venerdì 20 ottobre 2023

SI SFALDA LA NORMALITA' DELL'OPPRESSIONE OCCIDENTALE

 Luciano Granieri



Quando un processo  di oppressione operato da centri di potere sui popoli può dirsi concluso? Quando i popoli oppressi accettano la loro condizione. Una volta che tale rassegnazione è cristallizzata, o almeno sembra, il problema è risolto. Prendiamo la questione palestinese (non di Hamas) ma palestinese.  Dopo la varie fasi che hanno portato all’apartheid di quel popolo, rassegnato ad essere recluso  in una prigione a cielo aperto (Gaza),   ad essere il piccione, nel tiro al piccione perpetrato dall’esercito israeliano lungo il muro  di confine, rassegnato a subire le angherie dei coloni negli insediamenti illegali della  Westbank, supportati dallo stesso esercito  israeliano nelle loro scorribande distruttive ai danni di chi li abita legalmente,  la questione palestinese  sembrava risolta, o quantomeno anestetizzata.

 Le periodiche   spedizioni punitive israeliane nei territori, fra bombardamenti, uccisioni e soprusi vari, non indignavano più nessuno,  non trovavano limitazioni dalle   risoluzioni di condanna dell’ONU, completamente  ed impunemente disattese, senza che la comunità internazionale ne fosse minimamente toccata. Anche la parte araba, tutto sommato, si era convinta, che a fronte di un’occupazione e segregazione, ormai diventata quasi naturale non valesse la pena spendersi più di tanto per contrastarla. 

Nasceva  il patto di Abramo, fra Israele, Emirati Arabi, Bahrein , questi ultimi, prima  sensibili ai diritti dei palestinesi,  sacrificati, poi,  ben volentieri, alle ragioni del profitto. Un accordo avviato  da Trump, con annessa elezione dell’intera Gerusalemme  a capitale di Israele e proseguito da Biden. 

Tutto va bene madama la marchesa,  tutto tranquillo. Talmente tranquillo che il regime di, Netanyahu toglie i  battaglioni di controllo  al confine con Gaza, sostituendoli  con sistemi tecnologici di monitoraggio rivelatisi poi non così efficienti . L’esercito serve nei territori occupati, a Hebron,   per proteggere i coloni invasori nelle loro scorribande di distruzione di e sovvertimento della normale vita di coloro che quelle terre abitano. La normalizzazione, passa anche della delegittimazione politica di Abu Mazen, leader di Al- Fatah formazione di estrazione politica senza alcuna natura integralista, e  presidente  dell’ANP, istituzione nata e riconosciuta dopo gli accordi di Oslo che prevedevano la formula dei, “due popoli in due Stati”. Accordi , a parole,  voluti e auspicati  da tutta la comunità internazionale, ma nella pratica mai applicati, anche perchè, nel frattempo, lo Stati palestinese, inteso come confini, non esiste più.

Non è un caso, invece,  che Hamas, la forza integralista religiosa con la sua intransigenza reazionaria, sia rimasta in piedi,  legittimata anche dal  consenso elettorale. Apro parentesi: resta da capire perché il popolo vessato  oggi si rivolge a forze di stampo totalitario e integralista   per veder risolte le sue ingiustizie, non solo a Gaza, ma anche in Italia e forse in tutta Europa, oltre che negli Stati Uniti.  Infatti i  “razzetti” sparati ogni tanto,  da Hamas  verso Israele, che aveva, a quanto pare,  messo a punto un  sistema antimissile tale da intercettare ogni proiettile proveniente dalla striscia , da un lato non producevano troppi   danni, dall’altro rafforzavano l’immagine  vittimista dello Stato d’Israele attaccato per odio razziale e religioso dai terroristi antisionisti.  E, perciò,  legittimato  a difendersi attraverso devastanti  bombardamenti  a tappeto  dentro Gaza, utili, fra l’altro, a testare nuove armi. 

Ma la sopportazione, ha un limite. E gli estremisti reazionari di Hamas,  pretendendo di agire  anche in nome di quei  palestinesi  laici, che mai li hanno sopportati  perché  odiano  le guerra in nome di Dio, qualsiasi esso sia,  il cui unico desiderio è  una  vita libera e normale e che ripudiano  la violenza,    si sono organizzati all’interno del lassismo determinato da un letale, quanto erroneamente  assodato, status quo. In particolare hanno usato a loro favore i controlli telematici pianificati da Israele sulle comunicazioni fra gli  abitanti di Gaza. Hanno fatto credere a Netanyahu che la loro iperattività, iniziata da almeno un anno, fosse finalizzata al definitivo annientamento di Al-Fatah e non ad un attacco, con invasione oltre il confine.  Quelli  ci sono cascati  con tutte le scarpe. Per cui quando la  devastante operazione di guerriglia , portata  ai kibbutz, oltre il confine attraverso  i blitz delle milizie di Hamas,  è seguita inaspettata al lancio, molto più corposo,  di missili provocando morti in particolare fra i civili  e  la cattura di ostaggi, il governo d’Israele, e  tutta la comunità internazionale, si sono trovati  impreparati. 

