sabato 23 luglio 2016

Le nuove armi del terrorismo jihadista

Ignacio Ramonet

Dopo Nizza. Questa nuova forma di terrore totale si manifesta come castigo o rappresaglia contro un «comportamento generale», senza altri dettagli, dei paesi occidentali

Aveva preparato tutto nei dettagli. Chiuso il conto in banca. Venduto l’automobile. Evitato qualunque contatto con l’organizzazione. Niente riunioni sospette. Niente preghiere. Si era procurato l’arma fatale senza che nessuno potesse sospettare l’uso che intendeva farne. L’aveva messa in un luogo sicuro. Aveva aspettato e aspettato.
Giunta la data stabilita, ha fatto una prova. È passato e ripassato lungo il futuro itinerario di sangue. Ha studiato gli ostacoli. Ha immaginato il modo di superarli. Arrivato il momento, ha messo in moto il camion della morte.

L’inaudita bestialità dell’attentato di Nizza del 14 luglio si aggiunge ad altri recenti massacri jihadisti, in particolare a Orlando (49morti) e Istanbul (43 morti), e obbliga a interrogarsi ancora una volta su questa forma di violenza politica chiamata terrorismo. In questo caso, per la verità, si dovrebbe parlare di «iper-terrorismo», per indicare il fatto che non è come prima. È stata valicata una soglia impensabile, inconcepibile. L’aggressione è di una dimensione tale da non assomigliare a niente di già noto. Al punto che non si sa come chiamarla. Attentato? Attacco? Atto di guerra? È come se i confini della violenza fossero stati cancellati. E non si potrà tornare indietro. Tutti sanno che questi crimini inaugurali si riprodurranno.
Certo in altri luoghi, e in circostante diverse, ma si ripeteranno. La storia dei conflitti insegna che, quando fa la sua comparsa una nuova arma, questa sarà usata, per quanto mostruosi siano i suoi effetti. Qualcun altro, di nuovo, da qualche parte, lancerà a folle velocità un camion di 19 tonnellate contro una massa di persone innocenti.
Soprattutto perché questo muovo terrorismo ha, fra i propri obiettivi, quello di colpire le menti, di sconvolgere le coscienze. È un terrorismo brutale e globale. Globale nell’organizzazione, ma anche nel percorso e negli obiettivi. Non rivendica nulla di preciso. Né l’indipendenza di un territorio, né concrete concessioni politiche, né l’instaurazione di un tipo particolare di regime. Questa nuova forma di terrore totale si manifesta come una sorta di castigo o rappresaglia contro un «comportamento generale», senza altri dettagli, dei paesi occidentali.
Anche il termine «terrorismo» è impreciso. Per due secoli è stato utilizzato per indicare, distintamente, le persone che facevano ricorso, con o senza ragione, alla violenza per cercare di cambiare l’ordine politico. L’esperienza storica mostra che, in certi casi, questa violenza è stata necessaria. «Sic semper tirannis», gridò Bruto mentre pugnalava Giulio Cesare che aveva abbattuto la Repubblica. «Ogni azione è legittima nella lotta contro i tiranni», affermò nel 1792 il rivoluzionario francese Gracchus Babeuf.

Su questo irriducibile fenomeno politico, che provoca al tempo stesso spavento e collera, incomprensione e repulsione, emozione e attrazione, sono stati scritti migliaia di testi. E anche almeno due opere magistrali: il romanzo I demoni (1872) di Fëdor Dostoevskij e l’opera teatrale I giusti (1949) di Albert Camus.
Tuttavia, adesso che l’islamismo jihadista sta globalizzando il terrore a livelli mai visti prima, il progetto di «uccidere per un’idea o una causa» appare sempre più aberrante. E si impone quel rifiuto definitivo espresso magistralmente da Juan Goytisolo con la frase: «Uccidere un innocente non è difendere una causa, è uccidere un innocente».
Naturalmente, sappiamo che molti di quelli che, a un certo punto della loro vita, difesero il terrorismo come «legittima arma degli oppressi», sono poi diventati rispettati uomini e donne di Stato. Per esempio i dirigenti nati dalla Resistenza francese (De Gaulle, Chaban-Delmas), che le autorità tedesche di occupazione definivano «terroristi»; Menachem Begin, ex capo dell’Irgun, diventato primo ministro di Israele; Abdelaziz Bouteflika, già responsabile del Fln algerino, in seguito presidente dell’Algeria; Nelson Mandela, capo dell’African National Congress (Anc), presidente del Sudafrica e premio Nobel per la pace; Dilma Rousseff, presidente del Brasile; Salvador Sánchez Cerén, attuale presidente del Salvador ecc.

