In un individuo, la sindrome dello schiavo è un comportamento patologico che lo porta a difendere sistematicamente le classi più privilegiate a discapito di quelle da cui proviene egli stesso. Questa sindrome diminuisce le capacità d'analisi dello schiavo e si traduce in un bloccaggio psicologico che lo incita ad agire di preferenza contro i suoi propri interessi al profitto di quelli che lo sfruttano.
2) Analisi dei sintomi
L'amore smisurato che prova lo schiavo nei confronti del padrone, degli azionisti o dei miliardari, è l'atto di fede che contraddistingue il suo discorso. Lo schiavo agisce senza riuscire a distinguere ciò che per lui è un bene, egli intellettualizza il dibattito per tentare di convincerci che attingere dai potenti è sempre la cosa peggiore, quando egli stesso ne è uno dei beneficiari. Gli argomenti economici che invoca senza tregua sono stati utilizzati per forgiare la sua convinzione, la sindrome dello schiavo è purtroppo una vocazione che nasce in giovane età e contro la quale non esiste alcun rimedio. Lo schiavo non ha scelto di amare i potenti, egli ama i potenti semplicemente perché è uno schiavo. Tendenzialmente liberale lo schiavo è colui che esalta la macelleria sociale quando egli stesso non paga le tasse. Lo schiavo vorrebbe sopprimere la tassa sul patrimonio anche se egli non sarà mai toccato dalla questione. Un malato da sindrome dello schiavo non ha coscienza politica, egli vota istintivamente nell'interesse di coloro che lo sfruttano per attirarsi i suoi favori. Lo schiavo stima che il denaro è molto più utile nella cassaforte di un ricco perché sarà in grado di reinvestirlo molto meglio di come lui lo avrebbe speso. Lo schiavo approva tutti i sacrifici ed i piani di austerità, come la riduzione degli stipendi, o l'aumento dell'età pensionabile anche se il suo lavoro non gli piace e i suoi capi non gli offrono alcuna prospettiva di migliorare la sua condizione.
3) Ipotesi sull'origine della sindrome
Due teorie principali si contrappongono per spiegare l'origine della sindrome: la tesi genetica e la patologia mentale.
Dopo secoli di schiavitù e di feudalesimo, lo schiavo potrebbe essere il prodotto di una selezione artificiale di sottomessi dai padroni. La trasmissione genetica dei caratteri avrebbe favorito la selezione di un ceppo di anziani lacchè domestici in favore di una nuova specie di primati: l'homo schiavus.
Secondo questa ipotesi il meccanismo in opera sarebbe simile a la selezione dei cani e dei cavalli ma direttamente applicato all'uomo.
Per i sostenitori della malattia mentale, il carattere ereditario non è ritenuto plausibile, si tratterebbe piuttosto di un disturbo sviluppatosi durante l'infanzia. Il processo si aggraverebbe durante l'età adulta fino al momento in cui il soggetto prende coscienza della mediocrità della sua condizione, lo schiavo svilupperebbe strategie inconsce volte a ripristinare l'equilibrio cognitivo per giustificare l'accettazione alla subordinazione. Lo schiavo finisce inoltre per identificarsi nei suoi padroni immaginari pensando di appartenere alla classe sociale che lo sfrutta.
4) Qualche esempio
Lo schiavo reagisce in maniera veemente a tutte le discussioni che osano rimettere in causa i privilegi dei più fortunati, incapace di argomentare, i suoi messaggi evidenziano la paura e l'intimidazione di cui egli è oggetto. Come reazione principale lo schiavo utilizza istintivamente una serie di termini caratteristici che prova a inserire nei suoi discorsi come per esempio: comunismo, fascismo, antisemitismo, dittatura socialista, evasione fiscale, associazioni umanitarie, rivoluzioni colarate...
I seguenti messaggi spesso contraddistinguono in maniera inequivocabile uno schiavo degno del suo nome:
- Se qualcuno ti presta dei soldi è giusto pagarci un interesse
- È giusto che le banche siano un organismo privato e indipendente
- Il debito ci ha permesso di aumentare il nostro status sociale
- Crimini di guerra? Bhe cosa vi aspettavate la guerra è guerra
- Se difendi i diritti del popolo palestinase sei antisemita
- Io mi fido solo dell'informazione ufficiale
- Leggo Repubblica, il Giornale, Il Foglio e il Corriere
Impresentabili. Sono giorni che questa parola
ridonda nelle vicende elettorali,
Da Crisafulli a Papa, da Cesa a Minzolini, tutti a fare le pulci sulle
liste presentate dai partiti per vedere chi ha più candidati con conti aperte verso la giustizia
. C’è chi epura, ma non troppo, per mera questione morale, che epura,
all’acqua di rose, perché obbligato dai sondaggi. Questa ultima non è una
ragione propriamente morale, ma tocca
farsene una ragione. Personalmente ritengo che la querelle sugli impresentabili posta in questi termini non
dovrebbe neanche esistere. In un paese civile la
questione morale non è prevista , chi viene solamente sospettato di aver commesso un
reato dovrebbe concentrarsi nel risolvere i sui problemi con la giustizia e poi , eventualmente candidarsi . La questione legale e morale non
dovrebbe figurare nei programmi elettorali dei partiti ma nei loro statuti.
Trovo quindi imbarazzante per gli elettori italiani stare a disquisire su un
principio che dovrebbe essere ampiamente
acquisito nell’agire politico.
Preferisco spostare il tema degli “IMPRESENTABILI” su un piano più prettamente
politico e ideologico. Per un povero cristo come me e come tanti che vive di stipendio che ha una famiglia da
tirare avanti, e che comunque è ancora convinto che per riappropriarsi di
diritti acquisiti con decenni di conflitti sia necessaria la cara vecchia lotta di classe, ad essere impresentabili sono quasi
tutti gli schieramenti. Sono impresentabili i fascisti consapevoli di
CasaPound, così come i fascisti inconsapevoli, ma non meno pericolosi, del
movimento 5 stelle. L’antifascismo sia come elemento fondante della nostra
democrazia, sia come principio di vita è un valore fondamentale, per cui chi non lo pratica è
“IMPRESENTABILE”. Proseguiamo con altri
fascisti, quelli legati al Pdl. In questa infetta coalizione sono presenti, oltre ai post fascisti, anche cialtroni maneggioni, ladri, puttanieri d lungo corso , matrone
rifatte, allegre donnine passate dalla carriera di letto alla carriera politica
tutte starnazzanti in difesa del grande Capo che è
il più cialtrone di tutti. Il fatto che
questa masnada di gaglioffi abbia governato il nostro paese per quasi un ventennio
la dice lunga sulla consapevolezza democratica del nostro popolo. Ovviamente
anche questi sono più che impresentabili. Proseguiamo con la formazione
dei “Catto-banchieri” guidata dal
bocconino Mario Monti. Coalizione il cui leader è il candidato preferito della
èlite finanziaria del notabilato ex
democratico cristiano di Casini . Causa primaria della enorme crisi finanziaria che sta attanagliando il Paese, è il costo degli interessi sul debito che abbiamo contratto per colpa di
spregiudicati speculatori finanziari, e della banche d’affari. E’ del tutto
evidente che una formazione il cui
obbiettivo è quello di eleggere un banchiere di lungo corso per porlo a difesa degli interessi speculativi del
capitale finanziario è assolutamente impresentabile. Se poi aggiungiamo che a
fianco di Mario Monti si sta schierando la solita grande imprenditoria
accattona rimasta nauseata dalla
rozzezza di Berlusconi, il quoziente di
impresentabilità aumenta all’ennesima potenza. Anche la compagnia di sbirri riformisti ed ex
comunisti messa insieme da Ingroia non ha nulla da invidiare in fatto di
impresentabilità. Dietro gli esponenti della società civile, alcuni
rispettabilissimi, a dire il vero, eretti a icona della legalità e della
estraneità al teatrino dei tradizionali comitati elettorali, si nascondono i
soliti noti ex comunisti che non avendo più una cedibilità minata da anni e
anni di relazioni pericolose con governi riformisti quando non liberali, hanno
cercato disperatamente un veicolo per riaccreditarsi e rientrare nel giro che conta. Hanno infiltrato e succhiato
sangue a fior di movimenti come “Noi no debito” e da ultimo “Cambiare di
può” per poi gettare tutto a mare e scegliere un ipotetico cavallo vincente, il magistrato
Ingroia, il tutto rinunciando ad un
simbolo che per i militanti e per la
storia ha significato e significa ancora oggi molto. Un simbolo che identifica
non solo un modo di fare politica ma un vero e proprio modello di vita, di rapporti umani e sociali. In più il
magistrato palermitano per deformazione professionale è portato a
condannare il conflitto sociale. “I No
Tav hanno ragione nel merito a protestare , ma nel metodo sono assolutamente
irresponsabili” questa è l’idea di Ingroia .
