venerdì 11 dicembre 2020

Bazookiamoci

 Luciano Granieri



Chrstine Lagarde, la presidente della Bce, ha annunciato l’aggiunta di altri 500 miliardi al fondo PEPP per l’emergenza pandemica, fino a marzo 2022. Ciò significa che la Banca Centrale acquisterà debito pubblico italiano dalle banche,dagli istituti bancari,   a tasso zero,  per 80 miliardi di euro.

 Facciamo due conti. Il Mes sanitario, qualora lo accettassimo ammonterebbe a 37 miliardi a tassi agevolati, ma sarà subordinato al rispetto delle regole che disciplinano il ciclo di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio nell’ambito dell’Ue”. Ovvero l’immediato ritorno all’avanzo primario (entrate in tasse superiore alle uscite in spesa sociale), deregolamentazione del lavoro, tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni

Del resto a questa tagliola ci siamo già consegnati, accettando i 127 miliardi di prestiti inseriti nel Recovery Fund. Da un lato 80 miliardi, a tasso zero,  che arriveranno entro il 2022  senza condizionamenti sulle nostre politiche finanziarie da parte della UE, dall’altro 127 miliardi, più eventuali 37 che ci pongono sotto la ghigliottina  ordoliberista europea di derivazione tedesca. I 127 arriveranno, fra l’altro,  a babbo morto, sicuramente non entro il 2022. Ha senso, visto il bazooka della Bce, metterci in mezzo alle forbici sociali della UE? Evidentemente no. 

Il debito pubblico aumenterebbe ugualmente, anche se senza interessi in questo frangente, ma almeno saremmo padroni del nostro destino. Però  vediamolo un attimo sto’ maledetto debito.  146 miliardi vengono da lontano, non sono il frutto di una gestione allegra della finanza pubblica , ma semplicemente il risultato del processo di annullamento della progressività fiscale che, dal 1974 ad oggi, ha considerevolmente ridotto l’imposizione fiscale ai più ricchi facendo mancare i 146 miliardi di cui sopra. Somma  che abbiamo dovuto recuperare con l’emissione di debito pubblico per un importo totale, compreso interessi, di 300 miliardi. 

Inoltre dei 2.500 miliardi di debito accumulato, la parte prodotta dal deficit di spesa è di 266 miliardi, solo l’11%. Il resto sono interessi, guadagno per gli strozzini legalizzati dei fondi d’investimento. Appunto in piena pandemia, non si potrebbe fare in modo di bloccare il taglieggio, evitando di pagare un  pizzo  pari a 70 miliardi l’anno (il doppio del Mes)? 

Resta il fatto che gli 80 miliardi della Bce sono comunque ad interessi zero. Dunque se c’è da emettere debito pubblico a tasso nullo, emettiamolo pure, non avremmo condizionamenti politici. Certo che se la Bce facesse lo sforzo anche di assumere il costo per interessi dei paesi membri, l’Europa “SOCIALE” avrebbe una sorta di concretezza. Ma interessa un progetto simile ai burocrati di Bruxelles?

martedì 8 dicembre 2020

No all'indigestione da biodigestori

Rigenerare Frosinone



 SALUTE O PROFITTO?


E’ in atto nel nostro territorio: La Valle del Sacco (zona Sin per l’emergenza ambientale) una sorta di assalto alla diligenza per riempire la “Seveso del Sud” di biodegestori anaerobici. Un esercito di impianti pronti a trattare circa 500 mila tonnellate di rifiuti organici. La faccenda è venuta alla luce in modo eclatante quando si è appreso che è in valutazione presso la Regione Lazio il progetto per la costruzione di un ennesimo biodigestore anaerobico presentato dalla società “Maestrale” del gruppo Turriziani.

                                        L’impianto dovrebbe sorgere in una zona vicina all’uscita dell’autostrada nell’area di competenza dall’Asi di Frosinone (Agenzia per lo sviluppo Industriale). L’obiettivo di queste attività è generare, dallo smaltimento dei rifiuti organici, energia, attraverso la produzione di biogas, e concime per l’agricoltura attraverso gli scarti del procedimento. Detta così sembrerebbe un’ottima cosa.