Come principio di azione e metodo di lotta, il terrorismo è stato rivendicato, a seconda delle circostanze, da quasi tutte le famiglie politiche, Il primo teorico che propose, nel 1848, una «dottrina del terrorismo» non fu un islamista alienato ma il repubblicano tedesco Karl Heinzen con il saggio Der Mord (L’omicidio), nel quale sosteneva che tutte le azioni sono buone, compreso l’attentato suicida, per affrettare l’avvento della democrazia. Antimonarchico radicale, Heinzen scrisse: «Se devi far saltare la metà di un continente e provocare un bagno di sangue per distruggere il partito dei barbari, non farti scrupoli. Chi non sacrifica gioiosamente la propria vita per provare la soddisfazione di sterminare un milione di barbari non è un vero repubblicano».
L’attuale «offensiva jihadista» e la propaganda antiterrorista che la accompagna possono far credere che il terrorismo sia un’esclusiva islamista: con tutta evidenza, è sbagliato. Fino a tempi recenti, altri terroristi erano in azione in molte aree del mondo non musulmano: l’Ira e gli unionisti nell’Irlanda del Nord; l’Eta in Spagna; le Farc e i paramilitari in Colombia; le Tigri tamil nello Sri Lanka; il Fronte Moro nelle Filippine ecc.
Quello che è certo, è che l’allucinante brutalità dell’attuale terrorismo islamista (tanto quello di Al Qaeda quanto quello di Daesh, il sedicente Stato islamico) sembra aver indotto quasi tutte le altre organizzazioni armate del mondo – a eccezione del Pkk kurdo – a firmare in fretta accordi di cessate il fuoco e deposizione delle armi. Come se, davanti all’intensità della commozione popolare, non volessero vedersi in alcun modo accostate alle atrocità jihadiste.
Ricordiamo poi che, fino a pochissimo tempo fa, una potenza democratica come gli Stati uniti non riteneva per forza immorale l’appoggio a certi gruppi terroristi. Attraverso la Central Intelligence Agency (Cia), Washington preparava attentati in luoghi pubblici, sequestri di oppositori, dirottamento di aerei, sabotaggi, omicidi.
Contro Cuba, Washington lo ha fatto per oltre 50 anni. Ricordiamo ad esempio la testimonianza di Philip Agee, ex agente della Cia: «Nel marzo 1960 ero in addestramento in una base segreta della Virginia, quando Eisenhower approvò il progetto che avrebbe dovuto portare all’invasione di Cuba da Playa Girón. Stavamo imparando i trucchi del mestiere di spia, comprese le intercettazioni telefoniche, i microfoni nascosti, le arti marziali, l’uso di armi ed esplosivi, i sabotaggi. In quello stesso mese la Cia, cercando di privare Cuba degli armamenti in previsione nell’imminente invasione da parte dei cubani in esilio, fece saltare in aria la nave francese «La Coubre», mentre stava scaricando nel porto dell’Avana un carico di armi dal Belgio.
Nell’esplosione morirono oltre cento persone. Nell’aprile dell’anno successivo, un’altra operazione di sabotaggio a opera della Cia con bombe incendiarie distrusse i magazzini El Encanto, i più grandi della capitale, facendo decine di vittime. Nel 1976, la Cia pianificò, con l’aiuto dell’agente Luis Posada Carriles, un altro attentato contro un aereo della Cubana de Aviación: morirono le 73 persone che erano a bordo. Dal 1959, il terrorismo degli Stati uniti contro Cuba è costato 3.500 vite e ha reso invalide altre 2.000 persone. Chi non conosce questa storia può percorrerla nella classica cronologia di Jane Franklin, The Cuban Revolution and the United States».
In Nicaragua, negli anni 1980, Washington agì con analoga brutalità contro i sandinisti. E in Afghanistan contro i sovietici. Là, con l’appoggio di due Stati molto poco democratici, Arabia saudita e Pakistan, gli Stati uniti promossero, nel decennio 1980, la creazione di brigate islamiste reclutate nel mondo arabo-musulmano e formate da quelli che i media dominanti chiamavano all’epoca freedom fighters, combattenti per la libertà. In quel contesto, come sappiamo, la Cia incontrò e formò un certo Osama bin Laden, che avrebbe poi fondato Al Qaeda.
Gli errori disastrosi e i crimini perpetrati dalle potenze che invasero l’Iraq nel 2003 sono le cause principali del terrorismo jihadista attuale. Aggiungiamo le conseguenze degli assurdi interventi in Libia (2011) e in Siria (2014).
Alcune capitali occidentali continuano a pensare che una massiccia potenza militare sia sufficiente a sconfiggere il terrorismo. Ma nella storia militare abbondano gli esempi di grandi potenze incapaci di battere avversari più deboli. Basti ricordare le disfatte statunitensi in Vietnam nel 1975, o in Somalia nel 1994. In effetti, in un conflitto asimmetrico, chi può di più non necessariamente vince: «Per circa 30 anni, il potere britannico si è rivelato incapace di avere la meglio su un esercito piccolo come quello dell’Ira», ricorda lo storico Eric Hobsbawn; «Certo quest’ultimo non vinse, ma nemmeno fu sconfitto».

Come la maggioranza delle forze armate, quelle delle grandi potenze occidentali sono state concepite per lottare contro altri Stati e non per affrontare un «nemico invisibile e imprevedibile». Ma nel secolo XXI, le guerre fra Stati stanno diventando anacronistiche. La travolgente vittoria degli Stati uniti in Iraq agli inizi del 2000 non è un buon riferimento. Anzi, l’esempio può rivelarsi ingannevole. «La nostra offensiva fu vittoriosa», spiega l’ex generale statunitense dei marines Anthony Zinni, «perché avemmo la fortuna di incontrare l’unico cattivone al mondo abbastanza stupido da accettare di confrontarsi con gli Stati uniti in una guerra asimmetrica».
I conflitti di nuovo genere, nei quali il forte si scontra con il debole o con il folle, sono più facili da iniziare che da concludere. E il massiccio ricorso a mezzi militari pesanti non necessariamente consente di raggiungere gli obiettivi che si perseguono.
La guerra contro il terrorismo autorizza anche, in materia di governance e politica interna, l’impiego di ogni mezzo autoritario e di ogni eccesso, compresa una versione moderna dell’«autoritarismo democratico», il cui bersaglio non sarebbero solo le organizzazioni terroristiche in quanto tali, ma tutti quelli che si oppongono alle politiche globalizzatrici e neoliberiste.

Per questo, oggi, c’è da temere che la «caccia ai terroristi» provochi – come si può osservare in Turchia dopo lo strano golpe di Stato fallito dello scorso 16 luglio -, derive pericolose, attentati ai diritti umani e alle libertà fondamentali. La storia ci insegna che con il pretesto della lotta al terrorismo molti governi, compresi quelli democratici, non esitano a restringere il perimetro della democrazia. Stiamo attenti a quello che accadrà.
Potremmo essere entrati in un nuovo periodo della storia contemporanea, nel quale tornerebbero a essere possibili soluzioni autoritarie ai problemi politici.

fonte "il manifesto" del 23 luglio 2016

venerdì 22 luglio 2016

Referendum Costituzionale lettera ai Prefetti

Comitato per il NO - Brescia

Dettagli


PRESIDIO - PREFETTURA DI BRESCIA
in concomitanza con l'incontro richiesto al Prefetto

SABATO 23 LUGLIO 2016
DALLE 10.30 ALLE 13.00

per sollecitare il Governo a fissare prontamente la data del Referendum costituzionale.


DI SEGUITO IL TESTO DELLA LETTERA PRESENTATA AL PREFETTO:

Al Prefetto di Brescia

In qualità di rappresentanti del Comitato per il NO al referendum costituzionale della Provincia di Brescia, cui hanno aderito 39 tra associazioni e partiti, abbiamo chiesto questo incontro per sollecitare, tramite il Suo Ufficio, il Consiglio dei Ministri affinché, una volta emessa l’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, prontamente fissi la data da proporre al Presidente della Repubblica per l’emanazione del decreto di indizione del referendum sulle modifiche della Costituzione recentemente approvate dal Parlamento così che gli elettori chiamati alle urne possano conoscere la data definitiva del voto.

Da giorni assistiamo infatti da parte del Governo a un balletto di date che paiono strumentalmente legate a contingenze politiche e elettorali: dapprima alla pronuncia della Corte costituzionale sulla legge elettorale, il cosiddetto Italicum, strettamente collegata, nel dispiegare i suoi effetti sulle istituzioni, alla riforma costituzionale, poi al calo di consensi al SÌ rilevato dai sondaggi e infine alla necessità di depotenziare i risultati delle elezioni amministrative allungando i tempi.

Il nostro Comitato, in questi due ultimi mesi, ha attivamente partecipato alla raccolta di firme per chiedere il referendum oppositivo alla riforma costituzionale, ha incontrato migliaia di cittadini che, come prevede la Costituzione, vedono nel referendum uno strumento di espressione della sovranità popolare e l’ultima risorsa di chi non ha potuto avere direttamente voce in Parlamento.

Per questo Le chiediamo di farsi interprete presso il Governo della necessità di definire in tempi rapidi la data della consultazione referendaria.

Brescia, 23 luglio 2016

Comitato per il NO - Brescia


Se qualche comitato volesse seguire il nostro esempio, invito ad organizzare l'iniziativa il prossimo 30 luglio: anche se siamo in piena canicola, secondo noi, dobbiamo battere forte la nostra grancassa!

