mercoledì 24 agosto 2022

Non per un voto utile, ma utile per il voto e la Costituzione.

 Felice Besostri Coordinamento per la Democrazia Costituzionale




Cosa fare?

Andare a votare, comunque, tenendo conto che siamo un sistema bicamerale perfetto e che gli effetti distorsivi maggiori delle leggi elettorali sono pericolosi se si avverano nella stessa misura nelle due Camere: per esempio per evitare persino il referendum su leggi costituzionali i 2/3 vanno raggiunti nelle due Camere. 

Chi è in imbarazzo voti in modo disgiunto tra Camera e Senato. Nella Camera le norme per la percentuale dei seggi tra i 3/8 maggioritari e i 5/8 proporzionali sono più favorevoli al proporzionale, mentre al Senato al maggioritario. Pochi sanno che in una regione il Trentino Alto Adige, al Senato non c'è nemmeno un seggio proporzionale.

 E' più facile raggiungere la soglia del 3% nazionale alla Camera, perciò chi supera la soglia avrà sicuramente seggi, mentre la base regionale del Senato non garantisce che chi supera la soglia li abbia perché ci sono le soglie regionali. Per avere un'idea si deve dividere 100 per il numero dei seggi senatoriali assegnati alla proporzionale (nel Lazio 5,5).  Nel senso che chi raggiunge quella percentuale ha la certezza di avere un seggio, ma anche con una percentuale minore ma non di molto, dipende dal numero di seggi da assegnare coi resti. 

Al Senato per avere un voto non disperso bisogna votare per liste che possano vincere anche seggi uninominali. In tal caso occorre anche che il candidato sia digeribile, non un impresentabile.

 L'elettore può far verbalizzare suoi reclami, e il segretario che si rifiuti deve tenere presente quanto dispone l'art. 104 c. 5 dpr n. 361/1957 che stabilisce che "Il segretario dell'Ufficio elettorale che rifiuta di inserire nel processo verbale di allegarvi proteste o reclami di elettori e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni con la multa sino a lire 20.000."Pertanto si può chiedere al presidente l'intervento della forza pubblica perché è un reato. Per facilitare le operazioni è meglio che il reclamo sia stato redatto per iscritto. 

I reclami  ai sensi dell'art. 87 dpr 361/1957 devono giungere fino alla giunta delle elezioni delle due Camere. Attraverso questa via un gruppo di elettori nel 2008 verbalizzo censure di costituzionalità, che riprendevano le censure dei ricorsi contro il Porcellum. Questo esposti furono esaminati dalle GIUNTE DELLE ELEZIONI di Camera e Senato un anno dopo e respinti con varie motivazioni, ma la GIUNTA del Senato ritenne che in teoria poteva investire la Corte Costituzionale, ma non lo fece perché il Porcellum era costituzionale. 

Della smentita della Corte Costituzionale 4 anni dopo con la sentenza n. 1/2014, (frutto di un ricorso dell'avv. Bozzi con gli interventi ad adiuvandum, degli avvocati Claudio Tani e Felice Besostri fino alle discussioni in Cassazione e Corte Costituzionale) non c'è traccia nei verbali della Giunta delle elezioni.

Stavolta potrebbe essere diverso, se veramente la difesa della Costituzione non è mero flatus voci per chiedere voti.

domenica 21 agosto 2022

Le ombre del passato sulla Costituzione

 Davide Conti, tratto da "il manifesto" del 21/08/2022

POST-FASCISMO ED ELEZIONI. Per tracciare un profilo storico-identitario dell'estrema destra è necessario fare i conti con il passato. Non solo con quello del regime fascista ma anche con quello che ha drammaticamente attraversato gli anni della Repubblica giungendo ai giorni nostri.



Il 27 gennaio 1995 il congresso di Fiuggi chiudeva la storia dell’ultimo partito della «prima repubblica» rimasto in vita dopo il crollo del muro di Berlino e l’inchiesta giudiziaria «mani pulite».

Si compiva così una parabola iniziata il 26 dicembre 1946 con la fondazione semi-clandestina e terminata con il ritorno al governo del Paese dopo le elezioni del 1994.

Il mezzo secolo di vita del neofascismo nella Repubblica, la sua ascesa al governo (nella veste di Alleanza Nazionale e la sua riemersione dopo la crisi sistemica del 2011 (Fratelli d’Italia nasce l’anno seguente) confermano come nella complessa realtà italiana la destra abbia costituito, in virtù della sostanziale estraneità al moto di rinnovamento antifascista di ampi settori sociali, economici e politici, un’area molto più estesa della rappresentanza parlamentare del Msi.

