Centinaia di persone per esprimere solidarietà con i compagni e le compagne sotto
processo, questa mattina hanno partecipato al presidio di fronte all'aula
bunker del carcere di Torino, dove si sarebbe svolta l'udienza per
unificare i due procedimenti per un totale di 52 persone, per le giornate di
resistenza del 27 giugno e 3 luglio 2011.
Una lunga coda all'ingresso, l'apparato che avrebbe dovuto radiografare le
nostre borse evidentemente era KO. I casi della vita? Così ci controllano uno
ad uno, chiedendo i documenti all'entrata. Finalmente è il mio turno... cerco
il documento ma l'agente in borghese sorride e avvisa il collega "non
serve, la signora la conosciamo". In un aula bunker essere
"conosciuta" non è una roba che mi fa sentire proprio bene.
Si entra. L'atmosfera è veramente cupa, il grigio è la tinta dominante, sullo
sfondo tra un crocifisso e l'altro le due scritte che annunciano che "la
legge è uguale per tutti". Peccato siano messe alle spalle dei giudici,
così le leggiamo solo noi, che abbiamo capito da tempo che le cose non stanno
proprio cosi'.
Da dentro ci avvisano che alcuni compagni non vengono fatti entrare, qualcuno
ha "deciso" che eravamo troppi, peccato che almeno gli indagati
avrebbero tutto il diritto di essere presenti in aula. Si informano gli
avvocati, si tenta di impedire l'inizio dell'appello, ma niente da fare. Poco
importa, quella legge uguale per tutti è, ancora una volta, dis-uguale per i NO
TAV. Inizia l'appello, ma viene ignorato, una compagna si avvicina ad un
microfono e chiede di poter leggere un comunicato a nome di tutti, la sua
richiesta viene respinta ma lei non demorde. Inizia la lettura del comunicato,
circondata dai compagni che la proteggono dall'arrivo dei Carabinieri, al quale
il presidente ha chiesto di identificare la ragazza. Con voce decisa, in tanti
iniziano la lettura: "La scelta di spostare il processo in questa aula
bunker è in sintonia con l'ondata repressiva sostenuta e legittimata dalla
campagna mediatica finalizzata a demonizzare il movimento NO TAV, tentando di
indebolirlo e isolarlo dalle lotte che attraversano il paese. Trasferendo la
sede del processo voi state tentando di rinchiudere la lotta NO TAV nella morsa
della "pericolosità sociale" e delle emergenze. Noi invece,
rivendichiamo le pratiche della lotta ribadendo le ragioni che ci spingono a
resistere contrastando chi vuole imporre il tav militarizzando la Valle, con le
conseguenti devastazioni umane, sociali e ambientali. Le nostre ragioni restano
vive, e la vostra scelta di trascinarci in questa aula bunker non ci impedirà
di portarle avanti. Per questo oggi scegliamo di abbandonare tutte/i
quest'aula, lasciandovi soli nel vostro bunker. ora e sempre notav!. A SARA' DURA!" è il grido
conclusivo, con il quale gli indagati ed il pubblico lasciano l'aula bunker, è
una piccola vittoria, ma all'esterno c'è il prezzo da pagare.
Una parte riesce ad uscire, altri no. Ci vengono chiesti i documenti e ci
rifiutiamo di darli, visto che siamo tutti stati identificati all'ingresso non
sembra sensata la richiesta all'uscita. Il cancello si chiude, alcuni sono
fuori, altri sono dentro. Sale la tensione, parte qualche carica, ma nessuno ha
intenzione di mostrare un documento per uscire. Dopo un tempo che sembra non
finire mai arrivano gli avvocati del legal team, e siamo "tutti
liberi".... Per condividere la sensazione di libertà si decide di fare una
passeggiata intorno alle mura del carcere, per portare ai carcerati parole di
solidarietà, messaggi di speranza.
Insieme, abbiamo di nuovo la sensazione che loro non vinceranno mai.
Operazioni di voto
dell'ufficio elettorale, RIFIUTO DA PARTE DELL'ELETTORE DI RITIRARE LA SCHEDA
ELETTORALE
Circolare di ALCUNE PREFETTURE (Firenze, La Spezia, Reggio Calabria, Pavia,
etc...) - 30 gennaio 2013
"La Direzione Centrale dei Servizi Elettorali, visti i numerosi quesiti e
richieste di chiarimento in merito ad una possibile forma di ASTENSIONE DAL
VOTO, con il possibile RIFIUTO DELLA SCHEDA ELETTORALE ed
eventuale RICHIESTA DI VERBALIZZAZIONE DI DICHIARAZIONI DI ASTENSIONI O
PROTESTE DI VARIO CONTENUTO, ha rappresentato quanto di seguito riportato.
In materia, le norme vigenti si limitano a
disciplinare la procedura di voto, nonché i casi di nullità delle schede
(articoli da 57 a 63 del D.P.R. n- 361/1957).
L'art. 62, infatti, prevede l'ipotesi in cui
l'elettore non voti in cabina elettorale, facendone derivare la nullità della
scheda. Ciò accade quando l'elettore registrato dal seggio elettorale, al quale
ha consegnato la tessera elettorale e il documento d'identità, abbia ritirato
la scheda e poi l'abbia riconsegnata senza entrare prima in cabina.
In tal caso, l'elettore dovrà essere CONTEGGIATO TRA I
VOTANTI e la scheda dovrà ESSERE DICHIARATA NULLA e INSERITA nell'apposita busta
secondo le istruzioni in dotazione ai seggi.
Invece, IL RIFIUTO DELLA SCHEDA NON TROVA UNA
SPECIFICA DISCIPLINA NORMATIVA MA NON PUO' CERTAMENTE RITENERSI VIETATO:
l'elettore, infatti, PUO' RICHIEDERE SPECIFICATAMENTE AL PRESIDENTE DEL SEGGIO
ELETTORALE di VOLER VOTARE SOLO PER ALCUNE e non per tutte le consultazioni in
corso (e di voler ricevere, quindi, solo alcune schede), OPPURE PUO' DICHIARARE
DI VOLER RIFIUTARE TUTTE LE SCHEDE.
L'ipotesi che si evince dai quesiti e dalle richieste
di chiarimento pervenute al predetto Ufficio sembra riguardare i casi in cui
l'ELETTORE VOGLIA ASTENERSI COMPLETAMENTE DAL VOTO, RIFIUTANDO TUTTE LE SCHEDE
E CHIEDENDO LA VERBALIZZAZIONE della PROPRIA ASTENSIONE DAL VOTO STESSO.
Al riguardo, la citata Direzione richiede che, IN TALI
EVENIENZE, IL PRESIDENTE DEL SEGGIO - al fine di non rallentare il regolare
svolgimento delle operazioni - possa PRENDERE A VERBALE la protesta
dell'elettore e il suo rifiuto di ricevere la scheda, purché la verbalizzazione
sia FATTA IN MANIERA SINTETICA E VELOCE, con l'annotazione nel verbale stesso
delle generalità dell'elettore, del motivo del reclamo O DELLA PROTESTA,
ALLEGANDO ANCHE GLI EVENTUALI SCRITTI CHE L'ELETTORE MEDESIMO RITENESSE DI
VOLER CONSEGNARE AL SEGGIO.
Per quanto attiene la rilevazione del numero degli
elettori, appare utile rammentare che COLORO CHE RIFIUTANO LA SCHEDA NON
DOVRANNO ESSERE CONTEGGIATI TRA I VOTANTI DELLA SEZIONE ELETTORALE."
Incontriamo
Adriano Lotito, candidato premier di Alternativa Comunista, vent'anni, studente
universitario a Bologna, protagonista delle lotte studentesche, la punta più
avanzata (per ora) delle lotte nel nostro Paese. Adriano, la tua è una
candidatura rivoluzionaria, controcorrente e dal forte valore simbolico, che
rompe gli schemi ingessati di questa campagna elettorale. E' una candidatura che
vuole rappresentare le nuove generazioni che sono scese in lotta in questi anni,
dando vita a importanti e radicali momenti di lotta. Cosa dici ai giovani
studenti che guardano al programma del nostro partito?
Come hai già detto, gli studenti e le
studentesse che sono scese in piazza in questi mesi e in questi anni hanno
rappresentato l’avanguardia più combattiva del conflitto sociale nel nostro
Paese. In Italia purtroppo viviamo ancora una situazione piuttosto arretrata dal
punto di vista della lotta di classe, sicuramente non paragonabile a quanto sta
accadendo in Grecia o in Spagna. Ma le masse studentesche, che abbiamo visto
lottare contro il governo Monti e le imposizioni della Troika lo scorso autunno,
indicano indubbiamente che siamo in presenza di una prima radicalizzazione del
conflitto. Decine di migliaia di studenti hanno occupato centinaia di scuole in
tutto il Paese, hanno organizzato assemblee, coordinamenti, comitati di lotta,
hanno elaborato idee e programmi su scuola e università, e più in generale,
sull’organizzazione della società, alternativi alle politiche di austerità che
ci ha imposto l’Europa dei banchieri, e che saranno continuate dal prossimo
governo, probabilmente di centrosinistra.