Buona battaglia a tutt*,
Daniele

Il Forum Acqua consegna 230.000 firme alla Presidente Laura Boldrini


Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua

Centinaia di migliaia di adesioni alla petizione popolare per l'acqua bene comune e contro i decreti Madia


Questa mattina una delegazione del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua ha incontrato la Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, per consegnarle le circa 230.000 firme raccolte a sostegno della petizione popolare "Per legiferare in materia di diritto all'acqua e di gestione pubblica e partecipativa del servizio idrico integrato".
Un petizione popolare che si pone l'obiettivo di denunciare come una serie di provvedimenti normativi stiano determinando il rilancio dei processi di privatizzazione della gestione dei servizi pubblici locali, compreso il servizio idrico integrato, di fatto cancellando l'esito dei referendum del 2011.
Pertanto, tramite la petizione popolare, 230.000 cittadine e cittadini chiedono: il ritiro dei decreti Madia su servizi pubblici e società partecipate, allo studio del Parlamento; l'approvazione della legge per la gestione pubblica del servizio idrico nella sua formulazione originaria così come depositata dall'intergruppo parlamentare nel marzo del 2014; l'inserimento del diritto all'acqua nella Costituzione.
L'incontro è stato anche l'occasione per approfondire le disposizioni contenute nel decreto attuativo sui servizi pubblici locali della cosiddetta legge Madia, con particolare riguardo al fatto che la nuova disciplina, operando una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti diretti e divieto di gestione pubblica, risulta contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata con il referendum del 2011, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, e conseguentemente si pone in esplicita contraddizione dell'esito referendario e con il principio stabilito dalla legge delega in cui si sanciva che tale esito dovesse essere rispettato. Inoltre il decreto prevede, quale criterio per la determinazione delle tariffe dei servizi, “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, così reintroducendo, addirittura con identica formulazione testuale, la clausola di legge che era stata abrogata con il secondo quesito. Anche in questo caso risulta palese la contraddizione dell’esito della consultazione popolare.
Nel corso dell'incontro è stato quindi posto l'accento sul vulnus democratico di tali processi.
La Presidente della Camera ha sottolineato l'alto valore democratico dell'esperienza referendaria, oltre a quella appena conclusa attraverso la raccolta firme, e la necessità che la partecipazione dei cittadini all’attività legislativa trovi forme adeguate di attenzione e di risposta da parte parlamentare.
La Presidente si è anche impegnata a trasmettere la petizione popolare alla Commissione Affari costituzionali della Camera presso la quale è all'esame suddetto decreto e su cui dovrà rendere il parere al Governo.
Da parte dei rappresentanti del movimento per l'acqua è stata evidenziata come la grande adesione a questa petizione dimostri ancora una volta la consapevolezza e sensibilità della cittadinanza rispetto al tema dell'acqua bene comune e della necessità di una sua gestione pubblica. E' stato anche ribadito che proseguirà la campagna di informazione diffusa sui territori volta denunciare il tentativo di cancellazione della volontà popolare .
Roma, 22 Luglio 2016.

PROMUOVERE I BENI COMUNI, FERMARE IL DECRETO MADIA

FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA


Proposta per una assemblea nazionale l'11 settembre a Roma

In seguito all’inequivocabile sconfitta subita alle recenti elezioni amministrative, il governo Renzi sta pensando di utilizzare tutto il tempo tecnico a sua disposizione, posticipando a fine novembre l’approvazione definitiva del Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, decreto legislativo attuativo dell’art. 19 della L. 124/2015 (Legge Madia).
Evidentemente in difficoltà, e con la prospettiva - completamente aperta - di un referendum costituzionale in cui ha deciso di mettere in gioco il proprio futuro politico, il governo Renzi cerca di dissimulare le carte, rallentando la marcia e suggerendo aperture.

Ma la direzione è comunque tracciata: il Testo unico è, e rimane, un vero e proprio manifesto liberista, la cui finalità è quella di promuovere “la concorrenza, la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione di servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione dei servizi pubblici locali di interesse economico generale”.
Si tratta di un provvedimento che, cinque anni dopo la straordinaria vittoria referendaria sull’acqua e i beni comuni, vuole portare fino in fondo la sciagurata scelta compiuta ventidue anni fa, con la legge Galli, di risolvere i problemi del servizio idrico non con il risanamento e la riqualificazione delle gestioni pubbliche, ma imboccando la via opposta, ossia consegnando il servizio idrico a grandi holding finanziarie, secondo il credo neoliberista, e agli interessi di un ceto politico che aspira a farsi potentato economico.

Oltre vent'anni dopo i risultati di quella scelta sono gravemente passivi per i cittadini. I pesanti aumenti tariffari solo in piccola parte sono stati utilizzati per costruire depuratori e rinnovare la rete. La massima parte sono andati a risanare i conti delle multiutilities e a distribuire dividendi agli azionisti, quasi tutti istituti finanziari. 
Il referendum del 2011 chiedeva, anzi imponeva, di voltar pagina. Ma la volontà popolare, che indicava la via di un rinnovamento della politica attraverso la partecipazione dei cittadini (e dei cittadini-lavoratori delle aziende) è stata ignorata. L'esplosione delle tubature dell'acqua quasi contemporaneamente a Firenze (Publiacqua, con forte presenza di Acea tramite la controllata Acque Blu Fiorentine) e a Genova (Iren) riveste un significato quasi simbolico dell'esito delle scelte compiute dai governi della “Seconda Repubblica”.

Con l’alibi della crisi e la trappola artificialmente costruita del debito pubblico, si cerca di portare a termine la spoliazione delle comunità locali, mercificando i beni comuni, privatizzando i servizi pubblici e attaccando i diritti del mondo del lavoro.
Con questo provvedimento, il governo Renzi prova a chiudere il cerchio aperto dalla straordinaria vittoria referendaria del giugno 2011, attaccando esplicitamente la stessa nozione di servizio pubblico locale e prefigurando l’intervento del pubblico come di supporto al mercato.

Dunque oggi si confrontano due linee: il vero cambiamento, a partire dai risultati del referendum, da una parte; il perseverare sulla via fallimentare dell'assoggettamento dei servizi pubblici locali agli interessi della finanza casinò, dall'altra.

A sostegno del necessario cambiamento di rotta in questi mesi si è progressivamente prodotta un’opposizione sociale alla legge Madia e a ciò che essa rappresenta: lo dimostrano le decine di iniziative territoriali e la raccolta di centinaia di migliaia di firme in calce alla petizione alle Camere, promossa dal Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua e sostenuta dalle compagini che hanno dato vita alla campagna dei Referendum Sociali.

Crediamo sia giunto il momento di fare un punto collettivo, proponendo a tutte e tutti quelli che, a diverso titolo e in tutti i territori, da anni si battono contro tutti i provvedimenti che vogliono consegnare i beni comuni ai grandi interessi finanziari, devastando i territori ed espropriando le comunità territoriali, un’assemblea nazionale di discussione collettiva sulle iniziative e le mobilitazioni da intraprendere nel prossimo autunno.

Fermare il decreto Madia vuol dire consentire alle comunità territoriali la riappropriazione sociale dei beni comuni, l’autogoverno partecipativo degli stessi, la messa in campo di una nuova economia sociale territoriale.

Fermare il decreto Madia vuol dire rispettare la volontà popolare espressa dal referendum sull’acqua, bloccare le politiche liberiste di privatizzazione, riappropriarsi della democrazia.