Infatti se la rivoluzione è civile, anche la protesta deve essere altrettanto, della serie,
“manifestante porgi l’altra tempia al manganello della polizia, anche se stai
protestando per una giusta causa”. E veniamo al partito forse più
impresentabile ma che ha ampie possibilità di vincere le elezioni. Mi riferisco al Pd. Ebbene in questa
aggregazione, convergono tutti gli elementi di impresentabilità presenti
singolarmente negli altri schieramenti. Anche nel Pd qualche maneggione non
manca, le liste così tanto pulite non sono. E che dire dei banchieri tanti cari
allo schieramento avverso di Monti? Se
ancora ce ne fosse bisogno, le vicende dei derivati del Monte dei Paschi di
Siena, stanno li a dimostrare che il Pd ce l’ha una banca eccome, anzi
attraverso questo istituto voleva tentare la scalata ad un'altra banca, l’Antonveneta. Il partito di Bersani non si fa
mancare nulle neanche sul versante confindustriale e dei manager d’assalto. L’associazione
degli industriali con l’esclusione dei cattivi della Fiat è tutta con il Pd.
Autorevole è la presenza di altri sbirri così come accade in Rivoluzione Civile
. Mancano, è vero, i fascisti ma in compenso è presente il più
grande sindacato della triplice così fondamentale a tenere a freno quei lavoratori e quel blocco
sociale che potrebbe sollevarsi sentendosi
ancora una volta tradito dai riformisti liberali. Tutti
impresentabili dunque? Non proprio. Restano i due schieramenti che ancora
indefessi ostentano con orgoglio la falce e martello nel loro simbolo. Sia il
Pcl di Marco Ferrando che il partito di Alternativa Comunista, hanno il
coraggio di dire le cose come stanno e individuare l’unico e vero responsabile
della crisi economica e sociale che sta attanagliando l’Europa, ovvero il sistema finanziario e capitalistico. Ma loro è una
semplice partecipazione di testimonianza. Non si può essere contro le regole
del gioco e poi partecipare al gioco stesso. No cari compagni. Vi auguro di ottenere i migliori risultati in questa
tornata elettorale, ma preferisco di gran lunga avervi al fianco nelle lotte
per difendere i diritti del lavoro, dell’istruzione pubblica, della sanità
e per fare in modo che il moderno proletariato che oggi è il 99% della
popolazione possa imporsi su quell’ 1%
di speculatori ultraricchi che sta riducendo alla fame noi gente comune.
“Quei
tempi sono finiti” In questo modo rispondeva Francois
Hollande a chi lo interpellava sulla possibilità che il suo esercito potesse
intervenire in Mali. Poi l’11 gennaio l’aviazione francese ha iniziato i
bombardamenti. Il 14 è entrato in gioco anche il 1º Reggimento straniero di
cavalleria della Legione straniera francese. Mentre scriviamo questo articolo,
le unità francesi schierate sul campo sono 750, e ne sono state già annunciate
altre 1700. I Paesi nordafricani dell’Ecowas invece, promettono l’invio di 3000
soldati. Il governo italiano a sua volta manda aerei da guerra.
Ma stiamo parlando dello stesso Hollande che
veniva acclamato dalla socialdemocrazia di tutta Europa come nuova speranza
"socialista"? Lo stesso che aveva incentrato la sua campagna elettorale sul
ritiro delle truppe dall’Afghanistan? “E’ lui o non è lui? Ma certo che è lui..”
direbbe un noto presentatore. E tra l’altro è lo stesso che sta subendo aspre
contestazioni per le sue politiche economiche e per la disoccupazione in
costante crescita.
La motivazione ufficiale non si discosta di
molto da quelle utilizzate da J.W. Bush per invadere l’Afghanistan:
l’integralismo islamico minaccerebbe la sicurezza dell’Occidente. E nonostante
ciò, il Pcf e il Parti de Gauche (le principali organizzazioni del Fronte di
Sinistra, indicato anche da Ferrero e da tutta la sinistra governista nostrana
come punto di riferimento) legittimano l'intervento coloniale limitandosi a
chiedere che l'imperialismo... si nasconda sotto la bandiera
dell'Onu.
Qualche
cenno storico-politico sul Mali Colonia francese fino al
1960, il Mali assaggiò prima otto anni di stalinismo con Modibo Keita, poi la
dittatura militare di Moussa Traoré fino al ’91. Data, questa, di un altro colpo
di Stato, dopo il quale però la borghesia optò per la variante “democratica”,
indicendo delle elezioni. Da queste emerse Alpha Oumar Konare, al quale seguì
nel 2007 Amadou Toumani Touré. Quest’ultimo è durato fino al colpo di Stato del
marzo 2012 eseguito dai militari che richiedevano palesemente più risorse per
reprimere i ribelli indipendentisti nel Nord del Paese (soprattutto tuareg). Fu
sospesa la Costituzione e imposto il coprifuoco. Ma la resistenza non si è
piegata ed è stata guerra civile. Il Movimento Nazionale per la Liberazione
dell'Azawad (Mnla), facendo fronte comune militare con il Gruppo Salafita per la
Predicazione e il Combattimento (denominato al-Qa'ida nel Maghreb islamico) ha
preso il controllo del nord (Azaward), dichiarandone l’indipendenza nell’aprile
2012. Il resto è noto. Ma facciamo un passo indietro e soffermiamoci su
un’altra questione che gioca un ruolo importante nelle dinamiche di questo
Paese.
Questione
indipendenza Azaward e vere ragioni
dell'imperialismo Tradizionalmente esiste un certo
risentimento nei confronti del controllo centralizzato del Mali, e numerosi
gruppi indipendentisti sono attivi nella regione. In questo senso va ricordata
la guerra civile del Mali dei primi anni Novanta. In questo periodo apparvero
per la prima volta gruppi che reclamavano l'indipendenza dell'intera regione.
Alla fine del 2006 lo scoppio di una rivolta nella regione di Kidal fu sedata
grazie alla collaborazione del governo algerino con quello maliano. Centrale è
il ruolo dei tuareg nelle dinamiche di resistenza che si sono sviluppate nella
regione. La società tuareg tradizionale è divisa in caste (nobili, vassalli,
schiavi). Ad oggi questa divisione sociale è per lo più scomparsa e con essa la
schiavitù, anche se permangono forti divisioni di classe. Le entità collettive
di appartenenza sono: la famiglia, il clan, la tribù e la confederazione. La
religione dominante è l’Islam e il ruolo della donna è molto più importante che
in altri contesti: la successione è spesso matrilineare, c’è il diritto al
divorzio e in questi casi l’abitazione resta alla donna. Permane quindi un forte
retaggio dell’antichissima società matriarcale. Questo punto risulta molto
importante nella misura in cui uno degli espedienti retorici più in voga per
giustificare queste “guerre sante” è appunto la caratterizzazione
islamico-fondamentalista delle forze di resistenza. Sottomessi (almeno
nominalmente) dai francesi intorno agli inizi del Novecento, i tuareg poterono
mantenere a lungo i propri capi e le proprie tradizioni. Ma dopo la
decolonizzazione, videro il loro Paese frammentato in una serie di Stati, con la
conseguente creazione di frontiere e di barriere che rendevano estremamente
difficile, quando non impossibile, il modo di vita tradizionale basato sul
nomadismo. L'attrito con i governi al potere si fece sempre più forte e sfociò,
negli anni Novanta, in aperti scontri tra tuareg e i governi di Mali e Niger; la
sanguinosa repressione che questa popolazione ha dovuto subire è stata tremenda.