 Non vogliamo addentrarci in trattazioni tecniche, ampiamente spiegate dalle associazioni cittadine in un senso e nell’altro. E’ il sistema che privilegia il profitto alla salute a dover essere respinto, tra l’altro in un territorio già fortemente compromesso e il cui ciclo dei rifiuti è oggetto di pesante presenza di dubbiose società i cui vertici entrano e escono dalle patrie galere, mentre i cittadini silenti pagano tributi a servizi mai effettuati. Su questi punti bisogna ricucire il tavolo della “società civile” senza rincorrersi in una gara a chi avrebbe più titoli per trattare il tema o a chi avrebbe scheletri nell’armadio.

 Per completezza d’informazione aggiungiamo che l’impianto in questione è tarato per trattare 50.000 tonnellate di rifiuti all’anno, quando Frosinone ne produce 3.500, e la Provincia intera 42.000. Senza contare che tutte gli altri progetti in piedi, e in attesa di autorizzazione dalla Regione Lazio: Recall Patrica, quelli che interessano il comprensorio di Anagni, Roccasecca e Colfelice con accordi fra Saxa Gres e Saf, l’Air green di Ferentino; questi sono pronti a trattare le 500 mila tonnellate già citate.

 Salta immediatamente agli occhi la sproporzione fra il bisogno di smaltimento di organico della città di Frosinone (3.500) con l’impianto che si vuole costruire vicino all’autostrada (50.000). Fra la necessità di trattamento dell’intera Ciocaria (42.000 per 500 mila abitanti) e la disponibilità della batteria di biodigestori in attesa di essere realizzati nel territorio provinciale (500 mila buoni quindi per 5 milioni, l’intera popolazione della Regione Lazio!).

 Dunque la Ciociaria come immondezzaio del Lazio.

 Del resto un biodigestore anaerobico per garantire profitti non può essere sottodimensionato, anche perché dalla capacità di trattamento dipendono gli incentivi pubblici per le energie rinnovabili, e i contributi UE per l’economia circolare. Quindi tutto ciò non serve ai cittadini, ma al profitto di pochi industriali.

 Considerato che tutta questa attività si giustifica economicamente solo grazie ai contributi statali ed europei, cosa accadrebbe, o, ahimè, accadrà qualora il piano d’incentivazione dovesse interrompersi? Ci sarebbe, come già successo, la fuga di questi imprenditori verso nuovi lidi di profitti e al territorio rimarrebbero ulteriori enormi ecomostri inermi. A quel punto si interverrà con altri 50 e passa milioni di euro per la bonifica?

In realtà un biodigestore in sé potrebbe anche non essere così nocivo, a patto che tratti rifiuti ben caratterizzati, diciamo così, puri, usando un ossimoro, ma in 500mila tonnellate potrebbe entrare di tutto, anzi entrerà di tutto. Non si produrrà anidride carbonica, ma sicuramente tutta una serie di altre schifezze.

 L’insediamento di piccoli impianti, con una puntigliosa selezione della qualità dei substrati, e dunque dei relativi prodotti di scarto - concime di qualità in questo caso -, sistemi di trattamento rispondenti esclusivamente ai bisogni di un Comune o, al più, di qualche comune, potrebbero essere soluzioni plausibili. Soluzioni però oggi inammissibili, perché non garantirebbero i profitti che derivano dagli incentivi, dai tributi dei cittadini su cui graverebbe il costo del conferimento, dalla vendita dell’energia... Dunque percorsi impraticabili.

Ma impraticabile per chi? Per i capitani d’industria che cavalcano e depredano la Valle del Sacco. Allora sarebbe ora, secondo noi, che una volta tanto si considerasse prioritario l’interesse dei cittadini invece di tutelare la smania di profitto dei soliti noti.

