO ZERO!


6 OTTOBRE 2012


(Colleferro - Piazzale dello Scalo - di fronte Stazione Ferroviaria)
ORE 14.30

Adesioni: http://seiunozerovalledelsacco.wordpress.com/adesioni/
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Anche il Collettivo Ciociaro Anticapitalista manifesterà il 6 ottobre a fianco  al coordinamento della Valle del Sacco.

Per ribadire l’inalienabilità del diritto di vivere in luoghi dover terra, aria e acqua non siano contaminati e inquinati.

Per ribadire che la terra l’aria e l’acqua sono beni destinati a tutti per diritto naturale e dunque non assoggettabili al degrado e allo sfruttamento del mercato.

Per ribadire che il diritto alla salute non è negoziabile, neanche con il diritto al lavoro e che il diritto al lavoro non è negoziabile con il diritto alla salute, entrambi devono essere garantiti.

Per ribadire che Frosinone non ha alcun bisogno di un aeroporto dall’impatto ambientale devastante per il territorio, utile esclusivamente al profitto dei grandi imprenditori edili e nocivo per la salute dei cittadini.

Per ribadire che è proprio dalla difesa dei propri territori contro l’aggressione delle multinazionali della grande distribuzione e dalla speculazione edilizia concertata, che si costruisce il primo caposaldo contro la tirannia liberista.



venerdì 7 settembre 2012

spread ideale

Giovanni Morsillo

Come tutti sano Nicole Minetti ha dichiarato un paio di giorni fa che non si dimetterà da consigliere della Regione Lombardia perché ammira "gli ideali di Silvio". Escludiamo che si tratti di Silvio Pellico che, sebbene lombardo non è sicuramente nei pensieri della prestigiosa amministratrice pubblica visto che non frequentava nemmeno uno straccio di centro fitness, così come siamo quasi certi che non si sia voluta riferire a Silvio Spaventa, che oltre a non essere elettore del PdL se non altro perché deceduto dal 1893 era pure terrone, e così non riusciamo proprio a capire a quale prsonaggio pensasse nei suoi ragionamenti. Avesse specificato almeno di che ideali si tratti avremmo potuto interpretare il suo pensiero, ma così, nel vago non riusciamo proprio ad orientarci. Certo, i dubbi ci torturano, e sono forti: se la consigliera regionale ha omesso qualsiasi carattere identificativo del suo modello intellettuale e valoriale, si tratterà certamente di qualcuno talmente noto da non necessitare di alcun indirizzo, di alcuna indicazione pur minima per essere individuato con certezza. Solo Silvio, soltanto il nome di battesimo, quasi che ne esista uno solo o che sia talmente distante la sua notorietà di fronte a quella di altri omonimi meno popolari, che non sono autorizzati dubbi.
Abbiamo sfogliato oltre alla nostra memoria, sempre fallace, tutte le fonti di cui disponiamo, enciclopedia, vecchi volumi, riviste di tutti i tipi, fino ai più importanti motori di ricerca, ma niente! L'unico Silvio che ci viene proposto in tutte le salse mediatiche e informative è Berlusconi, ma visto l'argomento è evidentemente escluso in partenza, è un fuori concorso a prescindere. Di questo siamo certi: la Minetti ha detto proprio "ideali", e per onore alla verità non si può sostenere in alcun modo che il Silvio citato ne abbia mai sfiorato uno qualsiasi.
A meno che, ma questo una raffinata pensatrice come la consigliera lombarda non può certo considerarlo, non si vogliano intendere ideali i disegni eversivi di un magnate che vuole comprare lo Stato per farci giocare le sue mantenute. No, la plurilaureata Nicole Minetti, oltre all'igiene dentale del suo capo è certamente in gardo di curare l'igiene mentale di sé stessa e non scambierebbe mai, ad esempio, la consezione privata del potere pubblico per un "ideale".
Un amico molto fantasioso ci proponeva una lettura del Minetti-pensiero in una chiave secondo noi leggermente azzardata, che sarebbe la seguente: la dichiarazione andrebbe interpretata intendendo "ideale" come "idealizzato", ossia il Sivlio di cui sarebbe davvero quello di Arcore, e verrebbe indicato come figura ideale di dirigente politico e non solo. Questa lettura, però, ci sembra non solo forzata, ma palesemente non attinente alla dichiarazione, perché la consigliera ha detto proprio "gli ideali di Silvio", non "Silvio come ideale" o simili.
Insomma, aspettavamo in questi giorni qualche nota di precisazione, qualche chiarimento che consentisse di individuare chi fosse il modello di pensiero cui la consigliera si ispira. Non se ne sono visti, pertanto dobbiamo dedurre che si sia trattato di un lapsus, un nome detto al posto di un altro, e non pensiamoci più.
Solo una cosa: siamo proprio certi che la colpa delle nostre sofferenze sia dello spread? Non è che c'entra anche un pochino di inadeguatezza delle classi dirigenti?

Saluti ideali

Un futuro vincolato alla fame

Luciano Granieri, Collettivo Ciociaro Anticapitalista

Il grande banchiere ex Goldmann Sachs  ed  ex affamatore della Grecia   Mario Draghi,  ora a capo della Bce,  ha fatto quello che doveva fare.  La Banca Centrale  Europea   potrà acquistare in modo illimitato  il debito pubblico a breve termine dei Paesi  membri che ne faranno richiesta.  Ciò significa che gli Stati  giudicati meno solvibili , costretti quindi a cedere i propri titoli a tassi di interesse elevati, per   maggiore rischio di insolvenza,  potranno chiedere, attraverso il fondo Salva Stati, che la Bce acquisti i propri titoli in modo da acquisire credibilità, ottenendo così il conseguente abbassamento del tasso d’interesse e quindi dello spread. Inoltre la  mossa del “DRAGONE” potrà sottrarre tali obbligazioni  al perverso gioco degli speculatori.  Una buona notizia senonché gli Stati che faranno richiesta dell’aiuto della Bce dovranno sottoporsi ad un programma severo di rigore di bilancio. Quindi, sotto con i tagli allo stato sociale,  con la precarizzazione  e l’alienazione del lavoro, con i tagli a pensioni e stipendi, con la privatizzazione di scuola e sanità, con la svendita dei beni pubblici . Insomma sotto con i programmi di impoverimento sistematico  del popolo per ingrassare le capienti pance dei signori della finanza.   Se  non ricordo male lo stesso programma lacrime e sangue già si sta attuando per cercare di abbassare lo spread. E che cambia? Se non si chiedono gli aiuti alla Bce bisogna fare la fame per abbattere   lo spread. Se si chiedono aiuti alla Bce, bisogna fare la fame lo stesso perché è la condizione imposta dalla banca centrale per concedere gli aiuti  prevede  il rigore di bilancio. Perché sono tutti così contenti e plaudono? Il cetriolo, a me pare vada  sempre nelle terga dell’umile ortolano.   Non sarà ora di finirla di farci prendere per il culo? Questa cura da cavallo che ammazza il cavallo ha già  ridotto in povertà   116 milioni di cittadini europei, è questo il dato che conta non i punti di spread.  Inoltre  il piano di Draghi rischia di diventare una vera e propria trappola per i governi che ci cascheranno. Infatti è previsto che la Bce continuerà ad acquistare debito pubblico da quegli Stati che ne faranno richiesta,  a patto che  questi continuino a mettere in atto il rigore di bilancio, anche se il loro governo dovesse cambiare.  Un esempio pratico. Se Monti dovesse chiedere alla Bce di acquistare titoli italiani, il programma di macelleria sociale richiesto in cambio, dovrebbe proseguire anche con il governo che succederà al presidente del consiglio bocconiano nella prossima primavera, pena il decadimento immediato degli  aiuti. Ecco dunque che in questa prospettiva l’accapigliarsi dei vari schieramenti  politici nel cambiare la legge elettorale, nel pianificare o meno le primarie, nell’ ipotizzare sordide alleanze è del tutto inutile.  Non è il popolo che elegge i propri rappresentanti, ma è la finanza che sceglie la coalizione più capaci di difendere gli interessi del liberismo. Nel video che segue, relativo alla trasmissione Piazza  affari andata in onda ieri, in collegamento da Cernobbio dove squali e  sfruttatori   sono riuniti per concertare nuove azioni vessatorie, GIANLUCA GARBI  amministratore delegato, di BANCA SISTEMA  detta la sua agenda politica. Dal minuto 3,29 del video il perfido banchiere comincia a delirare  sostenendo  che  Monti dovrebbe chiedere ugualmente  gli aiuti europei, anche  se l’Italia non  ne ha bisogno,  in modo da vincolare il governo prossimo   allo  stesso programma di devastazione umana e sociale perseguito fino ad ora. “Dal momento che non siamo certi che il prossimo governo continuerà  nell’opera di rigore messa in atto da  Monti, il rispetto dei vincoli che la Bce pretenderà  a seguito degli aiuti richiesti imporrà anche al nuovo esecutivo  la prosecuzione della linea di contenimento della spesa . E’  UN MODO PER VINCOLARE IL FUTURO” Questo è il delirante pensiero del banchiere.    II futuro dunque di noi lavoratori, gente comune, sarebbe vincolato a prospettive di continuo impoverimento, per contro  il futuro del capitalismo finanziario è  destinato ad arricchirsi in modo smisurato. Il tutto  attuato con il totale asservimento della politica.  Non è ancora chiara l’inettitudine di questa classe dirigente sempre più succube della finanza?  Non sarà ora di ribellarsi?

