mercoledì 14 aprile 2021

Video storia delle Terme Romane di Frosinone

 Luciano Granieri

Il 9 aprile scorso, presso la Villa Comunale di Frosinone, in una conferenza stampa a cui hanno partecipato il sindaco di Frosinone  Nicola Ottaviani,la sopraintendente ABAP (Archeologia Belle Arti e Paesaggio) per le province di Frosinone e Latina Paola Refice, l’archeologa  Daniela Quadrino, veniva informata la popolazione circa il ritrovamento, in località Ponte della Fontana, sulle sponde di Fiume Cosa,di resti ben conservati di un edificio termale di epoca romana imperiale, cioè parte delle terme romane. Una costruzione che  nonostante la continua aggressione da parte della lobby del cemento, continua  resistere e, ogni tanto a dà testimonianza di sè. Insomma niente di nuovo. 


Stupiscono le dichiarazioni  della sopraintendente Paola Refice quando afferma che la destinazione pubblica del complesso termale presupporrebbe l’esistenza di un tessuto urbano romano molto importante. E sai che novità! Già alla fine degli anni ’60 vennero alla luce i resti di un teatro romano prontamente asfaltato da una speculazione fondiaria che già da allora mostrava una spietatezza inaudita nel ferire la cultura in nome del profitto. Ma ancora di più stupiscono le parole del sindaco Ottaviani il quale si dice sorpreso del fatto che i rinvenimenti termali  siano avvenuti nel capoluogo, mentre si credeva che la presenza di tali strutture fosse situata in altri territori della Regione. Ma dove ha vissuto fino a ieri il sindaco?  Non ricorda, quando nel luglio del 2015, tentò di fare approvare, nel piano urbanistico di allora,  la cessione alla speculazione fondiaria dell’area sovrastante alcuni reperti delle terme romane per seppellirle definitivamente sotto 35.000 metri cubi di cemento? Fu solo grazie all’impegno dell’allora costituito Comitato “Io difendo le Terme Romane” se il proponente della lottizzazione rinunciò al malsano progetto. Così come le stesse associazioni già nel 2011 avevano proposto e fatto approvare una delibera, allora il sindaco era Michele Marini,  in cui si poneva a salvaguardia  l’area sotto la quale insistevano  i reperti , in attesa di trovare i fondi per farli  venire alla luce. Preservando così il sito da aggressioni cementizie già responsabili  della distruzione di parte del complesso termale finito sotto il palazzo dell’ex centro pastorale a De Matthaeis.  Per rinfrescare la memoria al sindaco, e riproporre la storia della Terme Romane, che grazie all’impegno dei cittadini sono riuscita a sopravvivere all’aggressione palazzinara, propongo di seguito una video storia di tutta la vicenda. Perché se è vero che Frosinone da sempre è una città fondata sul cemento, è anche vero che ogni tanto qualcuno resiste nel difendere il patrimonio culturale.

2011. Prima mobilitazione per ottenere almeno la salvaguardia del sito delle Terme




Agosto 2014, a cura del Museo Archeologico di Frosinone viene organizzata una visita sui siti sovrastanti i reperti delle Terme.



Luglio 2015. L'amministrazione Ottaviani prova a cedere ai privati i terreni sovrastanti le terme sui quali vorrebbero costruire una mega lottizzazione. L'opposizione delle associazioni è imponente e induce il proponente a rinunciare al progetto.



Conclusione: la storia e la civiltà non si seppelliscono.

lunedì 12 aprile 2021

Recovery PlanET, non recovery plan

https://societadellacura.blogspot.com/ 



                                                       Recovery PlanET

il Piano di Transizione verso la società della cura 


Il Recovery Planet è frutto di un grande lavoro collettivo a cui hanno partecipato molte centinaia di persone, impegnate per settimane in tredici tavoli tematici e in grande gruppo di donne sull'approccio di genere, nei quali sono stati messi in comune saperi, esperienze, idee di tante reti, organizzazioni e movimenti.

Il Recovery PlanET è il piano nazionale di transizione verso la società della cura, la nostra alternativa al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza del governo. Indichiamo quali sono i primi passi necessari e indispensabili per cambiare radicalmente rotta verso una alternativa di società. 

Il Recovery PlanET è stato presentato in una partecipata assemblea online il 6 marzo 2021. I suoi contenuti condivisi attraverseranno le tante mobilitazioni previste nel mese di marzo, e sarà la base comune per la grande giornata di mobilitazione nazionale diffusa per la Società della Cura del 10 aprile.

Accompagnano il Recovery PlanET il documento "Una lettura critica femminista" prodotto dal gruppo di donne della convergenza Per la Società della Cura, e il documento prodotto dal tavolo tematico "Ecologia e ambiente", oltre che diversi documenti prodotti dalla convergenza a livello territoriale. 

Il Recovery Plan di Draghi: più privatizzazioni, meno democrazia

 Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua



Il "governo dei migliori" e il Recovery Plan ci vengono venduti come soluzioni salvifiche che cancelleranno i peccati dal nostro paese “restituendo” prosperità e benessere. La realtà però racconta di una gravissima sovversione della democrazia e di un piano infarcito della stessa cultura liberista che ci ha condotto alla situazione attuale, e che punta ancora alla privatizzazione dell'acqua. A pochi giorni dalla consegna del "nostro" PNRR (Piano Nazionale Resilienza e Ripresa) alla Commissione europea, a che punto siamo?