Non mancano episodi nei quali interi villaggi sono stati trucidati (Tchin
Tabaraden, Niger, maggio 1990). E’ in questo contesto che matura la
resistenza e la conseguente necessità indipendentista. Fatto questo doveroso
inciso, ora cerchiamo di inquadrare le vere ragioni dell’intervento militare.
Il Mali si trova al centro della “fascia dell’oro”, che si estende in tutta
l’Africa occidentale, comprendendo il Senegal, la Guinea, il Ghana, il Mali, il
Burkina Faso, il Niger, la Nigeria e il Camerun. Si tratta del terzo
produttore africano di oro dopo il Ghana e il Sudafrica, anche se le pepite non
si estraggono da strati sotterranei di roccia e la ricerca, che avviene tramite
il setaccio della sabbia, appare più difficoltosa che altrove. Oltre all’oro, il
sottosuolo maliano può offrire petrolio, gas naturale, fosfati, rame, bauxite,
diamanti e altre pietre preziose. Nell’ovest del Paese è stato persino trovato
dell’uranio, che nessun produttore di energia atomica, quale è la Francia,
disprezzerebbe. Ma il fattore determinante da considerare, per comprendere le
ragioni di una così viva attenzione da parte dell’ex potenza coloniale francese
(e non solo) sul Mali, è il ruolo geopolitico che questo Paese assume nel
delicato contesto sub-sahariano. Somalia, Sudan, Niger, Ciad, Nigeria, sono
solo alcuni dei Paesi dove si stanno sviluppando gruppi di resistenza armata
contro la depredazione imperialista nella regione. Proprio la produzione atomica
francese, ad esempio, dipende prevalentemente dai giacimenti situati nei pressi
di Arlit, a nord di Agadez, in Niger (2). E non è sempre vero che le direzioni
di questi gruppi sono di orientamento islamista. Non solo i tuareg, ma, a
dispetto delle mistificazioni borghesi, la maggior parte degli abitanti
dell’Africa occidentale, professano un Islam tollerante.
Una
partita tutta da giocare A differenza di quanto potrebbe
emergere da un’analisi superficiale dei rapporti di forza, la guerra in Mali è
un conflitto tutt’altro che di facile soluzione per l’imperialismo francese.
Nonostante i fautori di questa ennesima guerra di rapina provino a rassicurarsi,
cercando forzate similitudini con la guerra in Libia, esistono enormi
somiglianze tra questa campagna e quelle in Afghanistan e Iraq. A differenza
della Libia, dove l’imperialismo a un certo punto ha iniziato ad appoggiare (col
fine di disarmarli) i rivoluzionari, qui l’appoggio è per il governo composto
dagli stessi criminali in divisa che nel marzo scorso hanno preso il potete con
un colpo di Stato. Lo stato maggiore del Mnla è costituito da reduci della
rivolta del 1990 e di quella del 2006 , da combattenti provenienti dalla Libia,
in gran parte anti-Gheddafi, da volontari di diverse etnie (tuareg, songhai,
peul e mauri), oltre che da ex-ufficiali e soldati che hanno disertato
dall'esercito del Mali (3). Inoltre le truppe della resistenza si sono già
dimostrate capaci di fronteggiare i raid su Konna, abbattendo un elicottero
francese e mantenendo la città nelle loro mani. Di più: con un contrattacco a
sorpresa, hanno espugnato anche la città di Diabaly.
I comunisti sono sempre al fianco dei popoli
in lotta per la propria autodeterminazione: AL FIANCO DELLA RESISTENZA
TUAREG! PER L’ABBATTIMENTO DELLA DITTATURA MILITARE! CONTRO L’AGGRESSIONE
COLONIALE E LE GUERRE DI RAPINA DELL’IMPERIALISMO!
(1) “Se l’Occidente bombarda un Paese
musulmano” di Gwayne Dyer, The Tripoli Post, Libia. (2)
“L’importanza delle materie prime” di C. Von Hiller, Frankfurter Allgemeine
Zeitung, Germania. (3)
http://www.tamazgha.fr/Les-combattants-du-MNLA-ne-sont.html
RETE PER LA TUTELA DELLA VALLE DEL SACCO, RAGGIO
VERDE
UNIONE GIOVANI INDIPENDENTI, MAMME
COLLEFERRO
Le associazioni Rete per la
Tutela della Valle del Sacco, Raggio Verde, Unione Giovani Indipendenti, Mamme
Colleferro esprimono sconcerto per la proposta di Regolamento del Ministero
dell’Ambiente che consentirebbe ai cementifici di utilizzare Combustibili Solidi
Secondari per meglio dire rifiuti speciali, in parziale sostituzione dei
combustibili fossili tradizionali, senza sottoporsi ad alcuna procedura di
autorizzazione particolare.
Il Regolamento in questione
vorrebbe introdurre il principio secondo cui l’utilizzazione per i cementifici
di tale combustibile costituirebbe a “scatola chiusa” una “modifica non
sostanziale”, anziché come avviene attualmente, una modifica da assoggettare ad
una valutazione di impatto ambientale ed eventualmente a valutazione ambientale
strategica.
Ma che si tratti di “modifica non
sostanziale” è solo un’idea del Ministro Clini che non trova riscontro con
quanto previsto dagli articoli 20 e 54 della direttiva 2010/75 dell’Unione
Europea, sulle emissioni industriali, che doveva essere adottata dagli
stati membri entro il 7 gennaio 2013.
Anche l’Ufficio Europeo
dell’Ambiente ha espresso preoccupazione in una comunicazione del 5 Novembre
2012 per quella che dovrebbe divenire la nuova legislazione italiana in materia
di modifiche nei cementifici, stigmatizzando in particolare il danno
all’ambiente che può derivare dal fatto che queste attività industriali sono
soggette a controlli più blandi rispetto agli inceneritori con particolare
riferimento alle emissioni da metalli pesanti ed inquinanti organici.
La “preoccupazione” di Clini è
invece quella di spostare i rifiuti dalle discariche, come risulta evidente
dalla relazione illustrativa al regolamento proposto. Ma spostare lo smaltimento
dei rifiuti dalle discariche agli inceneritori ed ai cementifici significa
ribadire il concetto di non voler rispettare quanto previsto dalla direttiva
2008/98 sulla gerarchia dei rifiuti, atteso che il recupero energetico dei
rifiuti è appena sopra nella graduatoria, allo smaltimento dei rifiuti in
discarica.
Le associazioni si stanno
mobilitando, in vista della “contemporanea” richiesta di Italcementi Colleferro
di anticipare la decisione del Governo e presentare un progetto in linea con il
decreto e con l’intenzione di incenerire fluff, materie plastiche, pneumatici a
fine vita e fanghi biologici essiccati in un contesto decisamente
compromesso.
E’ nostra intenzione richiamare
l’attenzione al problema ai parlamentari alla Camera sul regolamento che si
discuterà in aula l’11 febbraio, dopo che lo stesso è passato indenne al vaglio
della 13a Commissione Permanente del Senato il 16 gennaio, in pochi minuti,
senza alcun intervento in discussione e con la presenza come senatori di ex
esponenti di spicco dell’associazionismo ambientale nazionale dai quali non ci
saremmo aspettati una sufficienza tale.
E’ altresì nostra intenzione
presentare una petizione europea sulle intenzioni del Governo Italiano per
l’ennesimo regalo alle lobby industriali, vedi ultime emanazioni in merito, in
spregio alle sicure ricadute in termini ambientali, sanitarie e di conseguenza
economiche, e in netto contrasto con le Direttive promulgate dalla Comunità
Europea.
Quel che è successo nel caso Mussari ripete un copione noto, da New York a Siena: operazioni finanziarie spericolare per coprire perdite presenti e rimandarle a bilanci futuri. Ci sono in altre realtà finanziarie italiane altre perdite nascoste dentro titoli tossici?
L’anno 2013 non si apre sotto buoni auspici sul fronte finanziario. Così negli Stati Uniti Obama, andato a casa Geithner, amico dei banchieri, ha nominato come nuovo ministro del Tesoro J. Lew, un amico ancora più stretto degli stessi, ma che, se non altro, non potrà fare molto peggio del primo. Ricordiamo soltanto come ambedue i personaggi siano stati dei convinti campioni della deregulation finanziaria portata avanti durante la presidenza Clinton e che ha a suo tempo tanto contribuito ai guai nei quali oggi ci troviamo. La nomina di Lew non appare certo una buona premessa alla possibilità di risolvere presto i tanti problemi aperti nel sistema finanziario internazionale.
In Italia invece abbiamo nel nostro piccolo il caso dell’avvocato Giuseppe Mussari, lui stesso un banchiere.
Le vicende del Monte dei Paschi di Siena e di Mussari, che sono venute di nuovo alla ribalta in questi giorni, dopo che avevano già riempito le cronache finanziarie dei giornali l’anno scorso, indicano intanto che la serie degli scandali che riguardano il sistema bancario internazionale continua imperterrita ormai da molti mesi e non accenna a calmarsi.
Tra gli ultimi episodi di tale saga ricordiamo soltanto, per le sue dimensioni, quello della Citigroup e di alcune altre banche operanti negli Stati Uniti, istituti che qualche settimana fa sono stati condannati a pagare un’ammenda di ben 20 miliardi di dollari per aver manipolato le cose a danno dei loro clienti per quanto riguardava una serie di operazioni relative ai mutui sub-prime.
Qualcuno è arrivato a pensare, a proposito di tali scandali a catena, che ormai il sistema finanziario di molti paesi è soprattutto una gigantesca catena di Sant'Antonio, una immensa trappola truffaldina, un Ponzi scheme che va avanti con la sostanziale complicità dei politici e degli organismi di sorveglianza dei vari paesi.
Ricordiamo intanto che, nel nostro caso, Mussari, che ha passato in posizione di comando più di dieci anni a Siena, aveva già contribuito a compromettere il bilancio e la stessa sopravvivenza della banca con una spericolata operazione di acquisizione della Antonveneta, acquisizione che era stata pagata molto di più del suo valore reale. Si sospetta a questo proposito che ci possa essere dietro anche qualche episodio di corruzione.
Sottolineiamo, per la eventuale curiosità del lettore, che il valore delle azioni della banca si è ridotto, negli ultimi cinque anni, di circa il 90%.
Naturalmente sta arrivando il salvataggio dell’istituto con i soldi dello Stato, in questo caso sotto forma di Tremonti bond e di Monti bond per svariati miliardi di euro, 3,9 per la precisione, salvo accertamenti ulteriori.
C’è da riflettere, per altro verso, se non sia ormai il caso, come su di un altro piano anche per quanto riguarda le vicende dell’Ilva, di arrivare al più presto alla presa in carica diretta da parte del settore pubblico di due realtà che non riusciranno ad andare ormai avanti senza i soldi dello Stato, come nel caso della società siderurgica apparirà sempre più chiaro nei prossimi mesi. Siamo da tempo convinti che sia ormai tempo, in effetti, di ripensare ad una nuova stagione dell’intervento pubblico in economia, intervento che non può peraltro consistere nell’accettare le perverse strategie in questo momento portate avanti in proposito dal gruppo dirigente della Cassa Depositi e Prestiti.
Scoperti i problemi finanziari della banca, Mussari si è dovuto dimettere e naturalmente, così vanno le cose da noi, è stato nominato presidente dell’Associazione Bancaria Italiana. Ma se uno legge il bel libro intervista, uscito pochi mesi fa, e che Mucchetti ha tratto da una serie di colloqui con l’ex banchiere Geronzi, non si meraviglia più di nulla, almeno sul terreno finanziario.
Da rilevare inoltre che, dopo aver fatto carriera al Monte anche come esponente di quel partito che oggi è il Pd, arrivato all’Abi con l’entusiastico sostegno di Profumo, ha scoperto che anche tale ente aveva anch’esso problemi di bilancio. L’avvocato ha così portato avanti una ristrutturazione selvaggia del personale, mandando a casa tanti giovani e lasciando al loro posto ovviamente tutte le vecchie cariatidi. Ma i conti ora sembra che siano salvi, sino almeno alla prossima ristrutturazione. Peccato che la macchina giri ora peggio di prima.
Adesso si scopre che, a suo tempo, egli avrebbe nascosto i conti veri del Monte, attraverso tre operazione spericolate sui derivati con le solite e ben note banche d’investimento internazionali, operazioni che hanno permesso di rimandare ai bilanci futuri delle partite che erano invece di pertinenza di quelli passati. Naturalmente nessuno ne sapeva ufficialmente nulla. Non solo, ma questi contratti sui derivati sono andati a finire male, come in tanti altri casi già venuti alla luce negli anni scorsi, e la cosa dovrebbe costare qualche centinaio di milioni di euro di ulteriori perdite all’istituto – gli accertamenti precisi sono ancora in corso –, soldi che naturalmente finiremo per pagare noi. Mussari si proclama innocente e dichiara di essersi dimesso soltanto per non coinvolgere l’Abi nella vicenda.
Peraltro, l’emergere di questo episodio fa sorgere un atroce sospetto. Le operazioni sui derivati producono i loro effetti sull’arco anche di molti anni e chissà che non solo il Monte dei Paschi, ma anche molte altre realtà finanziarie non abbiano nascosto le perdite sotto il tappeto e non riescano a tenerle coperte ancora per qualche tempo. Aspettiamo a piè fermo gli eventi, temendo ahimè che saranno ancora una volta i cittadini a dover pagare per questi scempi, magari scoprendo poi che qualcuno dei responsabili sarà nominato alla testa di qualche altro importante organismo nazionale, forse con il compito di risanarlo.