L’appello che rivolgo a questi
studenti è di non lasciarsi illudere dalle vie pacifiche e parlamentari, dal
dialogo con le istituzioni e con i partiti tradizionali, ma di proseguire nel
loro percorso di lotta. Gli studenti in lotta devono essere consapevoli che un
altro mondo possibile esiste, ma non potrà mai nascere nei palazzi del potere,
ma solo a partire dalle piazze, dalle scuole, dalle fabbriche in mobilitazione.
E anche che queste lotte, per non rimanere isolate e perdenti sul nascere,
devono coordinarsi e unirsi su un programma di classe, di rottura con il
capitalismo e le sue istituzioni. Per realizzare tutto questo, bisogna che gli
studenti e le studentesse abbandonino le pulsioni anarcoidi e il pregiudizio
antipartitico che è stato una caratteristica delle passate mobilitazioni, e
facciano una distinzione tra i partiti istituzionali e compatibili con questo
sistema, e i partiti realmente rivoluzionari e antisistema. Alternativa
Comunista è un partito di quest’ultimo tipo, un partito completamente
disinteressato rispetto a poltrone in parlamento e opportunismi di varia specie,
un partito che si pone il problema di unire le lotte e di abbattere il sistema.
Noi non chiediamo il voto per andare a governare, ma facciamo appello a unire le
lotte sotto una direzione rivoluzionaria. Una differenza di classe!
Qual è il
programma del Pdac che rappresenti a queste elezioni? Pensi sia centrale l'unità
di lotta tra lavoratori e studenti?
Le lotte che vediamo svilupparsi
tutti i giorni per poter vincere devono unirsi e coordinarsi. Studenti-operai
uniti nella lotta, per noi non è un vecchio slogan sessantottino, ma
un’indicazione pratica fondamentale, la via maestra per rovesciare un sistema
che scarica i costi della sua crisi principalmente sulle spalle di giovani e
lavoratori, nativi e immigrati. Unirsi ai lavoratori per noi significa anche
denunciare gli opportunismi delle direzioni sindacali, che cercano di dividere e
frammentare il conflitto per gestirlo negli interessi del padronato. L’unità va
creata sul terreno delle lotte, nelle piazze, nelle assemblee autoconvocate, non
invitando i burocrati sindacali a parlare davanti agli studenti.
Detto questo, è chiaro che l’unità
deve crearsi non sulla base di un programma qualsiasi, ma con una precisa
caratterizzazione di classe. Per questo i nostri punti programmatici
fondamentali sono: la nazionalizzazione senza indennizzo e la gestione operaia
per le fabbriche che chiudono e licenziano; la nazionalizzazione delle banche;
il rifiuto del pagamento del debito e l’uscita dalla Ue; l’abrogazione di tutte
le controriforme di scuola e lavoro portate avanti in questi anni da
centrodestra e centrosinistra; la scala mobile dei salari e dell’orario di
lavoro; un reddito sociale per i disoccupati e un reddito studentesco per gli
studenti e le studentesse che non possono permettersi di accedere all’istruzione
(con mense, libri, trasporti e alloggi gratuiti); ma anche un grande piano di
edilizia popolare e scolastica, perché non si può continuare a morire andando al
lavoro o a scuola!
E’ evidente che tutte queste misure
di emergenza nell’interesse di giovani e lavoratori potranno essere finanziate
solo con la requisizione forzata dei grandi capitali in mano a banchieri e
supermanager (si pensi che la metà della ricchezza complessiva italiana è in
mano al 10% della popolazione!). Un programma rivoluzionario, insomma! Che
prevede anche la cessazione delle missioni di guerra, l’uscita dalla Nato, la
requisizione delle proprietà della Chiesa, la chiusura dei lager per gli
immigrati (Cie) e la libera cittadinanza per tutti, l’estensione di servizi
sociali pubblici, la desionizzazione del Paese mediante la rottura di ogni
rapporto commerciale, diplomatico e culturale con lo Stato di Israele che è uno
Stato fantoccio dell'imperialismo che occupa la terra di Palestina. Questi solo
per citare i punti principali.
Qual è la
differenza tra la tua candidatura e quella di Ingroia, sostenuta da Rifondazione
comunista?
Il progetto ingroiano e la sua
rivoluzione cosiddetta “civile” rappresentano il punto più basso e indegno
raggiunto dalla sinistra socialdemocratica italiana. Come fa Rifondazione a
giustificare il suo sostegno a una lista composta da sbirri, magistrati,
avvocati di pentiti di mafia? E soprattutto con un programma colmo di
contraddizioni e paradossi: si rifiuta il Fiscal compact senza rompere con l’Ue
e la Troika; si parla di giustizia sociale e articolo 18 per poi delirare sul
bisogno di "agevolare la libera iniziativa imprenditoriale"; si parla
genericamente di “pace e disarmo” senza avanzare nessuna rottura con le
istituzioni guerrafondaie di cui l’Italia è membro organico (Nato, Onu e la
stessa Ue). Rifondazione si è sciolta in una lista e in un programma che
collocano al primo posto la difesa della legalità: la stessa legalità in nome
della quale si bastonano operai e studenti, la stessa legalità portata avanti
dagli sbirri della Diaz e di Bolzaneto a Genova nel 2001 (e nei confronti dei
quali Ingroia ha espresso la sua solidarietà). Il giustizialismo è un’ideologia
che ha sempre caratterizzato la destra più reazionaria (non a caso il capolista
al senato della lista Ingroia in Sicilia è Luigi Li Gotti, che può vantare una
trentennale militanza nel Msi prima e in An dopo). Questa è una vergogna! Per
fortuna questa volta Rifondazione ha voluto rinunciare alla falcemartello, così
almeno non verrà ulteriormente macchiato il simbolo della lotta decennale del
movimento operaio e comunista.
La tua
candidatura di giovane studente è anche lontana anni luce da quella del Pcl, che
candida a premier ancora una volta l'ormai sessantenne Ferrando. A parte
l'evidente differena anagrafica, come spieghi a chi lo chiede le differenze tra
il Pdac e il Pcl?
Il Pcl di Ferrando è un partito
mediatico e profondamente viziato dall’elettoralismo. Un partito che ruota
interamente attorno alla figura del leader guru, all’ennesima presentazione come
candidato premier, in cerca unicamente di visibilità mediatica. Un partito che
negli ultimi tempi ha visto esplodere le sue contraddizioni interne
(federalismo, liderismo, elettoralismo) e che ha portato alla fuoriuscita di
parecchi militanti e quadri dirigenti, alcuni dei quali confluiti in Alternativa
Comunista. Mentre Ferrando inseguiva le telecamere, ossessionato com’è dal
quinto potere, noi abbiamo intessuto relazioni con molte avanguardie di lotta,
operaie e studentesche, abbiamo costituito comitati, abbiamo partecipato alla
lotta degli immigrati contro l’ultima sanatoria truffa, abbiamo creato i Giovani
di Alternativa Comunista, per approfondire il lavoro politico con gli studenti e
le studentesse in lotta contro Monti. Per non parlare della lotta nei sindacati:
mentre i dirigenti del Pcl chinano la testa davanti ai burocrati per conquistare
le poltrone negli organismi dirigenti della Cgil, noi veniamo espulsi per la
nostra lotta a favore dell’unità della classe lavoratrice. E ho detto tutto:
ormai la differenza tra noi e il Pcl è chiaramente comprensibile anche
all’esterno.
Nelle
circoscrizioni dove la lista di Alternativa Comunista non è presente che
indicazioni di voto dà il Pdac?
L'astensione: perché, come abbiamo
detto fin qui, non ci sono altre liste che rappresentino realmente gli interessi
dei lavoratori e delle masse popolari.
Cosa ti auguri
da queste elezioni? Pensi che dalle urne possa venire una risposta ai problemi
di milioni di giovani, operai, disoccupati?
Riprendendo il discorso iniziale, noi
non ci presentiamo con delle promesse elettorali, ma propagandando un programma
di lotta, un programma che prevede la rottura dell’attuale assetto
istituzionale, un programma che ha come modello le rivoluzioni in Egitto, in
Siria e in tutto il mondo arabo. Questo sistema non può essere riformato, ma
solamente abbattuto dalle lotte dei lavoratori e degli studenti. Ci presentiamo
appunto per dar voce a queste lotte, per avanzare l’unica reale alternativa. Non
ci potrà essere nessun cambiamento all’interno dei palazzi del potere; chiunque
andrà al governo proseguirà nelle politiche di austerità, nello smantellamento
dei diritti dei lavoratori e degli studenti, nelle politiche guerrafondaie,
antioperaie e razziste che hanno caratterizzato i governi di tutti i colori, di
centrodestra, centrosinistra e tecnici. L’unico cambiamento negli interessi dei
lavoratori e delle nuove generazioni potrà partire solamente dalle piazze, dalle
scuole e dalle fabbriche in lotta. Mentre tutte le altre forze politiche
candidano imprenditori, banchieri, magistrati e sbirri, noi candidiamo nella
nostra lista operai, studenti, immigrati, cassintegrati, disoccupati in lotta
sulla base di un programma che vuole rovesciare il capitalismo, l’unico
autentico responsabile di questa crisi economica e sociale. E’ questo l’appello
che facciamo: riprendiamoci le scuole, riprendiamoci le fabbriche, liberiamo il
lavoro e il sapere, riprendiamoci il futuro e finiamola con un sistema che offre
solamente guerre, miseria e sfruttamento! L’unico governo che vogliamo, è un
governo dei lavoratori!