Il SUV di San Silverio e Sant'Ormisda

Luciano Granieri

Buchi di bilancio ereditati dalla giunta precedente, richiami della Corte dei Conti su anomalie relative ai suddetti bilanci, mancanti trasferimenti di fondi dalla Regione, anche se di colore amico, fallimento delle società in-house, ascensori arrugginiti che non ascendono, spending review che taglia ulteriormente i fondi alla città, buche che flagellano le strade; queste sono alcune questioni fra le tante che angustiano il nuovo sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani . Per far fronte a tutti questi problemi servirebbero una montagna di soldi. Applichiamo la massima aliquota dell’Imu? Non funzionerebbe. Con la crisi immobiliare che c’è in giro, chi andrà ad occupare tutti gli alloggi vuoti e di pregio che riempiono abnormemente gli spazi della città? E poi i nostri amici costruttori sai come si incazzerebbero? Vendiamo gli immobili del comune? Si può fare , anzi sarà fatto, magari sbattendo in mezzo alla strada un po’ di gente indigente che occupa qualche casa di proprietà comunale. Ma anche in questo caso la crisi del mercato immobiliare porterebbe degli introiti risibili , non basterebbe qualche regalia di beni pubblici al privato di turno per raddrizzare le cose. Aumentiamo l’addizionale comunale Irpef? E’ una buona idea, tanto un morto di fame in più o uno in meno non è che cambi molto la faccenda. Ma ancora non è sufficiente. Il sindaco Ottaviani è in difficoltà. Non sa a che santo votarsi…. Santo votarsi? ECCO L’IDEA!!!. Frosinone è una comunità molto religiosa e devota, ha ben due santi protettori , San Silverio e San Ormisda. Possibile che fra l’uno e l’altro non riescano ad organizzare qualche miracoletto ad hoc, tipo un benefattore milionario che muore e devolve le proprie sostanze al comune, oppure la scoperta di un giacimento petrolifero negli scavi delle terme romane? Eh già ma i santi vanno incoraggiati, i miracoli costano fatica. Dunque se Viterbo dedica a Santa Rosa una macchina, Frosinone dedicherà a Silverio e Ormisda un Suv. Il Suv dei santi Ormisda e Silverio. Già il sindaco Ottaviani si è recato, con una delegazione di ingegneri a Viterbo per visionare la macchina di Santa Rosa ed assistere alla processione dei facchini che portano in giro per la città la macchina pesante più di 50 quintali e alta ventotto metri. La decisione è presa, con i pochi spiccioli rimasti, e il consistente aiuto di notabili teocon della città, il sindaco Nicola Ottaviani costruirà per Ormisda e Silverio una macchina ancora più grande e bella di quella che Marini, sindaco di Viterbo ha dedicato a Santa Rosa. Secondo alcune indiscrezioni, Santa Rosa sarebbe rimasta talmente insoddisfatta della processione, che apparsa in sogno al sindaco ne avrebbe sollecitato le dimissioni, dimissioni che il primo cittadino viterbese ha puntualmente rassegnato due giorni fa. Un macchinone grande più del doppio di quello di Santa Rosa, alto 60 metri e pesante più di 100 quintali, portato in devota processione per tutta la città, da un’orda di facchini, macchinisti, fuochisti , uomini di fatica, magari aiutati nelle salite dal vecchio motore dell’ascensore inclinato , sicuramente potrà convincere Silverio e Ormisda a fare qualche miracolo per la nostra città. Non c’è che dire questo si che è un sindaco del fare.

Mostriamo in anteprima alcune prove della processione. Ovviamente il progetto è segreto e durante le prove  il nome dei santi Ormisda  Silverio è sotituito da Eusebio.



Nostri ispiratori nello scrivere questo intervento sono stati i calimeros di Ecodellarete, qui sotto il link al loro post.

La divisione della Fiom

fonte: http://ilmegafonoquotidiano.globalist.it/

La segreteria della Fiom è formalmente dimissionaria. Il colpo di scena è andato in onda ieri al termine del Comitato centrale chiamato ad approvare l'ultima proposta di Maurizio Landini: riaprire la trattativa con Federmeccanica, Fim e Uilm sulla base di un piano di defiscalizzazioni del salario e investimenti in "industria di qualità". La votazione si è svolta, però, sulla base di tre documenti (vedi qui i documenti approvati e respinti dal Cc): 92 voti sono andati a quello presentato dal segretario, 30 alla minoranza congressuale legata a Susanna Camusso e 13 alla sinistra interna della ex Rete 28 aprile che fa riferimento a Sergio Bellavita e a Giorgio Cremaschi (oggi non più Fiom, dopo la sua andata in pensione, ma ancora riferimento dell'area in Cgil).
Ed è contro questa differenziazione che è partita una procedura di chiarimento interno alla maggioranza congressuale che la sinistra interna legge come un regolamento di conti. Sono stati i due segretari nazionali, Giorgio Airaudo e Laura Spezia, membri insieme a Sergio Bellavita e Maurizio Landini della segreteria, a presentare le loro dimissioni con l'intento di far decadere l'attuale vertice. Secondo le regole interne, infatti, le dimissioni del 50% della segreteria comportano la sua rielezione da parte del Comitato centrale, strada che la maggioranza di Landini intende perseguire per escludere dal nuovo vertice proprio Sergio Bellavita. Il quale ha commentato così la decisione presa ieri: “Ritengo grave quanto accaduto oggi (giovedì 6 settembre, ndr) in conclusione della riunione del Comitato centrale Fiom-Cgil. Le dimissioni di due componenti della Segreteria nazionale, a causa della differenziazione che si è prodotta sui documenti conclusivi, hanno l'esclusivo obiettivo di escludere la sinistra dalla maggioranza Fiom.”
“La Segreteria nazionale della Fiom è sempre stata plurale - continua Bellavita - sempre nei Comitati centrali ci si è misurati con posizioni diverse. Ma mai è stato messo in discussione il singolo componente della Segreteria rispetto al dissenso espresso.”“Sarebbe gravissimo se la nostra contrarietà assoluta alla svolta Fiom, con la proposta alle imprese di un patto su crisi e lavoro, determinasse la ridefinizione di una Segreteria senza la sinistra.”
La maggioranza però sembra determinata ad andare avanti. A far precipitare la situazione sono state le contestazioni avvenute a Taranto contro Maurizio Landini a opera anche di ex iscritti Fiom. Bellavita, in occasione di quei fischi, aveva diramato un comunicato in cui proponeva di "comprendere" quelle reazioni senza stigmatizzarle come provocazioni. Una presa di posizione che ha irritato Landini e che ha subito una dura risposta da parte della Fiom locale che in una lettera alla segreteria nazionale ha, di fatto, chiesto la testa di Bellavita. In realtà, i rapporti interni alla maggioranza scaturita dall'ultimo congresso Fiom - in cui la coppia Rinaldini-Cremaschi aveva ottenuto il 73% contro il 27 della minoranza espressione della linea di Susanna Camusso - erano tesi da diversi mesi e avevano visto altri punti di scontro. La contestazione a Landini, a Bergamo, di fronte all'assemblea di Federmeccanica - molto controversa e poco compresa anche da settoris della stessa sinistra - e poi, sempre a Bergamo, la vicenda che ha visto la rimozione della funzionaria della Rete28aprile, Eliana Como, "rispedita" a Roma dopo un ottimo lavoro sul territorio che però i vertici locali hanno dimostrato di non digerire. Anche in quell'occasione si sono lanciate accuse e contro-accuse con l'esasperazione dei rapporti interni.
Ma, al fondo, c'è soprattutto la politica. La nuova minoranza di sinistra, circa il 10% della Fiom, non accetta l'evoluzione della linea di Landini, molto più dialogante con la maggioranza di Susanna Camusso, che definisce senza mezzi termini un "cedimento" frutto della sconfitta subita dalla Fiom stessa. A essere sotto accusa è soprattutto l'accettazione dell'accordo del 28 giugno 2011 con Cisl, Uil e Confindustria con il quale si apriva la strada alle deroghe al contratto nazionale. Nella piattaforma approvata dal Comitato centrale, la Fiom utilizza proprio il 28 giugno per rilanciare una linea di trattativa con Federmeccanica in cui si fanno importanti concessioni al padronato e alla linea liberista del governo Monti: defiscalizzazione degli aumenti salariali, cuneo fiscale per incentivare i contratti di solidarietà, addirittura utilizzo dell'apprendistato per stimolare gli investimenti fino all'idea di mettere a disposizione il fondo pensione Cometa per quelle imprese che intendono investire e realizzare "industria di qualità". Un doppio salto mortale che punta a far rientrare la Fiom nel gioco delle trattative di categoria ma anche nella più complessa partita tra governo, Cgil ed equilibri futuri. Una linea che potrebbe comportare il definitivo riallineamento con la maggioranza della Cgil. Per la sinistra interna, oggi Opposizione organizzata in Cgil, che proprio nella Fiom, finora, aveva avuto il suo punto di forza e visibilità, è tempo di definire ruolo e iniziativa. Se ne discuterà al seminario nazionale di quest'area in programma oggi e sabato a Parma.

giovedì 6 settembre 2012

Ilaria Alpi. Giallo Infinito

Andrea Palladino. fonte "il manifesto" del  6 settembre
Clip curata da Luciano Granieri
Brano: Chi ha ucciso Ilaria Alpi di Gang

Il 10 ottobre si prescrive il processo per calunnia nei confronti del testimone che ha accusato il somalo incarcerato per l'omicidio. Un capro espiatorio per coprire i reali killer della giornalista delTg3? Un depistaggio finanziato da «autorità”

Appena qualche secondo e via. Uno sguardo alle scarne agenzie, e poi un commento fatto più o meno sottovoce: «Un guazzabuglio». Meglio, molto meglio parlare d'altro per la stampa italiana. Dell'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si scrive ormai solo nelle ricorrenze, quando proprio non ne puoi fare a meno. Qualche riga un po' commossa il 20 marzo, giornodell'agguato. Qualche secondo di Tg, la riproposizione della lacrime di Flavio Fusi, la sua vocerotta mentre annuncia la morte di quella collega che poche ore prima aveva annunciato «cose grosse». Eppure dietro le pallottole che hanno ucciso Ilaria e Miran c'è un nodo mai risolto della nostra storia. Una zona grigia, tante divise, un passaggio di consegna tra poteri in un anno che di fatto conclude la lunga stagione delle trattative, una settimana prima di quel voto che aprì le porte dei palazzi di governo all'alleanza tra gli eredi del fascismo, la lega prima maniera e l'affarismo berlusconiano. Un crocevia dove si alleano trafficanti, pirati somali, esponenti di Cosa nostra, spioni con troppi segreti da nascondere. Questo era il servizio di Ilaria Alpi, filmato da Miran Hrovatin, che dopo diciotto anni e cinque mesi non può ancora andare in onda nell'Italia delle trattative e degli accordi eversivi. Verità mancata, democrazia amputata, un pezzo di storia ancora oggi non capita fino in fondo nella sua portata.
Il somalo innocente.
Lunedì scorso si è parlato del premio Ilaria Alpi, appuntamento ormai di punta per il giornalismo investigativo televisivo. Dopo le parole di Luciana Alpi - la madre della reporter Rai dallo sguardo fiero, penetrante, incapace di arrendersi - l'avvocato storico della parte civile Domenico D'Amati ha annunciato la fine di un processo chiave, completamente ignorato dai media. Pochi lo ricordano, ma c'è un somalo nel carcere di Rebibbia, Hashi Omar Hassan, condannato a 26 anni di reclusione, con l'accusa di essere uno dei componenti del gruppo di fuoco che uccise Ilaria e Miran il 20 marzo 1994, a pochi passi dall'ambasciata italiana da poco abbandonata. Una condanna che sostanzialmente si basò su una testimonianza chiave
rilasciata da un altro somalo, Ahmed Ali Rage, detto Gelle il 10 ottobre 1997. Una deposizione molto probabilmente falsa, come lo stesso Ahmed ha raccontato nel 2002 in una telefonata ad un giornalista della Bbc: «Ho mentito - disse dopo la condanna - Hashi non c'entra nulla». Per poi aggiungere: «Sono stato pagato da autorità italiane per dire il falso». Versione dei fatti riconfermata all'avvocato di Hashi Omar Hassan, Douglas Duale, che ha assicurato i magistrati di essere certo dell'identità e delle parole pronunciate dal testimone "pentito" Gelle è oggi processato in contumacia per calunnia, dopo le sue rivelazioni. Ed è evidente che l'eventuale condanna riaprirebbe le porte del carcere ad Hashi Omar Hassan, ovvero al capro
espiatorio che «una autorità italiana» avrebbe offerto alla fine degli anni '90 per fermare le indagini. Come altrettanto evidente è la conseguente riapertura dell'intero caso Alpi, rimettendo in gioco le verità solo apparenti uscite dal processo contro il somalo oggi detenuto.
Aggiungendo una domanda, ancora senza una risposta: quale autorità italiana pagò un testimone falso per depistare le indagini? Chi doveva essere coperto? «Questioni fondamentalitestimone falso per depistare le indagini? Chi doveva essere coperto? «Questioni fondamentali- ha spiegato l'avvocato D'Amati - per arrivare ai mandanti dell'agguato».
La prescrizione dietro l'angolo. Questo processo chiave sta per concludersi nei peggiore dei modi. Il prossimo dieci ottobre scatterà la prescrizione, rendendo ancora più difficile la revisione della condanna di Hashi Omar Hassan, lasciando in carcere un innocente e - ancora una volta - senza giustizia l'omicidio di due giornalisti italiani in Somalia. Finale che garantirebbe l'impunità ad un agguato avvenuto alla presenza di nove mila uomini dell'Onu, con un contingente italiano a poche centinaia di metri, forte delle più agguerrite formazioni, come il battaglione Col Moschin della Folgore; una morte che si consumò praticamente sotto il naso del Sismi, il servizio segreto militare, che davanti ai giudici ha sempre sostenuto di non essere competente quando, in unteatro di guerra, a morire è una giornalista, qualcuno che per professione racconta ciò che accade. Se fu incredibile la gestione della commissione parlamentare d'inchiesta presieduta da Carlo
Taormina, la vicenda dell'unico processo sul caso Alpi - la cui coda terminerà con un nulla di fatto il 10 ottobre prossimo - è, senza giri di parole, agghiacciante. A trovare il testimone chiave è l'ambasciatore Cassini, inviato in Somalia dal governo Prodi nel 2007. Gelle - giunto a Roma - racconta di aver riconosciuto sul luogo dell'agguato Hashi Omar Hassan in una deposizione chiave rilasciata agli agenti della Digos di Roma il 10 ottobre 1997: «Il giorno dell'omicidio di Ilaria Alpi ed del suo operatore mi trovavo presso l'Hotel Amana in attesa d lavorare (...) Conosco una delle persone che si trovava a bordo della Land Rover da dove sono scesi coloro che hanno ucciso la Alpi e Hrovatin. Si chiama Hashi "Faudo"». Di quella deposizione - confermata poi davanti al Pm Franco Ionta il giorno seguente - rimane solo un verbale: nessuno - tra Digos e Procura di Roma - l'ha videoregistrata. Fatto curioso, vista l'importanza delle dichiarazioni, che contrasta con altre deposizioni dello stesso periodo quasi sempre incise su nastro. Un dettaglio non da poco, visto che sarà impossibile confrontare la voce di Gelle registrata durante la telefonata del 2002, quando spiegò di aver mentito e di essere stato pagato per testimoniare il falso.
Quando inizia il processo contro Hashi Omar Hassan, il testimone chiave è uccel di bosco. Dalle poche notizie raccolte dall'Interpol si sa che nel 2006 si trovava in Inghilterra, come rifugiato politico. Qui cambia nome, lasciando, però, alcune tracce fondamentali. E, nonostante sia inserito nelle liste Interpol come ricercato, nessuno si mette realmente sulle sue tracce per chiedere una conferma ufficiale di quella dichiarazione rilasciata al giornalista della Bbc e all'avvocato Duale. Dalle notizie raccolte dal manifesto Gelle - ovvero un somalo con lo stesso nome e la stessa età - risulterebbe aver subito un processo in Inghilterra (salvo omonimie), con una blanda condanna a qualche giorno di lavoro comunitario. Non risulta, d'altra parte, nessun accertamento specifico di Scotland Yard in quella occasione: eppure quel nome era da tempo nelle liste dell'Interpol, eppure le sue parole - se confermate - dimostrerebbero l'esistenza di un clamoroso depistaggio finanziato da «autorità italiane». L'avvocato Domenico D'Amati spera che la prescrizione del processo per calunnia nei confronti di Gelle possa, paradossalmente, trasformarsi in un punto di svolta: «Deve sapere che dopo il 10 ottobre non rischia più nulla, vista la prescrizione. Potrebbe farsi vivo e raccontare finalmente la verità». Liberando un innocente dal carcere e mettendo una pietra fondamentale
per ricostruire quell'ultimo servizio di Ilaria e di Miran, una storia che aspetta da diciotto anni il momento della messa in onda. Un segreto tra Roma e Mogadiscio «Ilaria stava cercando di capire da dove arrivassero realmente tutte le armi che aveva sempre visto in mano a quella gente ... Non mi diede alcun dettaglio circa la provenienza di quelle armi. Mi disse semplicemente che erano moderne, di fabbricazione russa o americana e che arrivavano di continuo. Sicuramente in quel periodo stava lavorando su questo particolareaspetto della situazione somala». Sandro Curzi fu il primo direttore di Ilaria Alpi. Il suo racconto davanti alla commissione Gallo prima - che indagava sulle torture da parte del contingente italiano, denunciate dai somali - e alla commissione Taormina poi, è limpido, senza la minima ombra di dubbio sul possibile contenuto del servizio mai andato in onda della giornalista di Rai 3. Notizie che solo in minima parte appariranno nel 2002, quando il gruppo di monitoraggio dell'Onu sull'embargo della Somalia ricostruì nei dettagli il trasporto di alcune armi da una fabbrica polacca alla zona del nord della Somalia, indicando apertamente la compagnia italo-somala Shifco come uno dei vettori. Ad organizzare quel traffico del 1992 fu uno dei principali signori delle armi, il siriano Monzer Al Kassar, arrestato dalla Dea nel 2007. Il Sismi conosceva quel traffico, tanto da documentare in una nota del 21 settembre 1992 - oggi declassificata - l'intera operazione poi raccontata dalle nazioni unite. E il centro finanziario di quel gruppo di trafficanti era l'Italia, come racconta il servizio segreto militare italiano: «La sede romana della banca nel mese di marzo 1992 avrebbe accreditato 500 mila dollari a favore del noto trafficante di armi Monzer Al Kassar». Una delle tantissimi tracce mai seguite fino in
fondo, un pezzo di quella storia che Ilaria e Miran non hanno potuto raccontare. Un segreto somalo che qualcuno ha voluto coprire.





APPELLO.

ORANGE reEVOLution - cambiare se stessi per cambiare il mondo!


Gentilissimi Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,

Presidente del Consiglio dei Ministri prof. Mario Monti,
Ministro per i Beni e le Attività Culturali prof. Lorenzo Ornaghi,
Sottosegretario di stato del MIBAC arch. Roberto Cecchi,
Presidente Commissione italiana per l’Unesco prof. M. Giovanni Puglisi,

da Napoli giunge un appello che è un vero GRIDO di DOLORE per l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che è stato costretto ad abbandonare la sua sede storica, ed ha chiuso i battenti, nell’indifferenza delle più alte istituzioni della Repubblica Italiana.
L’art. 9 della nostra amata Costituzione recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”
Dov’è oggi la Repubblica?
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che ha trasformato Napoli nella capitale mondiale della filosofia,
ha fondato nell’Italia meridionale 200 scuole di alta formazione, ha assegnato in 37 anni di attività oltre tremila borse di studio a giovani studenti e ricercatori di discipline umanistiche, ha organizzato oltre 40.000 seminari con le più autorevoli personalità della cultura e della scienza mondiali, ha aperto sedi internazionali in Germania, Austria e Francia, ha raccolto una biblioteca di oltre 300.000 volumi, ha sostenuto centinaia di biblioteche locali con forniture gratuite di libri, ha pubblicato 3.400 volumi in varie lingue, ha creato un archivio audiovisivo unico al mondo di 22.000 registrazioni delle lezioni dei principali uomini di cultura e scienziati del Novecento, ha realizzato l’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, un’opera straordinaria patrocinata dal Presidente dell’Assemblea delle Nazioni Unite, dell’Unesco e del Consiglio d’Europa.
Il suo fondatore, l’Avv. Gerardo Marotta, è stato insignito dei massimi riconoscimenti europei, tra cui la Légion d’Honneur del Presidente della Repubblica Francese.
Chiediamo a gran voce che l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, patrimonio dell’umanità, sia sostenuto in Italia da un’iniziativa legislativa, e riceva un riconoscimento istituzionale che lo equipari alle più prestigiose istituzioni culturali del paese come l’Accademia della Crusca e l’Accademia dei Lincei.
Facciamo nostro l’appello dell’Istituto (http://aut-frosinone.blogspot.it/2012/09/salviamo-listituto-italiano-per-gli.html /) e chiediamo che il Governo presenti un disegno di legge al Parlamento diretto a garantire un finanziamento stabile per l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici che consenta il pieno svolgimento delle sue attività di ricerca e della sua funzione civile.
Se le alte cariche che rappresentano la Repubblica Italiana non sono in grado di proteggere l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che studia e promuove ad alto livello la nostra cultura e la nostra civiltà, avremo cittadini sempre più incapaci di ragionare, insegnanti sempre più inefficienti ed un’informazione sempre più cialtrona. Ciò che dovrebbe rendere il nostro un paese civile sono scuole, università, biblioteche, laboratori, istituti di cultura, che non sono visibili e per molti non sembrano importanti, come le fondamenta, ma se poi vengono a mancare, possono far crollare il palazzo, che invece dovrebbero sostenere.
Voi che rappresentate la Repubblica Italiana ed avete giurato di rispettare la Costituzione Italiana, dovete proteggere queste fondamenta! FATE PRESTO!



SALVIAMO l'ISTITUTO ITALIANO per gli STUDI FILOSOFICI,

iisf - Istituto Italiano per gli Studi Filosofici


Illustre Ministro,
Illustre Presidente,

la Biblioteca dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, messa insieme da Gerardo Marotta in mezzo secolo di pazienti ricerche presso fondi librari e antiquari in tutta Europa, costituisce il nucleo fondamentale dell'Istituto fondato nel 1975 a Roma, nella sede dell’Accademia dei Lincei, da Enrico Cerulli, Elena Croce, Pietro Piovani, Giovanni Pugliese Carratelli e Gerardo Marotta, che ne è anche il presidente. La Sovrintendenza ai beni librari della Regione Campania ha riconosciuto nel 2008 il valore di questa raccolta, che oggi conta circa trecentomila opere, dichiarando che essa “presenta i segni di uno sforzo ragionato di gestione e sviluppo, frutto, non di casuale sedimentazione, ma delle attività di studio, ricerca e formazione promosso dall'Istituto di appartenenza”. La delibera, attestando “il grande valore bibliografico e culturale” della biblioteca, decreta “la necessità di salvaguardarne l'inscindibile legame con l'Istituto di emanazione” e “l'opportunità e l'utilità sociale di predisporne le migliori condizioni di fruizione pubblica”.

Fu in questo spirito che la Regione, già nel 2001 con delibera n. 6039, individuò come sede della biblioteca i locali dell'ex-CONI in Piazza Santa Maria degli Angeli n. 1, a pochi passi da Palazzo Serra di Cassano, sede dell'Istituto, al fine di garantire la necessaria vicinanza tra la biblioteca e il luogo in cui quotidianamente si svolge un'intensa attività di seminari, così da assicurare la fruibilità del patrimonio librario al vasto pubblico di studiosi e ricercatori. Venne dunque formulato un progetto che, tenendo conto dei locali disponibili e dello spazio occupato dai volumi, consentisse, attraverso un sistema di scaffalature compatte, una sistemazione adeguata, congrua e razionale della raccolta.

Tuttavia, inspiegabilmente, l’attuale Giunta regionale emana nel 2011 un nuovo atto che opera una radicale inversione di rotta rispetto al complesso processo iniziato dieci anni prima: con la delibera n. 283 si inseriscono due elementi che minacciano di stravolgere letteralmente il progetto originario per cui erano stati stanziati anche specifici fondi europei. Viene difatti prospettata per i locali individuati l'utilizzazione «come fondo iniziale dei volumi che obbligatoriamente vengono trasmessi in copia alla Regione Campania da editori e aziende tipografiche allorquando pubblicati» e l'attivazione di una «Biblioteca pubblica “a scaffale aperto”». Ciò significherebbe non solo sfregiare l'armonica razionalità interna della raccolta dell’Istituto, che la rende specchio di una dimensione culturale internazionale, con l'inserimento di un fondo avente come unico criterio quello dell'appartenenza geografica regionale, ma significherebbe soprattutto impedire materialmente l'allocazione della biblioteca dell'Istituto, la cui dimensione è tale da occupare per intero lo spazio dei locali e solamente qualora sia rigorosamente seguito il progetto delle scaffalature compatte.

L'estenuante lentezza e l'infelice esito di questo processo testimoniano la trascuratezza con cui è stato considerato negli ultimi anni l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che secondo l'UNESCO non ha termini di paragone nel mondo e che oggi, privato dei fondi necessari al suo pieno funzionamento, rischia di dover chiudere. È inaccettabile assistere a questo avvilimento dell'Istituto e alla sepoltura della sua biblioteca in un triste deposito, un ex capannone industriale di Casoria, per opera della miopia e dell'inerzia ostinata di alcuni dirigenti amministrativi.

Chiediamo, pertanto, che la Regione revochi la delibera del 21 giugno 2011 e ripercorra con urgenza la strada tracciata dalle delibere dell’amministrazione Bassolino e della Sovrintendenza bibliografica regionale, aprendo finalmente al pubblico un grande patrimonio librario, e che, su sollecitazione del Ministero dei Beni culturali, il Governo presenti un disegno di legge al Parlamento diretto a garantire un finanziamento stabile per l'Istituto che consenta di ripianare gli oneri finanziari derivati dal ritardo, quando non dal venir meno per alcuni anni, degli stessi contributi, e che permetta il pieno svolgimento delle sue attività di ricerca e della sua funzione civile.

Primi firmatari:

Felia Allum, Marie-Pierrette Allum, Percy Allum, Remo Bodei, Alberto Burgio, Gaetano Calabrò, Luciano Canfora, Giulietto Chiesa, Gianni Ferrara, Stanislao Lauria, Domenico Losurdo, Paolo Maddalena, Ugo Mattei, Aldo A. Mola,Tomaso Montanari, Franco Roberti, Stefano Rodotà, Roberto Saviano, Salvatore Settis, Gianni Vattimo, Gustavo Zagrebelsky.




