martedì 8 maggio 2018

A quarant' anni dalla morte di Peppino Impastato, organizziamoci collettivizziamo la lotta contro tutte le mafie.

Luciano Granieri





Come sempre,   dal 1978 ad oggi, il ricordo di Peppino Impastato, la sua vicenda, sono   sempre stati  offuscati   dall’omicidio di Aldo Moro avvenuto lo stesso giorno,  il 9 maggio di quarant'anni fa,  in cui Peppino fu trucidato  dalla mafia. Una tragedia, quella di Moro,   molto più eclatante della  scomparsa di un  comunistucolo arruffa popolo , prossimo alla lotta armata (all’inizio si avanzò l’ipotesi che Peppino Impastato  fosse rimasto vittima dell’attentato dinamitardo che egli stesso stava confezionando per far saltare in aria la ferrovia). 

In effetti per scoprire i mandanti e gli esecutori mafiosi  dell’omicidio ci sono voluti ben tre processi con la sentenza definitiva arrivata solo nel 2001. Oggi, grazie all’impegno del Centro di Documentazione che porta il suo nome,  al  film i 100 passi di Marco Tullio Giordana e al  brano omonimo dei Modena City Ramblers, a lui dedicato , la storia del marxista leninista libertario (definizione mia) di Cinisi è diventata patrimonio comune. Tanto che Peppino Impastato è diventato un’icona preminente di quell’antimafia sociale  animata da  personaggi  quali, Placido Rizzotto,  Mauro Rostagno, Giuseppe Fava . Gente comune,  strenui oppositori  della  mafia non per mestiere, ma per sensibilità e voglia di giustizia sociale. 

E’ innegabile come Peppino Impastato sia diventato anche un’ icona dei  movimenti di sinistra che ne hanno esaltato l’impegno politico, ma proprio questa attività è sempre passata in secondo piano, nell’immaginario costruito dai media mainstream. Era molto più rassicurante  esaltare un eroe antimafia posponendo, o addirittura anestetizzando,  le sue  concezioni  politico-sociali .  

Un eroe antimafia, per quanto repellente mi suoni  la parola “eroe”,  Peppino Impastato lo fu realmente.  Portò avanti la sua lotta contro  la mafia, al limite dell’impossibile,  circondato  da un  contesto in cui il  padre stesso era affiliato al clan del boss Tano Badalamenti (Don Tano seduto come lo chiamava lui)  . Eppure fu proprio l’impegno politico a dare forza e consapevolezza alla battaglia di Peppino. 

In particolare, a essere mal sopportata oggi, è la determinazione  che la mafia, pur nelle sue peculiarità ambientali,  non è altro che un prodotto  del capitalismo. Una delle leggi fondanti il capitalismo si basa sull’ineluttabilità  dell’accumulazione , della concentrazione della ricchezza  nelle  mani di pochi.  Tale obbiettivo deve essere realizzato ad  ogni costo,  con tutti i mezzi, anche quelli mafiosi.  Ne è naturale conseguenza che la lotta alla mafia non può prescindere dalla lotta al capitalismo questo pensava Peppino  . A cinquant’anni dalla sua morte, come curatore del blog Aut Frosinone, vorrei ricordare quel Peppino.  l’Impastato che nella sua irrequietezza libertaria era passato dal Pci, a Lotta Continua, agli Indiani Metropolitani , a Democrazia Proletaria, sempre mosso dalla  sua natura marxista-leninista   tesa  a promuovere la  giustizia sociale vero motore della sua attività antimafia  

Significativo in questo senso è il  documento che segue, riportato  nel libro scritto dal suo amico Salvo Vitale dal titolo  ,  Nel Cuore dei Coralli Peppino Impastato una vita contro la mafia” (ed. Rubbettino).  E’  un appello,  redatto a Cinisi  l’otto  giugno 1977 che invitava alla mobilitazione rispetto ad un provvedimento, licenziato dal Parlamento di allora, che normalizzava di fatto il precariato.