La sovversione della democrazia
Il Parlamento è stato costretto a lavorare per settimane sulla versione approvata il 12 gennaio scorso dal passato governo e solo a metà marzo sono state depositate alcune note tecniche integrative che in realtà riscrivono da capo diverse parti del Piano rendendo così vano il dibattito sviluppato sino a quel momento nelle Commissioni. Da evidenziare come tali note siano scritte in inglese il che denota l'intenzione di limitare il coinvolgimento e, probabilmente, conferma anche la compartecipazione alla stesura della società di consulenza McKinsey.

Di fatto, persino il Parlamento è stato esautorato dalla possibilità di incidere e decidere su interventi, investimenti e scelte che condizioneranno il futuro del nostro paese e attraverso una vera e propria secretazione dei documenti all'opinione pubblica è stata completamente preclusa qualsiasi forma di partecipazione.

Non si è così dato modo di sviluppare un dibattito pubblico e democratico nel paese come se il cosiddetto “governo dei migliori” fosse automaticamente insignito della potestà di decidere in solitudine del futuro del paese. Il tutto con un Presidente del Consiglio che non è mai stato eletto dai cittadini.

Un processo autoritario che intendiamo denunciare con forza perché svilisce ulteriormente i processi democratici, tanto quelli costituzionalmente garantiti quanto quelli basati sulla partecipazione diretta delle comunità alle decisioni fondamentali per costruire scenari di giustizia sociale ed ambientale.

Si conferma così una deriva che s'inserisce nel progressivo svuotamento dei poteri delle istituzioni democratiche che, da garanti dei diritti e dell’interesse generale, diventano mere esecutrici dell’espansione della sfera d’influenza dei grandi interessi finanziari sulla società.

Le privatizzazioni in salsa verde
Le cosiddette note tecniche, che di fatto riscrivono completamente alcune parti del PNRR, confermano l’impostazione di un Piano volto a rafforzare l’attuale modello economico-sociale inglobando in esso anche la questione ambientale, prefigurando così una nuova fase di capitalismo digitale e, all'apparenza, verde.

Nello specifico dell’acqua le risorse stanziate non risultano modificate pertanto permangono del tutto insufficienti.

Risulta decisamente peggiorativa, rispetto alla versione precedente, la cosiddetta “riforma” nel settore idrico che ora punta ad un sostanziale obbligo alla privatizzazione nel sud Italia prevedendo addirittura una scadenza al 2022 per un generico adeguamento alla disciplina nazionale ed europea ma con un ben più puntuale riferimento a criteri che guardano alla costruzione di grandi soggetti gestori, sul modello delle multiutility quotate in Borsa, che si ammantino della capacità di rafforzare il processo di industrializzazione realizzando economie di scala e riducendo il divario tra il centro-nord e il sud del Paese.

Di fatto si costituirebbero una o più aziende per il Meridione che assumerebbero un ruolo monopolistico in dimensioni territoriali significativamente ampie e sul modello di quelle che ad oggi hanno dimostrato la loro efficienza solo nel garantire la massimizzazione dei profitti mediante processi finanziari.

Da tempo sosteniamo la necessità di una gestione alternativa proprio a quella politica privatistica responsabile delle tante carenze prodotte soprattutto a livello delle grandi infrastrutture idriche, tra l’altro non solo nel Sud Italia.

Inoltre, nelle note si fa riferimento a “memoranda”, che il Ministero dell'Ambiente (oggi Ministero della Transizione Ecologica) dovrebbe definire e imporre alle regioni e agli Enti di Governo, inseriti all’interno del progetto non a caso chiamato "Mettiamoci in riga" (parte del PON Governance 2014-2020) che implicano la messa in tutela del Mezzogiorno da parte del governo e l'idea che i finanziamenti del PNRR arrivano sotto quelle condizionalità.
In ultimo, si attribuisce un ruolo centrale ad ARERA seppur si è costretti ad ammettere che la sua iniziativa ha garantito un'insufficiente ripresa degli investimenti.

Se fosse confermata questa versione saremo di fronte a un'impressionante accelerazione verso la privatizzazione in spregio alla volontà popolare espressa chiaramente con i referendum del 2011.

L'avversione del "Drago" per l'acqua pubblica
D’altronde Draghi non ha mai dissimulato la volontà di contraddire l’esito referendario visto che il 5 agosto 2011, solo 1 mese e mezzo dopo lo svolgimento della consultazione, in qualità di Governatore della Banca d’Italia firmò, insieme al Presidente della Banca Centrale Europea Trichet, la oramai famigerata lettera all’allora Presidente del Consiglio Berlusconi in cui, tra le varie riforme “strutturali”, indicava come “necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.

L’attuale versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza risulta in “perfetta” continuità con suddette indicazioni e rimane, dunque, una risposta del tutto errata alla crisi pandemica che non affronta le questioni di fondo emerse in questi anni e soprattutto negli ultimi mesi, mantenendo un’impostazione completamente permeata e subalterna ad una logica privatistica ed estrattivista volta alla massimizzazione del profitto e per questo ci siamo mobilitate e ci mobiliteremo  nelle prossime settimane. Sabato 10 aprile abbiamo partecipato alla mobilitazione nazionale “Recovery PlanET” promossa dalla rete “La Società della Cura”, chiedendo una modifica radicale nella direzione di stanziare investimenti pubblici per la ripubblicizzazione del servizio idrico così come previsto dalla legge per l’acqua pubblica colpevolmente rimasta indiscussa da oltre due anni in Commissione Ambiente della Camera, per la ristrutturazione delle reti idriche e per il riassetto idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio.