sabato 4 aprile 2020

Le bugie di “Cov-industria”

Marco Bersani Attac Italia




I reiterati appelli all’unità nazionale da parte delle istituzioni continuano a rimuovere il conflitto di fondo che pone, da una parte, il mondo delle imprese, per le quali l’obiettivo primario è non fermare alcuna produzione e, dall’altra, i lavoratori in lotta per il proprio diritto alla vita e alla salute. Un conflitto che ha visto diversi scioperi spontanei auto-organizzati dai lavoratori (solo in un secondo momento sostenuti anche dai maggiori sindacati), per rivendicare la chiusura di tutte le produzioni non fondamentali, al fine di difendere la salute collettiva ed evitare di divenire carne da macello sull’altare dei profitti di pochi.
Un conflitto che ha avuto e continua ad avere come teatro principale i territori di Brescia e Bergamo, le due aree più industrializzate d’Europa, divenute in queste settimane i simboli della trasformazione di un serio problema sanitario in una tragedia di massa.
Il rapporto fra il numero di imprese aperte e la diffusione dei contagi è sempre stato negato da Assolombarda, il cui presidente Carlo Bonomi, non più tardi di dieci giorni fa dichiarava: “Non credo ci sia questo rapporto, nessun dato conferma un’ipotesi di questo tipo. Piuttosto noto che si sta cercando di far passare l’idea che la colpa del contagio siano le imprese. E un paradigma del sentimento anti-industriale che c’è nel nostro Paese” (intervista a La Repubblica, 21 marzo).
Ma la realtà è ben diversa e, mentre ai cittadini viene impedito qualsiasi uscita di casa, anche solo per far passeggiare i bambini, fino al 25 marzo scorso erano attive in tutto il Paese oltre 800.000 imprese (155.000 della quali in Lombardia).
Che fossero tutte legate ad attività fondamentali per l’emergenza sanitaria si è rivelata una bugia dalle gambe cortissime, come ha dimostrato lo studio dei ricercatori Matteo Gaddi e Nadia Garbellini dal quale si evince come, fra tutte le persone costrette al lavoro, fossero almeno 4,5 milioni quelle impiegate in produzioni non fondamentali. L’accordo del 25 marzo, salutato dai maggiori sindacati come una vittoria, ha in realtà influito pochissimo sui numeri sopra riportati, essendo state subito migliaia le richieste di deroga messe in campo dagli imprenditori sulla base di semplici autocertificazioni (!).
Non soddisfatta di questo vergognoso risultato -che rivela la totale sudditanza del governo ai desiderata delle imprese – Confindustria ha aperto un nuovo fronte: la richiesta di soldi per garantire liquidità alle aziende. Questa volta si è espresso direttamente il Presidente Vincenzo Boccia: “Occorre salvaguardare tutte quelle aziende che avranno fatturato prossimo allo zero: c’è bisogno di liquidità. Serve un Fondo di garanzia nazionale, ampliato anche a livello europeo, che “copra” le imprese per il credito a breve in questa fase di transizione, da economia di guerra, con la possibilità di rendere questo debito di guerra in tempi lunghi, ossia 30 anni. E’ l’unico modo per evitare che alla fine di questa crisi le imprese non possano più aprire”.
Ma è davvero così drammatica la situazione delle aziende italiane? Sembra proprio il contrario, stando ad un ulteriore e dettagliato studio prodotto dai medesimi ricercatori che, analizzandone minuziosamente i bilanci, dimostra come, le imprese del settore metalmeccanico abbiano una disponibilità pari a 99 miliardi (25 dei quali di liquidità immediata); le imprese del settore chimico-tessile-gomma-plastica-energia possano contare su 112 miliardi (32 di liquidità immediata) e le imprese del settore cartaceo abbiano a disposizione 7,8 miliardi (2 di liquidità immediata).
Come si può intuire, non siamo di fronte ad alcun nemico esterno ed invisibile da contrastare con un rinnovato sentimento di unità nazionale: siamo ancora una volta dentro un conflitto tra la vita e la salute di tutti e il profitto dei soliti noti.
Si tratta semplicemente di scegliere la vita. Tutte e tutti assieme, la vita.

