sabato 17 luglio 2010

Fiat: l'arroganza padronale non conosce limiti - di Davide Margiotta operaio metalmeccanico, responsabile nazionale lavoro sindacale Pdac

E' passato quasi  un mese dal referendum-farsa di Pomigliano organizzato in combutta col padrone dai sindacati gialli Cisl, Uil, Fismic e Ugl. Nonostante le pressioni e il ricatto della perdita del posto di lavoro gli operai non si sono piegati e, dati alla mano, hanno respinto il piano padronale di distruggere diritti e conquiste di secoli di lotte col consenso dei lavoratori. E' bene ricordare infatti che gli operai hanno votato in stragrande maggioranza contro l'accordo della vergogna.
Solamente Slai-Cobas e Fiom si sono messi di traverso rispetto al piano padronale. Anche se la direzione Fiom ha cercato da subito di tornare a sedersi al tavolo. Addirittura il giorno seguente il referendum, invece di lanciare la mobilitazione su larga scala, forte della disponibilità alla lotta mostrata dagli operai persino tramite il voto, si è detta disponibile a riaprire la trattativa.
Purtroppo per certi burocrati sindacali, però, ci sono momenti nella storia (che è storia di lotta di classe) in cui la trattativa non è possibile, perché la controparte, per salvare i propri profitti, non vuole cedere nulla. Nel mondo si sta combattendo una guerra all'ultimo sangue tra Capitale e lavoro. Il problema è che i proletari non hanno un comando per le proprie truppe. Questa guerra viene combattuta giorno dopo giorno dalla Fiat alla più piccola officina in capo al mondo, ovunque con lo stesso scopo (diminuire e precarizzare il personale, aumentare la produttività, aumentare i ritmi, eliminare ogni diritto e ogni conquista).
Diplomazia in tempo di guerra
E così, mentre è in atto una guerra mondiale di simile portata, la burocrazia sindacale (questo strato di parassiti che trae dal sistema capitalista il proprio sostentamento e che dunque lavora attivamente per la salvaguardia del sistema) finge di ignorare persino che si stia combattendo, questa guerra.
La burocrazia Fiom, invece di radunare le truppe per prepararle alla battaglia (e avrebbe la possibilità di farlo), si limita alla diplomazia: uno sciopero ogni tanto (quel tanto che basta per non disturbare troppo il manovratore), una minaccia di ricorrere alla magistratura, una apertura al “dialogo”.
Questa linea per i lavoratori è assolutamente fallimentare. E infatti mentre certi burocrati giocano alla diplomazia in tempo di guerra, il padrone prova l'affondo finale. Da Mirafiori a Terni iscritti e delegati della Fiom vengono licenziati con vari pretesti. Il messaggio è chiaro: non si ammette nessun tipo di dissenso, forti anche del sostegno aperto del governo.
Talvolta la mente umana gioca degli scherzi. Se una cosa ci spaventa, tendiamo a rimuoverla. Così fanno i burocrati, che temono più di ogni altra cosa l'esplosione delle lotte. Di fronte a un attacco padronale senza precedenti, di fronte alla chiara rappresaglia contro i lavoratori sindacalizzati, Guglielmo Epifani non trova di meglio che dichiarare: “Fiat sta sbagliando strada e prima se ne accorge e meglio è. C'è il rischio di una radicalizzazione; una situazione che non va bene né per i lavoratori, né per l'azienda, né per il Paese”.
Pomigliano: nuovo modello per tutti
Da subito abbiamo segnalato come l'accordo della vergogna siglato a Pomigliano fosse, nelle intenzioni dei firmatari, un cavallo di Troia.
Il ministro del Lavoro Sacconi lo ha dichiarato apertamente, intervenendo alla presentazione del rapporto sulle liberalizzazioni 2010: “L'accordo di Pomigliano farà scuola. [...] I referendum non si devono più fare anche se quello è andato benissimo. In un sistema moderno competitivo non può che esserci una democrazia delegata. [...] Non abbiamo mai avuto una democrazia assembleare, è solo la Fiom che la chiede”.
Con l'entrata in vigore dell'accordo sul nuovo modello contrattuale, firmato da governo e Confindustria, insieme alle direzioni collaborazioniste di Cisl e Uil, di fatto si demolisce il Contratto collettivo nazionale di lavoro, liberando le imprese dal vincolo di contrattare collettivamente diritti e salari dei lavoratori. E ovviamente i lavoratori presi singolarmente, o azienda per azienda, hanno molta meno forza per lottare.
I licenziamenti di questi giorni hanno a che vedere più con Pomigliano che con altro (nel caso di Mirafiori esplicitamente, negli altri casi apparentemente meno). Il ministro Sacconi, che non perde mai occasione per stare zitto, parlando a margine dei lavori sulla manovra a Palazzo Madama, è arrivato a mettere in discussione il diritto stesso dei lavoratori a lottare: "Ci sono stati episodi che, se veri, sono gravi. Non si puo' impedire ad altri di lavorare e impedire ai semilavorati di circolare. Mi auguro che siano gli ultimi fuochi di un mondo che si esaurisce e che la lettera della Fiom significhi che dopo la tempesta possa tornare il sereno”, facendo riferimento alla lettera distribuita da alcuni lavoratori di Mirafiori durante il corteo del 14 in cui si invitava Marchionne a un confronto “senza filtri e finzioni mediatiche”.
Ma la lotta di classe non si può fermare!
Nonostante gli auspici di padroni e burocrati, la lotta di classe non si può fermare! Certo gli operai sono rallentati e respinti indietro a ogni passo dalle direzioni riformiste (sindacati e partiti governisti), pronte a svendere a ogni curva diritti e conquiste per una manciata di mosche. Ma finchè la società resterà divisa in classi, contrapposte per loro stessa natura, la lotta di classe non si arresterà.
Ancora una volta, di fronte ai gravissimi fatti di questi giorni, la riposta delle burocrazie è insufficiente (il solito sciopero saltuario). Ma i lavoratori di Pomigliano, che pure vivono in una zona disagiata in cui l'abbandono della Fiat potrebbe voler dire anni di disoccupazione e depressione, hanno dimostrato di non accettare ricatti e di essere pronti a lottare.
E' ora di sviluppare questa lotta. Bisogna lanciare la parola d'ordine dell'occupazione di tutti gli stabilimenti del gruppo Fiat, a partire da Pomilgiano! La classe operaia della Fiat potrebbe così non solo respingere l'attacco di Marchionne ma anche diventare, come altre volte nella nostra storia, punto di riferimento di tutte le lotte operaie in corso.
I lavoratori sono sotto il tallone di ferro di un attacco senza precedenti da parte delle classi dominanti in rovina, che lottano senza esclusione di colpi per salvarsi dalla catastrofe . Ad oggi quello che manca per reagire e invertire la rotta non è certo il coraggio o la disponibilità al sacrificio. Quello che manca è una direzione rivoluzionaria, in grado di trasformare ogni attacco padronale, ogni ingiustizia sul posto di lavoro e ovunque nella società, in altrettante scintille di rivolta. Una direzione a livello internazionale in grado, partendo dai bisogni elementari delle masse, di sollevare i miliardi di oppressi del mondo e rovesciare una volta per tutte questo sistema di sfruttamento universale chiamato capitalismo.

Nessun commento:

Posta un commento