E' evidente come tutto ciò incroci la scadenza del referendum confermativo sulla controriforma costituzionale del prossimo autunno. E almeno due sono le ragioni di fondo: la prima è che il combinato tra controriforma costituzionale e legge elettorale nasce proprio con l’idea di restringere gli spazi di democrazia in termini funzionali ad affermare le scelte di carattere neoliberista e classista che contraddistinguono l’attuale governo. La seconda è che non è possibile disgiungere i contenuti delle scelte sul terreno economico e sociale da quelle relative alle forme e agli assetti istituzionali. Da questo punto di vista, è evidente che, se non si vuole produrre un discorso che rischia di essere astratto sulla difesa e sull’espansione della democrazia, esso va innervato di contenuti e fatto vivere in relazione alle scelte che intervengono sulle politiche economiche e sociali, su quelle scelte che riguardano la condizione di vita concreta delle persone.

Proponiamo di vederci tutte e tutti domenica 11 settembre a Roma.

giovedì 21 luglio 2016

SE VINCE IL SI MI ASSICURO PIU PARTECIPAZIONE ALLA VITA PUBBLICA?

Angelino Loffredi



Nel leggere il Manifesto del SI a sostegno del Referendum d’autunno mi ha colpito una motivazione: il disegno di legge di Riforma Costituzionale assicurerebbe una “ maggiore partecipazione dei cittadini “ alla vita pubblica. Si tratta di un argomento positivo e condivisibile, considerato il pericoloso distacco creato fra cittadini e Istituzioni motivato ancor più in questi ultimi giorni da alcuni dati offerti dall’Istituto di Statistica. In Italia, infatti, la povertà oramai tocca 4,6 milioni di persone. Il massimo dal 2005. C’è qualcosa di più inquietante: nel 2007 dieci famiglie possedevano la ricchezza di 3 milioni di Italiani ora invece le stesse 10 famiglie hanno la ricchezza non di 3 ma di 6 milioni di Italiani. Insomma alcuni hanno raddoppiato le loro ricchezze mentre raddoppiava il numero dei poveri. La disuguaglianza cresce e contemporaneamente aumentano varie paure e più in generale il disagio sociale. Se esaminiamo attentamente il Testo di Riforma Costituzionale pubblicato il 16 aprile 2016, quello sottoposto a Referendum di autunno, ci accorgiamo che i provvedimenti individuati non fanno partecipare i cittadini alla attività pubblica ma addirittura li allontanano dalla stessa. Infatti con l’articolo 11 del Testo di legge, il Parlamento ( eletto da una legge dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale) ha modificato il secondo comma dell’articolo 71 della vigente Costituzione. Ha aumentato ( triplicandolo ) il numero delle firme necessarie per proporre leggi di iniziativa popolare in quanto dalle 50.000, ora necessarie, si passa a 150.000. Inoltre, l’art.15, sempre del Testo di legge Costituzionale, prevede che non basta la raccolta di 500.000 firme per richiedere un Referendum abrogativo ma se ne pretendono addirittura 800.000. Basterebbero questi due rilievi per evidenziare che la maggioranza del Parlamento si è mossa in direzione contraria ma c’è qualcosa in più e di inquietante. Chi sta leggendo è a conoscenza che la Corte Costituzionale ha bocciato la legge elettorale ( denominata Porcellum ) che ha determinato l’attuale Parlamento di nominati, non per fare dispetto a quest’ultimi ma perché secondo il dettato costituzionale è necessario e doveroso che siano i cittadini italiani a scegliere i propri rappresentanti ( attraverso il voto di preferenza ), inoltre perché, sempre con la legge Porcata, il premio di maggioranza assegnato alla coalizione vincitrice era sproporzionato rispetto alla volontà espressa dagli elettori. Era necessario dunque apportare dei correttivi, accogliere le motivazioni della sentenza, insomma avvicinare concretamente la legge alla volontà popolare, invece cosa è stato fatto ? Nel Testo di legge Costituzionale è previsto che il Senato non sarà eletto più dai cittadini ma dai Consigli regionali ,ovviamente su indicazione dei partiti, i quali designeranno consiglieri ai quali verrà assicurata la l’immunità parlamentare. Per quanto riguarda l’elezione della Camera è in vigore la legge 52 del 6 maggio 2015 che prescrive l’elezione di 100 capilista (della lista vincitrice) nei rispettivi collegi plurinominali, designati dai partiti. Non è finita ! Una delle cause di illegittimità del Porcellum scrivevo era determinata dall’eccessivo premio di maggioranza assegnato alla coalizione vincente, perché lesivo del valore della rappresentanza. Quale è il correttivo apportato per riconoscere la rappresentanza? Sembra assurdo ma ora il premio di maggioranza non va alla coalizione ma alla lista che prende più voti, la quale, se vince al ballottaggio, pur avendo ottenuto al primo turno una percentuale del 25 %, eleggerà 340 deputati su circa 600. Potrebbe succedere che una forza politica minoranza nel paese potrebbe avere una tale maggioranza alla Camera da mettere in discussione gli equilibri istituzionali. I fautori del SI non solo con tanta sfrontatezza affermano che in questa maniera i cittadini parteciperanno alla vita pubblica ma non si stanno accorgendo che l’elastico della prepotenza, degli inganni e delle ingiustizie sociali è stato tanto allungato da rischiare di spezzarsi.

230.000 firme alla Camera per l'acqua bene comune La petizione popolare contro i decreti Madia consegnata domani alla Presidente Boldrini

Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua


Domani 22 luglio, alle ore 12.30, una delegazione del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua consegnerà alla Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, le circa 230.000 firme raccolte a sostegno della petizione popolare "Per legiferare in materia di diritto all'acqua e di gestione pubblica e partecipativa del servizio idrico integrato". 

È il frutto del lavoro diffuso sui territori durato tre mesi, nell'ambito della campagna sui referendum sociali, per una petizione che in primis chiede il ritiro dei decreti Madia su servizi pubblici e società partecipate, allo studio del Parlamento e del Governo, che nella loro attuale formulazione ripropongono quelle stesse privatizzazioni bocciate dai referendum del 2011.

Nella petizione sono contenute anche altre due proposte: l'approvazione della legge per la gestione pubblica del servizio idrico nella sua formulazione originaria, perfettamente compatibile con la disciplina europea, e l'inserimento del diritto all'acqua nella Costituzione. 

Un diritto che in Italia viene quotidianamente violato attraverso i distacchi idrici messi in atto dai gestori. Una proposta che, nell'attuale dibattito sulle modifiche costituzionali, rappresenta senz'altro una spinta in avanti sul terreno della tutela dei diritti.

