Negli ultimi anni si è affacciato sulla scena politica un movimento che fa del qualunquismo e dell’antipartitismo i propri vessilli rappresentativi: è il fenomeno del cosiddetto grillismo. In pieno governo Prodi, infatti, il guitto genovese iniziò a lanciare un vero e proprio programma politico. Il consenso raccolto attorno ad alcuni punti programmatici dà il senso della pochezza e del disfacimento della sinistra italiana. Perché il motivo per il quale Grillo ha un seguito non indifferente consiste nella capitolazione dei partiti della sinistra socialdemocratica (Rifondazione in testa) alle istanze confindustriali e vaticane del Partito Democratico.
Questo non vuole assolutamente dire che il programma di Grillo abbia una qualche percentuale di progressività; ma al contrario denota come le posizioni di tradimento di classe della sinistra governista abbiamo preparato il terreno ad un’ondata di populismo qualunquista. La percentuale maggiore del "target" di questo movimento è infatti riconducibile a settori importanti di militanti delusi di quei partiti della sinistra che hanno governato al servizio di Confindustria, del Vaticano e dei banchieri all’epoca del governo Prodi. Molti di quei militanti sono finiti nella rete della retorica populista del demagogo di turno che, dietro una fraseologia colorita e pseudo-radicale, nasconde una progettualità politica del tutto accomodante nei confronti dei cardini dell’attuale sistema economico-sociale. Proviamo ad analizzare i pilastri del grillismo.
Il giustizialismo
Uno dei fulcri del ragionamento politico del comico genovese consiste nello sventolare, come una soluzione ai problemi emersi in piena crisi economica, un giustizialismo velleitario e inconcludente. Il giustizialismo, con tutto ciò che ne consegue, è forse il più significativo dei grimaldelli utilizzati da Grillo per accaparrare simpatie nella base militante di sinistra. E' semplice constatare quanto il programma del comico sia moderato. Giustizialismo non vuol dire, infatti, “giustizia sociale”, ma è per l’appunto una degenerazione del secondo concetto. Il primo sta ad indicare una sorta di idolatria delle leggi borghesi, con l’obiettivo di garantire la pace sociale (secondo il principio “dura lex sed lex”); la seconda, al contrario, inferisce una lotta radicale che rompa la pace sociale e possa permettere alle masse oppresse di ottenere, in qualità di sottoprodotto della lotta stessa, delle conquiste sociali.
Non è una distinzione secondaria. Al contrario, è fondamentale per comprendere il moderatismo delle posizioni grilliane. Non appartengono al lessico del comico né la lotta per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di lavoratori, né le mobilitazioni degli studenti per una scuola pubblica, laica, gratuita ed aperta a tutti; diritto di cittadinanza trova soltanto la foga forcaiola nei confronti di qualche servo sciocco colto con le mani nella marmellata. Secondo Grillo, infatti, la soluzione al problema del malaffare e della corruzione consiste semplicemente nel rivendicare l’obbligo di non superare le due legislature per i parlamentari, oppure nell’aumentare le risorse alle forze dell’ordine. È evidente quanto sia velleitaria questa prospettiva. Lo stesso Grillo non è così ingenuo da non capire come la genesi di tutto questo stia nella struttura stessa dell’economia capitalistica. È infatti del tutto legale, secondo le leggi della borghesia, che Marchionne licenzi migliaia di lavoratori alla Fiat; che il 50% della ricchezza prodotta in Italia appartenga ad un migliaio di famiglie, mentre la restante metà appartenga a decine di milioni di lavoratori, precari e disoccupati. È del tutto coerente col concetto di giustizia borghese il fatto che muoiano sul lavoro, solo in Italia, oltre 1300 lavoratori all’anno; che la Gelmini distrugga l’istruzione pubblica italiana; che il Vaticano incameri migliaia di miliardi di euro attraverso i sovvenzionamenti pubblici come l’8 per mille e la dispensa dal pagamento delle tasse come l’Ici. Potremmo andare avanti all’infinito con le incongruenze che questo iniquo sistema sociale quotidianamente partorisce. Al contrario Grillo ed i suoi adepti ritengono assolutamente fondamentale svecchiare la “politica” italiana, con l’ingresso di gente giovane che presenti presunte idee nuove. Parole vuote, se si pensa che i contenuti sono questi. È la retorica del giovanilismo, che serve semplicemente ad ingannare le masse, facendo loro credere che se a sfruttarle ci sarà qualcuno col cognome diverso da quello che le ha sfruttate precedentemente, potrà cambiare qualcosa.