Incontriamo
Adriano Lotito, candidato premier di Alternativa Comunista, vent'anni, studente
universitario a Bologna, protagonista delle lotte studentesche, la punta più
avanzata (per ora) delle lotte nel nostro Paese. Adriano, la tua è una
candidatura rivoluzionaria, controcorrente e dal forte valore simbolico, che
rompe gli schemi ingessati di questa campagna elettorale. E' una candidatura che
vuole rappresentare le nuove generazioni che sono scese in lotta in questi anni,
dando vita a importanti e radicali momenti di lotta. Cosa dici ai giovani
studenti che guardano al programma del nostro partito?
Come hai già detto, gli studenti e le
studentesse che sono scese in piazza in questi mesi e in questi anni hanno
rappresentato l’avanguardia più combattiva del conflitto sociale nel nostro
Paese. In Italia purtroppo viviamo ancora una situazione piuttosto arretrata dal
punto di vista della lotta di classe, sicuramente non paragonabile a quanto sta
accadendo in Grecia o in Spagna. Ma le masse studentesche, che abbiamo visto
lottare contro il governo Monti e le imposizioni della Troika lo scorso autunno,
indicano indubbiamente che siamo in presenza di una prima radicalizzazione del
conflitto. Decine di migliaia di studenti hanno occupato centinaia di scuole in
tutto il Paese, hanno organizzato assemblee, coordinamenti, comitati di lotta,
hanno elaborato idee e programmi su scuola e università, e più in generale,
sull’organizzazione della società, alternativi alle politiche di austerità che
ci ha imposto l’Europa dei banchieri, e che saranno continuate dal prossimo
governo, probabilmente di centrosinistra.
L’appello che rivolgo a questi
studenti è di non lasciarsi illudere dalle vie pacifiche e parlamentari, dal
dialogo con le istituzioni e con i partiti tradizionali, ma di proseguire nel
loro percorso di lotta. Gli studenti in lotta devono essere consapevoli che un
altro mondo possibile esiste, ma non potrà mai nascere nei palazzi del potere,
ma solo a partire dalle piazze, dalle scuole, dalle fabbriche in mobilitazione.
E anche che queste lotte, per non rimanere isolate e perdenti sul nascere,
devono coordinarsi e unirsi su un programma di classe, di rottura con il
capitalismo e le sue istituzioni. Per realizzare tutto questo, bisogna che gli
studenti e le studentesse abbandonino le pulsioni anarcoidi e il pregiudizio
antipartitico che è stato una caratteristica delle passate mobilitazioni, e
facciano una distinzione tra i partiti istituzionali e compatibili con questo
sistema, e i partiti realmente rivoluzionari e antisistema. Alternativa
Comunista è un partito di quest’ultimo tipo, un partito completamente
disinteressato rispetto a poltrone in parlamento e opportunismi di varia specie,
un partito che si pone il problema di unire le lotte e di abbattere il sistema.
Noi non chiediamo il voto per andare a governare, ma facciamo appello a unire le
lotte sotto una direzione rivoluzionaria. Una differenza di classe!
Qual è il
programma del Pdac che rappresenti a queste elezioni? Pensi sia centrale l'unità
di lotta tra lavoratori e studenti?
Le lotte che vediamo svilupparsi
tutti i giorni per poter vincere devono unirsi e coordinarsi. Studenti-operai
uniti nella lotta, per noi non è un vecchio slogan sessantottino, ma
un’indicazione pratica fondamentale, la via maestra per rovesciare un sistema
che scarica i costi della sua crisi principalmente sulle spalle di giovani e
lavoratori, nativi e immigrati. Unirsi ai lavoratori per noi significa anche
denunciare gli opportunismi delle direzioni sindacali, che cercano di dividere e
frammentare il conflitto per gestirlo negli interessi del padronato. L’unità va
creata sul terreno delle lotte, nelle piazze, nelle assemblee autoconvocate, non
invitando i burocrati sindacali a parlare davanti agli studenti.
Detto questo, è chiaro che l’unità
deve crearsi non sulla base di un programma qualsiasi, ma con una precisa
caratterizzazione di classe. Per questo i nostri punti programmatici
fondamentali sono: la nazionalizzazione senza indennizzo e la gestione operaia
per le fabbriche che chiudono e licenziano; la nazionalizzazione delle banche;
il rifiuto del pagamento del debito e l’uscita dalla Ue; l’abrogazione di tutte
le controriforme di scuola e lavoro portate avanti in questi anni da
centrodestra e centrosinistra; la scala mobile dei salari e dell’orario di
lavoro; un reddito sociale per i disoccupati e un reddito studentesco per gli
studenti e le studentesse che non possono permettersi di accedere all’istruzione
(con mense, libri, trasporti e alloggi gratuiti); ma anche un grande piano di
edilizia popolare e scolastica, perché non si può continuare a morire andando al
lavoro o a scuola!
E’ evidente che tutte queste misure
di emergenza nell’interesse di giovani e lavoratori potranno essere finanziate
solo con la requisizione forzata dei grandi capitali in mano a banchieri e
supermanager (si pensi che la metà della ricchezza complessiva italiana è in
mano al 10% della popolazione!). Un programma rivoluzionario, insomma! Che
prevede anche la cessazione delle missioni di guerra, l’uscita dalla Nato, la
requisizione delle proprietà della Chiesa, la chiusura dei lager per gli
immigrati (Cie) e la libera cittadinanza per tutti, l’estensione di servizi
sociali pubblici, la desionizzazione del Paese mediante la rottura di ogni
rapporto commerciale, diplomatico e culturale con lo Stato di Israele che è uno
Stato fantoccio dell'imperialismo che occupa la terra di Palestina. Questi solo
per citare i punti principali.
Qual è la
differenza tra la tua candidatura e quella di Ingroia, sostenuta da Rifondazione
comunista?
Il progetto ingroiano e la sua
rivoluzione cosiddetta “civile” rappresentano il punto più basso e indegno
raggiunto dalla sinistra socialdemocratica italiana. Come fa Rifondazione a
giustificare il suo sostegno a una lista composta da sbirri, magistrati,
avvocati di pentiti di mafia? E soprattutto con un programma colmo di
contraddizioni e paradossi: si rifiuta il Fiscal compact senza rompere con l’Ue
e la Troika; si parla di giustizia sociale e articolo 18 per poi delirare sul
bisogno di "agevolare la libera iniziativa imprenditoriale"; si parla
genericamente di “pace e disarmo” senza avanzare nessuna rottura con le
istituzioni guerrafondaie di cui l’Italia è membro organico (Nato, Onu e la
stessa Ue). Rifondazione si è sciolta in una lista e in un programma che
collocano al primo posto la difesa della legalità: la stessa legalità in nome
della quale si bastonano operai e studenti, la stessa legalità portata avanti
dagli sbirri della Diaz e di Bolzaneto a Genova nel 2001 (e nei confronti dei
quali Ingroia ha espresso la sua solidarietà). Il giustizialismo è un’ideologia
che ha sempre caratterizzato la destra più reazionaria (non a caso il capolista
al senato della lista Ingroia in Sicilia è Luigi Li Gotti, che può vantare una
trentennale militanza nel Msi prima e in An dopo). Questa è una vergogna! Per
fortuna questa volta Rifondazione ha voluto rinunciare alla falcemartello, così
almeno non verrà ulteriormente macchiato il simbolo della lotta decennale del
movimento operaio e comunista.
La tua
candidatura di giovane studente è anche lontana anni luce da quella del Pcl, che
candida a premier ancora una volta l'ormai sessantenne Ferrando. A parte
l'evidente differena anagrafica, come spieghi a chi lo chiede le differenze tra
il Pdac e il Pcl?