 Pare che siano in arrivo 209 miliardi di Recovery Fund, per avere i quali ci consegneremo senza fiatare ai tecnocrati di Bruxelles. Di questi 77 dovrebbero essere spesi per la riconversione green. Chi decide la loro allocazione? Per difendere la salute di tutti o incrementare il profitto di pochi?

E’ indubbio quindi che si è contro un sistema che consegna la Valle del Sacco, nonostante il Sin, nonostante una cronica patologia da inquinamento, a sfruttatori di ogni risma: va da sé essere decisamente contro il biodigestore della “Maestrale”.

 Facciamo un appello ai Comuni, parte in causa come enti attivi compresi nell’ambito territoriale dall’ASI - fra cui Frosinone, zona a cui afferisce il biodigestore della “Maestrale” - affinché si adoperino per cambiare le norme tecniche di attuazione al PTR (Piano Territoriale Regolatore) dell’ASI, a cui si sono consegnati, senza colpo ferire. Sprovvisti come sono di piani regolatori qualificanti le destinazioni d’uso delle varie porzioni di territorio.

 In particolare ci riferiamo al comma C dell’art. 8 del PTR, in cui sono previste nel comprensorio zone per impianti tecnologici di smaltimento rifiuti. E soprattutto l’art.13 in cui il consorzio ASI ha la facoltà di concedere deroghe alle norme d’insediamento delle attività produttive ad alto impatto ambientale. Norme che il Comune interessato dall’insediamento in questione, avendo recepito il PTR, deve accettare obbligatoriamente. E come sappiamo, tutti gli enti comunali afferenti nel consorzio ASI hanno recepito tale piano con tanto di avvallo alla Valutazione Ambientale Strategica.

 Ha dunque un bel strillare il sindaco di Frosinone, e professare con forza la sua opposizione al biodigestore, se non si decide a invocare, insieme agli altri primi cittadini dei comuni compresi negli agglomerati ASI, cambiamenti sulle norme tecniche del PTR. Richiamare il principio di precauzione come primo responsabile della salute dei cittadini è cosa buona e giusta, ma inutile ai fini di una moratoria sull’insediamento di siti inquinanti nell’area cittadina.

Bisognava pensarci prima. Oggi si deve avere la forza, in quanto sindaci di paesi compresi nel consorzio, di imporre un deciso cambio di rotta nella gestione del territorio da parte dell’ASI, che ricordiamo è guidata da Francesco De Angelis, dirigente PD. A quanto pare nessuno, a parte urla e lamenti vari, ha avuto il coraggio di intraprendere questa azione dirompente.

Sarebbe ora di cominciare.


lunedì 7 dicembre 2020

SUL MES, MECCANISMO EUROPEO DI STABILITA’

 Paolo Maddalena




Il MES nacque da un Trattato intergovernativo il 2 febbraio 2012, quando ci si accorse che la disposizione dell’articolo 123 del  Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Trattato di Lisbona), secondo il quale: “è vietato agli Stati membri e alla BCE di salvare Stati Europei in difficoltà”, aveva prodotto effetti negativi per l’intera zona euro. Un motivo, dunque, egoistico, secondo lo stile neoliberista e non solidaristico, che ispira da tempo l’azione dell’UE. Si pensò di dare a detto Trattato intergovernativo anche l’appoggio dell’Unione, ma senza trattarlo come facente parte del “diritto europeo”, con una aggiunta all’art. 136 del Trattato di Lisbona, del seguente tenore: “Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme”. Insomma a favore degli Stati forti e dei poteri forti.

Nostro compito è stabilire se l’attuale “revisione “del Trattato intergovernativo giovi o non all’Italia.

Prescindendo dalla storia, ben nota, di questo meccanismo (nascita nel 2012, proposta di “Regolamento” nel 2017 da parte della Commissione per far entrare detto Trattato nel “diritto Europeo, fallimento di questo tentativo e  convergenza verso una semplice “revisione” del MES) , ciò che oggi ci interessa è lo stato della discussione e la risposta che noi dobbiamo dare.