Tramonta l’auto, affonda la Fiat

 di Pitagora. fonte http://www.sbilanciamoci.info

Nel 2012, per la prima volta dalla fine dell’ottocento, con l’esclusione dei periodi bellici, il numero di auto in circolazione nel nostro paese potrebbe diminuire
Quest’anno le vendite di automobili nuove saranno meno di 1,5 milioni, in flessione di circa il 20 per cento rispetto al 2011, un numero presumibilmente inferiore a quello delle rottamazioni.
Il crollo della domanda è certamente l’effetto combinato della crisi e dell’aumento dei prezzi dei carburanti, dei pedaggi e delle altre spese di mantenimento che ha causato, come in tutti i paesi periferici dell’Europa, un minor uso dell’auto e il posticipo delle decisioni di acquisto.
Ma è anche l’effetto di una saturazione del mercato che è venuta a galla, si può dire, “grazie” alla crisi. In Italia circolano 37 milioni di automobili, quasi 5 milioni di autocarri, svariati milioni di altri autoveicoli; in media, sulla strade si muovono, o sono fermi, 50 veicoli per kilometro e 1,4 per ogni persona con patente di guida. Ciò vuol dire, ad esempio, che, in media, in una famiglia con due figli maggiorenni “patentati” ci sono quattro automobili e una moto o un motorino.
Sebbene si tratti di una diffusione di mezzi di trasporto economicamente irrazionale, sia sul piano di sistema sia su quello familiare, fino a due anni fa la quantità di veicoli circolanti in Italia aumentava di circa 1.000 unità al giorno. Dal punto di vista aggregato l’irragionevolezza di tale dotazione di mezzi si manifesta nella congestione del traffico nelle città e nelle strade extraurbane che ha raggiunto livelli così elevati che ogni nuovo mezzo circolante abbatte la velocità media di spostamento e accresce le difficoltà a trovare parcheggio; inoltre, fatto di non poco conto, imbruttisce il paesaggio. Sul piano individuale l’eccesso nella dotazione di veicoli è fonte di spese che accrescono in misura limitata il benessere della famiglia.
Con la crisi, per ridurre le spese di trasporto, molte persone vanno sostituendo l’uso del mezzo privato con quello pubblico: ne è scaturita una maggiore fluidità nella circolazione, la riduzione dei tempi medi di percorrenza, il contenimento degli scarichi inquinanti. Quest’anno, per la prima volta da molti decenni, il consumo di carburanti è sceso di circa il 10 per cento rispetto all’anno precedente, con benefici sull’ambiente e sulla bilancia commerciale; negli altri paesi europei più duramente colpiti dalla crisi, il calo è stato superiore.
La crisi sollecita un ripensamento del sistema dei trasporti e in particolare nel rapporto tra mezzi privati e pubblici e delle politiche industriali delle case produttrici. Nelle città, l’aumento dei passeggeri delle linee metropolitane e di autobus dovrebbe portare alla costruzione di nuove linee, attualmente poco numerose, all’ammodernamento del materiale, al rafforzamento degli strumenti gestionali. Anche gli investimenti nella rete ferroviaria e soprattutto nei treni regionali, ora soggetti a scarsa manutenzione, sono da potenziare.
Riguardo al trasporto privato, va incentivata la razionalizzazione del parco auto, con la diminuzione del numero dei veicoli circolanti, il loro rinnovo verso modelli dai consumi inferiori, meno inquinanti, e maggiormente sicuri. Tale obiettivo può essere favorito da un’adeguata rimodulazione delle imposte e delle accise; a tal fine, andrebbe aumentata la tassa di circolazione, in misura più accentuata per i veicoli come i Suv, mentre si potrebbe ridurre l’Iva sull’acquisto di auto nuove con un rendimento energetico molto superiore (in particolare quelle con sistemi propulsivi diversi, auto elettriche o ibride) e le imposte sul passaggio di proprietà. Con un obiettivo di progressiva lieve diminuzione del parco e di suo rinnovo in 20 anni, le nuove immatricolazioni dovrebbero attestarsi nel medio periodo a circa 1,7 milioni di autoveicoli, quasi il 20 per cento in più di quest’anno.
Il crollo della domanda ha preso alla sprovvista la Fiat, anche se da ultimo il suo amministratore delegato Marchionne ha dichiarato che i dati delle immatricolazione del mese di agosto, il livello più basso dal 1964, “sono totalmente in linea con le previsioni”. Ad aprile del 2010, in occasione della presentazione del piano 2010-2014, egli aveva invece affermato che nel quadriennio la domanda di vetture e veicoli commerciali leggeri sarebbe tornata ai livelli record del 2007 (circa 2,4 milioni di auto), un’indicazione risultata inattendibile dopo soli due anni.
In ogni caso nel 2012 l’Italia è diventato un paese marginale per la Fiat: quest’anno le vendite nel nostro paese saranno poco più di 400.000 unità, meno del 10 per cento del totale del gruppo; neppure l’intera Europa rimane il mercato principale di sbocco, spostatosi negli Stati Uniti e in America Latina.
Le vendite in calo in Italia e in Europa sono il risultato di politiche industriali indebolitesi fortemente negli ultimi anni. Nell’attuale fase di sviluppo della tecnologia, i principali fattori di successo dell’industria automobilistica sono la qualità del prodotto e l’efficacia della progettazione e industrializzazione di nuovi modelli; viceversa la produzione, già da molti anni automatizzata, costituisce un momento sempre meno cruciale. La Fiat non sembra essersi resa conto dei cambiamenti concentrando l’attenzione su questo processo, per giunta seguendo politiche fortemente reazionarie nei confronti del sindacato che storicamente ha avuto maggiormente a cuore il rafforzamento della base produttiva dell’azienda.
Da ormai vari anni l’innovazione di prodotto della casa automobilistica italiana è molto limitata; l’ultimo modello immesso sul mercato è la 500, il cui lancio è avvenuto oltre 5 anni addietro. Si tratta di tempi incompatibili con una presenza competitiva sul mercato che non possono non favorire la concorrenza, soprattutto delle case tedesche e asiatiche; in Italia, la quota di mercato del gruppo, che pur beneficia dell’apporto dei marchi Jeep e Chrysler, è rimasta intorno al 30 per cento, quella sul mercato europeo si è ridotta a percentuali molto basse.
In tale situazione, il piano industriale 2010-2014, nel quale era previsto il raddoppio della produzione nel nostro paese, portandola a 1,4 milioni di auto, diventa inattendibile al punto che di recente l’amministratore delegato ha ventilato la chiusura di un altro sito, di fatto proseguendo nell’opera di smantellamento dell’apparato produttivo italiano.
A fronte del fallimento del piano quadriennale, i manager Fiat hanno beneficiato di gratifiche elevate; pochi mesi addietro l’amministratore delegato ha ricevuto un bonus di 50 milioni di euro, soggetto a un’aliquota fiscale di favore, senza che vi sia stato un sentimento di avversione collettiva verso uno stipendio così scandaloso. Nel mese di agosto l’Arcivescovo di Torino, mons. Nosiglia, ha fatto appello al governo per un intervento a sostegno dell’industria automobilistica italiana ma non ha espresso alcun disagio nei confronti di una remunerazione migliaia di volte superiore a quelle degli impiegati ed operai della sua città, spesso in cassa integrazione e per un numero sempre maggiore di loro, alla ricerca di una nuova occupazione.




"Four MFs Playin' Tunes"

Vincenzo  Martorella

Non è ancora tempo di bilanci, referendum e classifiche, ma io mi porto avanti col lavoro e nei migliori dieci cd del 2012 inserisco senza alcun dubbio "Four MFs Playin' Tunes" di Branford Marsalis, alla testa del suo poderoso quartetto completato da Joey Calderazzo, Eric Revis e il formidabile batterista Justin Faulkner, appena ventenne. Questo è il brano che apre il disco.


se vi è piaciuto il video precedente allora - forse - vi piacerà anche questo breve making of del disco di Branford Marsalis.


mercoledì 5 settembre 2012

Attenzione all'ascolto

Luciano Granieri

Calma , non tradisca il titolo. A differenza di quanto si possa pensare, in questo post non volgiamo occuparci dell’ascolto delle intercettazioni telefoniche, tema che tormenta  le   notti del cavaliere Berlusconi e ultimamente anche del Presidente Napolitano, ma  del’ascolto , o meglio dell’esercizio all’ascolto della musica jazz. Questo esercizio ha sempre affascinato gli appassionati, i quali   possono apprezzare  le differenze  a volte notevoli che i musicisti pongono nell’esecuzione dello stesso pezzo nelle diverse occasioni in cui sono chiamati ad eseguirlo.  E’ questa la potenza della musica jazz. Ogni musicista è sempre un compositore indipendentemente dal brano su cui si accinge ad improvvisare. Proviamo a fare insieme questo esercizio. Abbiamo scelto “All Blues” di Miles Davis. Il brano è uno  dei cinque  pezzi  che compongono lo storico LP Kind of blue inciso da Miles Davis nel 1959. Per chiarire meglio la genesi di questo capolavoro  giova ricordare che Miles Davis convocò in sala di registrazione jazzisti di diversa  estrazione e linguaggio. Ai solidi Hard Boppers  Julian Adderly, (sax alto) Paul Chambers  (contrabbasso) James Cobb (batteria) Davis affiancò l’intellettuale e sofisticato pianismo di Bill Evans il cui lirismo era lontano dal linguaggio potente dell ‘ Hard Bop, e  la genialità di John Coltrane (sax tenore) il cui stile stava già percorrendo sentieri del tutto nuovi proiettati verso il free che sarebbe arrivato un po’ di anni dopo. Per la cronaca della partita era anche un altro pianista, Wynton Kelly, che però non suona in All Blues. Il segreto per  fare in modo che dei musicisti diversi come stile riuscissero a realizzare un capolavoro era semplice,  lasciarli liberi di improvvisare.   Miles Davis aveva concepito i brani di Kind of Blue  solo poche ore prima di entrare in sala di registrazione. Ne aveva scarabocchiato qualche nota su un foglietto e sottoposto le scarne sequenze armoniche agli altri musicisti. Questi  dunque si ritrovarono  a suonare dei pezzi che non conoscevano e non avevano mai provato prima della seduta di registrazione.  Il risultato fu che  ogni singolo musicista, proprio nel momento  in cui suonava  partecipava attivamente alla fase compositiva.  “All Blues”, è un blues classico.  Nella prima clip si ascolta proprio la versione tratta da Kind of Blue.  L’atmosfera è molto particolare, ipnotica.  La tromba di Miles , con la sordina annuncia il tema, sul  sottofondo dei due sax , l’alto di Adderly e il  tenore di Coltrane, che contribuiscono a creare un impasto sonoro prezioso. Le improvvisazioni  si susseguono con un Miles che tira fuori dalla sua tromba sequenze armoniche struggenti,  Julian Adderly, pur  rinvigorendo il tono dell’improvvisazione, mantiene la pacatezza del progetto armonico, irrompe poi Coltrane, che offre un saggio delle sue immense capacità tecniche e snocciola arpeggi e sequenze  rivoluzionarie per l’epoca,  tracciando già la strada del nuovo linguaggio che si svilupperà  anni dopo. Chiude Bill Evans con un assolo pregevolissimo, lirico, che riporta i toni del brano a quella  quiete riflessiva con cui era iniziato.




