lunedì 20 settembre 2021

Gkn. I click della Melrose innescano una nuova modalità di conflitto

 Luciano Granieri



Quando il fondo d’investimento inglese Melrose, licenziò a mezzo WhatsApp, i 422 addetti della Gkn di Campi Bisenzio, azienda controllata dallo stesso fondo, membri autorevoli del Governo  si mostrarono sdegnati, nonostante qualche giorno prima avessero accontentato i loro capi confindustriali, eliminando il blocco dei licenziamenti post-Covid. L’indignazione in realtà non derivava tanto dal fatto che 422 operai di un’azienda altamente produttiva e in attivo venissero licenziati per un crudele gioco di speculazione finanziaria, ma perché la comunicazione era arrivata tramite WhatsApp. Cosa c’è da meravigliarsi?

A comandare il fondo Melrose (fra i cui maggiori azionisti figurano: la Select Equity group, società finanziaria che vanta un portafoglio di 30 mld di dollari, Vanguard Group e Black Rock, due dei più grandi fondi speculativi al mondo oltre alla Capital Research & Management che fa parte della Capital Group, un agglomerato finanziario di 67 aziende ) sono il Ceo Simon Packman, che nel 2014 guadagnava 2000 volte più del salario minimo inglese, ed il vice presiednte Chtistopher Miller

Costoro, pochi mesi prima di decretare i licenziamenti con un semplice click sulla tastiera hanno incassato rispettivamente, 7 e 15 milioni di sterline, vendendo azioni e titoli in previsione dell'azione speculativa che stavano per attivare contro gli addetti Gkn. Cioè con una semplice operazione al computer di pochi attimi, si sono messi in tasca il costo annuo dell’intero personale licenziato. 

E’ quindi una prassi consolidata fare profitti digitando su device alla moda e di ultima generazione anche quando si tratta di inviare dei WhatsApp per licenziare operai della cui sorte non interessa nulla, basta acquisire quei profitti che tali associazione a delinquere realizzano attraverso il loro licenziamento. Questi squali si arricchiscono, non attraverso il processo produttivo,   ma grazie alle speculazioni di borsa, per cui  si comprano le aziende a un prezzo irrisorio, si ristrutturano, delocalizzando e licenziando, poi si rivendono ad una quota molto più alta, realizzando profitti miliardari, senza curarsi della devastazione sociale che lasciano sul campo. 

Mr Packman e Mr. Miller, in realtà, convinti che l’establishment politico internazionale svolgesse appieno il proprio compito di sterilizzazione del  conflitto sociale, non si aspettavano che ai click contro gli addetti Gkn, rispondesse la grande mobilitazione dei lavoratori della fabbrica , che sabato scorso, sono scesi in piazza a Firenze, accompagnati da altre 25.000 persone. Infatti ,a fianco del collettivo di e alla Rsu della Gkn, si sono mobilitati, i lavoratori di tutte le altre migliaia vertenze aperte al Mise, dalla Whirpool, all’Embraco, fino all’Alitalia, oltre che movimenti, associazioni, perfino i sindacati, confederali, pezzi di partiti più o meno riformisti. 

Hanno sfilato per le vie fiorentine l’Anpi Oltrearno e di Campi Bisenzio, protagonisti della liberazione della città dal nazifascismo nel 1944, a dimostrare che la lotta per la democrazia, passa per la lotta al diritto al lavoro. A seguire Cgil, Cisl, Uil, Fiom Cobas, Usb, Sinistra Italiana, Rifondazione, Potere al Popolo e perfino qualche esponente del Pd. 

Forse Mr. Packman e Mr. Miller lo ignorano, ma può darsi che il loro WhatsApp abbia innescato consapevolezze nuove in chi combatte per la difesa del proprio posto di lavoro. 

Innanzitutto il collettivo degli operai della Gkn ha messo alla base della propria vertenza il concetto per cui nessuno si salva da solo: la lotta della fabbrica toscana ha aggregato tutte le lotte delle altre crisi aziendali in corso, non solo, ma punta ad allargare il conflitto, ai precari ai disoccupati, al mondo della scuola, della sanità, che ha come unica controparte il sistema della accumulazione finanziaria che crea povertà e precarietà diffusa. 

In secondo luogo si è reso evidente che il padrone, non esiste più. Ma c’è un intero sistema da combattere, quello che basa il profitto sui capitali e il management a scapito dell’attività produttiva, del lavoro.

 Questa vicenda conflittuale pone, quindi, un’ulteriore riflessione. Quando si sente dire che è necessario attrarre gli investitori privati attraverso agevolazioni fiscali, allentamento dei controlli sull’impatto ambientale e sul rispetto delle tutele sulla salute dei lavoratori, per creare nuovo lavoro, forse vale la pena porre un domanda.  Tali agevolazioni favoriscono veramente la creazione di occupazione oppure sono funzionali alla cuccagna di chi prende i soldi e scappa lasciando sul territorio povertà e devastazione ambientale?