Roma, 21 Luglio 2016.

mercoledì 20 luglio 2016

Precisazioni per la vicenda lavoratori Frosinone Multiservizi

Comitato di Lotta per il lavoro



Al Prefetto
P.c. Ai Consiglieri Comunali Comune di Frosinone

P.c. Ai Parlamentari eletti nella provincia

P.c. Ai Consiglieri Regionali eletti nella provincia
P.c. Al Presidente Amministrazione Provinciale Antonio Pompeo
P.c. Al Sindaco Giuseppe Morini di Alatri
P.c. Alle forze sociali
P.c. Alla stampa



 Oggetto: Precisazioni per la vicenda lavoratori Frosinone Multiservizi


Il Tribunale del lavoro di Frosinone per la terza volta, il 18 luglio c.a., si è pronunciato in favore dei lavoratori della Frosinone Multiservizi esclusi dal passaggio alle cooperative sociali Sol.CO. nel lontano ma sempre presente 2013. Lo stesso tribunale in data 11 giugno 2015 e 1° giugno 2016 aveva sempre riconosciuto ad altri 35 lavoratori l’avvenuta costituzione tra ciascuno dei ricorrenti del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 26/4/13 ordina alla cooperativa di ricevere le prestazioni di lavoro dei ricorrenti”.
In data 22 giugno u.s. lo stesso Sindaco di Frosinone, ascoltato dal giudice per provare a conciliare le parti a fronte dell’impossibilità dichiarata dalla cooperativa Sol.Co. di ottemperare alla sentenza emessa dallo stesso tribunale di Frosinone nel 2015, sentenza n. 501/2015 che realizza gli effetti del contratto di lavoro non concluso tra gli ex lavoratori Multiservizi e la Sol.Co., ha espressamente detto che non ha intenzione di intervenire né tantomeno rivedere le proprie posizioni difronte anche al fatto che altri lavoratori non del bacino della Frosinone Multiservizi hanno sostituito i [legittimi] titolari.
Si richiama lo statuto comunale dove all’art. 4 Diritti della persona c.1 ”Il Comune impronta la sua attività ai valori della partecipazione e della solidarietà e garantisce a ciascun individuo il diritto alla pari dignità nella società e nel lavoro, contrastando qualsiasi forma di discriminazione”, invece di favorire, con l’inoperosità, lo stato attuale delle cose, senza impegnarsi a ricomporre socialmente ed economicamente quello che oramai è chiaro è stato un vero e proprio abuso contro i lavoratori che furono esclusi, per cui la clamorosa protesta che continua da 806 giorni sotto una tenda e continue (l’ultima il 31 maggio u.s.) istanze per la riconvocazione della Commissione Consiliare per affrontare tutti questi problemi.
A Frosinone alla coop Sol.Co. è appaltato i servizio del Museo e Biblioteca (per ca €1 milione) e, tramite alcune consorziate, anche un altro servizio, supporto alla gestione funzionale degli impianti sportivi ed agli eventi culturali e di spettacolo (€515 mila), e due affidamenti, cimitero (per ca €1 milione) e segnaletica (€381 mila), per un totale di ca €2,9 milioni da aprile 2013 fino ad aprile 2016.
La coop Sol.Co. è stata colpita a dicembre da una “informazione antimafia interdittiva” emessa dalla Prefettura di Roma per le note vicende di “MafiaCapitale”. Ieri si è appreso che a seguito delle indagini per le irregolarità legate all'appalto per l'acquisizione del servizio Cup della Regione Lazio, è stato condannato il dirigente della cooperativa Sol.Co. Mario Monge ad un anno e 4 mesi di reclusione con l’accusa di turbativa d’asta.
Questi accadimenti noti a tutti da anni (si ricordi la vicenda dei cassonetti gialli che raccolgono vestiario), si ritiene, debbano essere tenuti in debita considerazione dalle istituzioni locali, a cominciare dal Comune di Frosinone che appositamente adotta il Regolamento anticorruzione considerando che il “termine corruzione va inteso in una accezione ampia che comprende l’intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione. Se si focalizza l’attenzione per esempio sull’affidamento di servizi, azione di livello di rischio alto, considerando che l’elevato livello di rischio proviene proprio da quegli elementi come la discrezionalità nell’affidamento, il valore economico dei servizi, la frazionabilità degli affidamenti e degli importi, allora la vicenda dell’affidamento dei servizi alle coop, anche alla luce di quello che è accaduto dopo, andava e va considerato con maggiore attenzione con l’introduzione di interventi correttivi.
La coop sociale Nexus è altro operatore che negò ai lavoratori della Frosinone Multiservizi quel diritto di passaggio al “loro” posto di lavoro così come recitava l’Avviso Pubblico del 9/3/13 allegato alla delibera gc n. 96/2013. Nemmeno in questo caso l’ente intervenne fino a quando il giudice del lavoro ha riconosciuto in data 1/6/16, con sentenza n. 631/2016, la “costituzione tra ciascuno dei ricorrenti del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 26/4/13” e ha ordinato “alla cooperativa di ricevere le prestazioni di lavoro dei ricorrenti”.
Nel ripercorrere la storia di questo affidamento si scopre che il servizio del verde passò nell’aprile 2013 dalla società pubblica Frosinone Multiservizi alla coop sociale Nexus “temporaneamente”… fino a dicembre 2016 (ca €.700 mila). Oggi lo stesso è affidato ancora a Nexus, per un ammontare di €139 mila dopo una procedura negoziata dove vi hanno preso parte due cooperative (det. 509/2016), sorvolando l’art.57, c. 6 del D.Lgs n. 163/2006.
Nella penultima procedura negoziata è stato affidato, unico spazio temporale non occupato da Nexus in tre anni, “il servizio di che trattasi per il periodo dal 16/09/2015 al 15/01/2016”, quattro mesi ad una cooperativa sociale tra cinque partecipanti. Due di queste coop, di cui una poi affidataria del servizio, erano impigliate, da mesi prima, nelle indagini di “Mafiacapitale”. Quali strumenti previsti dal Regolamento Anticorruzione sono stati utilizzati dal Comune di Frosinone nella scelta del contraente?    
Precedentemente, nonostante il “valore economico”, si optò di affidare direttamente per un lungo anno (settembre 2013- 14) il servizio verde alla stessa società Nexus, con la sola motivazione che  “la Società Cooperativa Sociale Nexus a.r.l. attuale gestore di tale servizio si è resa disponibile al proseguimento delle attività agli stessi patti e condizioni per un ulteriore anno, conseguendo la continuità e la stabilità del personale attualmente impegnato sui servizi ed effettuando una miglioria d’asta di circa il 3 % sul prezzo del servizio”(DET 2327 del 24-09-2013).
Quale significato si è dato alla “procedura negoziata” nei sette affidamenti tra il settembre 2014 e il settembre 2015, ai sensi degli artt. 57 comma 6 che chiarisce: “Ove possibile, la stazione appaltante individua gli operatori economici da consultare sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economico finanziaria e tecnico organizzativa desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, e seleziona almeno tre operatori economici”.
L’art. 57 stabilisce principalmente che la “procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara”, si concede nei contratti pubblici relativi a lavori, forniture, servizi (comma 2), in presenza: a) qualora, in esito all'esperimento di una procedura aperta o ristretta, non sia stata presentata nessuna offerta, o nessuna offerta appropriata, o nessuna candidatura; b) qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi, il contratto possa essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato; c) nella misura strettamente necessaria, nei casi urgenti di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati ai sensi della Parte quarta, Titolo V, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara.
In quali di queste tre procedure si inscrive un normale contratto di servizio di verde pubblico che è in essere almeno dal 2006? Nel migliore dei casi le determine dirigenziali si limitano a riportare nelle motivazioni delle proroghe che la coop “si è resa disponibile al proseguimento delle attività agli stessi patti e condizioni”.
 Si ribadisce un appello: ad una valutazione più idonea delle conseguenze drammatiche che l’esternalizzazione dei servizi ha causato alla città e a centinaia di lavoratori che hanno dovuto subire per l’esclusione dal loro legittimo posto di lavoro; alla sollecitazione degli enti competenti alla riconvocazione delle assisi necessarie a ricomporre la vicenda.
 Si rimane a disposizione per un incontro volto all’approfondimento dei temi trattati.
 Distinti saluti.
 Frosinone 20 luglio 2016                                    Paolo Iafrate