Seconda parte dell’esercizio.  In questo frangente l’esecuzione di  All Blues  risale al  1964 in occasione di un concerto tenuto da Miles Davis alla New York’s  Philarmonic  Hall. Il gruppo è completamente diverso , si tratta del celebre quintetto che accompagnerà  Davis nel corso degli  anni ’60 con la sola differenza che al posto di Shorter al sax tenore  c’è George Coleman.  In particolare al Pianoforte siede Herbie Hancock, la ritmica, straordinaria,  vede  al contrabbasso Ron Carter e alla batteria un giovanissimo Tony Williams, completano il gruppo come già detto George Coleman la tenore e lo stesso Miles alla tromba. Rispetto alla prima esecuzione ci troviamo di fronte  praticamente  ad un altro brano. Il tema è sempre eseguito da Davis con la sordina ma ad una velocità tripla con degli effetti straordinari .  L’attacco dell’assolo di Miles  irrompe prepotente ed è un cazzotto nello stomaco , a  differenza del primo All Blues, qui l’improvvisazione si dipana con una sequenza di arpeggi rapidi, di note suonate su registri altissimi, rari per lo stile di Miles Davis, anche il contributo di Hancock al  piano è molto più frenetico rispetto all’esecuzione di Bill Evans, è  notevolmente blusey, un momento crea tensione e il momento dopo la distrugge  per ricrearne ancora. George Coleman evidentemente non è Coltrane però  il suo assolo è virile, incisivo. Ma lo stravolgimento rispetto all’esecuzione del 1959 lo forniscono lo spettacolare drumming di Tony Williams ricco di soluzioni ritmiche sempre diverse e il motore pulsante del  contrabbasso di Ron Carter.


Terza parte  siamo a Monaco in Germania nel 1992 , purtroppo Miles Davis è venuto a mancare da poco e il gruppo che tiene il concerto in suo onore  è quasi lo stesso del 1964 con la differenza che al posto di Miles c’è  talentuoso Wallace Roney   e   Wayne Shorter   sostituisce Coleman al sax tenore,  rimangono Hancock al pianoforte, Carter al contrabbasso e Williams alla batteria.  All Blues cambia ancora una volta . L’inizio sembra ricalcare le atmosfere dell’esecuzione di Kind of Blue, ma Roney,  oltre a enunciare il tema con la sordina aggiunge un sequenza senza sordina.  Spesso del progetto originario rimane solo l’incedere in 6/8  a volte neanche quello. Roney si produce in assolo straripante cambiano continuamente i toni e soluzioni ritmiche. Il vero mattatore però è Herbie Hancock la sua improvvisazione è impressionante per originalità ,e brillantezza , glissati e altre spericolate evoluzioni rendono  la sua performance indimenticabile. Wayne Shorter  al tenore come al solito, non è da meno diversifica la sua improvvisazione  con momenti riflessivi, altri frenetici, altri ancora volti alla ricerca di sonorità inconsuete.  Tony Williams è un batterista maturo, molti più magmatico e fantasioso rispetto al 1964, detta i tempi dell’esecuzioni alternando ritmi  dispari a fughe veloci in sedicesimi. Ron Carter al contrabbasso aggiunge alla semplice funzione di metronomo quella di creare linee melodiche che si intrecciano con gli altri strumenti.  Insomma un All Blues  è ancora diverso, ancora trasformato.



E’ tutto, siamo giunti alla fine dell’esercizio speriamo di non avervi annoiato troppo , anzi speriamo di avervi fatto apprezzare la straordinaria vitalità di una grande forma musicale quale il jazz

Good vibrations.


P.s.
Ringrazio l'amico VincenzoMartorella  che ha corretto alcune inesattezze del post.

martedì 4 settembre 2012

COMUNICATO dei PRECARI UNITI CONTRO I TAGLI - MOBILITAZIONE DEL 4/09

Forum dei precari della Scuola

I Precari Uniti contro i tagli, costituitisi come gruppo trasversale e autonomo di lotta a partire dal varo della L.133/2008, hanno indetto e organizzato il presidio odierno per respingere in modo categorico ogni ipotesi di nuovo concorso, che essi considerano e giuridicamente, politicamente e moralmente irricevibile per i seguenti motivi:

 1. Viola i diritti dei docenti precari già abilitati tramite superamento di più di una procedura concorsuale, con anni di servizio alle spalle e inseriti nelle Graduatorie con la legittima aspettativa dell’assunzione

 2.  Oltraggia docenti deliberatamente precarizzati e sfruttati, che da anni garantiscono il buon funzionamento del sistema-scuola, dipingendoli come abusivi e usurpatori di posti che spetterebbero, secondo la propaganda ministeriale, a “giovani meritevoli”, i quali sono tuttavia paradossalmente esclusi dal bando (destinato agli abilitati e ai laureati col vecchio ordinamento)

3.  Calpesta la Legge 206/2006, che prevede l’assunzione di tutti i docenti inseriti nelle Graduatorie
ad esaurimento e snobba le direttive europee (1999/70 CE), che obbligano ad assumere precari
che abbiano stipulato almeno tre contratti di lavoro continuativi

4. Discrimina i docenti ancora inseriti nelle Graduatorie di merito e ad esaurimento sottoponendoli
a nuove, umilianti e inutili prove nonostante abbiano gli stessi requisiti dei docenti che dal 2000
ad oggi sono stati immessi in ruolo senza ulteriore concorso, creando una sperequazione inaccettabile

5. Crea nuove liste “concorrenziali” di precari e azzera, de facto, le Graduatorie, prevedendo la restituzione, ai vincitori del nuovo eventuale concorso, dei posti assegnati sulla base del loro scorrimento, in virtù dell’art. 399 del Testo Unico delle disposizioni legislative sull’istruzione, (decr. 297 del 1994)

6. Riesuma una modalità di selezione obsoleta, teoricamente e felicemente archiviata, nel 2000, dalle SSIS (Scuole di Specializzazione biennale, con prova d’ingresso a numero chiusto, tirocinio formativo e prova finale avente valore concorsuale, secondo quanto stabilito dalla legge 306 del 27/10/2000), nonostante gli scandali passati e recenti legati ai “concorsoni” e i processi clientelari cui essi hanno sempre dato adito

7.  Intende “testare” docenti con esperienza pluriennale adottando la formula del quiz, fallimentare sul piano pratico, come dimostrato dalla recente débacle ministeriale in occasione delle prove per i TFA e del concorso per i presidi, e del tutto inadeguata sul piano culturale e formativo, come rimarcato con autorevolezza da Luciano Canfora e da altri 26 intellettuali italiani

8. Costa 130 milioni di euro, sufficienti a stabilizzare un congruo numero di precari che hanno già ampiamente dato prova della loro professionalità, abnegazione e competenza

I Precari della Scuola si rifiutano di fare da capro espiatorio di una situazione generata da politiche volte alla precarizzazione degli operatori della scuola e attuate fin dal 1997 (vd. L. 449/97, che vincola le assunzioni del comparto scuola al parere favorevole del Ministero dell’Economia e delle Finanze).
Denunciano che le vere cause del mancato svuotamento delle Graduatorie sono da individuare nei tagli selvaggi e lineari (8 miliardi in meno e 145.000 posti soppressi!), nell’indebita estensione dell’organico “di fatto”, per cui si preferisce stipulare 107.000 contratti a tempo determinato all’anno piuttosto
che assumere su tutti i posti vacanti e disponibili, nella riduzione/revisione gelminiana degli orari, che ha massacrato discipline e attività “portanti” nei vari indirizzi di studio (latino, storia dell’arte, laboratori), nella formazione delle “classi-pollaio” e nel blocco dei pensionamenti.
Non accetteranno, perciò, alcun’altra soluzione che prescinda dalla stabilizzazione di tutti i precari attualmente e meritevolmente inseriti nelle Graduatorie, dal rifinanziamento urgente della scuola
e dal rispetto degli itinerari formativi e dell’esperienza maturata dai docenti precari. Il reclutamento e la formazione dei docenti non possono essere merce di scambio elettorale o strumenti di propaganda, ma dovrebbero essere oggetto di un ampio e serio dibattito, che potrà essere avviato dopo l’immissione in ruolo dei precari e la “normalizzazione” delle politiche scolastiche.
PRECARI UNITI CONTRO I TAGLI

lunedì 3 settembre 2012

Ariarala (Inter-Roma 1-3)