Il Pcl di Ferrando è un partito
mediatico e profondamente viziato dall’elettoralismo. Un partito che ruota
interamente attorno alla figura del leader guru, all’ennesima presentazione come
candidato premier, in cerca unicamente di visibilità mediatica. Un partito che
negli ultimi tempi ha visto esplodere le sue contraddizioni interne
(federalismo, liderismo, elettoralismo) e che ha portato alla fuoriuscita di
parecchi militanti e quadri dirigenti, alcuni dei quali confluiti in Alternativa
Comunista. Mentre Ferrando inseguiva le telecamere, ossessionato com’è dal
quinto potere, noi abbiamo intessuto relazioni con molte avanguardie di lotta,
operaie e studentesche, abbiamo costituito comitati, abbiamo partecipato alla
lotta degli immigrati contro l’ultima sanatoria truffa, abbiamo creato i Giovani
di Alternativa Comunista, per approfondire il lavoro politico con gli studenti e
le studentesse in lotta contro Monti. Per non parlare della lotta nei sindacati:
mentre i dirigenti del Pcl chinano la testa davanti ai burocrati per conquistare
le poltrone negli organismi dirigenti della Cgil, noi veniamo espulsi per la
nostra lotta a favore dell’unità della classe lavoratrice. E ho detto tutto:
ormai la differenza tra noi e il Pcl è chiaramente comprensibile anche
all’esterno.
Nelle
circoscrizioni dove la lista di Alternativa Comunista non è presente che
indicazioni di voto dà il Pdac?
L'astensione: perché, come abbiamo
detto fin qui, non ci sono altre liste che rappresentino realmente gli interessi
dei lavoratori e delle masse popolari.
Cosa ti auguri
da queste elezioni? Pensi che dalle urne possa venire una risposta ai problemi
di milioni di giovani, operai, disoccupati?
Riprendendo il discorso iniziale, noi
non ci presentiamo con delle promesse elettorali, ma propagandando un programma
di lotta, un programma che prevede la rottura dell’attuale assetto
istituzionale, un programma che ha come modello le rivoluzioni in Egitto, in
Siria e in tutto il mondo arabo. Questo sistema non può essere riformato, ma
solamente abbattuto dalle lotte dei lavoratori e degli studenti. Ci presentiamo
appunto per dar voce a queste lotte, per avanzare l’unica reale alternativa. Non
ci potrà essere nessun cambiamento all’interno dei palazzi del potere; chiunque
andrà al governo proseguirà nelle politiche di austerità, nello smantellamento
dei diritti dei lavoratori e degli studenti, nelle politiche guerrafondaie,
antioperaie e razziste che hanno caratterizzato i governi di tutti i colori, di
centrodestra, centrosinistra e tecnici. L’unico cambiamento negli interessi dei
lavoratori e delle nuove generazioni potrà partire solamente dalle piazze, dalle
scuole e dalle fabbriche in lotta. Mentre tutte le altre forze politiche
candidano imprenditori, banchieri, magistrati e sbirri, noi candidiamo nella
nostra lista operai, studenti, immigrati, cassintegrati, disoccupati in lotta
sulla base di un programma che vuole rovesciare il capitalismo, l’unico
autentico responsabile di questa crisi economica e sociale. E’ questo l’appello
che facciamo: riprendiamoci le scuole, riprendiamoci le fabbriche, liberiamo il
lavoro e il sapere, riprendiamoci il futuro e finiamola con un sistema che offre
solamente guerre, miseria e sfruttamento! L’unico governo che vogliamo, è un
governo dei lavoratori!
candidata alla Camera ed al Consiglio della Regione Lazio
nella lista Rivoluzione Civile,A.Ingroia
In tanti anni di attivismo non mi sono mai trovata davanti a
tanto pressappochismo e dire che i cittadini della Valle del Sacco ne hanno
viste tante.
Dopo studi costosi, approfondimenti, tavoli tecnici,
conferenze dei servizi dove partecipano rappresentanti di Enti locali e non, ognuno
con il proprio bel gettone di presenza, il Ministero dell’Ambiente, emana un
decreto che contiene un “errore”, voglio credere che sia solo un errore.
Cosa contiene il decreto? Si scopre che il Sito di interesse
nazionale che abbiamo sempre considerato unico viene diviso in due aree nette e
distinte:
1.Il polo chimico di Colleferro(sorgente dell’inquinamento)
2. Il fiume e le sue aree riparali larghe 100 metri dall’alveo.
E’ un utile “errore”: Non essendoci impianti chimici
integrati come quelli per la produzione di fertilizzanti semplici e
composti, categoria alle quali appartengono le produzioni che hanno lasciato
sui terreni la molecola del βCH (isomero
del Lindano) le aree riparali non possiedono le caratteristiche di legge per
essere considerate SIN, quindi si può procedere al declassamento e la Valle diventa Sito di
Interesse Regionale;
Il polo industriale invece, all’improvviso si scopre che non
è mai stato considerato ricadente all’interno del confinamento SIN. In altre
parole l’area dove sono stati fatti i lavori di bonifica, dove è stato
realizzato un barrieramento idraulico che deve essere costantemente monitorato,
dove si sono spesi fondi pubblici importanti, non è mai stato un SIN.
Voglio pensare che sia solamente un errore, anche se
gravissimo, in questo momento politico e di crisi di fiducia nelle Istituzioni.
Sappiamo che molti amministratori dei 18 siti d’emergenza che
come il nostro, sono stati declassati, sono seriamente preoccupati. Giustamente
paventano che le Regioni, a causa della crisi economica ed i tagli di spesa, difficilmente troveranno le risorse
necessarie per proseguire le bonifiche.
Quindi è doveroso scandalizzarsi!
Non si accorge di nulla la Giunta Regionale del Lazio ed
in particolare la
Presidente Polverini che è di fatto il Commissario della bonifica.
Tacciono i Consiglieri regionali uscenti,evidentemente
impegnati a ricollocarsi.
Tacciono tutti i Parlamentari che paventano scossoni
penalizzanti sotto il profilo elettorale.
Se ne sono accorte solo le associazioni, persone che i
documenti se li leggono!
Una cosa è certa: i cittadini stanno pagando a peso d’oro
troppi preziosi consulenti che commettono questi “errori”.
Quanto è successo è gravissimo! Peraltro se venisse rispettato quanto il
Decreto prevede, sarà estremamente più semplice autorizzare impianti per
bruciare Car fluff, altri rifiuti, o biomasse, ad esempio, nel cementificio di
Colleferro, la struttura industriale che
peraltro incide sull’area con il massimo della concentrazione di inquinante.
Francesco
Bearzi - Coordinatore RETUVASA Frosinone
Piangere
oppure ridere? Questa l’alternativa di fronte al grottesco comunicato stampa del
Ministero dell’Ambiente “Torna alle Regioni la competenza di 18 aree da
disinquinare”, da oggi sul sito web dell’ente.
Dopo aver
magnificato le conseguenze della trasformazione di 18 ex Siti di Bonifica di
Interesse Nazionale (SIN) in altrettanti Siti di Interesse Regionale (SIR),
parola d’ordine “Meno burocrazia, più velocità negli investimenti e più
vicinanza ai cittadini e alle esigenze locali” - ma ci sembra invece che
nella filosofia del provvedimento e nei riferimenti normativi a monte prevalga
l’intenzione di dismettere competenze governative, con dequalificazione della
rilevanza delle aree soggette a bonifica, e delega alle Regioni di compiti di
coordinamento e di spesa che spetterebbero a istituzioni di livello superiore -
il Ministero, guarda caso, si sofferma nello specifico su un solo SIN, quello
della Valle del Sacco.
Riportiamo
testualmente:
“Nel caso
della valle del Sacco, la zona è distinta in due diverse aree. Una zona è l’area
del polo chimico di Colleferro, per la quale nel 2005 era stata dichiarata
l’emergenza socio-economica-sanitaria. Questa area non è compresa nel decreto
perché non è mai stata classificata Sin ed era di competenza di un commissario
straordinario. Il decreto invece trasferisce alla Regione Lazio una seconda
area, l’ex sito di interesse nazionale della valle del Sacco: è una parte del
territorio del bacino del fiume Sacco completamente distinta da quella
dichiarata in stato d’emergenza; non vi sono attività industriali di dimensione
significativa tale da poter essere considerata presupposto per la
classificazione di sito di interesse nazionale”.
Ci si passino
i termini, qui siamo di fronte ad affermazioni incredibili, che sembrano frutto
di disinformazione o di incompetenza.
In primis -
ricorda Alberto Valleriani, presidente RETUVASA - “il decreto istitutivo del SIN
(L. 2 dicembre 2005, n. 248, art. 11 quaterdecies, comma 15 - ma cfr. già
O.P.C.M. n. 3441 del 10 giugno 2005, in particolare art. 1) non esclude certo
dai confini del SIN il polo chimico di Colleferro, origine della contaminazione
stessa”.