Difesa della Costituzione. Una lotta impari. Ma Davide riuscì a battere Golia

Comitato locale CDC Frosinone

Il 16 luglio 2016 a Roma si è tenuta l'Assemblea Nazionale dei Comitati Locali, provenienti da tutta Italia per confermare la propria determinazione a sostenere le ragioni del NO:
Anche gli attivisti di Frosinone hanno portato il suo contributo.
Intervento di Carla Corsetti per il Comitato Locale di Frosinone.


Intervento ai lavori dei Comitati per il No, del 16 luglio 2016, del Presidente del Comitato per il No, prof. Alessandro Pace.

Alessandro Pace

Una premessa è d’obbligo. La legge costituzionale Renzi-Boschi (di seguito, legge Boschi) è stata approvata dalle Camere nonostante la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2014, avesse dichiarato l’incostituzionalità della legge elettorale (c.d. Porcellum) sulla cui base era stata eletta la XVII legislatura. Il che solleva dei gravissimi dubbi sulla legittimità costituzionale di tale legge, avendo il Governo e il Parlamento consapevolmente violato un giudicato costituzionale.
 La Corte costituzionale aveva infatti bensì ammesso che le Camere avrebbero potuto continuare ad operare, non però indefinitamente, ma solo per alcuni mesi e al fine di sostituire il Porcellum con altra legge elettorale rispettosa della Costituzione.
Il risultato di questo azzardo, portato avanti dall’ex Presidente Napolitano e dal Presidente del Consiglio Renzi, è una riforma costituzionale consentanea all’indirizzo politico del governo, irrispettosa delle opposizioni parlamentari, preoccupata da un lato di eliminare possibili contropoteri nei confronti del governo e, dall’altro, di ridimensionare le Regioni nei confronti dello Stato.   
Passo alle critiche di dettaglio. La legge Boschi è una legge di riforma dal contenuto disomogeneo che conseguentemente coercisce la libertà di voto degli elettori che hanno a disposizione un solo voto mentre i quesiti, nella specie, sarebbero  almeno tre. Privilegia, grazie alla nuova legge elettorale (c.d. Italicum) - sotto questo profilo, identica al Porcellum -, la governabilità sulla rappresentatività prevedendo di fatto un “premierato assoluto”. Contraddice la sovranità popolare - di cui «la volontà dei cittadini, espressa attraverso il voto, costituisce il principale strumento» (Corte cost., sent. n. 1 del 2014) - attribuendo ai consigli regionali, e non ai cittadini, il diritto di eleggere il Senato. Ribadisce la spettanza al Senato della funzione legislativa e di quella di revisione costituzionale ancorché esso sia privo di legittimazione democratica. Prevede che i senatori esercitino anche le funzioni di consigliere regionale e di sindaco, senza considerare che la duplicità delle funzioni impedirebbe il puntuale adempimento delle importanti e onerose funzioni sia legislative sia di controllo connesse alla carica senatoriale. Amplia il potere d’iniziativa legislativa del Governo mediante disegni di legge attuativi del programma di governo da approvare entro 70 giorni dalla deliberazione d’urgenza dell’assemblea, restringendo ulteriormente gli spazi per l’iniziativa legislativa parlamentare. Sottodimensiona irrazionalmente la composizione del Senato (100 senatori) rispetto alla composizione della Camera dei deputati (630 deputati) rendendo irrilevante il voto dei senatori nelle riunioni del Parlamento in seduta comune. Prevede almeno otto tipi diversi di approvazione delle leggi ordinarie, in luogo degli attuali due, con pregiudizio per la funzionalità della Camera dei deputati e il rischio di vizi di costituzionalità. Elimina il Senato come contro-potere politico esterno della Camera dei deputati, senza compensarne l’eliminazione con la previsione di contropoteri interni, quale il diritto delle minoranze qualificate di istituire inchieste parlamentari; anzi rinvia ai regolamenti parlamentari - per la cui approvazione è necessaria la maggioranza assoluta (sic!) - lo “Statuto delle opposizioni” e la previsione dei “Diritti delle minoranze”. Qualifica il Senato “rappresentante delle istituzioni territoriali”, ancorché le sue funzioni restino quelle tipiche di un organo dello Stato. Elimina, nei rapporti dello Stato con le Regioni, la potestà legislativa concorrente senza prevedere una potestà d’attuazione nelle materie nelle quali lo Stato si limiterebbe a dettare «disposizioni generali e comuni». Attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materie quali le politiche sociali, la tutela della salute, il governo del territorio, l’ambiente e il turismo che costituiscono il cuore dell’autonomia legislativa regionale. Dimentica di attribuire a chicchessia (Stato o Regioni) la competenza legislativa esclusiva in materia di circolazione stradale, di lavori pubblici, di industria, agricoltura, artigianato, attività mineraria, cave, caccia e pesca, con la conseguenza di non attenuare e tanto meno risolvere il problema del  contenzioso costituzionale Stato-Regioni. Introduce una clausola di supremazia statale, grazie alla quale una legge dello Stato, senza alcun limite di materia, potrebbe intervenire in materie di competenza delle Regioni «quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale». In definitiva lo Stato “regionale” viene degradato ad un livello «prevalentemente amministrativo».
 Sia dall’ex Presidente Napolitano sia dalla Ministra Boschi si è però pubblicamente ammesso che questa  riforma richiederebbe degli “aggiustamenti” necessari. Senza evidentemente rendersi conto che le loro affermazioni pongono in dubbio la stessa superiorità formale e sostanziale delle modifiche costituzionali da loro caldeggiate. Una costituzione è infatti rigida perché è intrinsecamente superiore a tutti gli atti normativi che compongono l’ordinamento, non già per il fatto che sarebbe modificabile secondo il procedimento speciale previsto dall’art. 138 (il che è una conseguenza di quella superiorità). Del resto, quand’anche si fosse trattato di una costituzione ottocentesca, modificabile dallo stesso legislatore, mai e poi mai si sarebbe pensato, dagli studiosi dell’epoca, di sottoporla ad aggiustamenti il giorno dopo della sua approvazione, perché ciò ne avrebbe destituito l’intrinseca superiorità.
 Il vero è che l’ex Presidente della Repubblica e la Ministra delle Riforme così dicendo confermano, volenti o nolenti, il diffuso giudizio che si tratta di una riforma “sgangherata”, che non merita di essere confermata dal popolo italiano nel referendum del prossimo ottobre.


lunedì 18 luglio 2016

Schonberg e il parmigiano di Orietta Berti

Luciano Granieri


Inizio  subito con una doverosa precisazione. La conduttrice del festival nazionale dei conservatori di musica Città di Frosinone, Mary Segneri, può stare tranquilla. Se qualche ensemble, partecipante alla rassegna, presenterà formale protesta perché un gruppo ha potuto esibirsi cinque minuti in più rispetto ai 25 stabiliti dalle regole  la colpa è del sottoscritto, Luciano Granieri. Stia  serena la signora Segneri, (che una volta credevo avesse il cognome,   Del  Grande Fratello)  qualsiasi contestazione arrivi sono pronto a testimoniare su come si sono svolti i fatti. 