Video a cura di Luciano Granieri

venerdì 3 aprile 2020

Coronavirus: dopo un mese di quarantena alcune riflessioni e propositi

Luciano Granieri





E’ passato un mese esatto da quando personalmente, insieme alla mia famiglia e a molti altri amici attivi nell’associazionismo, ho iniziato il periodo di osservanza del “distanziamento sociale” e di parziale reclusione domiciliare interrotta solo per i motivi consentiti dai vari DPCM. Il coronavirus propone  nuovi  eventi come la commemorazione del “mese di quarantena”.  

L’ultima uscita pubblica, è stata proprio il 4 marzo e,  vedi la coincidenza,  si è trattato della festa di tesseramento della sezione di Frosinone di Cittadinanzattiva  Tribunale per la difesa dei diritti del malato (TDM) , associazione  di cui faccio parte. Nel corso della festa è stato proiettato   un video  nel quale erano documentati i  momenti salienti  delle attività del  TDM. Una narrazione  costituita per lo più dalla partecipazione a manifestazioni organizzate contro il progressivo smantellamento dei presidi pubblici all’interno della Asl della Provincia.  

Colpisce nel filmato come  i vari momenti di conflitto si siano succeduti,  sia ai tempi della giunta regionale di centro-destra (Polverini), che in quelli di governo del centro-sinistra (Zingaretti), i quali hanno perseguito in modo scientifico gli stessi obiettivi: chiusura di ospedali, diminuzione dei posti letto e del personale,  costante depauperamento dei servizi sanitari pubblici a favore dei presidi privati.

 E’ vero, come dicono molti politici e amministratori, che la sanità non è né di destra né di sinistra. Infatti è del capitale finanziario che manovra amministrazioni, tanto  di  destra quanto  di  sinistra, affinchè possano  assicurare  illimitati profitti da realizzarsi  sulla pelle dei malati. 

Prima dell’irrompere della pandemia, come TDM, ci stavamo occupando, fra le altre cose , del drammatico problema dei biblici tempi d’attesa necessari  per ottenere una visita o un esame diagnostico. Nel merito fra le criticità  c'è  una cronica inefficienza, quando non mancanza, di macchinari diagnostici (anche i più semplici, come un elettrocardiografo) di infrastrutture (in alcuni ambulatori la   linea Adsl  è fatiscente tanto  che diventa difficile compilare una ricetta de materializzata). Così il blocco della assunzione di medici ed infermieri ,  ha causato una diminuzione del personale in grado di offrire le prestazioni richieste allungando in modo assolutamente non ragionevole i tempi di effettuazione di visite ed esami.  

Mancanza di medici, insufficienza delle strutture e delle dotazioni necessarie, a cominciare dalle mascherine per il personale sanitario, sono le stesse identiche cause  della  deflagrazione del   coronavirus. Con la differenza, che se per l’espletamento più rapido di un esame o di una visita un paziente che se lo può permettere , pagando, può rivolgersi ad una struttura privata, per il Coronavirus i privati, pur lautamente sovvenzionati, dalle convenzioni con le Asl, nulla possono neanche per il malato più ricco. Anzi, sarà un caso, ma proprio nelle due principali strutture private accreditate della nostra Provincia si sono registrati un numero cospicuo di casi positivi al Covid-19. 

Nulla sarà più come prima, bisogna far tesoro della lezione impartitaci dalla pandemia, si usa dire. Infatti la lotta per la difesa del sistema sanitario nazionale e per la piena realizzazione della tutela della salute come diritto inviolabile dell’individuo e della collettività, a differenza di prima  dovrà essere molto più incisiva e costante. 

Essa però dovrà essere accompagnata dalla consapevolezza che la  privatizzazione dei profitti e la  socializzazione delle perdite si sta impossessando del servizio sanitario , ed   è la prima regola del sistema neo liberista.  Tutto ciò  va rovesciato. Socializzazione delle perdite in sanità significa provocare la strage   che il Coronavirus sta determinando giorno per giorno.  E’ un fatto che non può e non deve essere dimenticato per non ritrovarsi in un futuro magari non molto lontano a non sapere dove seppellire altre vittime.

Di seguito il video
buona visione


martedì 31 marzo 2020

In tempi di coronavirus ascoltiamo un disco insieme

Luciano Granieri





Sul mio motorino rosso stavo percorrendo la strada che porta  alla stazione, quella che passa in mezzo ai palazzoni di edilizia popolare.  Fra il manubrio e il fanale anteriore era infilato un disco tenuto saldo dai cavi dell’acceleratore   e dei freni.  L’ellepi era Now he sings, now ho sobs, di Chick Corea.  Stavo andando a casa di un mio amico il quale mi voleva far sentire a sua volta  un disco di John Coltrane. Io  gli facevo ascoltare Corea, lui mi proponeva Coltrane. 

Questo scenario mi è apparso come una visione   prendendo in mano il disco Now he sings, now he sobs. In tempi di Coronavirus le giornate trascorrono anche riordinando i propri libri o dischi, nel mio caso di jazz. Proprio compiendo questa operazione mi sono passati  per le mani tanti capolavori, e in particolare il disco di Corea. 

L’ho estratto dal gruppo degli altri LP, ho guardato la copertina, me lo sono rigirato fra le mani quasi per apprezzare il contatto di quel cartone ormai un po’ liso , involucro di un disco straordinario. Ho letto le poesie che sono scritte nella parte interna della copertina, ho estratto il vinile e ho iniziato ad apprezzare, nota per nota, pulsione per pulsione, tutto quanto era inciso in quei solchi. Ho pensato che, nonostante la preoccupazione per la salute - sia mia che dei mie cari, in particolare di mia madre e di mia suocera che hanno abbondantemente  passato gli ottant’anni -nonostante l’ansia del  mio lavoro che si è praticamente fermato con le inevitabili  drammatiche conseguenze economiche , un po’mi ritengo fortunato.  

Sono vittima, come tutti ,dei disastri sociali portati alle estreme conseguenze dalla pandemia,  ma originati  da un sistema in cui l’accumulazione è legge, dove  impera il predominio dell’avere sull’essere, la logica dell’arricchimento ad ogni costo, l’esaltazione dell’individuo come imprenditore di se stesso - base malsana su cui si è costruito    un individualismo sfrenato  che alimenta una feroce guerra fra poveri -ma sto cercando di resistere. 

Ancora non mi ha colto   la disabitudine diffusa a non soffermarsi sulle note di un disco, sulle frasi di un libro, sui tratti di un quadro, o semplicemente su le meraviglie della natura. Questa è la mia  fortuna.  E’ rimasto l’unico baluardo di resistenza. In questo periodo di distanza sociale imposta dal virus, ma forse auspicata da certe èlite, non saper più apprezzare la bellezza e  le manifestazioni della creatività umana, porta dritto all’abisso.  

Dopo le cantate sui balconi niente.  Tutto  si veicola da un device:  Spotify, gli audio libri. Anche l’espressione creativa deve essere consumata in fretta, in pillole, perché bisogna correre, non si ha tempo. Ecco la perdurante quarantena di tempo ce ne sta donando  a iosa, il problema è che ci si accorge  di non sapere che farsene. 

Il video che segue è un tentativo di tornare a quel periodo in cui con alcuni amici appassionati di jazz, condividevamo l’ascolto dei dischi, ne parlavamo, ne apprezzavamo la musica. Ecco io voglio condividere con chi vorrà avere la bontà di seguire il filmato, tutto le emozioni di Now he sings, now he sobs di Chick Corea.  Grazie per l’attenzione  e Buona Visione.