“Il KAPITALE  produce disoccupati e, di conseguenza, lavori marginali e stagionali con due scopi precisi:
1)      AUMENTARE LA PRODUZIONE E DIMINUIRE IL COSTO DEL LAVORO;
2)      DISGREGARE IL PROLETARIATO.

La crisi ha generato una nuova figura di giovane proletario destinato al lavoro marginale  saltuario. La sua condizione è caratterizzata da un alternarsi di periodi lavorativi a momenti di disoccupazione, quindi da un’estrema instabilità del salario.

In Italia ci sono circa 1,5 milioni di disoccupati ufficiali, senza contare i milioni di studenti, sottoccupati, precari e i milioni di casalinghe (11 milioni nel ’74 dati Doxa).

Diamo ora un’occhiata alla legge truffa di Tina Anselmi, varata con il consenso  di DC, PCI, PSI, PSDI. Giovani dai 15 ai 29 anni svolgeranno il LAVORO NERO LEGALIZZATO, con contratti a tempo determinato. 

Vogliono farci studiare e contemporaneamente lavorare per 8 ore complessive e ce ne pagano 4 con il minimo salariale.

Non solo viene legalizzato il lavoro nero, ma lo stato rapina 1.060 miliardi ai PROLETARI per regalarli  ai PORCI PADRONI:  riceveranno £ 32.000 al mese per ciascun assunto nel nord e £ 64.000 nel mezzogiorno.

COMPAGNI, DISOCCUPATI, STUDENTI, PROLETARI,

iscriversi alle liste di collocamento non basta; dobbiamo organizzarci per rifiutare le regole del Kapitale e imporre le nostre:
-Salario garantito per vivere e assistenza medica gratuita
-Rifiuto del lavoro nero e lotta contro il blocco delle assunzioni in fabbrica e nel pubblico impiego
-Riduzione generalizzata del tempo di lavoro.

ORGANIZZIAMOCI PER FORMARE UN COLLETTIVO"

Cinisi 08/06/1977 Siamo disoccupati,sottoccupati,casalinghe, studenti proletari.

Come non rilevare l’attualità di questo appello?  Qui si dimostra senza ombra di dubbio che il jobs act e l’alternanza scuola lavoro, sono frutti avvelenati che vengono dal lontano. Come ignorare che proprio dalla disgregazione del proletariato, dall’isolamento di disoccupati, sottoccupati, precari, immigrati,  le mafie traggono la loro forza,  sia in termini di arruolamento che di  facilità d’imposizione della legge del più forte, anche  e soprattutto al di fuori dello Stato.  

A   quarant'anni dalla morte di Peppino Impastato, voglio  fare mia  l’esortazione con cui si conclude l’appello: “ORGANIZZIAMOCI PER FORMARE UN COLLETTIVO” Dopo la  devastazione culturale provocata da decenni di narrazione liberista, organizzarsi sarà complicato, lungo, con un percorso pieno di pericoli ed incognite, ma questa è l’unica alternativa per un decisivo riscatto sociale  , per  determinare la sconfitta definitiva di tutte le mafie. 

 ORGANIZZIAMOCI, COLLETTIVIZZIAMO E UNIAMO LE LOTTE, lo dobbiamo alla nostra dignità. Solo così potremo onorare completamente la memoria di Peppino Impastato.
Di seguito la trasmissione di Radio Aut  andata in onda il  maggio '78 il cui tema era "La Commissione elettorale" buon ascolto:




Il brano La Commissione elettorale fu trasmesso il 5 maggio durante la campagna elettorale per le elezioni amministrative in corso a Cinisi e Peppino raccontava lo svolgimento della riunione clandestina, cioè della Commissione elettorale nel Comune di Cinisi, dove i componenti della Commissione, la maggior parte appartenenti alla Democrazia Cristiana, si dovevano dividere i 45 scrutatori. Peppino dai microfoni di Radio Aut introduceva così il brano: Cuna riunione elettorale a Mafiopolica sa hannu a spartiri tra di iddri, e sa nna pigliari i scrutatori. Anche in questo brano, durante la diretta, venivano inseriti alcuni interventi musicali, come la canzone Quelli che di Enzo Jannacci ; inoltre in questo programma, come in tutti i brani di Onda Pazza, Peppino faceva largo uso del linguaggio dialettale.

lunedì 7 maggio 2018

Quel manganello che fa Bop! Bop! Be Bop!!