Già,  gli ostaggi. Quelli  che secondo Netanyahu non devono, e non possono, costituire un impedimento alla grande vendetta contro Hamas, cioè possono anche essere uccisi. Si da il caso però, che i cittadini Israeliani che hanno loro congiunti fra gli ostaggi, e non solo loro,  non sono per nulla d’accordo e  stanno manifestando  contro il premier israleinano  e la sua esasperata voglia di vendetta. Così come tutti gli Stati che hanno notizia di loro concittadini  nelle mani di Hamas, sono completamente contrari ad un operazione occhio per occhio che prevede il sacrificio di altri occhi. 

Non solo,  tale spropositata  reazione, che fra l’altro potrebbe avere l’obiettivo non troppo nascosto, per Netanyahu, di perpetrare una nuova Nakba, successiva a quella del ’48 ed annettere  definitivamente la striscia di Gaza al controllo israeliano, sta indignando i novelli compagni del patto di Abramo che in nome della difesa della comunità araba variamente allocata, hanno sospeso gli accordi.  L’Iran sta valutando l’ipotesi di entrare nel conflitto, contro Israele e in molti Paesi monta la protesta contro il governo israeliano.  Il  crudele bombardamento dell’ospedale di Gaza e il tiro al bersaglio dei profughi palestinesi in attesa di passare il confine con l’Egitto chiuso all’ingresso dei convogli umanitari, stanno sempre più convincendo tutte le istituzioni (amiche e nemiche di Israele) che la riposta ad un attacco, per quanto efferato, non può essere il genocidio.  

I Cinesi e  i Russi,  non hanno condannato gli attacchi di Hamas, anzi, forse cercano di trarne vantaggi, anche se in passato hanno sopportato le  intemperanze israeliane a Gaza. Lo stesso Egitto teme una crisi umanitaria nell’ipotesi di dare asilo a milioni di profughi palestinesi provenienti da Gaza attraverso il valico di Rafah. Senza contare che anche  in Libano, infuria la guerra fra Hezbollah ed esercito israeiliano, con il sacrificio anche di giornalisti presenti per documentare lo scenario. Un corrispondente dell’agenzia Reuters è stato ucciso  dall’esercito d’Israele. Li, ricordiamolo, ci sono forze ONU d’interposizione fra cui contingenti militari italiani. 

Tutto ciò accade in un contesto internazionale in cui le vittime si sono stancate di essere tali anche nel Sahel, dove,  dopo la rivoluzione in Niger un’alleanza di Stati Africani (comprendente Mhali, Burkina Faso, Algeria) si è  mobilitata contro gli impulsi guerrafondai  della   Cedeao (Comunità Economica degli Stati d’Africa Occidentale) guidata dalla Nigeria, messa a guardia degli interessi occidentali. Proprio grazie a questa mobilitazione, la  minaccia portata della stessa Cedeao, supportata dall’occidente,  di reintegrare il vecchio leader deposto Mohamed Bazoum, guardiano degli affari occidentali, attraverso    una di quelle tante guerre  definite  necessarie  all’esportazione della democrazia,  è stata disinnescata. 



Paesi come Tunisia, Libia, prendono in giro i vari leader europei,  Meloni in primis, chiedendo soldi per svolgere il lavoro sporco e disumano di non far  partire gli immigrati secondo accordi che cambiano di minuto in minuto.  Giocano  sul fatto che la famosa Unione Europea, nata dai principi di Ventotene, è talmente ripiegata sugli interessi beceri e diciamolo pure “RAZZISTI” (non è un caso che per i profughi ucraini non esistono limitazioni di sorta)  dei singoli  Paesi, da non riuscire a mettere in piedi uno straccio di piano di accoglienza comune.  La pianificazione di una  redistribuzione degli immigrati, gestita secondo la loro volontà di approdo, consentirebbe ad ogni Paese membro  di governare una normale transizione migratoria insita nelle prerogative umane,  evitando di esternalizzare le frontiere , con lauti finanziamenti, spesso destinati a presunti capi di governo, criminali senza scrupoli . 

 La incandescente situazione in Medio Oriente, inserita nel contesto appena descritto, dimostra che sta crescendo un movimento popolare in Africa ed in Asia, che non ne può più di subire angherie da paesi occidentali e dai guardiani dei loro interessi come Israele o dittatorucoli tribali messi li apposta dagli esportatori di democrazia. Nemmeno le monarchie Arabe sono disposte a tollerare oltre certi atteggiamenti. Tanto loro non hanno problemi, fra un po’ si comprano l’America e l’Europa insieme grazie alle ricchezze accumulate proprio grazie alla  smodata fame di consumo di energia che una parte, peraltro minoritaria, del mondo non riesce a limitare.

 Infine sul   fronte interno ai vari Paesi, al netto di una rinnovata azione terrorista di schegge impazzite che ammazzano in nome di Allah,  monta la protesta contro il regime di Netanyahu e in solidarietà con il popolo palestinese (non con Hamas). Si sta rianimando  quell’internazionalismo, motore di tante proteste in difesa dell’autodeterminazione dei popoli , e in difesa della  pace, quella vera,  per anni sopito dalla normalizzazione. 

Il risveglio di una coscienza sociale internazionale, si appresta a ridestare    una nuova fase di rivalsa sociale nazionale . Sono da mettere nel conto i divieti a manifestare in solidarietà con la Palestina e  le reazioni, anche violente, degli apparati di Polizia a queste proteste che si allargano al contrasto delle politiche di devastazione  sociale che stanno  mietendo povertà in tutta Europa. 

Non tutto dunque è come prima, anzi, niente è come prima. Speriamo solo che finisca bene.