Aiuto!
Chudetegli l’audio tagliategli la corrente, per favore fateli tacere. Speriamo
che il 25 febbraio arrivi presto, perché non se ne può più delle invasioni su
ogni tipo di media dei leader e leaderini che si insultano e per lo più sparano
cazzate in vista della prossima campagna elettorale. Ciò che indigna maggiormente
è la poca considerazione che questi signori hanno del proprio elettorato.
Bersani, Berlusconi e Monti sostengono di volere il cambiamento rispetto ai
precedenti governi dimenticando che i precedenti governi erano presieduti e
appoggiati da loro stessi . Chi vuole togliere l’Imu, chi mitigarla, chi rimodularla
verso una maggiore beneficio per gli enti locali. Ma l’Imu non è stata creata e votata dagli
schieramenti che oggi vogliono cambiarla?
Credono veramente questi signori che la gente non lo ricordi? I media
sono invasi dalle irriguardose esternazioni di questa insana compagnia . Il nano di Arcore è
ovviamente in pole position a farneticare sullo stravolgimento della
Costituzione, sul complotto delle banche
tedesche ordito ai danni della comunità finanziaria italiana. Non ci risparmia
l’ex presidente del consiglio, siparietti comici come lo spolverio della sedia
di Travaglio a “Servizio Pubblico”, e la
solita litania del pericolo comunista. Monti invece, patetico, cerca di
cavalcare l’onda mediatica, ma è incapace, balbetta, cerca fogliettini
salvifici dove qualcuno gli ha scritto le risposte su temi che lui, economista
sobrio e severo non conosce, come ad esempio le questioni legate ai diritti
civili. Per Bersani, il problema più grande non è mettere
a punto un programma per cercare di assicurare un minimo di giustizia sociale e
lavoro, ma è quello di cercare di vincere anche al senato con ampio margine per
evitare l’apparentamento con Monti. Anche
il magistrato in aspettativa Ingroia calca i palcoscenici mediatici, ma
non appena si esce dl seminato della legalità le risposte si fanno frammentarie
e poco lineari. Sui No Tav Ingoria ha
espresso un giudizio di cui neanche il miglior Veltroni sarebbe capace . Secondo il magistrato è’ giusto che ci sia la
protesta in Val di Susa perché la Tav è un’opera inutile costosa e dannosa, ma
spesso i manifestanti No Tav eccedono tanto che magistrati a cui lo stesso Ingroia esprime solidarietà sono
costretti ad emettere mandati di arresto contro di loro . Ma se uno manifesta,caro
Ingroia, manifesta mica va a fare una
scampagnata! Inoltre dietro il
magistrato siciliano troviamo tutto quel
sotto melma di ex comunisti che hanno gettato a mare simbologia e identità
storica pur di rientrare in Parlamento. Anche Grillo, incurante del fatto che
fra i sui potenziali elettori, ci possa esserci qualcuno consapevole della realtà che ci circonda, continua a confezionare
cazzate a casaccio. Dietro l’eclatanza di ogni espressione alcune
volte emergono scempiaggini come i lusinghieri apprezzamenti su CasaPound, ma
altre volte i concetti possono essere condivisibili. Prendiamo le ultime
affermazioni secondo cui il sindacato è vecchio come i partiti e non
serve più perché le fabbriche devono essere di diretta proprietà di chi ci
lavora . Giusto ma come al solito la smania di dire cose originali, porta il
comico genovese a sbracare. Infatti è comunque necessario che accanto alle
rivendicazioni dei propri diritti nel contesto particolare, agisca un organismo generale composto dagli stessi lavoratori che
rivendichi il ripristino di fatto del contatto collettivo nazionale, che difenda il
dettato costituzionale in merito alle questioni del lavoro e che organizzi il
conflitto quando necessario. Un sindacato così organizzato avrebbe sicuramente
la sua utilità. Certo se l’esempio sono le organizzazioni sindacali della
triplice, utili a difendere i padroni e a disinnescare il conflitto sociale ,
Grillo ha ragione. Comunque sia come sia, fra urla sbraiti, promesse bugie e
contraddizioni, la poca considerazione
mostrata dai leaderini di governo e di lotta verso l’elettorato potenziale è
disarmante. Che concezione hanno questi di coloro i quali dovrebbero
votarli? Credono di abbindolare gente
dalla memoria corta, credulona, facile da impressionare con frasi e gesti a effetto? Forse si, e forse
hanno anche ragione visto che la gente cha ha voglia di essere presa per il culo
ancora abbonda. Beh io non sono fra questi. Votare per chi ti prende in giro credo
che sia il massimo del masochismo democratico.
sabato 19 gennaio 2013
Appello antifascista e antisionista
Collettivo Boycott Israel (Torino) – per uno stato unico in Palestina
verso il 27 gennaio 2013
NELLE CELEBRAZIONI DEL GIORNO DELLA MEMORIA
RICORDIAMO LO STERMINIO NAZIFASCISTA DEGLI EBREI
E I MASSACRI SIONISTI DEI PALESTINESI
PER LA FINE DELL’OCCUPAZIONE E DELL’APARTHEID
RICORDIAMO LO STERMINIO NAZIFASCISTA DEGLI EBREI
E I MASSACRI SIONISTI DEI PALESTINESI
PER LA FINE DELL’OCCUPAZIONE E DELL’APARTHEID
PER IL DIRITTO AL RITORNO DEI PROFUGHI PALESTINESI
PER UNO STATO UNICO IN PALESTINA IN CUI ARABI ED EBREI ABBIANO UGUALI DIRITTI
“Sono convinto che Israele in quanto Jewish State è un pericolo non solo per se stesso e per i suoi abitanti, ma per tutti gli ebrei e per gli altri popoli e stati del Medio Oriente e anche altrove.”
Dal libro “Storia ebraica e giudaismo: il peso di tre millenni”
di Israel Shahak, sopravvissuto al campo di sterminio di Bergen-Belsen
Istituito nel 2000 in Italia, il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, e perciò particolarmente sentita dalle comunità ebraiche in Italia e in altri paesi europei. La scelta della data fa riferimento alla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa sovietica il 27 gennaio 1945.
Quest’anno invitiamo tutti gli individui e le realtà antifasciste a intervenire alle iniziative di commemorazione del Giorno della Memoria sottolineando i due seguenti aspetti:
A) ricordare gli eventi del passato deve servire a dare continuità all’antifascismo oggi, cosa che spesso viene platealmente omessa, soprattutto a livello istituzionale (anche nelle celebrazioni del 25 aprile). Ad esempio il Comune di Torino, che il prossimo 27 gennaio terrà una commemorazione ufficiale del Giorno della Memoria, il 15 dicembre scorso ha permesso che un gruppo dichiaratamente fascista, Forza Nuova (a quanto pare si trattava di una ventina di persone), sfilasse per le strade della città, e gli antifascisti che volevano impedire lo squallido evento sono stati caricati dalla polizia.
B) non si può essere coerentemente antifascisti senza essere anche antisionisti : il Sionismo è nato 50 anni prima della seconda guerra mondiale e della Shoah, come progetto coloniale di insediamento e di costituzione di uno “stato per soli ebrei”, ed è stato caratterizzato sin dall’inizio da una logica di guerra e pulizia etnica. La costituzione dello stato di Israele ha continuato, e continua tuttora questa politica, con i massacri a Gaza, l’espropriazione delle terre palestinesi, la costituzione di colonie illegali, l’apartheid in quel che resta dei territori palestinesi, le discriminazioni nei confronti dei cittadini non ebrei di Israele.
Questa politica incontra sempre più l’indignazione di milioni di persone in tutto il mondo e il fallimento degli accordi di Oslo è sotto gli occhi di tutti: è sempre più urgente discutere di un processo di decolonizzazione dello stato sionista e di costituzione in Palestina di un unico paese in cui ebrei e arabi abbiano uguali diritti.
A) ricordare gli eventi del passato deve servire a dare continuità all’antifascismo oggi, cosa che spesso viene platealmente omessa, soprattutto a livello istituzionale (anche nelle celebrazioni del 25 aprile). Ad esempio il Comune di Torino, che il prossimo 27 gennaio terrà una commemorazione ufficiale del Giorno della Memoria, il 15 dicembre scorso ha permesso che un gruppo dichiaratamente fascista, Forza Nuova (a quanto pare si trattava di una ventina di persone), sfilasse per le strade della città, e gli antifascisti che volevano impedire lo squallido evento sono stati caricati dalla polizia.
B) non si può essere coerentemente antifascisti senza essere anche antisionisti : il Sionismo è nato 50 anni prima della seconda guerra mondiale e della Shoah, come progetto coloniale di insediamento e di costituzione di uno “stato per soli ebrei”, ed è stato caratterizzato sin dall’inizio da una logica di guerra e pulizia etnica. La costituzione dello stato di Israele ha continuato, e continua tuttora questa politica, con i massacri a Gaza, l’espropriazione delle terre palestinesi, la costituzione di colonie illegali, l’apartheid in quel che resta dei territori palestinesi, le discriminazioni nei confronti dei cittadini non ebrei di Israele.
Questa politica incontra sempre più l’indignazione di milioni di persone in tutto il mondo e il fallimento degli accordi di Oslo è sotto gli occhi di tutti: è sempre più urgente discutere di un processo di decolonizzazione dello stato sionista e di costituzione in Palestina di un unico paese in cui ebrei e arabi abbiano uguali diritti.
Questa prospettiva viene agitata come uno spauracchio da molti commentatori, mentre è l’unico modo per arrivare alla pace in Palestina: auspichiamo che nelle comunità ebraiche si sviluppi un dibattito che porti sempre più persone a mettere in discussione il Sionismo, così come hanno fatto e stanno facendo molti cittadini ebrei di tutto il mondo.
La lunga tradizione antifascista della comunità, in particolare torinese, la Memoria delle persecuzioni subite con altri soggetti non possono tradursi nel sostegno a Israele, che da decenni opprime un altro popolo, ma possono recuperare le istanze socialiste e di uguaglianza che caratterizzarono lo sviluppo delle comunità ebraiche in passato.
Così come denunciamo la politica estera di guerra e aggressione del governo italiano, volta a opprimere e sfruttare i popoli del sud del mondo per garantire la superiorità economica dell’Occidente, denunciamo e contrastiamo l’alleanza del governo italiano con lo stato sionista.
Preferiamo considerarci tutti/e cittadini/e di un mondo di liberi ed eguali, e batterci per costruirlo.
La lunga tradizione antifascista della comunità, in particolare torinese, la Memoria delle persecuzioni subite con altri soggetti non possono tradursi nel sostegno a Israele, che da decenni opprime un altro popolo, ma possono recuperare le istanze socialiste e di uguaglianza che caratterizzarono lo sviluppo delle comunità ebraiche in passato.
Così come denunciamo la politica estera di guerra e aggressione del governo italiano, volta a opprimere e sfruttare i popoli del sud del mondo per garantire la superiorità economica dell’Occidente, denunciamo e contrastiamo l’alleanza del governo italiano con lo stato sionista.
Preferiamo considerarci tutti/e cittadini/e di un mondo di liberi ed eguali, e batterci per costruirlo.
Italia in guerra
Carmine Gazzani, fonte http://www.infiltrato.it
Solo “supporto logistico” e nient’altro. Il governo tecnico-dimissionario ha parlato chiaro. Interverremo, ma – sia chiaro – “non è previsto alcuno spiegamento di forze militari italiane nel teatro operativo”. Parola di Mario Monti e del suo ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata.
Insomma, la Francia dichiara guerra? Noi li seguiamo a ruota. Immediatamente. È un’emergenza, d’altronde. Eppure più di qualcosa non torna. A cominciare dalla possibilità del governo di prendere una decisione così delicata a meno di due mesi dalle elezioni politiche. La prassi parlamentare, infatti, prevede che l’esecutivo porti avanti nulla più che una “ordinaria amministrazione”. Ora, vien da chiedersi: rientra nella gestione degli “affari ordinari” anche dichiarare la guerra a un Paese straniero?
Ma c’è dell’altro. Siamo davvero sicuri che l’intervento italiano sia stato deciso in fretta e furia, spinti dall’emergenza europea? La decisione presa dal governo tecnico è davvero un gesto di responsabilità dovuto alla crisi del momento? Assolutamente no. A dimostrarlo un decreto presentato dallo stesso esecutivo nelle sue persone più rappresentative: lo stesso Mario Monti, il ministro degli Affari Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, quello della Difesa Giampaolo Di Paola e quello dell’Interno Anna Maria Cancellieri.
Stiamo parlando del decreto legge sulle missioni internazionali (testo tramite cui il governo italiano ogni anno finanzia tutte le missioni nelle quali sono impegnate le forze militari e civili italiane) approvato soltanto il 16 gennaio, ma presentato il 28 dicembre 2012. Dunque molto prima dei raid aerei francesi in territorio maliano, i quali, come sappiamo, sono cominciati precisamente una settimana fa. Quelo che pare, insomma, è che l’esecutivo tecnico avesse deciso prima del tempo, prima ancora dell’attacco militare francese, di finanziare un intervento armato in Mali.
Leggiamo l’articolo 1, comma 17 del decreto: “È autorizzata, a decorrere dal 1º gennaio 2013 e fino al 30 settembre 2013, la spesa di euro 1.900.524 per la partecipazione di personale militare alla missione dell’Unione europea denominata EUCAP Sahel Niger, di cui alla decisione 2012/392/PESC del Consiglio del 16 luglio 2012, e alle iniziative dell’Unione europea per il Mali”. Chiaro. Lampante. Poco meno di due milioni di euro anche per “iniziative dell’Unione europea per il Mali”. Ma di quale iniziativa stiamo parlando? Della stessa intrapresa dalla Francia. La decisione di Hollande, infatti, si inserisce all’interno dell’operazione EUTM, in concertazione proprio con l’Unione Europea. La stessa operazione tirata in ballo anche nel testo governativo.
La conclusione del discorso, a questo punto, è più che chiara: sono ben due i milioni di euro con cui il governo italiano ha previsto un intervento in Mali prima ancora dell’attacco francese nella sua ex colonia (risalente al 13 gennaio). Il motivo? Rimane oscuro.
Ma, a quanto pare, sembra proprio che tutto, in qualche modo, fosse stato già deciso. Anche perché – altro particolare da non sottovalutare – sono in tanti in Francia a cominciare a non credere più nelle ragioni antiterroristiche dell’intervento armato in Mali. Soprattutto perchè Parigi, fino ad ora, ha addotto varie e tante motivazioni. Lotta al terrorismo, ristabilimento dell’integrità territoriale del Paese, ritorno della democrazia, ragioni umanitarie. Le stesse presentate all’opinione pubblica nel caso della Libia nel marzo 2011. Una confusione di fondo, dunque, che è foriera di tanti e inquietanti dubbi, sostenuti, peraltro, non solo in territorio d’oltralpe ma anche a livello internazionale: l’intervento francese in Mali è finora unaguerra senza immagini, di cui l’opinione pubblica possiede scarse informazioni, sia sugli obiettivi militari colpiti durante le incursioni dei Mirage e dei Rafale, sia sulle perdite fra la popolazione civile. Più di un particolare, dunque, rimane oscuro.
Ma a questo punto - appurato che il nostro Paese abbia preso la decisione di intervenire in Mali ancora prima dell’arrivo dei francesi - le nubi inquietanti si spostano anche al di sotto delle Alpi. In territorio italiano. Non bisogna, poi, dimenticare anche un’altra questione. Il ministro Terzi, a riguardo, era stato chiaro: “Non è previsto alcuno spiegamento di forze militari italiane nel teatro operativo”.Siamo sicuri sia proprio così? In soccorso arriva ancora il decreto approvato solo due giorni fa. Nella scheda tecnica del dl sulle missioni internazionali, infatti, è prevista una “consistenza militare in teatro” pari a 24 unità. Altro, dunque, che semplice “supporto logistico”.
A questo punto sarebbe curioso chiedere ai nostri ministri perché sia stato previsto un intervento (peraltro militare) in Mali prima ancora della dichiarazione di guerra francese. Un bel ben servito per gli italiani. Dal valore di due milioni di euro.
venerdì 18 gennaio 2013
Frosinone. Finita l'emergenza neve
Luciano Granieri
Il vento domani girerà
a scirocco le temperature si alzeranno. Finalmente l’emergenza neve è
alle spalle. In ogni caso, pur con tutti i suoi disagi, lo stato emergenziale ha tranquillizzato i
cittadini di Frosinone. Hanno potuto apprezzare le doti di un sindaco che sa fintamente affrontare avversità
di ogni tipo, terremoti, maremoti, e tempeste di neve compreso. Ripercorriamo
le tappe delle azioni temerarie e decise del sindaco Ottaviani per fronteggiare i
disagi del mal tempo.
Martedì 15 gennaio:
In mattinata
l’ufficio meteorologico della protezione civile, annuncia imponenti nevicate
sul capoluogo. Il sindaco immediatamente riunisce una task force di spalatori,
requisisce pale manuali e meccaniche, fa svuotare i magazzini di sale sciogli
neve, e si preoccupa di rinforzare le scorte con sale da cucina, e persino
con il rinomato sale nero dell’Himalaya.
Ai cittadini si raccomanda d cucinare sciapo e donare “IL SALE ALLA
PATRIA”. Immediatamente
l’efficientissimo sindaco emette l’ordinanza di chiusure delle scuole di ogni
ordine e grado, anche quelle serali e i
corsi Radio Elettra. Se qualche professore venisse scovato a dare ripetizioni
verrà immediatamente arrestato per sabotaggio. E attentato alla salute pubblica
Mercoledì 16 gennaio:
Qualche minuto dopo la mezzanotte quintali e quntali di
sale vengono riversati per le vie di
Frosinone. E’ stato visto qualche tossico precipitarsi fuori dai locali e
procedere carponi con il naso incollato sull’asfalto benedicendo il miracolo di
Santa Coca. Di buon mattino il sindaco Ottaviani emana un editto a decorrenza
immediata, per cui ad ogni automobilista, motociclista, ciclista, monociclista,
monopattinista, scariolante, noleggiatore di carrozzelle senza conducente, è fatto divieto di circolare senza catene a
bordo. Per i mezzi a trazione equina è fatto obbligo di montare i rampini sulle
zampe di trazione e pattini al posto delle ruote. Viene istituito il divieto di
parcheggiare in Viale Napoli lato sx da S.Antonio a via Montecassino Viale
America Latina lato dx da piazza Antonio Gramsci a via Giuseppe Verdi Via Fosse
Ardeatine lato dx Corso della Repubblica tratto da S. Antonio a via Alcide De
Gasperi Via Alcide De Gasperi lato sx da viale Giuseppe Mazzini Viale Giuseppe
Mazzini lato dx da piazza VI Dicembre alla rotatoria del Campo Sportivo Via
Ernesto Biondi ambo i lati Via Tiburtina lato dx direzione Madonna della Neve
Via Marco Tullio Cicerone ambo i lati Via Maria da piazzale Giacomo De
Matthaeis al concessionario Piaggio Via Marittima ambo i lati Via don Giovanni
Minzoni ambo i lati Piazza Alessandro Kambo Via Giuseppe Verdi lato dx
direzione via America Latina, Via Gennare (sta a Torrice ma meglio essere prudenti), Via
Rotabile (sta a Boville ma vale lo stesso principio di Torrice).
Giovedì 17 gennaio
Cazzo il sale è finito!!!!! Ma permane
il divieto parcheggio sulle strade già indicate. Si invitano i cittadini a
seguire i messaggi sull’evoluzione del tempo emessi dal sindaco Ottaviani. Non
è trascurata nessuna forma di comunicazione, dalla TV alla Radio, a Internet,
all’alfabeto Morse, ai segnali di fumo. Per la corretta interpretazione dell’alfabeto
Morse verrà recapitato ad ogni cittadino il manuale delle giovani marmotte.
Venerdì 18 gennaio.
Si intravedono spicchi di sole, fa
freddo ma l’allerta è finita. Ringraziamo il sindaco Nicola Ottaviani, perché grazie
alla sua previdenza e alla sua prontezza nel controllare l’emergenza, i cittadini di
Frosinone non hanno risentito del minimo disagio. Questo si che è un sindaco
del fare. Per la cronaca in questi tre giorni di neve non se ne è vista, ma non
stiamo a cavillare. Diamine!”!!! per una volta che un sindaco si attiva
prontamente, andiamo a cercare il pelo nell’uovo?.
P.S. Per tornare un minimo seri. Il sale
cosparso inutilmente sulle strade, da chi è stato pagato?
N.B. Il video che apre il post e relativo alla nevicata dell'anno scorso.
La "cornice europea" e il finto dibattito elettorale
Claudio Conti. fonte http://www.contropiano.org
Un'intervista a Olli Rehn e le dichiarazioni di Draghi disegnano i confini entro cui il prossimo governo potrà giostrarsi: spazio zero.
Ce lo ha ricordato per primo, con l'aplomb dovuto da parte dell'unica istituzione europea con compiti davvero operativi, Mario Draghi, presidente della Bce. "Nell'area dell'euro il clima del mercato obbligazionario ha risentito dell'influsso negativo esercitato dalle revisioni al ribasso delle previsioni di crescita. L'accresciuta incertezza politica in Italia, inoltre, è stata all'origine di alcuni flussi di capitali, con l'obiettivo di ricercare investimenti più sicuri (flight-to-safety), verso i titoli emessi dai paesi con rating AAA".
Non si poteva essere più "tecnici" di così, né più chiari. Se la classe politica italiana non darà segnali chiari di voler proseguire l'opera iniziata da Monti & co., ci saranno "spostamenti di flussi" ancora più significativi, con ovvie conseguenze sullo spread e gli investimenti finanziari esteri su asset italiani. Una mezza verità, che guarda solo ai capitali euro-statunitensi, perché quelli cinesi e arabo-petroliferi sono in questo momento molto attivi nella ricerca di ghiotte possibilità di acquisizione di "asset" del Belpaese.
Ma comunque un richiamo all'ordine piuttosto perentorio (del resto la "lettera d'agosto" 2011 l'aveva firmata proprio lui, iniseme a Trichet, anche se non era ancora presidente della Bce).
Olli Rehn, invece, è decisamente più "politico" e definitivo. Finlandese, commissario all'economia dentro la Commissione Ue, esponente del "rigorismo" meno flessibile e più dogmatico, la dece senza mezzi termini, usando quasi le nostre stesse parole scritte al momento de "l'invasione" della Troika. "Qualunque sia il governo che uscirà dalle urne è essenziale che l'Italia resti sul cammino riformista, in linea con gli impegni europei che hanno già rafforzato la fiducia globale nell'economia e nelle politiche del paese".
Inutile spiegare che la "fiducia globale" altro non è che la ritrovata certezza nell'"obbedienza" italiana ai diktat provenienti dalla Troika, o che il prezzo pagato dalla popolazione sia sproporzionato rispetto all'obiettivo. Quel che a Rehn - e alla Troika - interessa dire è che "avete la strada segnata", non esiste alcuna possibilità che un governo faccia qualcosa di diverso da quel che vi abbiamo prescritto. Potere giocare (Bersani, Berlusconi, Casini, Vendola, ecc) a chi fa un po' più il destro o sinistro, ma "il programma" da mettere in atto ve lo abbiamo scritto noi, nelle pagine dell'Agenda Monti", e dovete solo obbedire. Ogni ipotesi fare altro è bestemmia pura e avrebbe conseguenze funeste.
Una dittatura senza spazi di contrattazione (gli "aggiustamenti" sono sempre possibili, ma si tratterà di sfumature). Per la "ripresa", concede, si dovrà aspettare l'inizio dell'anno prossimo (una carota da sventolare serve sempre, tipo un po' di "luce in fondo al tunnel").
Insomma: non vi appassionate troppo al gioco elettorale, perché chiunque vinca vincerà un posto da esecutore obbediente.
Un'intervista a Olli Rehn e le dichiarazioni di Draghi disegnano i confini entro cui il prossimo governo potrà giostrarsi: spazio zero.
Ce lo ha ricordato per primo, con l'aplomb dovuto da parte dell'unica istituzione europea con compiti davvero operativi, Mario Draghi, presidente della Bce. "Nell'area dell'euro il clima del mercato obbligazionario ha risentito dell'influsso negativo esercitato dalle revisioni al ribasso delle previsioni di crescita. L'accresciuta incertezza politica in Italia, inoltre, è stata all'origine di alcuni flussi di capitali, con l'obiettivo di ricercare investimenti più sicuri (flight-to-safety), verso i titoli emessi dai paesi con rating AAA".
Non si poteva essere più "tecnici" di così, né più chiari. Se la classe politica italiana non darà segnali chiari di voler proseguire l'opera iniziata da Monti & co., ci saranno "spostamenti di flussi" ancora più significativi, con ovvie conseguenze sullo spread e gli investimenti finanziari esteri su asset italiani. Una mezza verità, che guarda solo ai capitali euro-statunitensi, perché quelli cinesi e arabo-petroliferi sono in questo momento molto attivi nella ricerca di ghiotte possibilità di acquisizione di "asset" del Belpaese.
Ma comunque un richiamo all'ordine piuttosto perentorio (del resto la "lettera d'agosto" 2011 l'aveva firmata proprio lui, iniseme a Trichet, anche se non era ancora presidente della Bce).
Olli Rehn, invece, è decisamente più "politico" e definitivo. Finlandese, commissario all'economia dentro la Commissione Ue, esponente del "rigorismo" meno flessibile e più dogmatico, la dece senza mezzi termini, usando quasi le nostre stesse parole scritte al momento de "l'invasione" della Troika. "Qualunque sia il governo che uscirà dalle urne è essenziale che l'Italia resti sul cammino riformista, in linea con gli impegni europei che hanno già rafforzato la fiducia globale nell'economia e nelle politiche del paese".
Inutile spiegare che la "fiducia globale" altro non è che la ritrovata certezza nell'"obbedienza" italiana ai diktat provenienti dalla Troika, o che il prezzo pagato dalla popolazione sia sproporzionato rispetto all'obiettivo. Quel che a Rehn - e alla Troika - interessa dire è che "avete la strada segnata", non esiste alcuna possibilità che un governo faccia qualcosa di diverso da quel che vi abbiamo prescritto. Potere giocare (Bersani, Berlusconi, Casini, Vendola, ecc) a chi fa un po' più il destro o sinistro, ma "il programma" da mettere in atto ve lo abbiamo scritto noi, nelle pagine dell'Agenda Monti", e dovete solo obbedire. Ogni ipotesi fare altro è bestemmia pura e avrebbe conseguenze funeste.
Una dittatura senza spazi di contrattazione (gli "aggiustamenti" sono sempre possibili, ma si tratterà di sfumature). Per la "ripresa", concede, si dovrà aspettare l'inizio dell'anno prossimo (una carota da sventolare serve sempre, tipo un po' di "luce in fondo al tunnel").
Insomma: non vi appassionate troppo al gioco elettorale, perché chiunque vinca vincerà un posto da esecutore obbediente.
giovedì 17 gennaio 2013
Vicenza: la lotta dei lavoratori comunali
a cura del Pdac di
Vicenza
Incontriamo Maria
Teresa Turetta, componente della segreteria provinciale del sindacato Cub
(Confederazione unitaria di base), lavoratrice e componente della Rsu
(Rappresentanze sindacali unitarie) del Comune di Vicenza.
A Vicenza, città
guidata dall’amministrazione del sindaco Achille Variati del Pd, dodici
dipendenti comunali sono stati colpiti da avvisi di procedimenti disciplinari
che arrivano a minacciare il licenziamento. Puoi spiegare cosa sta
accadendo?
Turetta: Il Comune di Vicenza ha avviato,
nello scorso mese d’ottobre, il nuovo programma di visualizzazione on
line delle valutazioni individuali, attribuite ai dipendenti comunali, da
ciascun dirigente. E’ successo che alcuni dipendenti, andando alla ricerca della
propria valutazione, pur entrando con le proprie credenziali, siano incappati,
cliccando una semplice icona denominata “storico”, nel documento che esponeva le
valutazioni di tutto il personale. La visualizzazione di questo documento ha
scatenato una reazione forte del personale perché ha palesato tutte le
differenze valutative tra settore e settore. Ci sono stati, infatti, lavoratori
d’alcuni settori che erano stato valutati tutti con voti massimi e lavoratori
d’altri settori, invece, che non raggiungevano la sufficienza. Questa diversità
di trattamento, che alla fine si tramuta anche in un diverso salario accessorio,
ha provocato l’indignazione di molti lavoratori che hanno preso in mano carta e
penna sottoscrivendo varie lettere di protesta indirizzate al Sindaco e alla
Dirigenza.
Nel frattempo è emerso che il documento che esponeva le valutazioni di tutti i dipendenti non doveva essere visto da tutti, ma solo dai dirigenti. Il programma, acquistato da una ditta privata, infatti, era stato progettato e installato male, nonostante fosse costato circa 100 mila euro. L’Amministrazione comunale allora, come il “re nudo”, ha tentano di recuperare il bandolo della matassa, presentando alla Procura una denuncia contro “ignoti” perché, secondo l’Amministrazione, chi ha visto il documento e lo ha divulgato ai colleghi ha violato la privacy, e quindi ha commesso un reato. Sulla base di queste accuse sono state trasmesse, prima delle festività natalizie, una dozzina di raccomandate, con avvisi di procedimento disciplinare, quasi tutte destinate a personale che non lavora abitualmente con i computer ossia bidelle, cuoche, educatrici, insegnanti, uscieri ecc. Insomma, la super dirigenza del Comune, vistasi scoperta, ha scatenato la rappresaglia contro i dipendenti per nascondere invero la sua gravissima responsabilità, in particolare quelle dell’ acquisto di un pacchetto informatico “bacato” .
Nel frattempo è emerso che il documento che esponeva le valutazioni di tutti i dipendenti non doveva essere visto da tutti, ma solo dai dirigenti. Il programma, acquistato da una ditta privata, infatti, era stato progettato e installato male, nonostante fosse costato circa 100 mila euro. L’Amministrazione comunale allora, come il “re nudo”, ha tentano di recuperare il bandolo della matassa, presentando alla Procura una denuncia contro “ignoti” perché, secondo l’Amministrazione, chi ha visto il documento e lo ha divulgato ai colleghi ha violato la privacy, e quindi ha commesso un reato. Sulla base di queste accuse sono state trasmesse, prima delle festività natalizie, una dozzina di raccomandate, con avvisi di procedimento disciplinare, quasi tutte destinate a personale che non lavora abitualmente con i computer ossia bidelle, cuoche, educatrici, insegnanti, uscieri ecc. Insomma, la super dirigenza del Comune, vistasi scoperta, ha scatenato la rappresaglia contro i dipendenti per nascondere invero la sua gravissima responsabilità, in particolare quelle dell’ acquisto di un pacchetto informatico “bacato” .
La Cub è il primo
sindacato per numero di iscritti in Comune di Vicenza, quale è la posizione
della Cub in questa vicenda?
La Cub da sempre è contraria alle
valutazioni dei lavoratori, perché è evidente che non esistono criteri oggettivi
in base ai quali sia possibile valutare un lavoratore. Tutto è affidato alla
soggettività del parere dei dirigenti che nella stragrande maggioranza dei casi
non conoscono nemmeno il lavoratore che dovrebbero valutare, soprattutto nel
caso di lavoratori che operano in sedi distaccate. E’ un meccanismo creato per
dividere i lavoratori, un meccanismo approvato dai sindacati concertativi ma che
la Cub ha sempre criticato. In Comune di Vicenza, ad esempio, tutto il personale
di Polizia Locale, secondo le valutazioni assegnate dal dirigente del settore,
ha prestato un lavoro “eccellente” mentre il dirigente del settore Asili Nido e
Scuole d’infanzia, invece, non ritiene sufficiente il lavoro reso da gran parte
del suo personale, che ogni giorno opera in emergenza, vista la cronica assenza
di sostituzioni, con rapporti bambino-educatore insostenibili. La Cub , quindi,
che è sempre stata contraria a questo tipo di valutazioni, ha colto la
grand’opportunità, offerta dalla visualizzazione di tutte le “pagelline” dei
dipendenti, per scardinare le contraddizioni del nuovo sistema di valutazione e
per denunciarne le iniquità. Della notizia peraltro si è occupata per parecchi
giorni anche la stampa locale.
E gli altri sindacati?
Mi chiedo se esistano “gli altri sindacati”.
In Comune di Vicenza non si sono sentiti, o meglio c’è stata solo una breve
dichiarazione alla stampa del segretario della Uil che incitava
l’Amministrazione ad individuare il responsabile… Qualcuno potrebbe anche
affermare che è facile essere primo sindacato in un Ente quando gli altri non si
fanno mai sentire a tutela dei lavoratori. La Cub in Comune di Vicenza continua
ad aumentare il numero degli iscritti, gli altri sindacati invece continuano a
perdere consenso.
E la
Rsu?
La Rsu è la rappresentanza sindacale eletta
dai lavoratori e quindi è staccata dalle logiche delle singole burocrazie
sindacali. La Rsu ha approvato diverse lettere di protesta e ha promosso alcuni
sit-in in occasione delle prime udienze della commissione disciplinare. Nel
corso del sit-in è stato esposto uno striscione con la scritta “siamo tutti
indagati”, in solidarietà ai colleghi raggiunti dai provvedimenti
disciplinari.
Per il tipo di
contestazione, per un sindacato, intraprendere anche la strada della difesa
legale nei confronti dei lavoratori è stato un passaggio obbligato. Pensi sia
sufficiente? Come intendete procedere se non ci sarà subito
l’archiviazione?In questo contesto assurdo, e data la
gravità delle accuse mosse ai lavoratori, essendo anche la prima volta che
accade un caso di contestazioni “di massa” come questo, con una denuncia anche
di tipo penale, è stato indispensabile affidarsi ad un legale. Di certo la Cub
ha il compito di creare una nuova coscienza di classe nei lavoratori perché deve
essere chiaro che se la classe lavoratrice si ferma, unita e compatta, in
sciopero, questi abusi non succederanno più. A parte, quindi, l’importanza
dell’azione legale e sindacale, deve essere chiaro ai dipendenti che se non c’è
una ferma protesta dei lavoratori, qualsiasi Amministrazione continuerà a fare
quello che vorrà.
In particolare questa vicenda, se non si chiude subito, è destinata ad avere un’eco nazionale per i gravi aspetti che chiama in causa, fra cui, a nostro avviso, lo scandalo del fatto che una colpa che dovrebbe essere addossata a dirigenti super pagati (parliamo di stipendi dai 120 ai 180 mila euro l’anno) è invece scaricata sulle spalle di lavoratori di fasce economiche medio/basse (circa 1.000 euro il mese), e incolpevoli.
Se questa vicenda non sarà archiviata sarà necessario, per la Cub, fare un appello a livello nazionale per organizzare una manifestazione nazionale a Vicenza che denunci quanto sta accadendo. Deve essere chiaro per tutti che questa vicenda non coinvolge solo i dodici dipendenti accusati, ma tutti noi, e che se l’Amministrazione Variati potrà scaricare le colpe dei suoi dirigenti sui lavoratori senza che ci sia una forte reazione, l’arroganza di dirigenti e amministrazioni non conoscerà più nessun freno.
In particolare questa vicenda, se non si chiude subito, è destinata ad avere un’eco nazionale per i gravi aspetti che chiama in causa, fra cui, a nostro avviso, lo scandalo del fatto che una colpa che dovrebbe essere addossata a dirigenti super pagati (parliamo di stipendi dai 120 ai 180 mila euro l’anno) è invece scaricata sulle spalle di lavoratori di fasce economiche medio/basse (circa 1.000 euro il mese), e incolpevoli.
Se questa vicenda non sarà archiviata sarà necessario, per la Cub, fare un appello a livello nazionale per organizzare una manifestazione nazionale a Vicenza che denunci quanto sta accadendo. Deve essere chiaro per tutti che questa vicenda non coinvolge solo i dodici dipendenti accusati, ma tutti noi, e che se l’Amministrazione Variati potrà scaricare le colpe dei suoi dirigenti sui lavoratori senza che ci sia una forte reazione, l’arroganza di dirigenti e amministrazioni non conoscerà più nessun freno.
mercoledì 16 gennaio 2013
Catatonia (Catania-Roma 1-0)
Kansas City 1927
Parlamo
de Catania.
Catania [katanja] è un comune italiano di 289.651 abitanti,
capoluogo dell'omonima provincia in Sicilia.
Fondata nel 729 a.C. dai Greci Calcidesi, popolazione nota pe
non fasse mai i cazzi sua, vanta una storia millenaria caratterizzata da
svariate dominazioni i cui resti ne arricchiscono oggi il patrimonio artistico,
architettonico e culturale.
Nel corso della sua storia Catania è stata più volte distrutta
da eruzioni vulcaniche (la più imponente, in epoca storica, è quella del 1669),
da terremoti (i più catastrofici ricordati sono stati quelli del 1169 e del
1693) e da na trasferta nela capitale (nel lontano 2006).
Nel corso della sua storia ha vantato Pedrinho&Luvanor,
Cantarutti&Carnevale, Carmen Consoli & Franco Battiato, & Mario
Venuti & Denovo, Marcella & Gianni Bella, Enzo Bianco & Umberto
Scapagnini, Nitto Santapaola & I Quattro Cavalieri.
Nel corso della sua storia so successe cose considerate per lo
più ordinarie, almeno in relazione alla specificità del luogo, tanto che quando
ne successe una strana Sandro Ciotti urlò “clamoroso ar Cibali”.
Nel corso della stessa storia, in estrema sintesi, puote dirsi
che Catania c’ha rotto er cazzo. Basta. Non c’annamo più. Secerniamo
secessione. I cittadini catanesi capiranno, in caso vengono loro su, non è na
questione personale, è proprio che nun je se la fa più, abbiate pietà.
Apposto. De Catania amo parlato, grazie a tutti, se sentimo dopo
Linte, no no la Coppitalia non la famo, gnente scheda infrasettimanale, se sa
ormai.
Grazie comunque, ve leggiamo sempre con piacere.
A presto. Ao, nun sparì eh, daje, e comunque su Ruzzle te sfonno
quanno te pare.
Vabbè, parlamo pure de Roma? Parlamo de Roma.
Chi se piamo a giugno?
Perchè comunque mo nce serve niente. La squadra c’è, i cambi poi
nte dico, quando dici 22 titolari.
Manca Ercapitano? C’hai Marquinho. Anzi, ce n’hai due, c’hai
pure Dodò.
Dodò, uno nato cor numero 10 tatuato sulla schiena.
Ntreqquartista naturale.
Manca Pjanic? C’hai Bradley.
C’hai Bradley? Sì, ma dev’esse uno de sti 11, sennò nse spiega:
1 - Michael Thomas Bradley, ex cestista e allenatore di
pallacanestro statunitense (nato il 18 aprile 1979)
2 - Michael John Bradley, American professional golfer (nato il
17 Luglio 1966)
3 - Michael Ewart Bradley, giocatore di cricket inglese (nato il
29 marzo 1934)
4 - Mike Bradley, runnerback di footbal canadese (nato il 16
settembre 1978)
5 - Michael "Mike" o "Mayor Mike" Bradley,
politico canadese (nato il 20 luglio 1955)
6 - Michael “Miki” Bradley, bassista nordirlandese del gruppo
punk Undertones (nato il 13 agosto 1959)
7 - Michael Bradley, vocalist e leader del gruppo americano Paul
Revere & The Raiders, noto anche tra i fan dei manga come compositore e
cantante di Robotech
8 - Mike Bradley, velocista americano (nato il 27 febbraio 1961)
9 - Mike Bradley, Segretario Generale
della General Federation of Trade Unions (UK)
10 - Mike Bradley, Presidente e CEO di Teradyne, qualsiasi cosa
sia
11 - Michael Bradley, autore di More
Than A Myth: The Story Of The Muskrat Lake Monster, qualsiasi cosa sia
Manca Osvardo? C’hai Destro.
C’hai Destro? C’hai loro:
1 - Madonna di Lourdes
2 - Madonna di Loreto
3 - Madonna di Madjugorje
4 - Madonna di Fatima
5 - Madonna del Sacro Cuore
6 - Madonna Sistina
7 - Madonna di Guadalupe
8 - Madonna Immacolata
9 - Madonna del Tiziano
10 - Madonna Ausiliatrice
11 - Madonna degli Angeli
12 - Madonna Assunta
13 - Madonna di Montichiari
14 - Madonna Regina degli Apostoli
15 - Madonna del Sorriso
16 - Madonna col Bambino
17 - Madonna di Murillo
18 - Madonna delle Rose
19 - Madonna del Carmine
20 - Madonna Addolorata
21 - Madonna del Perpetuo Soccorso
22 - Madonna del Castello
23 - Madonna della Neve
24 - Madonna di Tindari
25 - Madonna del Rosario di Pompei
26 - Madonna delle Grazie
27 - Madonna della Medaglia Miracolosa
28 - Madonna dell’Arco
29 - Madonna del Riposo
30 - Madonna delle Lacrime di Siracusa
31 - Madonna dell’Equilibrio di Frattocchie (esiste davero, ndr)
32 - Madonna Louise Veronica Ciccone
33 - Madonna Armando
Avoja a dì 33.
Ce l’ha tirate fori tutte, e tocca dillo. Perchè tanto sarebbe
inutile mannà ar macero sto ragazzo anzitempo quanto nascondese che se de quei
settecento palloni boni che je so capitati un paro li metteva dentro, a st’ora
stavamo a fa artri discorsi.
Ma la vita nostra è piena de “a st’ora stavamo a fa artri
discorsi”.
Certo, se pensava che passando da Okaka a Destro sti momenti se
potessero diradà istantaneamente, e invece così non è stato. Non ancora, stamo
in transizione.
Come l’anno scorso.
Ma se la transizione porta a na transizione, se l’anno scorso è
stato nanno de merda, anche solo pe la proprietà transitiva, l'intransigenza
rischia de esse alle porte, accompagnata dalla sorella insofferenza.
Perchè er problema non è che Dexter pe tutto er primo tempo
magna come un democristiano o che er Lucido non è ancora arivato ale pagine del
regolamento che spiegano qual è il goal de sto bizzarro game a prescinde dar
fatto che tra lui e la sliding door vuota ce sia solo na ball da accompagnà in
the box.
Er problema, poi, figurate se po esse che quell’atto che in ogni
codice penale è quantomeno omicidio preterintenzionale, non viene ridotto manco
a fallo da punizione se lo fa Marchese quando se marca Marcos. Perchè comunque
pare che sta per tera a contasse le gambe rimaste attaccate possa risurtà
ostativo a sta in difesa a piasse l’omo tuo sula fascia tua.
Er problema non è manco che vai ad affrescarti contro uno dei
Catania meno catanici dele urtime 8 ere geologiche, nmix de insipienza e
sciaperia parente lontanissimo della consueta catanitudine pampera. Insipienza
e sciaperia alle quali, forse percependo l’ipertensione de na tifoseria intera,
ner secondo tempo te adegui co 45 minuti de rara mancanza de sale, de pepe, de
fosforo, de tutto.
Er problema, se vuoi, non è manco che quanno te mancano tutti
quelli co mpo de palle lasci in panca Capitan Panca, comunque Capitan Quarcosa
finchè ce sta, comunque uno che strilla in mezzo ar campo, a prescinde da se
gioca da 8 come contro er Mila o da 4 come contro Ernapoli.
Er problema, a sviscerà proprio bene bene, non è manco quel
brutto scherzo ai cardiopatici chiamato ruolino di marcia che prevede
ninsensata arternanza fra tracolli e trionfi immune a ogni tentativo de analisi
logica.
Er problema nun è manco che ogni risposta der Santone a ogni
fine gara assuma sempre più le fattezze de na vaga presa per il culo, tanto
dell’intervistatore quanto tua che cerchi de capicce quarcosa.
Ecco, er problema vero, è che noi ce l’avemo tutti, i problemi,
per lo più contemporaneamente.
Tutti tranne uno: nela peggiore dele ipotesi, prima de settembre
2013, a Catania nce se torna più.
Coloni israeliani attaccano i villaggi di Urif e Qusra durante una nevicata
a cura di Luciano Granieri
Mentre noi siamo in attesa
di una nevicata che non sembra, fortunatamente, arrivare mai,
nei pressi di Nablus in Cisgiordania, la coltre bianca ha fatto la sua
inaspettata comparsa. Ma con la neve sono arrivati anche i coloni israeliani
dagli insediamenti abusivi, ad aggredire e sparare sugli abitanti dei villaggi
di Urif e Qusra protetti dall’esercito israeliano. Mentre la
neve per gli abitanti della Cisgiordania è un fatto inusuale, le scorribande devastatrici
dei coloni protetti dall’esercito israeliano sono consuete e ripetute. Di seguito riportiamo la cronaca di quanto
avvenuto il 10 gennaio scorso nei villaggi di Urif e Qusra tratta dal sito http://occupiedpalestine.wordpress.com.