Giorgio Cremaschi - Portavoce nazionale Comitato NO DEBITO
Non dovrà certo lamentarsi la segreteria della CGIL se l'informazione collocherà la sua conferenza programmatica nel contesto della campagna e dei messaggi elettorali. E neppure potrà sdegnarsi se il principale sindacato italiano verrà collocato e misurato nella geografia delle correnti del centrosinistra. È questo il ruolo assegnato da Monti, l'ala sinistra Camusso Vendola da tagliare assieme a quella destra di Maroni e forse Berlusconi. I malumori delle correnti del PD sul rinnovo della foto di Vasto , con il segretario della CGIL al posto di Di Pietro, insomma il teatrino non sarà una distorsione, ma un inevitabile effetto della scelta compiuta. La segreteria CGIL ha convocato la conferenza, anticipandone la data rispetto a quella prevista, proprio per avere la presenza esclusiva dei leaders del centrosinistra. Un ruolo centrale nella conferenza è riservato a Giuliano Amato, sì proprio il pensionato di platino riserva della presidenza della repubblica, autore nel 92 di un disastroso accordo sindacale che Trentin definì come un agguato prima di firmarlo e dimettersi. La conferenza nasce dunque così, come il lancio nel mondo del lavoro della campagna elettorale di Bersani e Vendola e di quella presidenziale di Amato. Il Piano del Lavoro, che richiama nel titolo quello rivendicato negli anni 50 dalla CGIL di Di Vittorio, con quel piano c'entra ben poco. La proposta è costruita tenendo ben conto del programma elettorale di Italia Bene Comune e delle sue compatibilità. I patti europei, che sono alla base delle disastrose politiche di austerità e che il PD conferma, vengono accettati. La proposta per il lavoro si basa su misure fiscali e interventi pubblici nell'abito delle compatibilità date. Siamo dunque di fronte a una sorta di grande emendamento alle politiche di rigore del governo Monti e della Unione Europea, che comunque vengono accettate nei loro principi di fondo. Non può che essere così se si vuol far parte di uno schieramento politico: se ne accettano i capisaldi e si lavora nel territorio da essi delimitato per allargare lo spazio per i propri interessi. La segreteria della CGIL non chiede la cancellazione per nessuna delle controriforme del lavoro e delle pensioni di questi anni, solo qualche correzione e misure aggiuntive che però partono dalla accettazione di quanto sanzionato. Anche la CISL fa la stessa cosa con Monti e la sua agenda, che in alcuni suoi punti è indigesta persino per gli stomaci di ferro dei dirigenti di quella organizzazione : si sostiene lo schieramento elettorale e si prova a condizionarlo dall'interno. La domanda ingenua da porsi è dunque: come mai i gruppi dirigenti dei due principali sindacati italiani salgono in politica proprio nel momento di massima caduta del consenso dei cittadini verso di essa? Perché non contano più sulla forza e il valore dell'agire sociale, perché non spendono il proprio residuo consenso, non alto ma superiore a quello dei partiti, nel far pesare per via indipendente il lavoro massacrato dalla crisi? Perché le sconfitte del lavoro di fronte alla crisi hanno prodotto nei gruppi dirigenti sindacali la paura di perdere tutto. Il disastroso accordo del 92 che abbiamo ricordato segnò per il sindacato confederale l'avvio della stagione della concertazione. Durante essa il confronto di vertice tra governo e parti sociali amministrò le politiche liberiste sul lavoro e sullo stato sociale. Il risultato fu che i lavoratori peggioravano progressivamente le loro condizioni, ma il sindacato che amministrava questa ritirata acquisiva funzioni e potere. Con la crisi economica questo sistema è saltato e il sindacato confederale ha visto arretrare progressivamente la propria posizione di potere, assieme al nuovo peggioramento delle condizioni dei propri rappresentati. La Cisl ha pensato di reagire con l'aziendalismo. Ma nel chiuso della sua stanzetta anche Bonanni non può fare a meno di riconoscere che in Fiat la sua organizzazione conta meno dell'ultimo caporeparto. La CGIL ha cercato disperatamente di riconquistare un tavolo vero di concertazione e su questo si è mobilitata. Ma non ci è riuscita e l'ultimo dei governi tecnici, a differenza dei predecessori Dini e Ciampi, si è dato merito di aver soppresso la concertazione. Alla base del neo collateralismo dei gruppi dirigenti della CGIL e della CISL sta dunque la sconfitta nelle proprie strategie. E con essa la paura di perdere tutto, di diventare completamente marginali. Certo si potrebbe partire da questa situazione per rinnovare completamente l'azione sindacale, riorganizzassi attorno alla sofferenza delle persone in carne de ossa, riconquistare e comunicare voglia di conflitto, cambiare strategia e pratica dopo più di venti anni di accettazione del liberismo e delle compatibilità. Ma questo non è nella natura di gruppi dirigenti e di una struttura di apparati che è stata così educata secondo un modello sindacale istituzionale e concertativo, da non saper che fare in un diverso contesto. Nell'attuale collateralismo di CGIL e CISL c'è dunque uno spirito rassegnato e triste, rappresentato da un concetto più volte chiaramente espresso: con l'azione sindacale non ce la facciamo più, abbiamo bisogno di partiti e governi amici. Chi non si rassegna al declino sindacale deve dunque seguire una via completamente diversa da quella indicata da questa triste conferenza. Per quel che ci riguarda cominciamo il primo a febbraio a Milano ad organizzare l'opposizione CGIL, convinti che l'indipendenza del sindacato dai padroni dai governi e dai partiti sia oggi necessaria e vitale come non mai.
Le politiche di austerità europee stanno producendo
effetti sociali devastanti, deprivando di diritti fondamentali le lavoratrici e i lavoratori, i giovani e i
cittadini europei.
L'istruzione è sottoposta ad un processo di
privatizzazione, con tagli alle scuole pubbliche, peggioramento della qualità della didattica e delle condizioni di
lavoro e di studio.
Lasanità viene ulteriormente tagliata,
diminuendo i posti letto ospedalieri e determinando il licenziamento di
migliaia di lavoratrici e lavoratori.
Il referendum
per l'acqua pubblica viene disatteso, lasciando il servizio
idrico nelle mani dei privati e
sottoposto ad una logica di gestione aziendale per la massimizzazione dei
profitti.
E' necessario
unnuovo protagonismo di classe del moderno
proletariato, che parta dal riconoscimento reciproco delle vertenze e
delle mobilitazioni in atto e che punti ad una
ricomposizione di un nuovo movimento operaio, ecologista, femminista e
anticapitalista, che reclami il rifinanziamento dei servizi pubblici, il
non pagamento del debito e la nazionalizzazione delle banche e dei settori
industriali strategici per lo sviluppo e per l'ambiente.
L'assembleaper una nuova
finanza pubblica e lamanifestazione nazionale della
scuola del 2 febbraio, lanciata con un appello agli altri settori
in lotta, devono rappresentare un punto di partenza in direzione dell'unità dei movimenti sociali.
Ne discutiamo con i rappresentanti dei movimenti sociali che
si esprimono nella nostra città. Interverranno: Valentina Cannavale
(Coordinamento delle scuole di Roma); Carlo Seravalli (Coordinamento
Precari Scuola), MarcoVacca (CTO Alesini di
Garbatella), Carmelo Antonucci (Ospedale Pertini), Marco Filippetti
(Ri_Pubblica), Studentesse e studenti.
Aperitivo popolare
Martedì 29 gennaio ore 19– Via dei Latini, 73
Roma
presso il Circolo Sinistra Critica di San Lorenzo
Verso la manifestazione nazionale del 2 febbraio
(concentramento
a piazza dell'Esquilino ore 14)
Una
parte dell'incasso del bar verrà devoluto al Coordinamento delle scuole di Roma
per il finanziamento della manifestazione del 2 febbraio
Alla fine anche "Rivoluzione Civile" si è adeguata.
Ha deciso tutto nelle segrete stanze romane adattandosi alle pratiche, a voce tanto condannate, del Porcellum. La logica dei nominati ha segnato non solo le candidature presentate dai partiti ma anche quelle della società civile scelte tutte dall'alto. Alcune di queste sono ampiamente meritevoli e stimabili, penso ad esempio per citare un solo nome a Gabriella Stramaccioni direttrice di Libera; ma il problema è il metodo.
In particolare e' stato ignorato il percorso dell'appello "Cambiare si può'", il primo che ha promosso il progetto di una lista alternativa al montismo per le elezioni e a cui lo stesso Ingroia aveva fatto riferimento. in più occasioni, nel lanciare il suo progetto. Purtroppo, nonostante le assicurazioni date più volte e ancora il 7 gennaio dallo stesso candidato premier alla delegazione di Cambiare si può di rispettare le indicazioni dei territori, nessuno dei nomi indicati dal centinaio di assemblee svolte è stato collocato in una posizione di eleggibilità.
La delusione è alta in particolare per chi è stato tra i promotori dell'appello Cambiare si può e tra coloro che si sono battuti nel referendum interno (tra i circa 13.000 sostenitori all'appello) affinché quell'esperienza proseguisse a fianco di Ingroia e dei partiti interessati.
Rimango convinto della necessità di costruire un progetto che metta insieme i militanti dei partiti anti liberisti, il mondo della società civile, dell'associazionismo e del movimento sindacale che ogni giorno si impegnano nelle lotte sul territorio e nei posti di lavoro. Ma purtroppo la realtà si sta mostrando molto diversa.
Sul piano del metodo della formazione delle liste nessuna delle garanzie forniteci dal candidato premier è stata rispettata.
La partecipazione democratica dal basso ne esce totalmente mortificata. Non e' stato mostrato alcun rispetto per le migliaia di donne e uomini che in tutta Italia hanno partecipato a costruire questo percorso.
Ed è altresì grave che nessuno dei rappresentanti delle forze politiche, presenti al tavolo dove tali decisioni sono state assunte, abbia sentito il dovere di interrompere le nomine spartitorie dichiarando pubblicamente la propria contrarietà a tale metodo.