In proposito è da ricordare che Camera e Senato, il 19 giugno 2019, hanno invitato il governo a “non approvare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato, e, in particolare, di opporsi ad assetti normativi che finiscano di costringere alcuni Paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti e automatici”. E’ da sottolineare, inoltre che il Presidente del Consiglio Conte ha dichiarato che l’Italia “non può concedere sul fronte del MES senza ottenere anche sugli altri fronti”.

Il grosso pericolo sta nel fatto che questa “revisione” si inserisce in un processo di “decomposizione” del “Diritto vigente”, facendo in modo che gli stessi strumenti usati per crearlo (le leggi dei Parlamenti), provvedano ora a distruggerlo con l’approvazione di leggi evidentemente incostituzionali. La istituzione del MES si pone chiaramente in questa direzione, soprattutto perché prevede la “immunità” penale, civile e amministrativa dei suoi componenti. Il Diritto non può ammettere immunità, poiché il suo cardine è “l’eguaglianza economica e sociale” di tutti i cittadini. Eliminato questo cardine, i poteri forti faranno in modo che essi siano al di sopra del Diritto, siano effettivamente “Sovrani”. E, una volta distrutta la “sovranità” degli Stati, nessuno potrà contrastarli. Saranno essi “la legge vivente”, che impone ai sudditi la propria volontà. E non può sottacersi che la politica seguita dall’Unione Europea, insieme con il Fondo Monetario Internazionale, va proprio in questa direzione, avvantaggiando i forti sui deboli e gli Stati forti sugli Stati deboli, come nel caso in esame.

 Questa finalità distruttrice dell’eguaglianza, e quindi della stessa civiltà, è dimostrata anche dal fatto che la istituzione del MES prevede due linee di credito, che vanno proprio nella direzione sopra indicata:

a)      “assistenza finanziaria precauzionale”, riguardanti i Paesi (forti) con situazione finanziaria solida e con un debito sostenibile”, assistenza che si concede a seguito di una “lettera di intenti”;

b)      “concessione di credito soggetto a condizioni rafforzate”  (tra i quali rientrerebbe l’Italia), da concedere mediante un ”memorandum di intesa”, secondo criteri da stabilirsi da parte del MES e della Commissione Europea.  

Il Ministro dello sviluppo economico  Patuanelli, palesando convincimenti neoliberisti, si è sbracciato nel far ritenere che il “testo non presenta profili critici per l’Italia” e che sarebbe opportuno concentrare l’attenzione su altri aspetti del citato pacchetto, e in particolare sull’introduzione di una “garanzia comune” dei depositi e sulle sue condizioni, che non devono essere penalizzanti per l’Italia. Si tratta in particolare della “garanzia comune” (back stop) al “Fondo di risoluzione unico delle banche”, sotto forma di una linea di credito rotativo. Tale “garanzia comune” (back stop) dovrebbe “sostituire” “l’attuale strumento di ricapitalizzazione diretta” delle istituzioni finanziarie. Si tratterebbe di una soluzione che anticiperebbe  il completamento “dell’Unione bancaria” (che, secondo noi) metterebbe la nostra finanza interamente nelle mani dei Paesi forti, togliendoci ulteriori spazi di sovranità). Infine, secondo il Ministro Gualtieri il testo revisionato escluderebbe che il MES si occupi di “politica economica” dei Paesi membri (invece è vero il contrario).

Quello che è certo è che il Parlamento ci ha  visto bene e che il Governo dimostra la sua debolezza nei confronti dell’Europa.

Restando sul piano del sistema economico vigente, dunque, il MES è da respingere, poiché, entrando noi nella seconda “linea di credito”, aumentiamo il nostro “debito”, e, quindi, le conseguenti “privatizzazioni “ e “svendite” del “patrimonio pubblico”, il quale costituisce un “elemento strutturale” della “essenza”dello “Stato comunità” e della “sovranità” del Popolo.