In
secundis - ipotizza Francesco Bearzi, coordinatore RETUVASA Frosinone - “gli
autori del comunicato stampa forse identificano il SIN con la perimetrazione del
bacino ripariale contaminato, ma si tratta di due cose ben distinte. La
perimetrazione è complementare al SIN, non lo sostituisce. Identificando
erroneamente il SIN con la perimetrazione delle aree ripariali, il Ministero fa
bene a sostenere che non vi si trovano impianti industriali significativi,
perché in tal caso dovrebbero essere ubicati sulle sponde del fiumeSacco. Si trovano invece tutti nel raggio di qualche chilometro e, come
tutti sanno, ad eccezione, pare, dello stesso Ministero dell’Ambiente, gli
scarichi industriali sono confluiti e continuano a confluire nel fiume Sacco,
determinando criticità ambientali storiche e recenti”.
A prescindere
dalle affermazioni clamorosamente erronee riportate nel comunicato stampa
ministeriale - concludono Valleriani e Bearzi - la Rete per la Tutela della
Valle del Sacco ha già anticipato pubblicamente dieci giorni fa il cuore delle
ragioni per cui il “declassamento” del SIN sembra risultare, alla luce della
normativa, decisamente illegittimo, e in base alle quali RETUVASA e altre
associazioni ricorreranno in sede giudiziaria.
Le
parole dette da un assonnato e inebetito Berlusconi sulla bontà dell’operato di
Mussolini , leggi razziali a parte, in occasione della sua inopportuna
partecipazione alla cerimonia milanese in ricordo delle vittime della Shoah, sono vergognose. Ma la vergogna scaturisce
non per la persona che ha espresso il
concetto, un personaggio dall’ignoranza infinita, nè dall’affermazione in sé. La vergogna emerge sorda e dolorosa nel constatare, come
sostenuto da Brunetta, che il pensiero di Berlusconi sul duce è comune a molti
italiani. In fin dei conti quell’italietta borghese che ha permesso l’avvento
del fascismo non è mai morta. E’ vero se
non ci fossero state le leggi razziali e la folle decisione di entrare in
guerra al fianco della Germania,
Mussolini avrebbe governato ancora a
lungo. Quanto volte ho sentito raccontare da mio nonno, uno che strappò la
tessera del fascio dopo il delitto Matteotti, e da altri anziani che la gente allora non si faceva troppi
problemi. In fin dei conti se iscriversi al partito fascista, mandare i propri
figli alle pagliacciate del sabato, consentiva di vivere facendosi gli affari
propri , e ottenere un lavoro anche
misero ma utile a tirare avanti, quale era lo scandalo. Le squadracce? Le
persecuzioni? E a chi
interessavano? Anche oggi se votare qualche
notabile post fascista, ex democristiano permette, non già di avere un lavoro,
ma una bolletta della luce pagata, dove
sta lo scandalo. La verità è che il fascismo non è mai stato debellato, perché ha
sempre fatto comodo. Utile a gravarsi del lavoro sporco di repressione violenta contro
il conflitto sociale disturbatore delle dinamiche di espropriazione dei diritti della gente comune
da parte della classe finanziaria e industriale. La vergogna vera è apprendere
che il sindaco di Cesenatico spende del denaro pubblico per destinare uno
spazio della cittadina all’esposizione di un busto di Mussolini. Vergogna vera
è veder sorgere ad Affile un mausoleo in
ricordo del macellaio Maresciallo Graziani. L’insulto verso quei poveri cristi
che hanno sacrificato la loro vita per permettere ad una massa incolta di
liberarsi dal tiranno era inscritto nelle liste elettorali già dal 1946. Infatti il simbolo della fiamma che arde sulla
tomba del duce, logo del movimento sociale, partito fondato dai reduci di Salò, faceva
bella mostra di sé accanto ai simboli degli altri partiti, nonostante la
costituzione ne vietasse l’esistenza. E
gli eredi di quei reduci di Salò con il
loro bagaglio di intolleranza razzista infestano ancora oggi con la loro presenza le liste elettorali, senza che
nessuna altra forza politica, a parte qualche innocuo sussulto di indignazione,
si mobiliti per far rispettare la legge
che vieta ogni manifestazione pubblica di apologia del fascismo. Questi spocchiosi reduci, grazie alla
compiacenza e al lassismo di chi doveva e deve vigilare sulla tenuta
democratica del nostro Paese, sono riusciti ad infettare con il germe della loro disumanità un’ampia parte
del mondo giovanile, infiltrandosi nelle
scuole,nelle curve degli stadi, partorendo sciagurate aggregazioni come
CasaPound, i fascisti del terzo millennio. Si è talmente rovesciata la verità
storica, per cui si deve sopportare la
nipote del duce che in una delle ultime commedie elettorali televisive rivendica rispetto per il fascismo e per il nonno ritenuto un grande statista. Il
sindaco di Roma è un altro enfant prodige
fascista fino alle midolla . La desolazione delle elezioni regionali nel Lazio emerge in tutto il suo squallore. Ben quattro
candidati su dodici sono dichiaratamente fascisti: Storace de “La Destra” , Di Stefano
per “CasaPound”, Fiore di “Forza Nuova”
e Romagnoli candidato per la “Fiamma Tricolore” Questa gente non solo non
dovrebbe essere ammessa alla contesa elettorale, secondo la legge Scelba e la Costituzione, ma non potrebbe
neanche esprimere pubblicamente la propria insana posizione. Purtroppo se nessuno si oppone a questa deriva,
limitandosi a versare lacrime di coccodrillo quando un Berlusconi o chi per lui
straparla, e se comunque c’è chi è disposto a sostenerli e votarli, i cittadini sinceramente democratici non
possono fare altro che denunciare e purtroppo subire. Allora da questo piccolo
spazio web non resta che lanciare un appello. Come già ho scritto più volte alle politiche
praticherò l’astensionismo attivo. Per
le regionali ancora non ho preso una decisione, non so se andrò a votare e per
chi voterò, ma nello scenario del voto regionale è indispensabile l’appello a
non votare la “VERGOGNA” . Accordare la
propria preferenza ai soggetti sopra citati è antidemocratico e fuori legge .
Se le istituzioni non lo hanno capito permettendo la candidatura dei post
fascisti, che sia quella parte di popolo consapevole e non beota
a sancire l’incompatibilità democratica
di questa gentaglia.
E’ noto a tutti
che le cardiopatie o patologie del cuore, colpiscono oltre il 50% dei
cittadini. Una ASL moderna ed efficiente dovrebbe tenere in particolare
considerazione l’organizzazione sanitaria di prevenzione e cura di queste patologie in tempi clinici
normali, per garantire la difesa della salute con interventi ed analisi
tempestivi.
Purtroppo non è così.
I dirigenti della ASL, che si vantano in ogni occasione di
aver risparmiato e conseguito il pareggio
del bilancio, dovrebbero vergognarsi, perché questo loro operare ha danneggiato e danneggia la
salute dei cittadini. E’ scandaloso che in un ospedale, come quello del
Capoluogo, che doveva essere moderno ed
efficiente, vi siano in dotazione all’U:O:C: di cardiologia soltanto due apparecchi holter:
uno, riservato agli interni ed uno riservato agli esterni. Un altro apparecchio
è in dotazione alla Unità Semplice di prevenzione cardiologica di cui è
responsabile il dott. Aceti. Sono
disponibili quindi solo due apparecchi
per eseguire gli elettrocardiogrammi dinamici.
L'ECG dinamico secondo Holter è una metodica
diagnostica utilizzata per monitorare l'attività elettrica del cuore durante un
intervallo di tempo più o meno lungo, solitamente corrispondente a 24-48 ore,
ma con i registratori di ultima generazione sino ad un massimo di sette giorni.
Essa prende il nome dal suo inventore, il fisico statunitense Norman
J. Holter.
Due strumenti per i 2/3 della popolazione della provincia
(Distretto di Frosinone più quello di Anagni e Alatri). In conseguenza di tale
realtà i tempi di attesa sono di circa un anno. Secondo il Piano nazionale sul
contenimento delle liste di attesa pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 23
/11/2010 n.247, per questo tipo di analisi i tempi non dovrebbero superare
i 60 gg.
Come fa l’ospedale di
Frosinone a diventare DEA II livello con questi dirigenti e con questa
organizzazione sanitaria?
Le ragioni di tutto questo
sono la carenza di medici cardiologi e la mancanza di apparecchi, che guarda
caso, costano solo mille euro cadauno. Non se ne potrebbero comprare dieci?
In un ASL dove gli emolumenti di medici
primari sfiorano i 14.000 – 15.000 euro mensili e si spendono decine di milioni per l’acquisto
di prestazioni aggiuntive e di lavoro straordinario non si trovano diecimila euro?
Chiediamo al Sindaco del
Capoluogo ed a tutti i sindaci di far sentire la loro voce per riportare la legalità e la normalità in un campo minato per la salute dei
cittadini.
A che serve un pareggio di
bilancio quanto ci sono realtà di questo tipo?
No Austerity è un coordinamento delle lotte. E' nato il 15 dicembre 2012, in occasione di un'assemblea autoconvocata di lavoratrici, lavoratori, immigrati, attivisti sindacali, studenti che in questi anni hanno partecipato e dato vita a momenti di lotta radicale nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nelle scuole. L'assemblea si è svolta a Cassina de' Pecchi, cioè in una zona del milanese dall'importante valore simbolico. E', infatti, un territorio che ha visto nascere due importanti esperienze di lotta: la lotta delle operaie e degli operai della Jabil-Nokia, che da mesi occupano e presidiano la fabbrica per respingere i licenziamenti, e la lotta dei lavoratori dei lavoratori dell'Esselunga di Pioltello, che, dopo aver organizzato una resistenza durata lunghi mesi contro i licenziamenti e contro le provocazioni dei padroni, oggi continuano la mobilitazione con nuovi picchetti e presidi.
Le realtà di lotta che hanno promosso e partecipato all'assemblea del 15 dicembre All'assemblea del 15 dicembre non erano presenti solo i lavoratori e le lavoratrici dell'Esselunga e della Jabil: molte altre sono le realtà sindacali e di lotta che si sono fatte promotrici di questa giornata. Tra loro, una delle realtà di fabbrica che per prima ha posto l'esigenza di un'assemblea autoconvocata: gli operai della Ferrari di Maranello (che fa parte del gruppo Fiat). Il 15 dicembre erano presenti sia delegati Fiom della Ferrari (non più riconosciuti da Fiat, dopo l'applicazione anche in Ferrari del "modello Pomigliano") sia rappresentanti della Flmuniti-Cub Ferrari. Oltre a loro, erano presenti, per citarne solo alcuni: gli immigrati del Coordinamento migranti di Verona e del Comitato Immigrati in Italia, gli operai della Marcegaglia (di Milano e di Casalmaggiore), gli operai della Same di Treviglio, i lavoratori del pubblico impiego (dai precari della scuola della Lombardia e dell'Emilia alla rsu Cub del Comune di Vicenza), attivisti sindacali della Lombardia e dell'Emilia (rsu della Fiom, della Cub, della Rete 28 aprile, della sinistra Cgil, di Usb; attivisti sindacali del Si.Cobas, ecc.). Sono intervenuti in assemblea ed hanno accolto l'appello a coordinare le diverse esperienze di lotta anche i lavoratori del Coordinamento Lavoratori Autoconvocati. Presenti anche realtà di movimento e dell'associazionismo: sono intervenuti rappresentanti del collettivi studenteschi e dell'associazione "Voci della memoria - No eternit" di Casale Monferrato, che da anni si batte per mantenere viva la "memoria" dello scempio ambientale e di vite umane provocato dall'amianto. Nonostante l'assemblea si fosse posta l'obiettivo di creare un primo coordinamento tra le realtà di lotta del Nord, particolarmente importante è stata la presenza a Milano degli operai della Irisbus di Flumeri, una delle fabbriche che la Fiat ha deciso di smantellare, lasciando centinaia di operai senza lavoro. Gli operai della Irisbus hanno fatto un lungo viaggio per portare il loro sostegno a questa assemblea: nel loro intervento hanno sottolineato l'esigenza non solo di coordinare le lotte, ma anche far sì che la lotta contro i licenziamenti diventi parte di una lotta più generale contro questo sistema economico e sociale. Significativa anche la presenza di un rappresentante delle lotte sindacali dell'America Latina, Dirceu Travesso, dirigente della Csp-Conlutas, il più grande sindacato di base dell'America Latina (3 milioni di aderenti). Travesso ha portato la sua solidarietà all'assemblea, rimarcando la necessità di estendere il coordinamento delle lotte anche sul terreno internazionale: per questo, No Austerity è stato invitato a partecipare a un incontro sindacale internazionale che si svolgerà a Parigi dal 22 al 24 marzo. L'incontro di Parigi, promosso da vari sindacati conflittuali di America ed Europa (tra cui la stessa Csp-Conlutas del Brasile, l'Union Syndicale Solidaires di Francia, la Cgt di Spagna, l'Odt del Marocco, ecc.) rappresenta un primo tentativo di unificare sul terreno internazionale le lotte sindacali.
Le decisioni dell'assemblea e la nascita di No Austerity Nell'assemblea del 15 dicembre, le relazioni iniziali di alcuni dei promotori dell'assemblea (Stefano Bonomi, della Rete Operaia Val Seriana; Patrizia Cammarata, per la rsu Cub del Comune di Vicenza; Ramona Bartoloni, operaia della Jabil-Nokia; Paolo Ventrella, delegato Fiom Ferrari; Luis Seclen, delegato Si.Cobas dell'Esselunga di Pioltello; Moustapha Wagne, del Coordinamento Migranti di Verona; Fabiana Stefanoni, precaria della scuola di Modena) sono state seguite da un vivace di battito, con interventi delle varie realtà presenti in sala. E' stata discussa e integrata la piattaforma sulla base della quale l'assemblea era stata convocata e si è deciso, con votazione unanime, di dare vita a un coordinamento permanente tra le realtà di lotta presenti. Il nome deciso per il coordinamento è No austerity - Coordinamento delle lotte. Sono state anche votati, dall'assemblea, un coordinamento nazionale (che avrà il compito di decidere le prossime scadenze assembleari e di mobilitazione nonché di favorire la comunicazione tra le lotte), la piattaforma del coordinamento, la decisione di partecipare all'assemblea sindacale di Parigi. Fin da subito, si sono indicate alcune scadenze importanti cui partecipare: dal sostegno alle lotte dei lavoratori delle cooperative (dall'Esselunga all'Ikea) e della Jabil fino alla costruzione di una manifestazione a Maranello, già nelle prime settimane del 2013, con la convocazione di un nuovo momento assembleare al fine di estendere il coordinamento alle realtà di lotta dell'Emilia Romagna. Tra gli obiettivi più importanti, ci sarà, ovviamente, quello di estendere No Austerity a tutte le principali realtà di lotta del nostro Paese, al fine di contrapporre alla frammentazione della lotte (di cui sono innanzitutto responsabili le burocrazie sindacali che rendono vittime i lavoratori e cittadini), una vera e solidale unità delle lotte, per respingere l'attacco padronale e favorire la crescita delle mobilitazioni di massa anche nel nostro Paese, sull'esempio di quello che avviene in altri Paesi europei (Spagna, Grecia, Portogallo). Prioritaria sarà, quindi, la promozione di momenti assembleari analoghi a quello di Cassina de' Pecchi anche al centro e al Sud: crediamo che solo unendo le lotte si possa respingere l'attacco dei padroni e dei governi esecutori delle politiche di austerity che, con i licenziamenti di massa e lo smantellamento dei servizi sociali, stanno distruggendo le vite di milioni di lavoratori in nome dei profitti di pochi.
Sez. di Roma “Vito
Bisceglie” via Calpurnio Fiamma, 136 00173 Roma
Il PCL si presenta alle elezioni
regionali come forza autonoma e alternativa ai due schieramenti di
centro-destra e di centro-sinistra.
Il nostro programma è apertamente
anticapitalista. È il programma di un partito che si
batte per un Governo dei lavoratori. Ciò non significa ignorare i temi
“amministrativi” locali. Significa affrontarli in una logica di classe. Una
logica che non parte dalla cosiddetta “compatibilità” degli obiettivi con
l’attuale quadro istituzionale e sociale. Ma che parte dalle esigenze concrete
dei lavoratori e di tutti gli sfruttati per rivendicare un’alternativa di
società e di potere.
L’ambito regionale, nelle sue
particolarità sociali e politiche, è solo lo specifico luogo di articolazione di questo programma generale.
NO AL “FEDERALISMO” DEI GOVERNATORI
Tutte le forze politiche, senza
eccezione, accettano il sistema istituzionale dei governatorati regionali (il
sistema che ha favorito il proliferare di personaggi come l’Assessore lombardo
Zambetti e il Consigliere laziale Fiorito). Un sistema che il progetto
“federalista” mira a rafforzare ulteriormente, nel nome della “democrazia” e dell’“avvicinamento
delle istituzioni” al popolo. Il PCL rifiuta questo sistema e la retorica
ipocrita che l’accompagna. I governatorati sono una forma di
presidenzialismo, che subordina il Consiglio regionale al potere del
governatore grazie anche al sistema elettorale maggioritario. Non solo non
realizzano la “democrazia” e il potere del popolo, ma concentrano tutti i
poteri essenziali nelle mani del Presidente a scapito della rappresentanza
democratica e del controllo popolare. Lo strapotere ventennale dei tanti
Formigoni, Errani, Bassolino —coi noti risvolti nepotistici, clientelari,
mal-affaristici— è anche l’espressione
del presidenzialismo regionale. La battaglia democratica contro i progetti
dei poteri forti, sostenuti sia dal PDL, sia dal PD, è inseparabile dalla
battaglia contro il presidenzialismo dei governatori. Come sul piano nazionale,
anche sul piano regionale, il PCL rivendica un sistema elettorale pienamente
proporzionale e il rifiuto di ogni subordinazione delle assemblee elettive al
potere esecutivo.
ABBATTERE I PRIVILEGI DEI CONSIGLIERI REGIONALI
Tutte le forze politiche, senza
eccezione, accettano i privilegi economici e istituzionali dei Consiglieri
regionali, che talvolta sono addirittura superiori a quelli dei parlamentari
nazionali (vedi le buonuscite). Il progetto federalista - votato in Parlamento
da PDL, Lega e Di Pietro e sostenuto dal PD – ha, nei fatti, rafforzato
ulteriormente questi privilegi. Il PCL respinge e denuncia questi benefici,
(che, non a caso, nel Lazio ha visto come protagonista il trogloditismo
politico della destra “federale” di Fiorito) che sono una forma della
separazione dello Stato borghese dalla maggioranza della società. Nessun
eletto deve godere di un privilegio economico e giuridico rispetto al suo
elettore, tanto sul piano nazionale, quanto sul piano locale. Per questo
rivendichiamo che lo stipendio di un parlamentare nazionale, come di un
consigliere regionale, non possa superare i 2.000 euro netti. E che le
consistenti risorse economiche così risparmiate vengano destinate alle esigenze
del mondo del lavoro e dei disoccupati.
NO ALL’ASSISTENZIALISMO PUBBLICO DEL PROFITTO PRIVATO. PER UN VERO
SALARIO AI DISOCCUPATI
Tutte le giunte regionali, e tutte le
forze di governo, dispongono trasferimenti di denaro pubblico alle imprese
private (la maggioranza guidata della Polverini anche nelle tasche dei singoli
consiglieri…sic!): a sostegno di ‘ristrutturazioni’
antioperaie, delocalizzazioni, ecc. Il combinarsi della crisi capitalistica con
il progetto “federalista” ha esteso ulteriormente
l’assistenzialismo verso le imprese da parte dei governi regionali.
L’espansione dei bilanci regionali nel nord, vero obiettivo del federalismo
leghista, si è tradotto, nelle stesse regioni settentrionali, in nuovi travasi
di risorse pubbliche verso il profitto privato e le sue speculazioni sul
territorio mentre, nelle regioni del Sud, ulteriormente impoverite, in un’ancor
più marcata dipendenza dal capitale malavitoso delle organizzazioni criminali.
Insomma, un formicaio o meglio, potremmo dire, “un formigoni”… All’opposto, il PCL rivendica l’azzeramento dei trasferimenti
pubblici al profitto privato e l’esproprio, senza indennizzo, delle aziende che
licenziano. Le risorse economiche così risparmiate saranno utilizzate per assumere
a tempo indeterminato i precari che lavorano in Regione e per finanziare un
salario per i disoccupati in cerca di lavoro. Il PCL rifiuta il federalismo
leghista, a cui oppone il controllo sociale dei trasferimenti pubblici agli
enti locali, proporzionali alle necessità popolari e all’abbattimento delle
disuguaglianze territoriali.
OCCUPARE, REGIONE PER REGIONE, TUTTE LE AZIENDE CHE LICENZIANO.
PER IL BLOCCO GENERALE DEI LICENZIAMENTI
Tutte le regioni italiane sono
investite da una drammatica crisi sociale legata alla chiusura delle aziende e
ai relativi licenziamenti. Tutte le forze di governo, regione per regione, si
occupano nel migliore dei casi di intercedere presso il governo nazionale per
chiedere “aiuti” a favore dei padroni bancarottieri che operano nel “proprio”
territorio, per cogestire passaggi di proprietà, per amministrare gli effetti
sociali delle “inevitabili” chiusure di aziende. In qualche caso dispongono
piccole elemosine per i lavoratori colpiti, al fine di “ammortizzare” la loro
espulsione dal lavoro, e mostrare “buon cuore” per scopi elettorali.
All’opposto, il PCL si occupa di promuovere, regione per regione,
l’unificazione e la radicalizzazione della resistenza sociale. In ogni
regione si contano aziende presidiate o occupate dai lavoratori, in uno
scenario di drammatica frammentazione e di crescente disperazione. Il PCL si
batte per coordinare le lotte in corso; per generalizzare l’occupazione operaia
di tutte le aziende che licenziano; per istituire una cassa di resistenza a
sostegno delle lotte; per favorire un’autentica ribellione sociale contro il
profitto capitalistico. Per le sinistre “assessorili”, le Regioni sono solo
ambiti istituzionali per accordi di governo con i partiti borghesi. Per il PCL
sono un terreno di lotta di massa contro la borghesia, i suoi partiti, i suoi
governi.
“BASTA COI CLANDESTINI”?: PERMESSO DI SOGGIORNO A TUTTI I
MIGRANTI. PER LA SICUREZZA SUL LAVORO E SUL TERRITORIO DEI LAVORATORI ITALIANI
E DEI MIGRANTI
Tutte le forze politiche di governo
—destra, centro, sinistra— hanno varato
e votato negli ultimi 15 anni leggi antimigranti. Il passato governo
Berlusconi-Bossi ha rafforzato questa legislazione odiosa, istituendo il reato
di immigrazione clandestina, e combinandola col tentativo di
“istituzionalizzare” un’organizzazione para-militante xenofoba (le ronde
padane). Lo scopo è fomentare la guerra tra poveri a tutto vantaggio dei ricchi
e delle fortune elettorali leghiste. Il risultato è l’ulteriore precipitazione
delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di proletari migranti, sempre
più ricattati e ricattabili dai propri padroni, oggetto di aggressioni e
deportazioni in caso di ribellione (vedi quanto accaduto a Rosarno), e per di
più “usati”, mediante il ricatto del permesso di soggiorno, come strumento di
pressione sui lavoratori italiani per peggiorare le condizioni di vita di
quest’ultimi. Il PCL si oppone e si opporrà, regione per regione, a questa
politica schiavista. Rivendica il
permesso di soggiorno per tutti i lavoratori migranti come unica vera soluzione
dell’immigrazione “clandestina”, a vantaggio degli stessi lavoratori italiani. Rivendica
l’introduzione del reato di sfruttamento del lavoro nero di italiani e
migranti: perché siano gli sfruttatori a finire in galera, non le loro vittime.
Rivendica la formazione di strutture unitarie di controllo operaio e popolare
sul territorio a tutela della sicurezza di lavoratori italiani e migranti:
contro l’inosservanza delle norme di sicurezza sul lavoro, contro le minacce
xenofobe, contro le aggressioni della malavita, contro gli abusi quotidiani
delle cosiddette “ forze dell’ordine” (fuori e dentro le galere), contro
l’evasione fiscale dei padroni.
BASTA COL BUSINESS DELLA SALUTE. PER UNA SANITA’ INTERAMENTE
PUBBLICA SOTTO CONTROLLO POPOLARE
La Sanità rappresenta il crocevia del
potere regionale e la voce dominante del bilancio delle regioni. Tutte le forze
politiche, senza eccezioni, accettano e/o gestiscono da decenni, sul piano
locale, le politiche sanitarie nazionali e il sistema di fondo che le presiede:
tutele e regalie alla sanità privata (ecclesiastica e laica), ticket e tagli
sistematici alla sanità pubblica, clientelismi sfacciati e blocco delle
assunzioni, esternalizzazioni e appalti, ricorso allegro ai derivati finanziari
e all’indebitamento progressivo con le banche, giro vorticoso di corruzione e
mazzette bipartisan (dalla Lombardia alla Puglia, passando per Abruzzo, Lazio e
Calabria). Il PCL denuncia queste politiche perché respinge ogni forma di
subordinazione della salute al profitto. Il PCL rifiuta l’attuale “patto
per la salute” concordato tra governo nazionale e governi regionali di ogni
colore (riduzione della spesa sanitaria regionale e nuove tasse regionali sui
redditi popolari). Rivendica l’annullamento unilaterale del debito pubblico
delle regioni verso le banche e le imprese farmaceutiche; l’abolizione di ogni
finanziamento pubblico alla sanità privata e il carattere pubblico dell’intero
sistema sanitario, col relativo esproprio, senza indennizzo, delle cliniche
private; l’abolizione dei ticket e di ogni forma di mercato all’interno della
sanità pubblica (vedi sistema intramoenia) e attorno ad essa (sistema degli
appalti); l’estensione della sanità pubblica sul territorio, a partire dalla
presenza diffusa degli ambulatori, col rifiuto di ogni “taglio sulla salute”;
il ripristino di tutte le strutture sanitarie falcidiate negli anni passati dai
governi regionali di centro-sinistra e centro-destra, a partire dai piccoli
ospedali; l’estensione del servizio sanitario nelle regioni del Sud per evitare
la migrazione sanitaria nel Nord di decine di migliaia di malati (coi relativi
costi individuali e pubblici per le regioni meridionali); l’estensione
dell’assistenza sanitaria agli anziani, residenziale e domiciliare; la ripresa
delle assunzioni di personale medico e paramedico, a garanzia della qualità del
servizio sanitario e delle condizioni di lavoro dei dipendenti; il carattere
elettivo e revocabile dei direttori sanitari da parte dei lavoratori del
settore, la cancellazione di ogni loro privilegio economico; un controllo
sociale e popolare sul servizio sanitario da parte di lavoratori e utenti,
quale condizione decisiva di svolta.