Già ma come   sono andati  i fatti?  Domenica 17 luglio ho deciso  di concedermi  un po’ di buona musica. Quale migliore occasione del Festival dei Conservatori?  Mi sono recato presso P.zza Vittorio Veneto, suggestiva location della manifestazione, organizzata dal musicologo, nonché sindaco di Frosinone, Nicola Ottaviani. Sono arrivato in piazza alle 9,50. Era appena  iniziata l’esibizione del gruppo ATA, del conservatorio di Brescia, un quartetto jazz molto particolare composto da Silvia Iris Andrè  -voce, Gabriele Guerreschi- basso, Andrea Ragnoli –tastiere, Michele Zuccarelli Gennasi -batteria. La proposta dei quattro ragazzi era molto suggestiva con dei brani dalla struttura armonica molto complessa dove la voce di Silvia, spaziava in modo originale.   Peccato che alle note del gruppo spesso si sovrapponeva  il  rumore di ferraglia dell’ascensore inclinato. Ma come il chiasso dello street food proveniente dal lontano Casaleno disturbava e lo sferragliare dell’ascensore no?  

A seguire era previsto il set del Lorenzo Fronti Ensemble. La serata è  terminate alla mezzanotte e dieci circa. Gli ATA si sono esibiti per 25 minuti, il Lorenzo Fronti Ensemble un po’ di più ,35 minuti circa. I due gruppi in gara per il Festival hanno occupato la scena per un oretta scarsa. E l’altra ora e venti ?  Abbiamo assistito alla beatificazione del maestro Franco Micalizzi, salito sul palco prima dell’esibizione del  gruppo di Lorenzo Forti. 

Franco Micalizzi è  autore di colonne sonore per film "memorabili" quali : “Lo chiamavano trinità” con Bud Spencer e Terence Hill, il mieloso “ Lultima neve di Primavera” (la cui colonna sonora suonata dai juke box  balneari ha ammorbato l’estate del ’74   ad un’ intera generazione),  il filone dei polizieschi all’italiana, Napoli violenta, Roma a mano armata, e tutte le  città a mano armata che il cinema  abbia potuto inventarsi, tranne Milano Calibro 9 la cui colonna sonora degli Osanna è uno straordinario manifesto del Progressive italiano.

 Il  Nostro ha imperversato anche in TV partecipando alla terza serie di Domenica In con Corrado,  musicando le cento eccitanti puntate della serie Passioni , ma soprattutto coinvolgendo Orietta Berti come singer della sigla del cartone animato Lupin III.  

Grazie alle "argute" sollecitazioni della signora Mary Segneri, che credevo, una volta, si chiamasse Mary Del Grande Fratello, siamo venuti a sapere, come il nostro autore abbia avuto rapporti contrastati, ma sinceri e amichevoli,  con Corrado, per altro reduce del tragico incidente in cui morì la giovane soubrette Dora Moroni, abbiamo avuto contezza  della grandezza della forma di parmigiano che Orietta Berti  gli regalò in occasione della registrazione della sigla di Lupin III e tante altre notizie, forse interessanti, ma poco inerenti alla musica. 

Dopo più di un’ora di questa illuminante  rivisitazione gossip dell’arte del Maestro , quando sembrava finalmente giunto il turno del  Lorenzo  Fronti Ensemble, la Signora Segneri annunciava lo spottone per l’Amministrazione di Frosinone. Sono saliti sul palco, l’assessore alle finanze Riccardo Mastrangeli, l’assessore alla cultura Gianpiero Fabrizi, e al centro storico Rossella Testa. La scusa era la consegna di una targa ricordo al Maestro Micalizzi. Si stavano facendo tardi  e la gente cominciava ad abbandonare la piazza, stanca delle chiacchiere. Finalmente finito il mieloso scambio di complimenti fra assessori e presentatori, salivano sul palco i musicisti del Lorenzo Fronti Ensemble.

Un  settetto rappresentante del conservatorio di Alessandria Antonio Vivaldi  e del Conservatorio di Milano Giuseppe Verdi. Il programma, preparato dai  sette musicisti era composto da  sei brani: Suspension, Saturnalia, Glaspernespiel, Hexameron, Sinesthesia I, Sineshesia II. In un breve video proiettato prima dell’esibizione ,  il maestro Lorenzo Fronti, diplomato al conservatorio di Alessandria in composizione jazz,  spiegava la struttura dei pezzi . 

Abbiamo sentito discettare  di Schonberg di musica dodecafonica, di sinestesia, altro che il cacio di Orietta Berti! Quando il gruppo ha iniziato  la sua straordinaria esibizione eravamo rimasti  in quattro gatti. Dopo il brano Suspension , Fronti annunciava che non c’era il tempo per proporre  tutti i brani, quindi ne sarebbero stati eseguiti solo altri  due. 

Qui è scattata la rabbia. Siamo stati più di un’ora ad ascoltare gli aneddoti della vita del Micalizzi, e a questi ragazzi straordinari non era consentito terminare il loro set? Cercavo con gli occhi gli assessori  per protestare. Erano  andati già via il che da l’idea di come siano in grado di apprezzare la musica. Non potendo prendermela con i membri della Giunta mi sono rivolto alla signora Segneri. Alla fine dell’esibizione dei ragazzi di Alessandria, nel deserto più assoluto, mi è scappato un urlo: “Bis fate un altro brano”, poi rivolto alla presentatrice contrariata per il fuori programma  ho aggiunto: “Meno chiacchiere e più musica”. I  ragazzi hanno  eseguito Glaspernespiel, contenti dell’inaspettata possibilità di esibirsi ancora. Sono stati comunque costretti a chiudere in anticipo perché qualche imbecille ha pensato bene di sparare fuochi d’artificio che hanno coperto la musica. 

Alla fine il confronto con la Signora Segneri e con il suo compagno è stato inevitabile. Mi sono preso del maleducato perché ho gridato, in modo inconsulto “Meno chiacchiere e più musica” Ho spiegato che al di là del gradimento o meno del maestro Micalizzi, sarebbe stato opportuno fare l’intervista prima dell’esibizione dei ragazzi, magari consentendo proprio agli allievi dei conservatori di porre domande in modo da suscitare risposte più interessanti e inerenti l’argomento musicale.