Si pensi, ad esempio, che l’attuale Sistema economico dà via libera a Società di investimenti come la Black Rock, la quale ha un patrimonio di 6000 miliardi di euro e dispone di un sistema di analisi, detto ALADDIN, capace di effettuare 200 milioni di calcoli in una settimana, per valutare i dati economici finanziari, ed è capace di calcolare ogni secondo il valore di azioni, di valute estere, di titoli di credito, in miliardi di portafogli di investimento. In questo modo le sue “scommesse vanno a colpo sicuro” e non  corrono alcun rischio. Detta Società è l’esempio più calzante della “dannosità” dell’attuale sistema economico predatorio neoliberista”, il quale dà la possibilità ai più potenti, non di produrre beni, ma di “rastrellare” i beni esistenti, senza compiere nessun lavoro, anzi provocando la perdita di lavoro a migliaia e migliaia di lavoratori onesti. Questo è intollerabile e tale sistema va eliminato. Non è una impresa facile, ma possibile. E votare contro il MES  significa cominciare a prendere coscienza di questo globale e angoscioso problema.

Dobbiamo avvertire subito, tuttavia, che l’attuale “sistema economico predatorio neoliberista”, che dà così tanto spazio alla “speculazione”, è contro la nostra Costituzione e che tutte le leggi che sono state emanate in suo favore, vanno portate alla Corte costituzionale per il loro annullamento, facendo valere il “potere negativo del Popolo sovrano”, del quale, come è noto, parlava Dossetti, uno dei più influenti Padri Costituenti. 

 

Il MES, al’incontrario, dà un forte impulso alla realizzazione del “sistema economico predatorio e speculativo”, voluto dal  “pensiero neoliberista”, il cui fine ultimo è la distruzione del “patrimonio pubblico” e la “privatizzazione” di tutto, in modo che venga distrutta la “Comunità politica e l’uomo diventi uno “schiavo” dei poteri forti.

A differenza del “pensiero Keynesiano” e del relativo “sistema economico produttivo”, che segue la “Natura” e la “solidarietà”, predicando la distribuzione della ricchezza alla base della piramide sociale, nonché l’intervento dello Stato (cioè di tutti i lavoratori) nell’economia, il pensiero “neoliberista vuole la ricchezza nelle mani di pochi, tra questi una forte “concorrenza” e “vieta l’intervento dello Stato nell’economia”, lasciando peraltro campo libero alla “speculazione” .  Suo erroneo presupposto, come ha lucidamente posto in evidenza Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato sì”, è “lo sviluppo illimitato”, in base al quale si giustificherebbe il “consumismo”, cioè il fatto che i beni prodotti devono continuamente essere “consumati” (prescindendo dal fatto che le risorse sono limitate), per rendere “continua” “l’accumulazione del danaro”, eretto come fine ultimo del mercato generale, libero e globalizzato. Dunque, tutto nel mercato. Ma il mercato non ci concepisce come “persone”, ma unicamente come “consumatori” e “produttori”, incatenati in quel circolo vizioso senza via d’uscita, dove se non si consuma non si produce e si crea disoccupazione. Quindi siamo invitati a un “consumo forzato” dove il consumo non è la fine di un prodotto”, ma “il suo fine”. Insomma ogni prodotto ha in sé il dispositivo della propria “autodistruzione” per non interrompere la “circolarità consumo-produzione” che è essenziale al mercato. L’effetto è stato quello di erigere il “mercato a legge universale degli scambi”, che ha avuto come conseguenza che il “danaro”, da “mezzo” per soddisfare i bisogni e produrre i beni, è diventato “il fine ultimo”, per conseguire il quale, si vedrà di volta in volta se soddisfare i bisogni e in che misura produrre i beni e mantenere l’occupazione. Si è verificata una “eterogenesi dei fini”. E noi che oltre il mercato abbiamo anche i “diritti umani”, facciamo prevalere il primo sui secondi. Così le nostre società vanno in rovina (questo è l’avviso di Umberto Galimberti).