Le foto della clip accompagnata dalla musica di Miles Davis e Joe Lee Hooker
sono delle agenzie ISM Palestine e Qusra
Net
Non appena la
cittadinanza residente attorno a Nablus si è svegliata di fronte
all’insolito scenario del paesaggio ricoperto di neve, coloni israeliani hanno violentemente
aggredito un gruppo di giovanissimi che
si stavano divertendo con la neve nei villaggi di Urif e Qusra.
Due persone sono state colpite alle gambe da proiettili sparati dalle pistole dei coloni e altre sei persone
sono state ricoverate in ospedale colpiti da proiettili d’acciaio rivestiti in
gomma sparati dall’esercito israeliano. A Urif
un gruppo di 35 coloni è sceso
dalla collina della vicina Yizhar, un
insediamento illegale, e ha aggredito alcuni giovani che si stavano
divertendo a gettarsi palle di
neve. Un colono che aveva con se un
pugnale ha tentato di ferire uno di loro , ma è stato fermato in
tempo dagli abitanti. Altri coloni hanno iniziato a sparare e ad
assaltare due case fracassandone le finestre. Poco tempo dopo l’aggressione dei
coloni anche l’esercito israeliano è
sceso dalla collina proteggendo
apertamente i coloni dagli
abitanti che si stavano radunando per difendere il proprio villaggio. Attivisti
di organizzazioni internazionale
per la difesa dei diritti civili giunti
a Urif hanno visto coloni tirare pietre
e li hanno filmati mentre si accingevano a sradicare alberi di ulivo intanto l’esercito israeliano lanciava gas lacrimogeni
e proiettili d’acciaio rivestiti in gomma , per impedire agli attivisti e agli
abitanti di avvicinare i coloni . Mentre l’aggressione continuava, i coloni di nuovo aprivano il foco contro la
popolazione di Urif e hanno colpito un
giovane ad una gamba. Altre cinque
persone sono state ricoverate in ospedale per
le ferite riportate a causa dei proiettili sparati dall’esercito
israeliano. Un simile scenario si è verificato nel villaggio di Qusra, in
cui coloni provenienti dagli
insediamenti abusivi di Esh Kodesh e
Qida , hanno attaccato con un aggressione
svoltasi con le stesse modalità di quanto stava avvenendo a Urif,
alimentando il sospetto che i due
attacchi fossero coordinati. Cinquanta
coloni si erano radunati sulla collina per controllare Qusra dall’alto e cinque
di loro tre dei quali armati di fucili sono scesi al villaggio. I primi cinque coloni
si sono diretti verso una delle case ai
margini del paese come se avessero
pianificato un certo numero di assalti . Non appena i giovani che stavano
giocando a palle di neve sono accorsi per difendere l’abitazione i coloni hanno
iniziato a sparare con i loto fucili M-16. Ammar un ragazzo di 21 anni è rimasto ferito ad una
gamba dopo che il proiettile ha trapassato il telefonino che aveva in tasca. I
coloni hanno continuato a sparare agli amici di Ammar che stavano provando a
sottrarlo allo scenario di fuoco . Ammar
ora è attualmente sotto i ferri dei chirurghi a causa delle ferite arrecate dai
proiettili. Nello stesso momento una dozzina di soldati israeliani hanno
iniziato a radunarsi in cima alla collina mentre i coloni invadevano i campi
per distruggere gli alberi di ulivo. Solo questa mattina sono state distrutte
188 piante. Alcuni di questi alberi
avevano più di venti anni . Erano stati curati e fatti crescere con fatica e dedizione. Quando gli abitanti di Qusra si sono scagliati contro i coloni sono stati
investiti dai gas lacrimogeni e dai proiettili d’acciaio rivestiti in gomma
sparati dai soldati israeliani attestati sulla collina. Il bilancio parla di un
ferito fra gli abitanti ricoverato in ospedale colpito ad una gamba . Le aggressioni di coloni ed
esercito Israeliani non sono fatti nuovi
sia per Urif che per Qusra . Urif è stata attaccata quasi
quotidianamente nello scorso mese e mezzo . Con i coloni che hanno assaltato scuole e case in svariate parti del
villaggio . Queste aggressioni sono spesso sono seguite da incursioni dei soldati israeliani
nel villaggio le cui strade e case sono
state regolarmente invase dai gas lacrimogeni . Venti donne incinte hanno
dovuto subire aborti spontanei a causa dell’ intossicazione da gas lacrimogeni .
Inoltre i soldati spesso arrivano di notte , gridando attraverso dei megafoni ,
lanciando granate assordanti e attivando delle sirene , per privare le persone
del sonno . Qusra è stata attaccata
quattro volte in poche settimane , nele aggressioni i
coloni hanno divelto migliaia di alberi di ulivo hanno assalito un’ambulanza
della Mezza luna Rossa e picchiato gli abitanti del villaggio. Recenti graffiti
offensivi in ebraico erano ancora visibili sui muri della moschea ancora oggi,
un anno e mezzo dopo essere stata
oggetto di un incendio doloso.
Neve a Frosinone
Luciano Granieri
Mercoledì 16 gennaio Frosinone coperta dalla neve |
L’ufficio meteo della protezione
civile , così come tutti i bollettini metereologici d’Italia, ha previsto per
oggi l’arrivo della neve. Nevicate erano attese in pianura al nord e in collina al centro.
Frosinone sta in collina? Non mi pare anche se la città alta è un po’ più in su
del livello del mare. A me sembra di abitare
in pianura. Infatti nel capoluogo ciociaro la neve come previsto non è caduta. Viene da chiedersi se l’ordinanza
del sindaco Ottaviani di chiudere le scuole sia dovuta ad un amnesia
altimetrica o a una sorta di fobia di
derivazione alemaniana. Fatto sta che tenere
chiuse gli istituti scolastici oggi ha arrecato danno, al normale svolgimento della didattica
e anche al normale corso della vita dei cittadini. Le famiglie in cui i
genitori svolgono entrambi un lavoro, avranno avuto difficoltà. Infatti a
lavorare si è dovuto andare comunque, perché
le normali attività sono proseguite e proseguono ancora, con il problema però
di trovare qualcuno per accudire i bimbi
che non sono potuti andare a scuola o all’asilo per un tormenta di neve
derubricata a normale pioggia. Domani nevicherà ancora in montagna, anche
dopodomani e anche il giorno dopo. Quando riapriranno le scuole? A marzo? No meglio essere prudenti, facciamo
passare le vacanze di pasqua. Comunque non c’è nulla da stupirsi, questo è il
nuovo corso di chi ha una responsabilità amministrativa e giuridica. Nevica in
montagna? I sindaci chiudono le scuole anche in pianura. A Bergamo a seguito di
una violenza sessuale subita da una ventiquattrenne incinta il procuratore capo della repubblica Francesco Dettori ha auspicato che le donne non
escano più da sole. Di questo passo se aumentano gli scippi si farà divieto
alle signore di uscire con la borsetta, sarà
normale che gli anziani vadano a ritirare la pensione scortati da
corpulente body gard per evitare di
venire derubati. Per scongiurare le
rapine nelle banche queste dovranno restare chiuse…. No scusate dimenticavo che
in banca la rapina può essere bidirezionale, dal bandito all’istituto ma anche
dall’istituto verso il cliente. Questo è legale quindi togliete l’esempio delle
banche.
Pcl, la solitudine dell'ultima falce e martello
Daniela Preziosi, da "il manifesto" del 15/01/2013
Ce n'è per Berlusconi, ovviamente, «il capitalista reazionario»; per Monti, «l'agenda del capitalismo italiano»; per «il liberale Bersani» che «ha votato tutte le peggiori misure antioperaie» e si presenta «da un lato all'elettorato popolare come difensore del lavoro, avendo bisogno dei voti dei lavoratori; dall'altro ai poteri forti interni e internazionali come massimo garante dell'agenda di Monti». Ma il segretario del Partito comunista dei lavoratori Marco Ferrando ce l'ha, e parecchio, anche con le sinistre: quella di Vendola che «svende», la cui partita nell'alleanza di centrosinistra «è già segnata»; ma anche la sinistra radunata intorno al magistrato Ingroia la cui coalizione - spiega - è «peggio della disastrosa operazione Arcobaleno del 2008», è «l'8 settembre della sinistra italiana», «una lista di attesa per entrare nel centrosinistra», «una lista giustizialista, comprensiva del liberal questurino Di Pietro: in cui la sinistra si scioglie». E infine ha un programma «arlecchino evanescente».
Queste le coordinate cartesian-politiche dell'unica falcemartello che a questo giro troveremo nella scheda elettorale. O quasi: il Viminale potrebbe dire sì, nella sola Puglia, a quella di Alternativa comunista, e a quella della Sinistra popolare di Marco Rizzo, sempreché poi arrivino le firme. Prc e Pdci stavolta invece lasciano gli attrezzi in sezione e si presentano sotto l'insegna della Rivoluzione civile di Ingroia.
Quella del Pcl è una falcemartello di derivazione demoproletaria, come Ferrando. Trozkista, filosofo, genovese, il suo partito è uno dei rivoli dell'ex fiumana della prima Rifondazione. Da dove è uscito nel 2006, dopo aver definito «un diritto degli iracheni insorgere contro gli eserciti occupanti»; era fresca la memoria dalla strage dei militari italiani a Nassirya. Doveva essere eletto nelle liste del Prc, fu scarpato via. Tanto non sarebbe durata: era contrario all'alleanza con Prodi, dal '99 aveva pianificato la scissione appena il Prc avesse lasciato l'opposizione. Contrario all'alleanza con i «liberali borghesi» di derivazione ex Pci Ferrando è sempre stato. Sin dai tempi, sin dal '98, quando la Rifondazione bertinottiana aveva fatto «finalmente» cadere il primo governo Prodi: ma non per questo, alla conta interna che mise in minoranza Armando Cossutta, il trozkista Ferrando volle sommare i voti della sua corrente con quelli del segretario, a differenza dell'altra minoranza trozkista, guidata allora da Livio Maitan.
Presente in forza e bandiere in ogni corteo della sinistra, il Pcl non si allea mai: non per principio ma per principi. Difficile trovare compagni di strada sulla via della nazionalizzazione delle banche o delle fabbriche. O forse non è per questo: dallo scoppio della crisi le nazionalizzazioni non sono più un tabù neanche per i nobel dell'economica. Resta tabù invece allearsi con Ferrando per tutto il resto della sinistra: non sia mai si dovesse inciampare in una dichiarazione furiosamente antisionista; o nella richiesta alla Fiom «di prendere la testa dell'esplosione sociale e dare una spallata al padronato»; e di costituire «un parlamento dei lavoratori e delle sinistre».
Così andrà anche alle prossime politiche. Lunedì a Roma il Pcl presenta le sue liste. Sarà quasi ovunque. Ovunque da solo benché «contro le lotte isolate e le iniziative simboliche». Con un programma rivoluzionario, ma considerando «mimetismo trasformista» la rivoluzione civile dei compagni rosso-arancione. Per raccogliere i suoi testardi voti d'irriducibile opposizione alla «la repubblica dei capitalisti». Per «la repubblica dei lavoratori». Per «liberare la società dalla dittatura di industriali e banchieri e Vaticano». Duecentomila all'ultimo giro. Ma stavolta più delle altre scommettendo sulla solitudine dell'ultima falcemartello.
martedì 15 gennaio 2013
Rivoluzione civile o rivoluzione socialista ?
Francesco Ricci , Partito di Alternativa Comunista
E' impressionante quanto sta succedendo. La
rapidità della deriva a destra di quanto resta della sinistra riformista fa
impressione anche a chi, come noi, ha analizzato da anni la crisi della
socialdemocrazia, cioè della sinistra orientata verso la collaborazione di
classe (in altre parole Rifondazione, Pdci e dintorni).
Un progetto
burocratico perseguito con metodo
L'ostinazione con cui il gruppo dirigente
della sinistra riformista ha perseguito il suo progetto meriterebbe ammirazione:
se quel progetto non fosse stato in questi anni e non fosse nei prossimi mesi il
principale ostacolo che i lavoratori e i giovani incontrano nel tentativo di
sviluppare le lotte contro gli attacchi dei governi padronali.
Con corsa a scatti e arresti, salti in alto e in lungo, strisciando e a zig zag, persino col passo del giaguaro, il gruppo dirigente di Rifondazione ha avanzato in ogni modo in questi anni verso il proprio traguardo. Non si trattava (e non si tratta) di "uscire dalla marginalità" cui quel partito sarebbe costretto dopo l'esclusione dal parlamento. No, questa è la versione che viene ammannita agli attivisti che ancora con notevoli sacrifici mandano avanti il partito. La realtà è un'altra: lo strato burocratico, composto da centinaia di eletti nelle istituzioni borghesi ai vari livelli (dalle giunte locali in su) e da un apparato di funzionari abnorme, questo strato burocratico ingigantitosi negli anni di vacche grasse, durante la partecipazione del Prc ai due governi Prodi (1996-1998, 2006-2008), quel settore di grandi e piccoli privilegiati, ha cercato e cerca in ogni modo di preservare o riguadagnare quei piccoli o grandi privilegi d'apparato.
Come ricordava Trotsky, e come ha spiegato più di cento anni fa molto bene anche Rosa Luxemburg, le teorizzazioni riformiste non nascono nella testa dei teorici riformisti ma nella pancia delle burocrazie. Il sostenere - come i dirigenti di Rifondazione hanno fatto per anni - la possibilità di pungolare, ancorare a sinistra, riorientare, influenzare, contaminare un governo borghese al servizio di industriali e banchieri (come furono i due governi Prodi, come sarà il prossimo possibile governo Bersani) è prima ancora che una teoria stravagante una esigenza materiale per la burocrazia dirigente. Non è un fatto nuovo: l'essenza stessa della socialdemocrazia di ogni epoca consiste nella svendita degli interessi e delle lotte dei lavoratori in cambio di concessioni marginali per i lavoratori e di un posto per i burocrati alla tavola della borghesia.
Con corsa a scatti e arresti, salti in alto e in lungo, strisciando e a zig zag, persino col passo del giaguaro, il gruppo dirigente di Rifondazione ha avanzato in ogni modo in questi anni verso il proprio traguardo. Non si trattava (e non si tratta) di "uscire dalla marginalità" cui quel partito sarebbe costretto dopo l'esclusione dal parlamento. No, questa è la versione che viene ammannita agli attivisti che ancora con notevoli sacrifici mandano avanti il partito. La realtà è un'altra: lo strato burocratico, composto da centinaia di eletti nelle istituzioni borghesi ai vari livelli (dalle giunte locali in su) e da un apparato di funzionari abnorme, questo strato burocratico ingigantitosi negli anni di vacche grasse, durante la partecipazione del Prc ai due governi Prodi (1996-1998, 2006-2008), quel settore di grandi e piccoli privilegiati, ha cercato e cerca in ogni modo di preservare o riguadagnare quei piccoli o grandi privilegi d'apparato.
Come ricordava Trotsky, e come ha spiegato più di cento anni fa molto bene anche Rosa Luxemburg, le teorizzazioni riformiste non nascono nella testa dei teorici riformisti ma nella pancia delle burocrazie. Il sostenere - come i dirigenti di Rifondazione hanno fatto per anni - la possibilità di pungolare, ancorare a sinistra, riorientare, influenzare, contaminare un governo borghese al servizio di industriali e banchieri (come furono i due governi Prodi, come sarà il prossimo possibile governo Bersani) è prima ancora che una teoria stravagante una esigenza materiale per la burocrazia dirigente. Non è un fatto nuovo: l'essenza stessa della socialdemocrazia di ogni epoca consiste nella svendita degli interessi e delle lotte dei lavoratori in cambio di concessioni marginali per i lavoratori e di un posto per i burocrati alla tavola della borghesia.
Ma questo scambio (a perdere per i
lavoratori) ha funzionato in epoche in cui la borghesia aveva ancora qualcosa da
concedere e i rapporti di forza internazionali erano differenti per l'esistenza
degli Stati operai degenerati o deformati. In una situazione totalmente diversa
e tanto più negli anni della più brutale crisi del capitalismo, la musica è
cambiata. Il compito dei governi borghesi (di centrodestra, centro o
centrosinistra) non è quello di fare concessioni (fossero pure marginali) ma
piuttosto quello di riprendersi indietro tutto, smantellando quello Stato
sociale concesso in epoca diversa per evitare rivoluzioni.
Di qui la crisi irreversibile di ogni progetto socialdemocratico. E di qui la inevitabile crisi di Rifondazione che ha portato alla sua esplosione, alle varie scissioni fino alla rottura in due di quel partito con la uscita di Vendola che andava a costituire Sel.
Anche se in due schieramenti elettorali diversi, anche se con forme parzialmente diverse, con un linguaggio e parole in parte diversi, l'obiettivo tanto del gruppo dirigente di Sel come di quello di Rifondazione è comune: rientrare dalla porta principale o da quella di servizio nel governo o nella sua maggioranza e riguadagnare eletti nel prossimo parlamento. Non per usare (come farebbero dei rivoluzionari) anche quella tribuna secondaria (rispetto alla lotta di piazza e di fabbrica) per sviluppare le lotte dei lavoratori, la loro indipendenza dalla borghesia, dai suoi governi, dai suoi interessi contrapposti: no, solo per potersi avvicinare di nuovo alla mangiatoia.
Di qui la crisi irreversibile di ogni progetto socialdemocratico. E di qui la inevitabile crisi di Rifondazione che ha portato alla sua esplosione, alle varie scissioni fino alla rottura in due di quel partito con la uscita di Vendola che andava a costituire Sel.
Anche se in due schieramenti elettorali diversi, anche se con forme parzialmente diverse, con un linguaggio e parole in parte diversi, l'obiettivo tanto del gruppo dirigente di Sel come di quello di Rifondazione è comune: rientrare dalla porta principale o da quella di servizio nel governo o nella sua maggioranza e riguadagnare eletti nel prossimo parlamento. Non per usare (come farebbero dei rivoluzionari) anche quella tribuna secondaria (rispetto alla lotta di piazza e di fabbrica) per sviluppare le lotte dei lavoratori, la loro indipendenza dalla borghesia, dai suoi governi, dai suoi interessi contrapposti: no, solo per potersi avvicinare di nuovo alla mangiatoia.
Mille tentativi e infine devono...
ingroiare
Come segnalammo già al momento della
scissione di Vendola da Rifondazione (2009), quella che da molti fu accredita
come una "svolta a sinistra" della "nuova" Rifondazione di Ferrero era solo una
ritirata necessaria per riprendere il prima possibile l'avanzata (verso il
governo borghese, s'intende). Negli ultimi anni, pur fuori dal parlamento e poi
costretta a una "opposizione" (di cui nessuno si è accorto) al governo Monti,
Rifondazione non ha mai cessato di preservare il rapporto col Pd, in vista di un
terzo giro con un futuro governo di centrosinistra. La lealtà con cui
Rifondazione ha governato a livello locale, in regioni province e comuni,
insieme al Pd, significava al contempo la conservazione di un po' di poltrone di
secondo livello ma anche curare il terreno su cui far rifiorire una più
interessante e proficua relazione nazionale.
Il "patto democratico" proposto da Ferrero (come sempre "per battere le destre"), le patetiche "videolettere a Nichi", eccetera eccetera, dovevano riaprire quella porta che si era chiusa sulle dita dei dirigenti di Rifondazione. Ma il crollo di Rifondazione nei sondaggi e la contemporanea crescita di Sel come una sorta di sinistra esterna al Pd hanno favorito un patto Bersani-Vendola che non lasciava nessun ruolo, neppure secondario, ai dirigenti di Rifondazione. A quel punto è nato il sogno di una "Syriza italiana" (per usare l'espressione di Ferrero), la speranza che Rifondazione, nel quadro del marasma politico e della crisi economica crescente, potesse porsi al centro di una riaggregazione di forze, attorno a un programma riformista (come è quello di Syriza). Ma anche questo progetto è sfumato: a crescere nella sinistra riformista, togliendo ogni altro spazio, erano solo Sel di Vendola, l'Idv di Di Pietro (sempre più attenta ai rapporti con la Fiom, curati dall'ex rifondarolo Zipponi).
A quel punto (siamo a qualche mese fa) Ferrero doveva prendere atto che non solo non si davano ipotesi di rientrare dalla porta principale (rapporto col Pd) o da quella secondaria (relazione con Sel o con una sua area disponibile al confronto) ma risultavano sbarrate anche tutte le finestre (riaggregazione di spezzoni secondari, vedi Movimento No Debito su cui torniamo tra poco). Erano i giorni in cui Ferrero inviava disperati messaggi financo al comico reazionario Grillo: "non abbiamo differenze programmatiche di fondo".
Gli imprevisti scandali sul finanziamento e la conseguente crisi dell'Idv di Di Pietro (anch'essa emarginata dal Pd) hanno riaperto la possibilità di mettere insieme tutto quanto veniva escluso dall'asse Bersani-Vendola. In poche settimane si sono moltiplicate le sigle di aggregazioni più o meno consistenti. Non è qui il caso di fare la storia di Alba, Cambiare si può, Io ci sto e delle relative assemblee nazionali.
Basti dire che - a differenza di quanto pare aver compreso con un certo ritardo Sinistra Critica - mai in nessun momento da questo crogiolo poteva uscire uno schieramento di classe, effettivamente indipendente dal Pd e dal prossimo governo borghese orientato dal Pd. L'unica cosa che poteva uscire è poi uscita: Ingroia.
Il "patto democratico" proposto da Ferrero (come sempre "per battere le destre"), le patetiche "videolettere a Nichi", eccetera eccetera, dovevano riaprire quella porta che si era chiusa sulle dita dei dirigenti di Rifondazione. Ma il crollo di Rifondazione nei sondaggi e la contemporanea crescita di Sel come una sorta di sinistra esterna al Pd hanno favorito un patto Bersani-Vendola che non lasciava nessun ruolo, neppure secondario, ai dirigenti di Rifondazione. A quel punto è nato il sogno di una "Syriza italiana" (per usare l'espressione di Ferrero), la speranza che Rifondazione, nel quadro del marasma politico e della crisi economica crescente, potesse porsi al centro di una riaggregazione di forze, attorno a un programma riformista (come è quello di Syriza). Ma anche questo progetto è sfumato: a crescere nella sinistra riformista, togliendo ogni altro spazio, erano solo Sel di Vendola, l'Idv di Di Pietro (sempre più attenta ai rapporti con la Fiom, curati dall'ex rifondarolo Zipponi).