Kansas City 1927

A pensà normale, cioè negativo, certe domeniche s'annunciano cupe appena te svegli.
Chiudi l'urtimo ombrellone, accatasti er lettino, frulli la serie de creme che da protezione 60 a bergamotto te dovevano fa cambià razza pe mpar de mesi, rilassi finarmente la panza che hai continuato a riempì de fritti e calamari, quindi scruti l'orizzonte.
Là, in fondo ar mar, ci son camin che fumano e le zinne de Poppea gonfie de pioggia che s'avvicinano come s'avvicina l'ora de fa carcio a San Siro. E più s'avvicina più speri che ste poppe non sgravino le solite amare lacrime de na domenica de settembre uggioso e quindi ingiusta, amara e malinconica come ogni cambio de stagione, come ogni trasferta ner prepotente Nord.
Ma le mezze stagioni, da che è carcio moderno è carcio moderno cui noi diciamo NO! (immediatamente ostentato da Sky nela profanazione pregara delo spojatojo con tanto de intima immagine de Capitan Mo che se infila la manica lunga a mo de giarettiera burlesque), nun ce stanno più, ragion per cui, quattrotrettré in spalla, namo, famo, vedemo e cercamo de capì se incrocià Linte ce fa ancora impressione o se presentasse cor Santone in panca po arterà er flusso degli eventi, fa risalì la pioggia verso l'alto, facce fa l'amore co Poppea.
Certo, l'avé ricevuto la visita in arbergo der Fu Putto Cantero, ce l’aveva fatto accoje cor soriso in faccia e le mani in saccoccia.
Eccoollà, nantro che mo ce dirà quant'è bello annassene a vince artrove, l'ennesimo fiastro che piagne a Fiumicino e ride a Marpensà che lui rossonero sarà forevandeva, nse sa come e coi sordi de chi, ma è nsogno che s'avvera, ecc. ecc.."Lopez, dateme Lopez", aveva esclamato sorseggiando capirinha er Putto, già pago de na vittoria da milanista.
L'Incisivo, sbucando dal ripostiglio dei bagai dela concierge, javeva risposto tosto: "ciao Putto, complimenti per la prestazione, finalmente una compagine che ti valorizza per lo scampolo di partita che meriti. Ma dimmi, chi è quel Pazzini, e perché lui gioca e tu no? Non è uno scarto anch'egli come te? E tu non sei più fico di lui? Non hai anche tu ali per volar come lui?".
Er Putto, stringendo er flute nele mano piccole, s'era girato cogli occhi che ballavano, barcollando aveva guadagnato la porta girevole, ma in un attimo quarcosa lo aveva travorto, messo a tera, ciancicato, ridotto a zerbino.

Era passato Florenzi, de corsa, direzione San Siro.

E jera passato sopra.

Florenzi, giocatore lombrosionamente zemaniano pe corsa nervosa, passo breve, recchie a sventola, capello cor doppio tajo da naja e curiculum stitico, dopo na serie d'allenamenti e amichevoli passate a macinar chilometri e superar ostacoli umani, finarmente è titolare.
Ma siccome ortre ala chiappa der Lucido Bradley sta settimana s'è portata via pure er porpaccio der Malincosniaco Pjanic, cor 16 e lo Sturmentruppen a centrocampo ce sta Taccidis, centrocampista fin qui noto pe ncucchiaio e na rissa fori stagione perché Colossochejerode, anonimo gigante dar forte sopraccìo greco chiamato a sostituì Greco.
Davanti, a rimirar e annusar le stelle solite, ce sta l'estro de Destro che c'ha fatto estromette de saccoccia tutti i sordi che avevamo deciso de spenne st'estate.
Certo, se er mejo acquisto tuo se presenta ala Scala cor capello scalato dan barbiere piceno folgorato da Escher, affezionasse subito non è facile.
Ma er tempo de concionà su look e aspettative non c'è più, puro perché più er tempo passa più le aspettative crescheno davanti a sto connubio strano de facce nove e vecchie che magnano l'erba der prato meneghino come se lo volessero fa diventà partenopeo, lasciando Allinte solo er gusto de vantà la fascia più brutta e global der campionato.
A sinistra, ar cospetto der Poropiris, Nagatomo e tal Arvaro Pereira (un Lima capellone ma brutto, pe quanto potesse esse bello Lima) sdrumano lo sdrumabile e danno foco all'infiammabile ar punto che Poropiris quando pia palla s'empressiona e la carcia lontana, più lontana de quer che vorebbe un cross, comunque più vicina de dove l'avrebbe mannata Rosi, tanto che Ercapitano comunque c'ariva.
Ercapitano.... no vabbè, ne parlamo dopo, insomma dicevamo, Ercapitano pia sta palla, arza la scucchia, vede na scia chimica che passa e je urla “eccomi Capitano!”.“Perché sei qui?” risponde Ercapitano perplesso.

“Signore per uccidere Signore!”
“Allora tu sei un killer?”
“Signorsì Signorcapitano”
“E io che pensavo fossi na sega. Fammi una faccia da guerra!”
“Signorsì Signore”
“E questa sarebbe una faccia da guerra?”
“A Crotone funzionava Signorcapitano! Lo sa dove sta Crotone?”
“Qui le domande le faccio io! E io so che da Crotone vengono solo tori e checche, tu l’aria della checca non ce l’hai, ma levame er dubbio, sei toro? La voi incornà la palla?”
"Capitanosissignoresignorsì, ai comandi, la dia a me medesimo che come postino recapiterò, come gregario aggregerò, come solista assolerò, come er Caciara farò gò!".

La palla se curva e s'encoccia sula tempia rasata de fresco der milite non più ignoto Florenzi, a deflorar la flora batterica nerazzurra e le nostre ugole, che dopo 14 già strillano.

E' gò, 0-1, vincemo noi.

Ma fin qui po capità, perché sai quante vorte semo passati in vantaggio a Milano semidominando e poi manco er tempo de gioì che quelli già c'avevano ricacciato in gola ogni insurto esurtando partorito? E infatti manco er tempo de rimettese a sede che Milito s'invola solo verso Franco cui noi dimo Esciiiii e quello esce e smanaccia er pallone nora e mezza prima che arivi Milito pe buttasse e tarantolasse ala ricerca de arbitro guardaligne e guardaguardaligne pe reclamà rigore espursione de Franco e ripristino immediato de ogni abuso de potere muriginico (insomma, tutta roba che non dovrebbe fa felici i tifosi sua fan de Zema).
Ma s’attacca ar cazzo.
E quindi se riparte e se difende e s'accusa mpochetto e se riinsurta Milito che non capisce cosa abbiano Giovinco e Pazzini più de lui e se ributta, ma noi se spigne e se pressa e quando nun ce s’ariva s’aspetta Florenzi che coi suoi gemelli accore, aggiusta, ripara e di solito non pulisce il water.
Ma in tutto sto turbion de lanci, tagli e firtranti, l’orenda pochezza dele regole de sto gioco impone pure na spiacevole contigenza chiamata difesa. Na cosa ridicola, veramente. De più: vergogonosa, perchè mo non è che potemo fa tutto noi dentro a sta partita, e noi staremmo già a attaccà co na certa cognizione de causa, cioè, fate pace cor cervello, veramente. E invece niente. Tocca coprì.
E tocca comincià a fa er callo ar fatto che quest’anno coprì vorrà dì grossomodo quello che se vede adesso, co la difesa schierata a tratti nella modalità comunemente definita “aiutame a dì alta”, in altri momenti nella ancora più hardcore “nce riesco a aiutatte, è troppo alta”, e in rare fasi de gioco nella inclassificabile “te prego inventate na parola pe dì COSI’ alto”. La conseguenza è che su ogni attacco dellinte se vede Burdisso che comincia a strillà e a motivà e ad abbaià e a tenè insieme i pezzi de quer delicatissimo puzzle chiamato linea der forigioco. E proprio come il puzzle storicamente è un gioco dedicato a squilibrati mentali e bipolari gravi pronti a passà da no stato de apparente quiete ala furia omicida quando un petalo lilla non combacia col resto der fiorellino, er forigioco nostro è la stessa cosa: se tutti so concentrati er quadro è chiaro, funzionale, bello.
Come nattimo uno se distrae c’è in agguato na tragedia de sangue e frattaje sparpajate ala Tarantino, come quando uno, uno a caso, tipo un greco, decide de fa na diagonale de copertura tarmente scriteriata che ricorda nantro Greco, na cosa che mentre la difesa sta in modalità “aiutame a dì” lui sta a tenè in gioco na porzione de hinterland milanese che va da Buccinasco a Sesto San Giovanni, na cosa tarmente pulp che sfocia nell’horror e poi in quello splatter così spinto che se vede che è ketchup, diventa innocuo e fa ride, e infatti ala fine non succede niente.
Va da sè che, in una situazione der genere, er contributo der numero 16 co mezza manica e na manica più desiderato ortremanica risulti importante, a tratti decisivo, e de conseguenza, come te sbagli, se spacca. Pereira, pe l’amici Apocalypto, sta lì che pensa “Ma chi maa fatto fa a me de venì qua, stavo tanto bene a fa i firm co Mer Ghibzon” e preso dala voja de rivalsa se avventa su na palla co quer bell’agonismo e quer sincero entusiasmo pe la vita utili a sbriciolà na tibia, casomai ce se trovasse.
Fortuna che de Capitan Mo ce se ritrova na cavìa de striscio, ma non tanto de striscio quanto basta a non fasse male, quindi gnente, gnaa fa, fori lui e dentro Riscattinho, che debutta accusando na pallonata sula panza scaraventataje contro da colui che ce deve l'anni miori dela sua cariera a rischio, gesto che basta all’ingrato barese pe irrorà la butterata pelle de inutile ossigeno utile a reclamà massime punizioni fie de un regolamento nordico ancora da inventà.
Ma poi, dopo mpochetto, succede na cosa molto semplice, che se sa che il calcio, coprilo de tutte le sovrastrutture e le astrazioni che più ti aggradano, di tutti gli schemi e gli ipad e i manuali e le statistiche che desideri, ma di fondo rimane un gioco semplice.
E in quel gioco semplice è giusto che trovino asilo e vengano anzi esaltati a fattori determinanti quegli elementi che da bambini, quando correvamo in un campo polveroso ci hanno fatto innamorare di di questo gioco: la classe, il talento, la visione di gioco, l’istinto, er bucio de culo.
Ecco, mentre se po tenè forse ancora aperto il dibattito su quanti de questi elementi possegga ancora Cassano, sull’urtimo nse po discute. Perchè se giá la palla t'ariva co un lancio deviato a metà campo, se poi sta palla non te rimbalza né un metro avanti né uno indietro, ma proprio precisa pe mettete a fa la cosa che storicamente te viene mejo, forse l'unica che te viene ancora, cioè difende palla, se poi quando ammolli un tiro già destinato a bacià i tabelloni dela pubblicità, quer tiro decide invece de innamorasse der porpaccio de Burdisso e arizzasse in un campanile storto che non pago del T.D.B.D.C.A. (Tasso de bucio de culo accumulato) non solo va a finì in porta, ma ce va dopo avè paccato cor palo, allora caro Antonio, la domanda è lecita: ma che cazzo te esurti? Ma poi po esse che gli ex più felici de segnacce ce l’avemo tutti noi?
E invece no: scudetto, pallone d’oro, finale dii mondiali, ha vinto tutto lui. Annamo a riposo così, che ce rode sur serio.