Se veramente crediamo che debba esserci una corrispondenza tra i fini dichiarati e i mezzi scelti per raggiungerli, se siamo convinti che le nostre scelte quotidiane debbano dare l'immagine della società che desideriamo costruire, non c'è dubbio che si è partiti con il piede sbagliato.
Il caso Milano
Quanto avvenuto a Milano non è dissimile da quanto si è verificato in tutt'Italia, ma forse è il caso più clamoroso considerato che l'assemblea di Cambiare si può, riunitasi l'8 gennaio, convocata in modo pubblico attraverso spot radiofonici, aveva visto la partecipazione di oltre 500 persone che avevano indicato quasi all'unanimità, con 463 voti, i nomi per la testa di lista ed il sottoscritto come capolista al n.2 dopo Ingroia.
Tali indicazioni sono state del tutto ignorate dal tavolo romano ed il risultato finale è una testa di lista senza alcun candidato proveniente dal territorio milanese, dove al secondo posto dietro ad Ingroia è stato imposto Favia, al terzo Di Pietro, il primo "milanese" è al decimo posto.
Per la prima volta nella storia della Repubblica la sinistra milanese non ha la possibilità di eleggere al parlamento un proprio rappresentante, come se in tutti questi anni nulla si fosse mosso in questo territorio, non una vertenza sociale, non una lotta o un movimento.
Nessuno ha ritenuto fosse necessario spiegare ai cittadini milanesi che hanno partecipato alle assemblee di "Cambiare si può" perché siano stati completamente esautorati da ogni decisione, nonostante gli impegni presi dallo stesso Ingroia.
In specifico, di fronte alla proposta della mia candidatura, Ingroia inizialmente ha affermato che non era proponibile avendo già svolto nel passato un mandato parlamentare europeo, risposta risibile di fronte ai tanti parlamentari, assessori e consiglieri regionali candidati e ancora oggi in carica (Favia docet) e poi ha affermato, in più occasioni, che nei miei confronti c'è un veto.
Ho chiesto due volte per mail e sms ad Ingroia di sapere chi poneva il veto, perché e come mai lui accettasse (o condividesse ?!) tale veto. Non ho mai avuto risposta.
Posso quindi solo ipotizzare, non riuscendo a trovare altra ragione, che il veto sia da collegarsi all'incessante impegno che per 11 anni ho esercitato nel richiedere giustizia e verità sui fatti di Genova ed in particolare nelle accuse precise e documentate contro i massimi vertici della polizia contenute nel libro, scritto con Lorenzo Guadagnucci, "L'Eclisse della democrazia. Le verità nascoste sul G8 2001 a Genova" con il quale da due anni giro l'Italia con 154 presentazioni fatte fino ad ora. Forse non è un caso che anche Lorenzo, proposto come capolista dall'assemblea di Firenze, sia stato cancellato dalla testa di lista.
D'altra parte non è un mistero la vicinanza di alcune componenti, e di alcune persone più che influenti in Rivoluzione Civile, agli ambienti da noi indicati come i responsabili di quanto avvenuto nel luglio 2001 a Genova (e posti sotto accusa e condannati nei tribunali), e d'altra parte è sotto gli occhi di tutti la presenza nelle liste di candidati che su quelle vicende hanno assunto posizioni diametralmente opposte a quelle dei movimenti.
Da parte mia posso solo difendere ancora una volta la coerente battaglia, condotta insieme a tanti, per la verità e la giustizia. Non mi pento di averla fatta.
Il DL del Ministero dell’Ambiente, a firma Corrado Clini, in
attesa solo della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, declassa i Siti di
bonifica di Interesse Nazionale (SIN) “Bacino del fiume Sacco” (ex DPCM 19
maggio 2005 e L. 2 dicembre 2005, n. 248, art. 11 quaterdecies, comma 15) e
“Frosinone” (ex DM Ambiente 18 settembre 2001, n. 468) a Siti di
Interesse Regionale (SIR), insieme a un terzo degli attuali SIN presenti sul
territorio italiano.
In primo luogo, va sottolineato che tale processo, al solito,
si compie “dall’alto”, senza coinvolgere i portatori di interesse locali, e in
particolare le associazioni ambientaliste.
Dichiara al proposito Alberto Valleriani, presidente
RETUVASA: “È sconcertante che provvedimenti di tale rilevanza si apprendano per
vie traverse attraverso il Web e non, nei tempi e nei modi dovuti, dalle
istituzioni, che peraltro non hanno mai dato alle associazioni veri segnali di
condivisione, per non parlare della trasparenza e della completezza informativa
sullo stato dei SIN”.
Ma su quali fondamenti poggia la conversione dei SIN in
questione in SIR, e quali conseguenze dovrebbe comportare?
La risposta richiede considerazioni piuttosto articolate e
precisi riferimenti tecnici e normativi.
Spiega Francesco Bearzi, coordinatore RETUVASA Frosinone:
“Ad un primo esame della normativa, l’impatto sembra chiaro: una sostanziale
dequalificazione, per cui diversi SIN, non più considerati in possesso dei
requisiti prescritti, passano sotto la responsabilità diretta delle Regioni, le
quali avrebbero potuto opporsi al provvedimento. Nel nostro caso, la Giunta
Polverini non l’ha fatto, con nocumento dell’interesse pubblico”.
“Tuttavia per i SIN che ci riguardano, Valle del Sacco e
Frosinone, la valutazione della mancanza di tali requisiti appare assolutamente
discutibile e appellabile. Infatti i nuovi criteri per la definizione dei
SIN previsti dall’art. 36 bis della L. 7 agosto 2012, n. 134, che integra quelli
stabiliti dall’art. 252 del D. Lgs. 152/2006, dovrebbero includere a pieno
titolo a tutt’oggi entrambi i SIN in questione. In particolare, ma non
solo, ammesso e non concesso che l’emergenza socio-economico-ambientale
dichiarata dal DPCM 19 maggio 2005 possa dirsi completamente rientrata,
entrambi i SIN condividono la situazione prevista dall’art. 36 bis, comma
2,puntof bis della succitata L. 134/2012, ovvero la
presenza, attuale o storica, di impianti chimici integrati.
[Gli impianti chimici
integrati sono definiti dal DPCM 377/88, art. 1, come ‘impianti
per la produzione su scala industriale mediante processi di trasformazione
chimica di sostanze in cui si trovano affiancate varie unità produttive
funzionalmente connesse fra di loro per la fabbricazione di prodotti chimici
organici di base, per la fabbricazione di prodotti chimici inorganici di base,
per la fabbricazione di fertilizzanti a base di fosforo, azoto, potassio
(fertilizzanti semplici o composti), per la fabbricazione di base di
fitosanitari e biocidi, per la fabbricazione di prodotti farmaceutici di base
mediante procedimento chimico o biologico, per la fabbricazione di
esplosivi’].
“Notoriamente la Valle del Sacco è ed è stata interessata da
queste situazioni. Ma il problema di fondo - prosegue
Bearzi - è un altro. Nonostante la maggior parte del SIN “Bacino del
fiume Sacco” ricada sul territorio di Frosinone, da Anagni a Falvaterra, non si
è compiuta la saldatura di questo SIN con quello di “Frosinone”, riconoscendo
dunque l’opportunità di un’azione normativa strutturale volta alla risoluzione
delle criticità ambientali dell’intera Valle del Sacco, foriera di adeguate
risorse e di interventi di respiro europeo”. Il SIN “Bacino del fiume Sacco”
è stato definito inizialmente per la presenza di beta-HCH nelle acque e nel
sedimento del fiume Sacco, quello di “Frosinone”, in sé di rilevanza forse più
modesta, per la disseminazione di depositi di rifiuti solidi urbani (ex
discariche). A prescindere dall’incompletezza delle relative azioni di
bonifica, il grave vizio metodologico che abbiamo in più occasioni denunciato
consiste nel non riuscire ad andare “al di là del proprio naso”, non collegando
i due SIN a un inquinamento ancora più grave e strutturale, quello di tutte le
aree produttive e soprattutto ex produttive, presenti ad esempio a Colleferro,
Anagni/Paliano, Frosinone, Ceccano, Ceprano. Ciò avrebbe richiesto l’istituzione
di un SIN a sé, in aggiunta agli altri due, o ancor meglio la saldatura di tutte
le situazioni in oggetto in un unico SIN “Valle del Sacco”. Peraltro, tale
opportunità comincia a risultare, ad esempio, dalla Convenzione stipulata tra
Ministero dell’Ambiente, Regione Lazio e ARPA Lazio che, avviata la
sub-perimetrazione del SIN “Bacino del fiume Sacco”, ha prodotto nel giugno 2011
una Carta dei siti censiti potenzialmente contaminati che registra un numero del
tutto incompleto ma estremamente significativo di aree industriali ancora in
attività, aree soggette a rischio di incidente rilevante, attività estrattive e
minerarie, discariche autorizzate e non autorizzate, ecc. Ed è appena il caso
di ricordare, ad esempio, la presenza del’ex Cemamit di Ferentino (rilevante tra
l’altro per il riconoscimento del SIN in base alla L. 134/2012, art. 36 bis,
comma 2 bis)”.
Si tratta dunque non solo di riconsiderare la conversione dei
due SIN in SIR, non giustificata dalla stessa normativa di riferimento del DL
Clini, ma di avviare un processo di più ampio respiro, che riconosca la
criticità ambientale dell’intera Valle del Sacco in termini da non dequalificare
l’attività agricola ancora fiorente in alcune aree sane o anche integre e di
pregio, e di promuovere, con fondi nazionali ed europei, la parziale
riconversione dell’attività industriale in termini di risanamento ambientale e
green economy. E qui non possono non essere ricordati l’ODG proposto
da Angelo Bonelli nel febbraio 2011 e approvato dal Consiglio regionale, volto a
dichiarare la Valle del Sacco area ad alta criticità ambientale, lasciato poi
cadere dalla Giunta Polverini; il Master Plan ‘Progetto per la valorizzazione
strategica della Valle del Sacco’ proposto dalla Fondazione Kambo alla fine del
2010, caduto purtroppo anch’esso nel vuoto, il convegno tenutosi a Colleferro lo
scorso novembre con la partecipazione di Hanns-Dietrich Schmidt, responsabile relazioni internazionali del distretto della Ruhr,
organizzato da RETUVASA e Gruppo Logos per rilanciare la Valle del Sacco
adattando al territorio il ‘modello Ruhr’.
“È bene chiarire - conclude Bearzi – che in
base al DL Clini, art. 2, commi 1 e 4, il Ministero dell’Ambiente
ovviamente manterrebbe gli impegni economici in corso, e potrebbe anche
stipularne di nuovi nel contesto di futuri accordi di programma con le
Regioni e gli Enti locali competenti. Ma ciò non toglie che nella filosofia
del provvedimento e dei riferimenti normativi a monte prevalga l’intenzione di
dismettere competenze governative, e che soprattutto ciò comporti una
sostanziale dequalificazione della rilevanza delle aree soggette a bonifica,
delegando alle Regioni compiti di coordinamento e di spesa che spetterebbero a
istituzioni di livello superiore. Lasciamo ad altra sede riflessioni sullo
smantellamento dell’intervento pubblico in ogni ambito e la perdita di autonomia
reale da parte delle amministrazioni locali, sotto i vincoli di bilancio, in un
quadro di disarticolazione delle politiche di risanamento del territorio”.
“Infine - afferma Alberto Valleriani - la
situazione dei due SIN della Valle del Sacco appare forse più grave, ma non così
diversa da altri, per cui ci giungono segnalazioni da diverse parti d’Italia.
Sarebbe dunque opportuno che il Ministero dell’Ambiente riconsiderasse il
provvedimento in oggetto, avviando un procedimento partecipativo voluto
fortemente dall’Europa, volto a definire, con il contributo delle associazioni
ambientaliste territoriali e gli enti locali, una nuova lista dei SIN davvero
fondata e funzionale. In ogni caso, siamo pronti a impugnare l’atto con ricorsi
sia in ambito giuridico nazionale che europeo, come presumibilmente avverrà
anche in altri territori interessati. E premeremo sulla Regione perché sani la
propria mancata opposizione al provvedimento. Riteniamo che il tema dovrebbe
anche costituire un punto di riferimento programmatico essenziale su cui tutte
le forze politiche impegnate in campagna elettorale dovrebbero
confrontarsi”.
Filmati di Luciano Granieri
Per
completezza, i SIN che il DL Clini trasforma in SIR sono i seguenti:
Abruzzo –
Fiume Saline Alento.
Campania –
Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano; Pianura; Bacino Idrografico del fiume
Sarno; Aree del Litorale Vesuviano.
Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta
Internazionale
Il Pdac presenta una propria lista per le elezioni
politiche.Mentre la sinistra riformista si nasconde sotto la toga di Ingroia
(fedele funzionario degli apparati repressivi dello Stato borghese) e cancella
ogni riferimento -tanto simbolico quanto programmatico- alla lotta di classe,
nel tentativo di ritornare a sostenere in qualche modo il prossimo governo di
centrosinistra, è necessario fornire, anche in queste elezioni, un punto di
riferimento di classe, alternativo e rivoluzionario.L'obiettivo della lista di Alternativa Comunista
è uno solo: dare visibilità a quelle lotte dei lavoratori e dei giovani che, pur
disgregate e soffocate dalle burocrazie sindacali e dai partiti della sinistra
governista (a partire da Sel e da Rifondazione), comunque si sviluppano anche
nel nostro Paese, seppure per adesso con un ritmo nettamente inferiore a quello
che vediamo in altri Paesei europei, dalla Spagna alla Grecia.Alternativa Comunista presenta un programma di
classe e una lista di operai, studenti, immigrati. Candidato premier è Adriano
Lotito, 20 anni, studente universitario a Bologna, impegnato in prima fila in
quelle lotte studentesche di quest'ultimo anno che sono state la punta più
avanzata delle mobilitazioni nel nostro Paese. Questo mentre Rifondazione
Comunista con Ingroia sostiene candidati che hanno difeso la repressione
poliziesca delle lotte giovanili (da Di Pietro che solidarizzò con i poliziotti
del G8 di Genova e chiese "leggi speciali" dopo la manifestazione del 15 ottobre
2011; a poliziotti e magistrati degli apparati repressivi della borghesia; non
chiudendo le porte nemmeno ad ex missini).La candidatura di un giovane, oggi
studente e domani precario o disoccupato, vuole simboleggiare la necessità di
una prospettiva alternativa e rivoluzionaria, contrapposta a tutti gli
schieramenti borghesi e al contempo distante dalle scelte subalterne al
padronato della lista Ingroia e della sinistra riformista. Una alternativa che
non uscirà certo dalle urne ma che va costruita nelle lotte operaie e
studentesche, contro i governi dei sacrifici e dell'austerità che vogliono
scaricare la crisi del capitalismo su lavoratori nativi e immigrati, studenti,
precari.La campagna elettorale del Pdac sarà al servizio
di questo unico progetto: unire e sviluppare le lotte per costruire una
opposizione di classe al prossimo governo borghese, cioè al probabile governo
Bersani-Vendola che vedrà il sostegno (più o meno "critico") di Ingroia,
Rifondazione, Idv, Verdi e arancioni vari. E lavorare a collegare
internazionalmente le lotte, a partire dalle lotte in Europa contro il pagamento
del debito imposto dai governi di banchieri e industriali.Una prospettiva di rivoluzione: non "civile" ma
socialista!
Partito
dei Comitati d’Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo (P-CARC)
Federazione
Lazio-Umbria-Abruzzo
Sabato 19 gennaio a
Cassino presso i locali della Biblioteca Comunale si è svolta con successo l’assemblea
pubblica “Il Partito dei CARC si presenta alla città di Cassino”.
L’assemblea ha registrato
un buon successo di partecipazione. Decine tra studenti e studentesse, operai,
disoccupati, pensionati hanno preso parte all’assemblea ascoltando i contributi al dibattito portati da Andrea De
Marchis (a nome della Segreteria Federale del P-CARC), da Fabiola D’Aliesio (a
nome della Direzione Nazionale del P-CARC), da Vincenzo Durante (a nome del neo
costituito gruppo consiliare e del collettivo cassinate del P-CARC) e dai
giovani attivisti del collettivo “Cassino Antifascista”.
Gli interventi hanno
spiegato agli accorsi a partecipare all’iniziativa la linea del P-CARC e i suoi
obiettivi politici: contribuire alla rinascita del movimento comunista,
trasformare la crisi del capitalismo in rivoluzione socialista, marciare verso quest’obiettivo
anzitutto lottando qui ed ora per una direzione alternativa e popolare del
nostro paese ovvero per l’instaurazione di un Governo di Blocco Popolare che
prenda le misure necessarie per far fronte alla crisi così come sta bene alle
classi popolari e non come comandato dalle classi dominanti (che nel nostro
paese rispondono ai centri di potere dell’Alta Finanza, del Vaticano e delle
Organizzazioni Criminali), tradurre questo obiettivo in iniziative concrete che
a partire dai territori siano in grado di alimentare la costruzione di una
nuova governabilità del nostro paese per iniziativa del movimento delle
organizzazioni operaie e popolari.
E’ per aderire e
contribuire a questo progetto che si avvia il processo costituente della
sezione cassinate del P-CARC. Costruire una campagna di lotte, mobilitazioni e
protagonismo operaio e popolare per la realizzazione di un’Amministrazione
Comunale d’Emergenza Popolare è il principale campo di battaglia che vedrà
impegnato il P-CARC nella città di Cassino. L’Amministrazione Petrarcone eletta
quasi due anni fa sull’onda di un forte movimento operaio e popolare per il
cambiamento ha finora disatteso il mandato popolare ricevuto compromettendosi
con la “Cassino che conta” e affondando le aspirazioni di cambiamento delle
masse popolari di Cassino. I programmi di “Bene Comune per Cassino” sono
ridotti all’ennesima messa in scena del teatrino della politica: ultima in
ordine di tempo è la vicenda della riduzione sul lastrico dei lavoratori del
Centro Diurno di Caira e l’esternalizzazione del servizio. La Giunta Petrarcone
dietro i bei discorsi continua nell’opera portata avanti dalle Amministrazioni
Comunali del passato: giochi clientelari, dismissione dei servizi pubblici,
privatizzazioni e servigi alla “Cassino che conta” coi suoi banchieri,
truffatori e alti prelati.
Il P-CARC chiama tutta
la cittadinanza attiva, democratica, progressista di Cassino, tutte le vertenze
e le lotte che attraversano il territorio, tutto l’associazionismo , i comitati
e la parte sana del movimento sindacale a confluire in un Assise popolare che
assolva alla funzione di centro di promozione della lotta e della mobilitazione
per incalzare, costringere e imporre all’Amministrazione Petrarcone la
realizzazione di misure d’emergenza per far fronte alla crisi. Cassino per
rinascere ha bisogno di un Amministrazione Comunale che faccia leva sulla
mobilitazione della sua parte migliore per scardinare la cappa della “Cassino
che conta”, che prenda misure coraggiose per far pagare il prezzo della crisi a
chi in decenni di malgoverno ha usato le stanze del potere come mezzo di
speculazione e approvvigionamento di denaro pubblico. A Cassino serve un
Amministrazione Comunale che compia la scelta di non pagare il catastrofico
debito comunale contratto con la “Cassino che conta” e adoperi tutti i mezzi
economici, tutte le risorse di cui dispone per difendere e creare posti di
lavoro utilee dignitoso, per
difendere, ampliare e migliorare il patrimonio di servizi pubblici oggi in via
di dismissione e decadimento (servizi sociali, scuola, casa, ecc.).
Rompere coi patti di
stabilità che condannano Cassino a
trasformarsi in un cimitero sociale, civile e industriale! Avviare un
laboratorio di nuova governabilità che serva gli interessi e le rivendicazioni
delle masse popolari di Cassino che oggi pagano il prezzo della crisi!
Di qui passa il lavoro
che il Partito dei CARC condurrà nella città di Cassino! Su questi obiettivi il
Partito dei CARC chiama alla mobilitazione, su questi obiettivi il Partito dei
CARC si impegna a costruire da subito iniziative concrete. Ad esempio non ci
limiteremo a reclamare che la Giunta Petrarcone crei posti di lavoro ma
concretamente li creeremo organizzando scioperi alla rovescia e dimostrando che
per la rinascita cittadina c’è bisogno del lavoro di tutti! Ad esempio non ci
limiteremo a reclamare che la Giunta Petrarcone realizzi una Commissione
d’Inchiesta sul debito ma promuoveremo la mobilitazione affinché la Commissione
d’Inchiesta nasca subito e per iniziativa dal basso! Ad esempio non ci limiteremo
a denunciare la storica assenza di spazi sociali per i giovani ma ci
mobiliteremo concretamente per promuovere l’occupazione e la riappropriazione
degli spazi pubblici in disuso per ridargli un utilità sociale e impedire
fattivamente che finiscano nel tritacarne della speculazione immobiliare! Ad
esempio non ci limitiamo a reclamare che la Giunta Petrarcone cessi la
dismissione del Centro Diurno di Caira ma mobilitiamo come stiamo facendo i
lavoratori e gli utenti per difendere il servizio pubblico e i connessi posti
di lavoro prendendo il denaro dalla storica sanguisuga delle casse comunali
cassinati che è l’Abbazia di Montecassino (che oggi gestisce e incamera i soldi
del parcheggio comunale dell’Abbazia, soldi che non vanno destinati ad
arricchire i fasti del Vaticano ma per difendere e creare lavoro utile e
dignitoso, per difendere e creare servizi pubblici e di qualità).
Per questo nasce il
Partito dei CARC a Cassino, di questo abbiamo discusso nell’iniziativa di
sabato 19 gennaio. Queste iniziative e linee d’azione costituiscono anche la
nostra linea per la campagna elettorale in corso: chiamiamo i candidati
territoriali del Partito Comunista dei Lavoratori, di Rivoluzione Civile e del
Movimento 5 Stelle (le tre forze che a diversi livelli e con caratteristiche
diverse marcano la loro autonomia dal teatrino e incanalano il malcontento
delle masse popolari) a mobilitarsi al nostro fianco. Cassino e l’Italia intera
non necessitano di promesse elettorali ma di mobilitazione e attivismo, qui ed
ora, per rinascere!
In conclusione ci preme
denunciare il solito trattamento di sorveglianza speciale che riceve la nostra
attività sul territorio cassinate: ronde di PS e pattugliamenti di agenti della
DIGOS in borghese sono stati una costante insistente per tutta la durata dell’iniziativa.
Denunciamo il chiaro carattere intimidatorio di queste azioni. C i pare significativo che PS e DIGOS si siano prodigati di
venir a sorvegliare il nostro compagno consigliere comunale Vincenzo Durante
(principale promotore della nascita del P-CARC
a Cassino) mentre non risulta una volta che i solerti tutori dell’ordine
si siano recati a sorvegliare le iniziative e i meeting di altri componenti del
Consiglio Comunale di Cassino ben noti per la loro contiguità a zone grigie
della “Cassino che conta” e ben noti per
la spavalderia nell’arte della truffa e dell’intrallazzo.
D’altro canto tali
attenzioni non possono che confermarci che a Cassino ci stiamo avviando per il
giusto sentiero: se la “Cassino che conta” sguinzaglia i propri sorveglianti
vuol dire che teme la nostra azione!
Viva
la nascita del Partito dei CARC a Cassino!
Rendere
ingovernabile il paese alle classi dominanti e costruire la nuova governabilità
delle masse popolari organizzate!
Avanzare
verso il socialismo, costruire il Governo di Blocco Popolare!