Per contrastare le istanze regressive di oggi appare importante cogliere i caratteri del fenomeno della destra nostrana che con sbrigative dichiarazioni di opportunità ha cercato goffamente di «consegnare alla storia» i pesanti lasciti del suo passato che informano il suo presente. Così nel messaggio registrato in più lingue da Meloni, la condanna del fascismo si appaia a quella del nazismo e del comunismo nel quadro di una ripetitiva formulazione qualunquistico-retorica tesa all’equiparazione di ciò che la storia ha mostrato essere non accomunabile.

Tuttavia tale espediente non è pratica limitata all’estrema destra. Nel settembre 2019 la risoluzione del Parlamento europeo sulla «importanza della memoria», non a caso proposta dai governi di Ungheria e Polonia fu approvata a larga maggioranza (anche con il voto del Pd) e parificò nazismo e comunismo con crisma «ufficiale».

Su quella linea proseguono in campo «liberale» prese di posizione che attingono a piene mani (con il risultato di sdoganare l’ascesa al governo in Italia i dell’estrema destra) a questa mistificazione della realtà. Così sul Corriere della Sera si legge che fascismo e comunismo rappresentano «un tutto unico» e vengono proposti parallelismi strabici tra la violenza squadrista del 1919, che instaurò la dittatura, e quella praticata nella Resistenza del 1943-45 dai comunisti (insieme a socialisti, cattolici, monarchici, repubblicani, azionisti e liberali) grazie a cui venne fondata la Repubblica democratica.

Per tracciare un profilo storico-identitario dell’estrema destra è necessario fare i conti con il passato. Non solo con quello del regime fascista ma anche con quello che ha drammaticamente attraversato gli anni della Repubblica giungendo ai giorni nostri.

Lungo questa strada si incontrano i presidenti onorari del Msi, Junio Valerio Borghese (a capo della X Mas a Salò; salvato dai servizi segreti Usa; promotore del fallito «golpe» del dicembre 1970) e Rodolfo Graziani (criminale di guerra in Africa; ministro della Guerra della Rsi; oggi omaggiato da un monumento ad Affile).

Con loro il segretario Giorgio Almirante (segretario di redazione de La Difesa della Razza, capo di Gabinetto del Ministero della Cultura Popolare a Salò; rinviato a giudizio e amnistiato per favoreggiamento nell’inchiesta sulla strage di Peteano del 1972) e Pino Rauti (esponente di Salò e poi fondatore di Ordine Nuovo, gruppo responsabile della strage di Piazza Fontana del 1969).

Le effigi di questi fantasmi del passato campeggiano nelle sedi post-fasciste di oggi. I loro nomi sono orgogliosamente rivendicati nelle piazze e proposti per intitolazioni di strade. Forse per meglio «consegnarli alla storia»

Nel frattempo, in nome delle «radici profonde che non gelano» si propongono: lo stravolgimento della Costituzione tramite il presidenzialismo; una legge fiscale che trasferisce ricchezza alle classi agiate e scarica povertà sui ceti popolari; i blocchi navali contro i migranti; la negazione dei diritti civili; il sostegno alla guerra; il populismo storico che equipara foibe e Shoah. Il tutto in un quadro di «affinità elettive» con Orbàn, Trump, Putin (indicato da Meloni nel suo libro Io sono Giorgia come «difensore dei valori europei») e Kaczynski, i conservatori inglesi fautori della Brexit e i postfranchisti spagnoli di Vox.

Il nodo di fondo da sciogliere, tuttavia, resta quello relativo agli esiti della crisi del paradigma egemonico liberale. L’allineamento ideologico al «liberismo reale», presentato come archetipo unico, irreversibile e totale (accolto come tale dalla sinistra di mercato), si è tradotto da un lato come processo di passivizzazione della società nei confronti di un ordine rappresentato come «naturale» e dall’altro come funzione di mantenimento della pace sociale e ritiro dei cittadini dalla sfera pubblica.

La «democrazia liberale» (diversa da quella costituzionale che prevede la «funzione sociale della proprietà privata») con la sua crisi è stata l’innesco di un sistema reattivo, il sovranismo postfascista, che si pone come negazione e antitesi del principio costituente della sovranità popolare. È questo il vero duplice fronte del conflitto a difesa della Costituzione che riappare dentro questa decisiva scadenza elettorale

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