A quel punto (siamo a qualche mese fa) Ferrero doveva prendere atto che non solo non si davano ipotesi di rientrare dalla porta principale (rapporto col Pd) o da quella secondaria (relazione con Sel o con una sua area disponibile al confronto) ma risultavano sbarrate anche tutte le finestre (riaggregazione di spezzoni secondari, vedi Movimento No Debito su cui torniamo tra poco). Erano i giorni in cui Ferrero inviava disperati messaggi financo al comico reazionario Grillo: "non abbiamo differenze programmatiche di fondo".
Gli imprevisti scandali sul finanziamento e la conseguente crisi dell'Idv di Di Pietro (anch'essa emarginata dal Pd) hanno riaperto la possibilità di mettere insieme tutto quanto veniva escluso dall'asse Bersani-Vendola. In poche settimane si sono moltiplicate le sigle di aggregazioni più o meno consistenti. Non è qui il caso di fare la storia di Alba, Cambiare si può, Io ci sto e delle relative assemblee nazionali.
Basti dire che - a differenza di quanto pare aver compreso con un certo ritardo Sinistra Critica - mai in nessun momento da questo crogiolo poteva uscire uno schieramento di classe, effettivamente indipendente dal Pd e dal prossimo governo borghese orientato dal Pd. L'unica cosa che poteva uscire è poi uscita: Ingroia.
Natura e fini
della lista Ingroia-Rifondazione-Idv
Parafrasando una vecchia pubblicità, per
descrivere questa "novità" basta la parola. E non ci riferiamo tanto al nome di
Ingroia che campeggia a caratteri cubitali nel simbolo della coalizione ma al
mestiere di Ingroia fino all'altro ieri. Solo la deriva anche culturale
provocata dalla sinistra riformista ha consentito che in ampi settori di
lavoratori si dimenticasse il ruolo che da sempre svolgono i magistrati nello
Stato borghese. L'esaltazione per i vari Falcone e Borsellino, e poi per Di
Pietro, De Magistris, ora Ingroia ecc., è il frutto della sistematica
cancellazione di ogni analisi classista dello Stato e dei suoi apparati
repressivi. Negli anni Settanta i magistrati venivano definiti nel movimento
"ermellini da guardia". Oggi, grazie ai disastri ideologici prodotti dai
riformisti, vengono visti anche da tanti lavoratori e giovani come un baluardo
contro il dilagare della corruzione politica: come se non fossero i tutori, in
primo luogo, della proprietà privata e dunque del furto eretto a sistema (il
furto della forza lavoro). Una tutela, quella del capitale e dei suoi interessi,
che i magistrati esercitano, insieme alle varie polizie, quotidianamente, nei
processi ai manifestanti, nell'insabbiamento delle responsabilità dei poliziotti
(poliziotti con cui Ingroia ha solidarizzato in occasione del processo per i
fatti di Genova del 2001), nella copertura degli interessi del padrone contro
l'operaio: utilizzando e applicando la legislazione che non è certo neutrale e
che, persino nei suoi testi apparentemente più avanzati, come la Costituzione
(prodotto di altri rapporti di forza, concessa dalla borghesia al Pci stalinista
in cambio del disarmo della Resistenza e della rivoluzione italiana), pongono
sempre al centro la sacralità della proprietà privata e della sua tutela, e
dunque la schiavitù del lavoro salariato.
Anche volendo ignorare che Ingroia è un uomo degli apparati repressivi borghesi, Rivoluzione civile ha un programma che parla da solo. Un programma di classe: nel senso che prende posizione nella lotta di classe per uno dei due schieramenti: quello borghese.
I "dieci punti" enunciati da Ingroia di ritorno dal Guatemala quando, con notevole arroganza e parlando di sé in terza persona, ha presentato la sua lista, sono inequivocabili. Al centro di tutto, fin dal primo punto, è il concetto di "legalità" (temperato con quello di "solidarietà"). Si cavalca l'idea che il problema vero non sia la corruzione del sistema borghese in sé, il suo essere fondato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ma piuttosto il suo funzionamento deteriore, la corruzione che costantemente sgorga (e non potrebbe essere diversamente) dalla sua gestione politica. Come chiarisce il punto 8, l'obiettivo sono "i partiti" ("vogliamo che escano da tutti i consigli di amministrazione") non la borghesia che sta dietro i partiti borghesi. Nel programma di Ingroia le classi e la loro lotta a morte spariscono, sostituiti dai "cittadini", tutti uguali, padroni e operai, tutti interessati solo a liberarsi dai politici corrotti e dalla criminalità organizzata. Per essere precisi, in realtà, una classe compare in questo programma: non sono i lavoratori ma gli "imprenditori" (che noi chiamiamo padroni). Al punto 6 è detto: " Vogliamo che gli imprenditori possano sviluppare progetti, ricerca e prodotti senza essere soffocati dalla finanza, dalla burocrazia e dalle tasse." Un obiettivo che non sfigurerebbe neppure in una lista di liberisti dichiarati!
Ma quali sono i fini di questa lista che si richiama a una "Rivoluzione civile", questa coalizione che unisce Rifondazione, Pdci, Idv, Verdi, Arancioni del sindaco di Napoli De Magistris?
L'obiettivo strategico dichiarato fin dal simbolo è quello di una "rivoluzione civile": cioè una rivoluzione non sociale (non insomma come quelle che stanno coraggiosamente conducendo le masse dei Paesi africani e del Medio Oriente) ma mera espressione della cosiddetta "società civile" che si ribella contro politici corrotti e criminali invocando una società capitalista onesta. Una società cioè, traduciamo noi, in cui i padroni possano sfruttare gli operai, ricattare precari e disoccupati, fare le loro guerre di rapina coloniale, distruggere l'ambiente, senza dover pagare i troppo cari costi di gestione di un sistema politico corrotto. Come se fosse possibile separare il capitalismo dalla sua gestione, i profitti "puliti" da quelli sporchi.
L'obiettivo tattico (diciamo meglio: l'unico obiettivo), coperto dal nome altisonante e dal povero Quarto stato schiacciato nel simbolo dal nome del magistrato borghese, è più prosaicamente superare la soglia di sbarramento e ottenere quella manciata di parlamentari che consentiranno non solo di ripianare il deficit di burocrazie in forte difficoltà (Rifondazione è alla vendita delle sedi) ma anche di rientrare in qualche modo nella ipotetica maggioranza di governo a guida Bersani.
Il più esplicito a annunciare da subito la disponibilità nei confronti del Pd è stato Oliviero Diliberto (che, come i cani di Pavlov, inizia a sbavare anche soltanto al suono della campanella che annuncia il riempimento della mangiatoia). Peraltro, come ricorda col consueto cinismo Diliberto, tutta l'allegra brigata che sostiene l'ermellino da guardia è già stata al governo persino con Mastella, quando Paolo Ferrero faceva il ministro "alla solidarietà sociale" in quel governo imperialista: perché dovrebbero sottrarsi adesso?
Ingroia è stato non meno esplicito: al Capranica, il 22 dicembre: "Non ho preclusioni ideologiche (...) Spero che neppure il Pd ne abbia (...) non facciamo testimonianza, vogliamo governare" (sottolineatura nostra). E lo stesso Ferrero, pur impegnato a far digerire l'operazione ai militanti, evidenziando le "correzioni" fatte al programma iniziale (un paio di aggettivi e due virgole), ci tiene a precisare in ogni intervista alla stampa che il nemico da battere sono come sempre "le destre" e che dopo le elezioni (dove necessariamente questi rivoluzionari "civili" corrono da soli) si ridiscuterà sul tutto (chiaramente in nome di politiche "antiliberiste"... da contrattare con banchieri e industriali).
Anche volendo ignorare che Ingroia è un uomo degli apparati repressivi borghesi, Rivoluzione civile ha un programma che parla da solo. Un programma di classe: nel senso che prende posizione nella lotta di classe per uno dei due schieramenti: quello borghese.
I "dieci punti" enunciati da Ingroia di ritorno dal Guatemala quando, con notevole arroganza e parlando di sé in terza persona, ha presentato la sua lista, sono inequivocabili. Al centro di tutto, fin dal primo punto, è il concetto di "legalità" (temperato con quello di "solidarietà"). Si cavalca l'idea che il problema vero non sia la corruzione del sistema borghese in sé, il suo essere fondato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ma piuttosto il suo funzionamento deteriore, la corruzione che costantemente sgorga (e non potrebbe essere diversamente) dalla sua gestione politica. Come chiarisce il punto 8, l'obiettivo sono "i partiti" ("vogliamo che escano da tutti i consigli di amministrazione") non la borghesia che sta dietro i partiti borghesi. Nel programma di Ingroia le classi e la loro lotta a morte spariscono, sostituiti dai "cittadini", tutti uguali, padroni e operai, tutti interessati solo a liberarsi dai politici corrotti e dalla criminalità organizzata. Per essere precisi, in realtà, una classe compare in questo programma: non sono i lavoratori ma gli "imprenditori" (che noi chiamiamo padroni). Al punto 6 è detto: " Vogliamo che gli imprenditori possano sviluppare progetti, ricerca e prodotti senza essere soffocati dalla finanza, dalla burocrazia e dalle tasse." Un obiettivo che non sfigurerebbe neppure in una lista di liberisti dichiarati!
Ma quali sono i fini di questa lista che si richiama a una "Rivoluzione civile", questa coalizione che unisce Rifondazione, Pdci, Idv, Verdi, Arancioni del sindaco di Napoli De Magistris?
L'obiettivo strategico dichiarato fin dal simbolo è quello di una "rivoluzione civile": cioè una rivoluzione non sociale (non insomma come quelle che stanno coraggiosamente conducendo le masse dei Paesi africani e del Medio Oriente) ma mera espressione della cosiddetta "società civile" che si ribella contro politici corrotti e criminali invocando una società capitalista onesta. Una società cioè, traduciamo noi, in cui i padroni possano sfruttare gli operai, ricattare precari e disoccupati, fare le loro guerre di rapina coloniale, distruggere l'ambiente, senza dover pagare i troppo cari costi di gestione di un sistema politico corrotto. Come se fosse possibile separare il capitalismo dalla sua gestione, i profitti "puliti" da quelli sporchi.
L'obiettivo tattico (diciamo meglio: l'unico obiettivo), coperto dal nome altisonante e dal povero Quarto stato schiacciato nel simbolo dal nome del magistrato borghese, è più prosaicamente superare la soglia di sbarramento e ottenere quella manciata di parlamentari che consentiranno non solo di ripianare il deficit di burocrazie in forte difficoltà (Rifondazione è alla vendita delle sedi) ma anche di rientrare in qualche modo nella ipotetica maggioranza di governo a guida Bersani.
Il più esplicito a annunciare da subito la disponibilità nei confronti del Pd è stato Oliviero Diliberto (che, come i cani di Pavlov, inizia a sbavare anche soltanto al suono della campanella che annuncia il riempimento della mangiatoia). Peraltro, come ricorda col consueto cinismo Diliberto, tutta l'allegra brigata che sostiene l'ermellino da guardia è già stata al governo persino con Mastella, quando Paolo Ferrero faceva il ministro "alla solidarietà sociale" in quel governo imperialista: perché dovrebbero sottrarsi adesso?
Ingroia è stato non meno esplicito: al Capranica, il 22 dicembre: "Non ho preclusioni ideologiche (...) Spero che neppure il Pd ne abbia (...) non facciamo testimonianza, vogliamo governare" (sottolineatura nostra). E lo stesso Ferrero, pur impegnato a far digerire l'operazione ai militanti, evidenziando le "correzioni" fatte al programma iniziale (un paio di aggettivi e due virgole), ci tiene a precisare in ogni intervista alla stampa che il nemico da battere sono come sempre "le destre" e che dopo le elezioni (dove necessariamente questi rivoluzionari "civili" corrono da soli) si ridiscuterà sul tutto (chiaramente in nome di politiche "antiliberiste"... da contrattare con banchieri e industriali).
Gli orfani del
Comitato No Debito
Prima di concludere, vale la pena dare una
rapida occhiata agli effetti provocati dalla novità Ingroia a sinistra.
Meritano una citazione perlomeno gli articoli intrisi di irritazione di Giorgio Cremaschi, ex presidente del Comitato Centrale della Fiom nonché portavoce (autonominatosi) del cosiddetto Comitato No Debito.
Fin dalla nascita di questo raggruppamento, sorto sulla base di "discriminanti" imposte da Cremaschi e accettate dalle sigle aderenti (Usb, Rifondazione, Sinistra Critica, Pcl, eccetera), in sostanza un programma riformista neokeynesiano (che abbiamo analizzato in altri articoli a cui rimandiamo), mettemmo in guardia i tanti che giustamente parteciparono (come anche noi) alle manifestazioni indette da questo "Comitato". Mettemmo in guardia sia sulle enormi limitazioni della piattaforma (che per questo non abbiamo mai sottoscritto) sia sull'assenza di una struttura democratica, ma segnalammo anche quello che a noi pareva evidente: non vi era da parte di Cremaschi e degli altri autonominatisi dirigenti del Comitato nessuna intenzione di costruire un Comitato nazionale contro il pagamento del debito articolato localmente. L'intenzione che identificammo e denunciammo a più riprese era quella di costruire un raggruppamento che soddisfacesse esigenze diverse ma tutte estranee alla crescita di un movimento: Rifondazione cercava di raggruppare una massa di manovra per contrattare da posizioni migliori il rapporto col Pd-Sel, tenendosi al contempo aperta la possibilità di una aggregazione elettorale attorno al Prc; Sinistra Critica sperava di arrivare a un accordo con Rifondazione; il Pcl di Ferrando era in cerca (come sempre) solo di un palco da cui far parlare l'anziano leader-guru; altri (Usb ecc.) coltivavano il loro personale orticello e Giorgio Cremaschi, ponendosi come federatore dei vari pezzi, generale senza esercito, sperava di poter diventare il candidato di questo arlecchinesco schieramento.
Ma nel giro di pochi giorni Ingroia (sostenuto anche da Arancioni e Di Pietro) ha fatto sfumare questo progetto. Rifondazione (che poi era la forza che portava il grosso dei manifestanti in piazza) non ha esitato a buttare a mare tutto, preferendo uno schieramento più largo che offre maggiori opportunità di superare la soglia di sbarramento. Così a Cremaschi non resta che lamentarsi: "Affermo questo con la rabbia di chi insieme a tanti altri ha provato per un anno a costruire sul campo una forza ed una risposta alternativa. E che ha visto il 31 marzo a Milano e soprattutto il 27 ottobre a Roma delinearsi una possibilità reale di successo. Ma non è andata così (...)."
Mentre scriviamo, Cremaschi insiste perché "si corregga in fretta" il programma della nuova lista e, per parte sua, si dà disponibile a dare suggerimenti... Che consistono nel relativizzare le idee ingroiane sulla crisi come derivato della criminalità e nel prospettare piuttosto "un gigantesco intervento pubblico nell'economia", "un forte controllo democratico sull'economia", una "nuova politica economica e sociale". In altre parole: il solito minestrone neokeynesiano riscaldato.
Per quanto riguarda Cremaschi, resta solo da capire se la lista di Ingroia è interessata ai suoi dotti suggerimenti e gli vuole accordare una candidatura. Ma questo evidentemente poco ci interessa. Per quanto riguarda invece il Comitato No Debito, con ogni evidenza ha esaurito la sua funzione nel momento stesso in cui è spuntata la candidatura di Ingroia al posto di quella di Cremaschi...
Meritano una citazione perlomeno gli articoli intrisi di irritazione di Giorgio Cremaschi, ex presidente del Comitato Centrale della Fiom nonché portavoce (autonominatosi) del cosiddetto Comitato No Debito.
Fin dalla nascita di questo raggruppamento, sorto sulla base di "discriminanti" imposte da Cremaschi e accettate dalle sigle aderenti (Usb, Rifondazione, Sinistra Critica, Pcl, eccetera), in sostanza un programma riformista neokeynesiano (che abbiamo analizzato in altri articoli a cui rimandiamo), mettemmo in guardia i tanti che giustamente parteciparono (come anche noi) alle manifestazioni indette da questo "Comitato". Mettemmo in guardia sia sulle enormi limitazioni della piattaforma (che per questo non abbiamo mai sottoscritto) sia sull'assenza di una struttura democratica, ma segnalammo anche quello che a noi pareva evidente: non vi era da parte di Cremaschi e degli altri autonominatisi dirigenti del Comitato nessuna intenzione di costruire un Comitato nazionale contro il pagamento del debito articolato localmente. L'intenzione che identificammo e denunciammo a più riprese era quella di costruire un raggruppamento che soddisfacesse esigenze diverse ma tutte estranee alla crescita di un movimento: Rifondazione cercava di raggruppare una massa di manovra per contrattare da posizioni migliori il rapporto col Pd-Sel, tenendosi al contempo aperta la possibilità di una aggregazione elettorale attorno al Prc; Sinistra Critica sperava di arrivare a un accordo con Rifondazione; il Pcl di Ferrando era in cerca (come sempre) solo di un palco da cui far parlare l'anziano leader-guru; altri (Usb ecc.) coltivavano il loro personale orticello e Giorgio Cremaschi, ponendosi come federatore dei vari pezzi, generale senza esercito, sperava di poter diventare il candidato di questo arlecchinesco schieramento.
Ma nel giro di pochi giorni Ingroia (sostenuto anche da Arancioni e Di Pietro) ha fatto sfumare questo progetto. Rifondazione (che poi era la forza che portava il grosso dei manifestanti in piazza) non ha esitato a buttare a mare tutto, preferendo uno schieramento più largo che offre maggiori opportunità di superare la soglia di sbarramento. Così a Cremaschi non resta che lamentarsi: "Affermo questo con la rabbia di chi insieme a tanti altri ha provato per un anno a costruire sul campo una forza ed una risposta alternativa. E che ha visto il 31 marzo a Milano e soprattutto il 27 ottobre a Roma delinearsi una possibilità reale di successo. Ma non è andata così (...)."
Mentre scriviamo, Cremaschi insiste perché "si corregga in fretta" il programma della nuova lista e, per parte sua, si dà disponibile a dare suggerimenti... Che consistono nel relativizzare le idee ingroiane sulla crisi come derivato della criminalità e nel prospettare piuttosto "un gigantesco intervento pubblico nell'economia", "un forte controllo democratico sull'economia", una "nuova politica economica e sociale". In altre parole: il solito minestrone neokeynesiano riscaldato.
Per quanto riguarda Cremaschi, resta solo da capire se la lista di Ingroia è interessata ai suoi dotti suggerimenti e gli vuole accordare una candidatura. Ma questo evidentemente poco ci interessa. Per quanto riguarda invece il Comitato No Debito, con ogni evidenza ha esaurito la sua funzione nel momento stesso in cui è spuntata la candidatura di Ingroia al posto di quella di Cremaschi...
Lo sviluppo
delle lotte non c'entra nulla con Ingroia e Ferrero
Da quanto abbiamo detto fin qui emerge con
chiarezza un punto: la Rivoluzione civile di Ingroia, Ferrero, Diliberto,
Bonelli, Di Pietro e De Magistris non c'entra nulla con le necessità di
sviluppare anche in Italia, sull'esempio di quanto sta accadendo in altre parti
d'Europa, una grande mobilitazione unitaria di lavoratori e giovani contro le
politiche dei banchieri. E' così. Le burocrazie della sinistra riformista,
governista, non sono interessate alla lotta di classe ma piuttosto ai
possibili frutti della collaborazione di classe. Per loro le lotte sono
utili solo nella misura in cui possono fungere da trampolino di lancio verso
qualche poltrona. In questa constatazione sta racchiusa la storia della
socialdemocrazia di decenni.
La riflessione e la lotta di chi vuole costruire una mobilitazione in grado di confrontarsi col prossimo governo borghese che inevitabilmente uscirà dalle urne (chiunque sia il vincitore) è ispirata da un altro orizzonte. Non un orizzonte di collaborazione di classe ma di indipendenza e di lotta di classe, non l'alternarsi ciclico di governi dei diversi poli borghesi ma l'alternativa di potere dei lavoratori. E' un progetto che deve trovare alimento e ispirazione non dalle squallide manovre elettorali dei vari Ferrero ma dalle lotte rivoluzionarie in Egitto e Siria, dall'ascesa del movimento operaio spagnolo e greco.
Non avendo la presunzione di costruire da soli questa alternativa di classe che manca, essendo convinti che il Pdac (e le altre sezioni della Lit nel mondo) sono solo uno strumento per costruire quel partito di lotta, comunista e rivoluzionario, internazionalista e internazionale di cui c'è bisogno, di questi temi stiamo discutendo nei congressi locali del Pdac, nelle decine di assemblee che stiamo facendo in giro per l'Italia, nel confronto con gruppi e singoli compagni che sono come noi impegnati quotidianamente nelle lotte operaie e studentesche.
Questi temi saranno il centro del dibattito del nostro III Congresso nazionale, che si svolgerà nell'ultimo fine settimana di gennaio a Rimini.
La riflessione e la lotta di chi vuole costruire una mobilitazione in grado di confrontarsi col prossimo governo borghese che inevitabilmente uscirà dalle urne (chiunque sia il vincitore) è ispirata da un altro orizzonte. Non un orizzonte di collaborazione di classe ma di indipendenza e di lotta di classe, non l'alternarsi ciclico di governi dei diversi poli borghesi ma l'alternativa di potere dei lavoratori. E' un progetto che deve trovare alimento e ispirazione non dalle squallide manovre elettorali dei vari Ferrero ma dalle lotte rivoluzionarie in Egitto e Siria, dall'ascesa del movimento operaio spagnolo e greco.
Non avendo la presunzione di costruire da soli questa alternativa di classe che manca, essendo convinti che il Pdac (e le altre sezioni della Lit nel mondo) sono solo uno strumento per costruire quel partito di lotta, comunista e rivoluzionario, internazionalista e internazionale di cui c'è bisogno, di questi temi stiamo discutendo nei congressi locali del Pdac, nelle decine di assemblee che stiamo facendo in giro per l'Italia, nel confronto con gruppi e singoli compagni che sono come noi impegnati quotidianamente nelle lotte operaie e studentesche.
Questi temi saranno il centro del dibattito del nostro III Congresso nazionale, che si svolgerà nell'ultimo fine settimana di gennaio a Rimini.
Note(1) Sul fallimento del progetto di
Cremaschi e del cosiddetto Comitato No Debito si vedano i suoi più recenti
articoli, reperibili su vari siti internet: "Io ci sto, ma per fare che?"
(19/12/12), "Capitalismo e corruzione" (pubblicato a fine anno su
Contropiano).