NO AL FINANZIAMENTO PUBBLICO DELLA SCUOLA PRIVATA. PER
UN’ISTRUZIONE INTERAMENTE PUBBLICA E LAICA SOTTO IL CONTROLLO DI LAVORATORI,
INSEGNANTI, STUDENTI
Tutte le amministrazioni regionali
hanno proceduto negli anni alla gestione dei tagli all’istruzione pubblica, e
alla parallela corresponsione di crescenti risorse pubbliche alla scuola
privata (confessionale e laica). I nuovi tagli massicci a scuola e università
previsti dall’attuale governo (taglio alle spese di gestione ordinaria, aumento
del numero di alunni per classe, riduzione del monte ore didattico, espulsione
dei precari, abbassamento dell’obbligo scolastico) coinvolgono le giunte
regionali in un ulteriore appesantimento dell’attacco alla scuola, combinato
con un salto del processo di privatizzazione della pubblica istruzione (vedi
Fondazioni). Il PCL si oppone su tutta la linea a queste politiche, perché
respinge ogni forma di subordinazione dell’istruzione al profitto. Rivendica
l’abrogazione dei finanziamenti pubblici a scuole e università private nella
prospettiva di un’istruzione interamente pubblica e laica; il rifiuto della
cosiddetta “razionalizzazione della rete scolastica” intesa come pratica
di tagli a fini di “risparmio” (chiusure e accorpamenti di istituti
scolastici); l’estromissione di imprese e banche dall’amministrazione di
istituti scolastici e università e un massiccio investimento pubblico
nell’istruzione; la riduzione del numero di alunni per classe (tetto massimo 20
alunni), a garanzia della qualità didattica e dell’occupazione; un’opera
generale di risanamento dell’edilizia scolastica, a garanzia delle condizioni
di sicurezza; il carattere elettivo e revocabile dei presidi; un controllo
sociale e popolare su scuola e università da parte innanzitutto dei lavoratori
della scuola e dell’insieme della popolazione scolastica.
NO AL TAGLIO DEI TRENI REGIONALI E PENDOLARI. PER UN CONTROLLO
OPERAIO E POPOLARE SULLE FERROVIE
Tutte le amministrazioni regionali sono
state coinvolte in questi anni nell’operazione di demolizione del servizio
ferroviario, in concertazione con le Ferrovie dello stato e il ministero dei
trasporti. L’attuale progetto di Alta Velocità su un gruppo selezionato di
linee “di lusso”, in concorrenza d’affari con la parallela iniziativa privata a
guida Montezemolo, sta moltiplicando le chiusure di tratte ferroviarie
regionali, e determina il forte rincaro di un servizio pubblico sempre più
ridotto e scadente, e sempre meno sicuro. Il PCL rivendica la difesa del
servizio ferroviario come servizio pubblico e popolare; un forte investimento
di risorse pubbliche nella qualificazione delle ferrovie dello stato; il
ripristino di tutte le tratte tagliate, a partire dalle linee dei pendolari;
l’estensione del servizio ferroviario nel Meridione; la ripresa di consistenti
assunzioni di personale ferroviario quale condizione necessaria per la
riqualificazione del servizio, la sua sicurezza, la sua vivibilità per
lavoratori e utenti; il carattere elettivo e revocabile dei dirigenti delle
ferrovie da parte dei lavoratori del settore, e la cancellazione dei loro
privilegi; un controllo operaio e sociale sull’intero servizio ferroviario (
qualità, copertura territoriale, costi, sicurezza).
NO AL NUCLEARE E ALLA PRIVATIZZAZIONE DELL’ ACQUA. PER UN PIANO DI
RISANAMENTO AMBIENTALE, SOTTO CONTROLLO POPOLARE
Tutte le giunte regionali hanno
partecipato negli anni al saccheggio del proprio territorio, in veste di
comitati d’affari di interessi privati: speculazioni, abusivismi, dissesto
idrogeologico, inquinamento ambientale sono il lascito di queste politiche, con
costi sociali enormi e autentici crimini. Oggi, il nuovo “piano casa” del
governo all’insegna di una più libera licenza speculativa; il piano di
privatizzazione dell’acqua; i progetti di “alta velocità” e soprattutto il
programma di ritorno massiccio all’energia nucleare, prevedono un più diretto
intervento dell’esecutivo nazionale nella gestione del territorio , un ancor
più marcata subordinazione dei governi regionali alla volontà del governo, un
salto di qualità dello scontro ambientale in Italia. Il PCL si oppone al
saccheggio dell’ambiente e della salute nel nome del profitto. Rivendica un
piano di riassetto idrogeologico del territorio, a partire dal Sud, con un
forte investimento di risorse pubbliche sotto controllo popolare; la
nazionalizzazione della grande industria edilizia, senza indennizzo, quale
condizione necessaria di una svolta radicale nella politica abitativa e nel
rapporto col territorio; il carattere interamente pubblico del servizio idrico,
e un piano di riparazione della rete idrica nazionale; il rifiuto degli
impianti nucleari, in ogni regione, con l’organizzazione di una radicale
opposizione di massa al loro insediamento; un massiccio investimento di risorse
pubbliche nelle energie rinnovabili, sotto controllo pubblico.
PER UN PIANO DI OPERE SOCIALI, REGIONE PER REGIONE, FINANZIATO DA
GRANDI PROFITTI, RENDITE, PATRIMONI. PER UN PIANO DI OCCUPAZIONE E DI RINASCITA
,A PARTIRE DAL SUD, SOTTO IL CONTROLLO DI COMITATI POPOLARI
La battaglia per questo programma è
inseparabile dallo sviluppo della mobilitazione operaia e popolare. Il PCL
propone a tutte le sinistre politiche e sindacali, a tutte le associazioni
ambientaliste e popolari, di promuovere, regione per regione, un censimento
capillare delle necessità inevase delle classi subalterne sul territorio, e un
relativo piano di rinascita ( risanamento edilizio, sicurezza degli edifici
scolastici, riparazione della rete idrica, bonifica dei terreni inquinati e
dell’amianto, sviluppo della rete ferroviaria, riassetto del territorio..),
sino a comporre per questa via una piattaforma nazionale di lotta. Proponiamo
che il censimento delle necessità del territorio avvenga attraverso la
convocazione pubblica di assemblee popolari e si combini con la formazione di
comitati popolari, quali strumenti di autorganizzazione di massa, e il loro
progressivo coordinamento. Proponiamo che il “piano di rinascita” quantifichi,
per ogni voce, le esigenze di nuove assunzioni e di nuovo lavoro, a vantaggio
dei disoccupati e al servizio della società. Proponiamo che il piano di
rinascita quantifichi, voce per voce, le esigenze di spesa e le possibili fonti
di finanziamento: abbattimento delle spese militari, soppressione dei privilegi
istituzionali, abrogazione dei privilegi ecclesiastici, tassazione progressiva
dei grandi profitti, rendite, patrimoni, abolizione dei trasferimenti pubblici
alle grandi imprese e alle banche. Il piano di rinascita del territorio, a
partire dal Sud, può divenire uno strumento di egemonia del movimento operaio
sulle domande delle masse popolari, sottraendole al populismo o al richiamo
clientelare. E’ un terreno essenziale di lotta per la formazione di un blocco
sociale anticapitalistico
PER UN GOVERNO DEI LAVORATORI
Tutte le forze politiche presentano,
regione per regione, “programmi di amministrazione” della realtà esistente. Il
PCL presenta un programma di rovesciamento di questa realtà. Questo
programma è e sarà inconciliabile con ogni formula di centrosinistra e con ogni
localismo. La sua realizzazione implica la rottura complessiva del quadro
sociale ed istituzionale esistente, a partire dalla completa autonomia del
movimento operaio e popolare da ogni partito borghese e da ogni governo
borghese, nazionale e locale. Solo un governo dei lavoratori potrà portare a
compimento questo programma di alternativa anticapitalista. Il PCL partecipa
alle elezioni- nazionali, europee, regionali- per presentare questo programma,
estendere la sua riconoscibilità ed influenza nelle lotte in corso, favorire
l’organizzazione attorno ad esso di un più vasto settore d’avanguardia della
classe lavoratrice e dei giovani. Eventuali eletti del nostro partito, ad ogni
livello, sarebbero solo una cassa di risonanza della lotta per un governo dei
lavoratori. Tutti gli altri partiti vedono nella presenza istituzionale e
nell’inserimento nei governi borghesi il fine ultimo della propria politica. Il
PCL assume come fine della propria politica la conquista del potere da parte
dei lavoratori e la costruzione di un altro Stato.