Luciano Granieri




Be-Bop , che è robba che se magna? E' una nuova marca di popcorn o patatine?  Lo so non indignatevi amici miei  “jezzemani  mi rendo conto che voi conoscete alla perfezione quello stile che contraddistinse  tutto il jazz  dal dopoguerra in poi. Però per chi non fosse addentro alla materia servono spiegazioni . 

Negli anni ’40 in America,  durante e subito dopo la guerra, il jazz cessò di essere  musica da ballo,  perché quattro giovanotti neri decisero di riappropriarsi del loro linguaggio, dalle origini assolutamente africane, di depurarlo da tutti  i banalismi e ammiccamenti utili a far divertire i bianchi. Alle scontate  e stucchevoli armonie, funzionali  a scongiurare  la  presa di coscienza di una vita piatta ed incolore,  i quattro ragazzotti neri opposero una vera e propria rivoluzione  musicale e sociale .  

La sezione ritmica partecipava alla tenzone creativa, non più come semplice arnese utile a tenere il tempo per far dimenare improbabili ballerini, ma era protagonista  principale del flusso sonoro. Certo erano necessari : un batterista che si ingegnasse nella poliritmia usando creativamente rullante, cassa, e hi-hat, liberi da ogni vincolo di  accentuazione temporale deputata al solo tintinnare del  piatto,   e un  contrabbassista capace di inserirsi nel processo improvvisativo  in modo decisamente creativo. 

Ma la rivoluzione non si limitava alla ritmica, si estendeva profondamente al rapporto armonia-melodia disarticolando la corrispondenza  matematica  delle due forme, tipica del   linguaggio europeo. Cioè  la melodia era inventata ogni volta    devastando il tema che rendeva il brano riconoscibile e quindi fruibile . Questa musica non poteva essere ballata, nemmeno cantata. Tu bianco,  brutto   “pulito”  e cattivo siediti e ascolta, siediti e cerca di capire, se ci riesci,  la profonda rivoluzione che viene dall’Africa e dal blues. Se non ci riesci “so what” chissenefrega, tradotto in italiano, anzi meglio . 

I ragazzotti in questione rispondevano al nome di Kenny Clarke, batterista, Thelonius Monk,  Bud Powell, Mary  Lou Williams pianisti , Dizzy Gillespie e Joe Guy trombettisti, Charlie Christian chitarrista,  Nick Fenton contrabbassista.  Ad essi si aggiunse quello che fu il vero profeta di questa rivoluzione l’altossassofonista  Charlie Parker detto Bird .  Più in la si unirono  altri jazzisti, non molti per la verità.  Tutti musicisti straordinari perché, per sollevare  una tale sommossa musicale,   oltre che ad essere pazzi, visionari,  bisognava saper suonare, e bene anche. 

Le loro gesta si diffusero per tutta l’America e il mondo  partendo da    un localino sulla 118° ovest ad Harlem, non lontano da Morningside park:  “Minton’s Playhouse”  si chiamava, più noto come Minton’s.  Furono gesta rivoluzionarie  che uscirono dall’ambito musicale, per entrare, all’inizio degli anni ’50 e per tutti gli anni ‘60,  nell’epopea  della beat generation.  Un gruppo di scrittori e poeti  fra cui Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti, Corso, che influenzarono intere generazioni di giovani,    scrivevano le loro opere traendo ispirazione proprio dalle evoluzioni musicali  di Bird e compagni.  La  colonna sonora giusta per sferzare quella società americana  affogata in un mare di Coca Cola, immersa nella sua mediocrità, nel suo qualunquismo tranquillizzante, tenuta insieme dalla mistificazione del benessere per tutti scandito dalla scadenza delle rate mensili.  

