martedì 14 febbraio 2023

Tutti i colori del pianoforte: "In a Haunted House”, il nuovo album in piano solo di Lorenzo Cellupica.

 Luciano Granieri



Fra il diciannovesimo e ventesimo secolo, i proprietari, dei “Barrelhouse”, delle bettole lungo i cantieri ferroviari del midwest, delle case di tolleranza, a New Orleans e dintorni, per risparmiare gli ingaggi sui musicisti sostituirono i due chitarristi, impiegati nell’intrattenimento musicale, con un pianista. Una paga al posti di due. Infatti il pianista con la mano destra suonava la partitura del chitarrista solista, con la mano sinistra eseguiva la sequenza armonico-ritmica di competenza dell’altro chitarrista. E’ proprio la caratteristica del piano forte, ad offrire la completa possibilità di eseguire ritmica, armonia e melodia insieme. Lorenzo Cellupica nel suo ultimo album “In a Hounted House” utilizza a pieno tutti i colori espressivi del pianoforte. Si può dire, senza alcun dubbio, che la sua poetica musicale, più che a due chitarristi sia assimilabile ad un’orchestra. “In a Honted House” è il primo album inciso da Lorenzo Cellupica in piano solo, pubblicato dall’etichetta “Ma.Ra.Cash Records”. Per un pianista l’incisione in solitaria è una sorta di prova del fuoco. Una prova, mi sento di poter dire, ampiamente superata. In effetti ci troviamo di fronte ad un musicista compositore poliedrico, che spazia dal jazz al progressive rock, al blues, con già due dischi all’attivo all’interno del gruppo “Mobius Strip”. Il primo, Mobius Strip”, uscito nel 2017 per la Francese Musea Records, il secondo, distribuito nel 2021 dalla Ma.Ra.Cash Record dal titolo “Time Lag”. Giova ricordare che Cellupica fa parte della “Refice Jazz Big Band” , l’orchestra jazz del conservatorio di Frosinone, diretta dal maestro Filiberto Palermini. Tornando al disco, non vi è dubbio che in “In a Haunted House”, Lorenzo Cellupica si avvale di tutte le combinazione cromatiche del pianoforte, giocando spesso sui contrasti, appunto fra il “Piano”, fatto di armonizzazioni e figure melodiche eteree e preziose, ed il “Forte” consistente in pulsioni ritmiche potenti, solide. Ad unire il tutto agisce, una fonte contrappuntistica notevole. Ho ascoltato il disco con molto interesse, e non posso nascondere che mi sia veramente piaciuto. Di seguito propongo alcune valutazioni sui singoli brani.

Incipit. Che belle le introduzioni, oggi non si fanno quasi più. In questo caso ci troviamo davanti a 41 secondi di musica che introducono quello che si andrà a sentire. Ma non è così semplice…..ascoltare per credere.

A piece of Cake. Potenza alternata a delicatezza, momenti impetuosi con un incedere martellante, alternati a fraseggi delicati, eterei. Un manifesto del gioco di contrasti, che caratterizzerà gran parte dell’album.

Spider. Qui si gioca con il ritmo. Una sorta di “secundary ragtime”, si alterna a piccole, ma preziose, armonizzazioni, per poi ritornare ad una sequenza ritmica che mi ha ricordato Tank degli Elp. E’ una mia considerazione personale, ma l’esecuzione evoca lo stile anarchico-pianistico di Keith Emerson, a parte le sortite liriche di una bellezza unica.

Hide and Seek. Pezzo armonioso con una accattivante incrocio fra linea melodica e armonica. Al di la dei tecnicismi un pezzo arioso, che però non può non sfociare nel solido martellante sostegno ritmico, elemento portante di tutta l’opera.

We can work it aut. Un suggestiva rilettura del famoso brano dei Beatles che si sviluppa nell’alternanza di momenti diversi e contrastanti: ad un pedale ritmico potente, a sostegno di un esposizione del tema quanto mai decisa, segue una riproposizione più rilassata, carica di arpeggi che si incrociano, si inseguono. Contrasti che la rilettura del pezzo beatlesiano mette in risalto attraverso un’interpretazione assolutamente nuova e accattivante.

Eleventh Avenue. Omaggio a Jelly Roll Morton? Penso proprio di si. Attenzione, non al Boogie Woogie, di Teddy Wilson, in cui la mano sinistra monopolizza la cifra ritmica, ma proprio alla musica creola del downtown di New Orleans, dove il motore rimico si mescola con la tradizione mitteleuropea, ed il melodramma italiano. Ecco squadernato in un piccolo, ma grande, brano il paradigma di collettivizzazione culturale su cui si è strutturata la musica jazz.

Round Midday. E’ classico della poetica Be Bop, costruire sulla linea armonica di un brano conosciuto, un’improvvisazione melodica completamente diversa. Charlie Parker, su “How High the Moon”, costruì “Ornithology” un classico del Bop. Ma il sound, nel caso di Round Midday, evidentemente, non è quello. L’obiettivo del fraseggio bop era di stravolgere e fagocitare anche la costruzione armonica. E’ forse più appropriato, sia per le atmosfere, che per l’attualità musicale, citare “Odio l’Inverno” di Daniele Sepe, inciso nel CD “The Cat With the Hat” dove l’operazione di “mascheramento”, coinvolge pienamente “Odio l’Estate” il brano di Bruno Martino, diventato un standard jazz di successo. Al di la di queste elucubrazioni accademiche l’omaggio di Cellupica a Monk, nella rilettura di “’Round Midnight”, è di una bellezza sconvolgente. Probabilmente è il pezzo che preferisco dell’album, ma non ne sono sicuro. E’ difficile fare una classifica su cotanta magnificenza.

In a Hounted House. Impressionante inizio contrappuntistico dove si incrociano sequenze melodiche mozzafiato, quasi drammatiche , senza sottolineare gli accordi, che poi, però, si riprendono la scena. Il tutto sfocia in una suggestione lirica, delicata e preziosa. Ma, inevitabilmente, si ritorna alla potenza, in un gioco di contrasti fra tensione e rilassamento.

Anything to say. Tante pulsazioni, ma non ritmiche, assolutamente armonico-emotive, con uno sviluppo fra pause e riprese che crea un gioco di alternanza fra costruzione e destrutturazione della tensione emozionale veramente prezioso. Anche in questo caso a me sembra che Monk sia ben presente.

Egg Dance. Tempi dispari a profusione, ve lo ricordate Time Out” di Dave Brubeck? un album i cui pezzi erano basati su queste sdrucciole ritmiche frutto delle frequentazioni milhaudiane del pianista californiano. Ma anche in questo caso, il protagonismo ritmico lascia spazio ad esplorazioni melodiche accattivanti, semplicemente affascinanti.

In conclusione, siamo di fronte ad un gran bell’album, un altra tappa dell’evoluzione musicale di Lorenzo Cellupica, pianista compositore, che conferma l’abilità esecutiva e compositiva di un musicista capace di assorbire ogni sollecitazione musicale per trasformarla in una pagina di originalità e creatività assolutamente personale.

Link per l'acquisto:https://lorenzocellupica.bandcamp.com/album/in-a-haunted-house