 La Mary Segneri, mi ha spiegato che era una questione di format per cui l’ospite andava presentato fra le  esibizioni dei concorrenti. E poi che ne capivo io di format?
La Signora mi ha reso edotto del regolamento, per cui ad ogni gruppo sono concessi 25 minuti. Dal momento che,  a causa del mio maleducato intervento i ragazzi guidati da Lorenzo Fronti hanno potuto allungare la loro performance di qualche minuto, mettevo a rischio la signora Segneri di subire  denuncia da parte di altri gruppi per non aver  potuto godere del  medesimo prolungamento. 

Non solo,  essendo la prima volta che assistevo al festival dei Conservatori, secondo la Segneri ed il suo compagno, avendo disertato le altre edizioni, non mi sarei neanche dovuto permettere di criticare l’evento. Infatti per criticare Sanremo bisogna assistere almeno a cinque o sei edizioni altrimenti si è prevenuti. 

Ometto di riportare gli altri termini della discussione, francamente inutile. Ma qualche riflessione sorge spontanea. Non si può racchiudere la creatività di preparatissimi musicisti dentro un format. Non siamo mica a  X Factor e a The Voice! Sono le regole della gara? E allora lasciamola stare la gara, trasformiamo il festival in una mostra dei conservatori dove i ragazzi possano liberamente esprimere la loro creatività evitando di fare da spalla all’ospite famoso di turno. La musica non si può rinchiudere in un format. La musica è libera e nessuno neanche l’illustre musicologo, nonché sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani la può ingabbiare come fa con i suoi assessori e consiglieri di maggioranza e minoranza.

Comunque per rendere giustizia ai ragazzi che hanno suonato domenica riproponiamo alcuni loro brani non sfregiati dallo sferragliare dell'ascensore inclinato e da fuochi d'artificio inopportuni.

domenica 17 luglio 2016

Condanniamo l'attentato di Nizza

dichiarazione del Segretariato Internazionale
della LIT-Quarta Internazionale
 
 

Un nuovo atto terrorista, il terzo in meno di due anni, scuote la Francia. Nel mezzo delle celebrazioni per la festa nazionale francese, almeno 84 persone sono morte investite da un camion che si è lanciato contro la folla a grande velocità sulla Promenade des Anglais a Nizza. Decine sono i feriti.
Il governo francese assicura che si tratta di un “attacco terroristico”. Anche se nessun gruppo ancora rivendicato l'attacco (nella mattinata di oggi 16 luglio è poi arrivata una tardiva rivendicazione dell'Isis, ndTrad), è probabile che si tratti di un altro attentato perpetrato da parte dello Stato Islamico o come minimo da suoi simpatizzanti, nel quadro di un aumento degli attacchi in concomitanza con la dinamica di arretramento territoriale del “Califfato” che questo gruppo ha “fondato” in Medio Oriente.
 
La Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale condanna fortemente questo attacco ed esprime la propria solidarietà con tutti i feriti e i familiari delle vittime.
Azioni di questo tipo non meritano altro che il ripudio categorico del movimento operaio, sociale e di tutti i partiti che si definiscono di sinistra. Per quanto si tenti di giustificarli politicamente, il fatto è che questi attacchi non sono diretti contro i governi europei, veri responsabili delle politiche di austerità, degli attacchi alla classe lavoratrice, dei saccheggi e delle guerre coloniali in Medio Oriente, ma contro i lavoratori –molte delle vittime erano bambini e immigrati– che non hanno alcuna responsabilità per le politiche genocide dell'imperialismo europeo e nordamericano. Al contrario, questi lavoratori ne sono vittime a loro volta.
Questo attentato è tanto più reazionario per il momento politico in cui accade. Da mesi la classe operaia organizzata, in alleanza con altri settori sociali, sta affrontando l'offensiva del “socialista” Hollande, che pretende di imporre un nuovo codice del lavoro che elimina le conquiste storiche della classe lavoratrice e della gioventù precarizzata. La sconfitta di questo piano di attacchi è all'ordine del giorno. La disposizione di lotta della classe è enorme. Il principale ostacolo continua ad essere la posizione conciliatrice e vacillante della burocrazia sindacale, specialmente della Cgt. In questo contesto, questo attentato senza dubbio sarà usato per cercare di sconfiggere questa eroica lotta, allo stesso tempo in cui favorisce un possibile rafforzamento, ancorché relativo, di Hollande oltre a settori dell'estrema destra, come il Fronte Nazionale.
In questo senso, a livello interno questo attacco è già servito come scusa per il governo imperialista di Hollande per prorogare per altri tre mesi lo “stato di eccezione”, che è in vigore dagli attentati di novembre a Parigi. Ciò significa maggiore limitazione dei diritti democratici elementari per la classe lavoratrice in Francia, le cui città sono sotto “vigilanza assoluta”, secondo lo stesso presidente d'oltralpe, da parte di oltre 10.000 militari.
Allo stesso tempo, sul piano esterno, ridà ossigeno all'offensiva francese –alleata di Stati Uniti, Regno Unito e Russia– in Iraq e Siria, che si basa sul mantenere Assad al potere per poter soffocare la rivoluzione siriana e regionale, in nome della “lotta globale” contro il reazionario Stato Islamico.
La LIT-Quarta Internazionale sottolinea che sono i governi e l'imperialismo i colpevoli per le catastrofi che vediamo in Medio Oriente e alle frontiere europee. Sono i gabinetti ministeriali dell'Unione Europea i responsabili della miseria crescente e della disoccupazione tra gli europei. Questo attentato, come i precedenti, sarà utilizzato per scatenare una nuova offensiva repressiva contro i lavoratori che stanno lottando per i loro diritti storici, gli immigrati, i musulmani e i rifugiati.
Solo la mobilitazione indipendente delle masse popolari oppresse, insieme con la classe operaia e le masse popolari dei paesi europei, sarà capace di sconfiggere l'Isis e l'imperialismo che promuove guerre sanguinarie per difendere i suoi meschini interessi.

No alla vendita di frutta esposta all'aperto

Alessandro Barbieri
Consulta dell'Ambiente di Piedimonte San Germano





In tema di tutela della salute pubblica, la Consulta dell'Ambiente di Piedimonte San Germano ritorna a trattare la problematica del rispetto delle norme igienico-sanitarie, e precisamente dell'esposizione all'esterno di frutta e verdura, ribadendo che dal 2014, con la Sentenza n.° 6108 della Corte di Cassazione - Terza sez. Penale in materia di contravvenzioni (art. 5, lett. b) della legge 283/1962) si evince che "la messa in commercio di frutta all'aperto esposta agli agenti inquinanti costituisce una violazione dell'obbligo di assicurare l'idonea conservazione delle sostanze alimentari". «Così la nostra associazione - dichiara il presidente Barbieri - ha inoltrato a oltre 20 sindaci del territorio la richiesta di attuazione della suddetta sentenza con lo scopo di tutela la salute dei consumatori, essendo il prodotto agroalimentare, posizionato all'esterno dell'attività commerciale per diverse ore al giorno (in alcuni casi anche 24 ore al giorno), molto più esposto agli inquinanti atmosferici rispetto a quello interno. Pertanto - conclude - ci auspichiamo dalle "massime autorità sanitarie" quali sono i sindaci l'applicazione della sentenza affinché si regolamenti la vendita di questi prodotti in rispetto delle norme in materia, tutelando così la salute dei consumatori.»