Ecco,  la musica che scatenò questo putiferio fu nominata Be Bop. Sulle origini del nome  resiste ancora qualche mistero. Lo stesso Kenny Clarke  fra gli inventori del nuovo stile non seppe  spiegare la denominazione: “  Non si parlava ancora di bop  - disse il batterista  -noi avevamo una parola,  per descrivere la musica  che stavamo facendo . Noi dicevamo semplicemente “moderno” il nome bop  venne fuori dopo la guerra” Alcuni altri avanzano l’ipotesi che il termine Be Bop , fu usato da Dizzy Gillespie per descrivere in senso onomatopeico  l’innovativo drumming di Kenny Clarke.

Ma forse la tesi più suggestiva  è quella del poeta  nero Langostone Hughes il quale mise in relazione la nuova musica con gli scontri di piazza che sconvolsero l'America nel 1943: “E’ la polizia che picchia sulla testa dei neri  che ha ispirato il Bop. Ogni qual volta uno sbirro colpisce un nero con il suo manganello, questo maledetto bastone fa:  Be Bop!!.....Be Bop!!.....Bop!....Bop! E il nero urla Ya Kooo! Ouoo! , e il maledetto poliziotto ne approfitta per continuare a picchiare: Mop! Mop! Be Bop! Mop!”  Come si vede ogni volta che una rivoluzione da culturale, in questo caso musicale, si trasforma in sociale ed anti borghese, i  manganelli tornano a suonare sempre la loro musica.

Marx e Eurostat

fonte: Teoria e Prassi




Una delle più importanti scoperte di Marx – di cui  il 5 maggio è ricorso  il 200° anniversario della nascita – è la legge generale dell’accumulazione capitalistica.

Questa legge assoluta, derivante dalla corsa al plusvalore e dalla concentrazione e centralizzazione del capitale, significa ammassamento della ricchezza nelle mani di una minoranza sfruttatrice ed accrescimento della miseria dei lavoratori e dell’immensa maggioranza della società.

I borghesi e i riformisti hanno sempre tentato di negare questa legge, sostenendo che con lo sviluppo del capitalismo sarebbe cessato il fenomeno del pauperismo.

I fatti sociali registrati dalle recenti statistiche di Eurostat (l’istituto di statistiche della “civile e progredita” Unione Europea) confermano invece l'aumento del divario fra chi ha redditi più alti e chi fatica ad arrivare a fine mese: la fetta più povera della popolazione nel 2016 poteva contare su appena l'1,8% dei redditi, mentre quasi un quarto del reddito complessivo andava ad appena il 10% dei cittadini. In Italia le cose vanno ancor peggio.

Questa è la drammatica realtà in cui oggi vivono gli operai e le masse proletarizzate. Non una povertà derivante dall’ozio, ma soprattutto povertà di operai e di operaie che producono tutta la ricchezza sociale, determinata dalle contraddizioni proprie  del capitalismo, acuita dalle sue crisi e dalle politiche della borghesia.

L’impoverimento relativo e assoluto del proletariato non ci parla però solo della riduzione della quota di reddito sociale destinata ai produttori. Esso mette in luce l’assurdità di rapporti di produzione in cui più si sviluppano le forze produttive e più si sviluppa la povertà e la regressione sociale; esprime l’accentuazione degli oggettivi antagonismi di classe nella società capitalistica.

Marx aveva ragione: le piaghe del capitalismo – sfruttamento, povertà, guerre, oppressione delle donne, negazione dei diritti dei popoli, devastazione ambientale etc. – non possono essere eliminate che con l’abolizione dei vigenti rapporti di classe. Dunque rivoluzione proletaria, espropriazione dei capitalisti, demolizione del loro apparato statale, costruzione del socialismo.  Solo così si potrà mettere fine all’arricchimento dei parassiti ed all’impoverimento delle masse lavoratrici.