Che già se semo fatti er film der secondo tempo, che già è l’ennesima inculata milanese, che già sta a crollà tutto qua perchè o vedi che come giochi bene 10 minuti poi comunque pii er gò e mo vedi questi come tornano mosci in campo.In più ce se stucca pure er Cigno biondo e i laterali diventano Poropiris e Taddei mesciato (che comunque je va dato atto che, nonostante ce sia poco da fa, ogni anno prova a improvvisà quarcosa sur look).

Envece.

Envece a na certa, non prima che Franco trovi er modo de smanaccià na rimbarzella stronza de Guarin, e mentre Taddei comincia a pià le sembianze de Candela (je piacerebbe, comunque insomma, se semo capiti), parte nela nostra metà campo nflipper troppo forte, come un rapporto sessuale, namplesso che se magna er tilt, fio den pressing de gruppo che pe cattiveria pare l’inizio de na scena de Arancia meccanica e avvia un torello impazzito tra Sturmentruppen, Colossochejerode e Aquistinho, che se passano la palla magica in una riproposizione a 78 giri der chiticaca.
Ma tanta rapidità zemagnana applicata dar centrocampo più povero de tutta la serie A rischia de rimané schema fine a se stesso, parte senza arte, meccanica ripetizione der gesto, corsa sincronizzata senza sentimento, tocco senza classe.
Fiutato er pericolo Ercapitano se mette in mezzo, allunga, vede, visiona, intuisce, inserisce e instagramma na palla ar bacio pe na Cipolla che a tu per tu cor portiere deve solo decide se magnasse ngò fatto tirando come avrebbero fatto tutti (e come già fatto da lui mpar de vorte poco prima), o fa un gò difficile come farebbero in pochi.
E se tu sei storicamente tra quei pochi, er momento è propizio pe esse te stesso. Osvardo arza un mezzo cucchiaiettino, na roba da caffè tanto dorce quanto annà in vantaggio sur più bello, ner modo più bello, sur passaggio più bello Dercapitano più bello ar centravanti più bello.

Duauno pe noi.

Quando all'orizzonte se profila la fratta de Coutinho, i più sgamati de noi se preparano ar peggio. "Ecchetelo tiè, guarda quant'è stordito, guarda quanto pare inutile, moscio, e sedentario. Guarda come ce purga subito".
Ma c'è un brasiliano che invece sta carico, pe la precisione carico de du buste dar contenuto misterioso, tipo le buste sorpresa che ce compravano da piccoli all'edicola (che poi so state la grande truffa dell'industria giocattoliera dell'anni 90, che dimme te na vorta che nun c'era no scarto de produzione o un fondo de magazzino là dentro, ma vabbè, la faremo nantra vorta sta lotta, trema Preziosi, trema te dimo) du buste uguali e contrarie. L'arfa e l'omega der sacchetto, lo Zenit e il Nadir dela plastichina.
La prima è na busta de piscio.
Giallo paglierino, odore inconfondibile, er primo tiro de Riscattinho c'ha tutte le caratteristiche che l'hanno portato sui manuali alla voce "Piscio (Busta de)" e se perde a du-tre metri dalla porta. Passano du minuti e se scopre che quella che tiene nell'altra mano è na busta de miele. Er Cipolla, che tra come è lui (se conoscete na romanista che nun sbava pe Osvardo fatece nfischio) e i gò che fa, co tutta sta bellezza non sa più che facce, cerca de sbananà un pallone, ma gnente, je esce na meraviglia de lancio de esterno che ariva dritto a Marquinho in corsa verso la porta. Ma troppo in corsa però, sta a andà sur fondo, cor difensore che lo pressa, co l'angolo pe tirà sempre più chiuso, co Castellazzi che se bulla forbito ed esclamativo e apocalittico:

"Ahah! Ormai conosciamo a menadito le tue risibili performance di tiro! Financo i tuoi supporters apostrofano il tuo scoccare "Sporta di orina"! Non hai alcuna chance di trafiggermi, sciocco brasiliano! Rechi teco le vestigia dei peggiori tuoi connazionali transitati nella As Roma! Farai la fine di Simplicio! Presto tutto sarà compiuto! ".
Quello nse scompone, e serafico risponne:

"Ridevi quanno so entrato ar posto de Daniele,
Ma sta busta po esse piscio e po esse miele,
Come te lo spiego, amico Castellazzi?
Occhio ar palo, che tra nattimo so' cazzi".


Quello cerca de capì, ma non c'è tempo. L'attimo è fuggito, la palla, contro ogni catechismo, s'è infilata contronatura in un buco che nessuno credeva possibile, e noi tutti stamo a sfascià casa. Riscattinho se riscatta Derca Tagna, e ripassando accanto al basito portiere gli dona il suo lascito: "E sciacquate la bocca quanno parli de Simplicio".
Il bello è che tutto ciò avviene co la Roma già da un po’ in inferiorità numerica senza che ancora sia stato espurso quarcuno, che detta così pare cosa improbabile, ma se a subentrà a quel che resta de Destro è stato Lamela, capisci che de improbabile ce sta solo che quarcuno a turno dei compagni sua a fine partita non je tiri la pizza che Osvardo osò ar Friuli.Entrato sur duauno pe chiude giochi e facce aprì discoteche, Ladolescente riesce nela difficile impresa de sbajà tutti i palloni che je passano pe li piedi, tanto che a turno se chiedemo se dopo Bojan Sabatini abbia dato ar nemico pure l'urtima punta comprata nanno fa. Ma Ladolescente mo è così, e vedé Uncapitano de 36 anni che je sfreccia accanto insegnandoje la sovrapposizione pe dettaje er passaggio più stronzo, non ne scarfisce er profilo su facebook.
Ercapitano, finito sui tabelloni pe raggiunge invano er passaggio sbajato, lo guarda come se guardano i sedicenni alla guida de na minicar.

E' finita.

Ma non è finita finchè non è finita quando arbitra Bergonzi, che dopo avè applicato alla lettera il regolamento nel noto comma "Cassano te po pure cacà in petto, Osvardo deve sta muto" in occasione der primo giallo, reputa saggio, consigliabile e necessario fa scopa e caricacce sopra nantra ammonizione ridicola, mettendoce forigioco pe la prossima l'Omo che non faceva i gò brutti.
Osvardo, l'omo reo de troppa bellezza, se rifiuta de fasse pià a pallonate in faccia e se la copre. Bergonzi, l'arbitro che se credeva bello fino ar giorno in cui ha visto Osvardo e poi no specchio, rosicando lo caccia. Come a un segnale convenuto, se scatena all'interno del raccordo la gara "Trova una rima appropriata con il cognome del direttore di gara". I risultati peccano nell'originalità ma si distinguono per quantità. Evabbè Bergò, fa come te pare, se a te il calcio non te piace ce dispiace pe te. Invece, pensa, a noi sto gioco ce piace un sacco, e quando capita come stasera che lo giocamo così bene da vincece pure, ce fa proprio uscì de capoccia, roba da non dormicce, roba che invece poi alla fine comunque te addormenti ma ce ripensi pure mentre dormi, e ancerto punto t'accorgi che forse non stai più a pensà ma a sognà, forse troppo.

Ma però scusate, che male ce sta a sognà?

E poi pe realizzà un sogno prima o devi fa, o no?

E pe fallo devi dormì, sereno e contento.

Tipo stanotte.