E’ utile, inoltre, tener presente che le caratteristiche del “sistema economico predatorio neoliberista” sono le seguenti:

a)      Sviluppo illimitato, senza tener conto della limitatezza delle risorse.

b)      Il colpo di genio della “finanza creativa”  che ha trasformato la “scommessa” in danaro contante, come le cartolarizzazioni e i derivati, affidando la “produzione della moneta” alle “banche” e producendo la “finanziarizzazione” dei mercati.

c)       Assoluta libertà dei mercati.

d)      Conquista delle Istituzioni economiche internazionali e europee.

e)      Liberalizzazioni.

f)       Privatizzazioni.

g)      Svendite.

h)      Concessioni di servizi pubblici essenziali e fonti di energia.

i)        Delocalizzazioni di imprese.

j)        Licenziamento di operai.

k)      Aumento del debito pubblico.

l)        Diminuzione delle spese.

m)    Rallentamento della circolazione monetaria.

n)      Austerity.

o)      Moneta presa a prestito.

p)      Perdita della sovranità monetaria.

q)      Perdita del patrimonio pubblico.

r)       Distruzione dello Stato comunità.

Si deve sottolineare, tuttavia, che il “sistema economico predatorio neoliberista”, affermatosi in periodo di crescita economica, adesso, in fase di decrescita, mostra tutti i suoi difetti, ponendo in luce tutta la sua potenza distruttiva. L’esperienza che i vari Stati Europei stanno vivendo nella difficile lotta contro il contagio del corona virus dimostra quanto danno abbia apportato ai Paesi economicamente meno forti, questo “sistema economico”, foriero di tante disuguaglianze e egoismi, in contrasto evidente con i principi di solidarietà, dei quali pure parlano, ma inutilmente, i Trattati Europei.

 

Nei confronti dell’appena descritto sistema economico vigente, è evidente che Il MES assume la funzione di un “tassello” per mantenere un equilibrio economico finanziario che oramai mostra tutti i suoi limiti, ed è per questo che la guardinga Germania ha già provveduto a stabilire che la sua “esposizione” ai rischi, nell’ambito di questa Istituzione, non potrà andare oltre l’ammontare del suo contributo.

In fondo il MES è una Super banca, che assume anch’esso dei rischi e che finirà di rifarsi sul tracollo dei Paesi più deboli che accedono ai suoi finanziamenti.

D’altro canto, trattandosi in pratica di una banca di investimento, il MES dovrà ricorrere alla “speculazione”, al fatto antigiuridico che danneggia i poveri e avvantaggia i ricchi.

I contratti aleatori  (di assicurazione, compravendita di cosa futura, rendita vitalizia, giuoco, scommessa) sono tutelati, se e in quanto non producono effetti verso terzi, e non come i contratti di cartolarizzazione o di derivati che producono gravi effetti su cittadini inconsapevoli. Né si dimentichi che Il Bail in e la direttiva Bolkestein vanno proprio in questa direzione.    

 

Firmare il Trattato di revisione del MES significa restare nell’ambito di questa insano sistema economico predatorio neoliberista. Dunque non bisogna assolutamente firmarlo.

 

Quello che ci sentiamo di chiedere alle Camere è una inversione di rotta su questo tema: anziché insistere nell’elaborazione del dannoso sistema economico predatorio neoliberista, esse dovrebbero agire per smontarlo pezzo per pezzo, votando leggi che contraddicano tutte le caratteristiche di questo insano sistema, che sopra abbiano elencate.

Pregiudiziale, a nostro avviso, è dare una ”definizione costituzionalmente orientata” del concetto di “proprietà privata”, di cui all’ormai obsoleto e giuridicamente scorretto art. 832 del codice civile, interpretandolo in modo conforme all’art. 42, comma 2, Cost., secondo il quale “la proprietà privata” “è riconosciuta e garantita dalla legge”, “allo scopo di assicurarne la funzione sociale”, e all’art. 41 Cost., secondo il quale le negoziazioni “non possono svolgersi contro l’utilità sociale o in modo da recare danno alla libertà, alla sicurezza, alla dignità umana”. Si tratta di norme precettive e imperative, che consentono l’annullamento dei contratti contrari all’utilità pubblica, ai sensi dell’art. 1418 del codice civile.