Non è una distinzione secondaria. Al contrario, è fondamentale per comprendere il moderatismo delle posizioni grilliane. Non appartengono al lessico del comico né la lotta per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di lavoratori, né le mobilitazioni degli studenti per una scuola pubblica, laica, gratuita ed aperta a tutti; diritto di cittadinanza trova soltanto la foga forcaiola nei confronti di qualche servo sciocco colto con le mani nella marmellata. Secondo Grillo, infatti, la soluzione al problema del malaffare e della corruzione consiste semplicemente nel rivendicare l’obbligo di non superare le due legislature per i parlamentari, oppure nell’aumentare le risorse alle forze dell’ordine. È evidente quanto sia velleitaria questa prospettiva. Lo stesso Grillo non è così ingenuo da non capire come la genesi di tutto questo stia nella struttura stessa dell’economia capitalistica. È infatti del tutto legale, secondo le leggi della borghesia, che Marchionne licenzi migliaia di lavoratori alla Fiat; che il 50% della ricchezza prodotta in Italia appartenga ad un migliaio di famiglie, mentre la restante metà appartenga a decine di milioni di lavoratori, precari e disoccupati. È del tutto coerente col concetto di giustizia borghese il fatto che muoiano sul lavoro, solo in Italia, oltre 1300 lavoratori all’anno; che la Gelmini distrugga l’istruzione pubblica italiana; che il Vaticano incameri migliaia di miliardi di euro attraverso i sovvenzionamenti pubblici come l’8 per mille e la dispensa dal pagamento delle tasse come l’Ici. Potremmo andare avanti all’infinito con le incongruenze che questo iniquo sistema sociale quotidianamente partorisce. Al contrario Grillo ed i suoi adepti ritengono assolutamente fondamentale svecchiare la “politica” italiana, con l’ingresso di gente giovane che presenti presunte idee nuove. Parole vuote, se si pensa che i contenuti sono questi. È la retorica del giovanilismo, che serve semplicemente ad ingannare le masse, facendo loro credere che se a sfruttarle ci sarà qualcuno col cognome diverso da quello che le ha sfruttate precedentemente, potrà cambiare qualcosa.
Il qualunquismo populista
Un altro carattere saliente del grillismo è l’incredibile qualunquismo che connota i suoi interventi politici.
Il qualunquismo è, in bocca ad uno che certamente non è un raffinato retore, il sottoprodotto dell’interclassismo. Anche qui nulla di nuovo: nel momento in cui Grillo attacca i partiti politici accusandoli di essere il cancro della “democrazia”, in realtà smaschera quello che è il vero moderatismo del suo posizionamento politico. Dunque, se la “democrazia” non funziona, la colpa è dei partiti.
È curioso ed al contempo significativo osservare come i veri responsabili di tutte le diseguaglianze prodotte da questo sistema economico non vengano minimamente presi in considerazione. Il Vaticano, Confindustria, la Banca d’Italia, l’Ue, la Bce, il Fmi, sono totalmente dimenticati da Grillo; quasi che la sua unica preoccupazione fosse quella di accreditarsi agli occhi di queste stesse istituzioni come il portatore di idee nuove che possano permettere loro di dormire sonni ancor più tranquilli. L’attacco, peraltro del tutto moderato (come abbiamo cercato di dimostrare nelle righe che precedono), è rivolto dal comico solo nei confronti degli esecutori materiali (i politici) dei precetti impartiti da menti mosse da ben altri interessi (i padroni). È la vecchia pantomima del qualunquismo: attaccare solo il mondo della politica, omettendo di cogliere il rapporto servo-padrone che sussiste, in ogni economia capitalistica, tra politica e capitalismo. La manifestazione plastica di questa concezione si è avuta in occasione delle dimissioni di Profumo da amministratore delegato di Unicredit, rispetto alle quali Grillo ha difeso il banchiere sostenendone la levatura europea e la presunta lontananza dalla politica. Anzitutto, bisognerebbe ricordare a Grillo che lo stesso Profumo partecipò (in qualità di elettore) alle primarie del Pd nel 2007; ma soprattutto bisognerebbe rammentargli che Profumo rappresenta quella stretta minoranza di accaparratori (le banche private) che tiene sotto scacco milioni di famiglie in tutto il mondo. Unicredit infatti è una delle banche più ricche e forti su tutto il panorama perlomeno europeo. Inutile dire che questo per Grillo risulta essere un aspetto secondario. Lo sdegno del suo intervento successivo alle dimissioni del banchiere è stato rivolto non già alla natura di classe dell’operato di un nemico delle masse come solo l’amministratore delegato di un colosso bancario (Unicredit, nella fattispecie) può essere; ma, al contrario, alle ingerenze della politica, segnatamente della Lega, nell’amministrazione delle banche.
Tutto questo la dice lunga sull’assoluta inconsistenza politica, in termini progressivi, dell’esperienza del grillismo. E rende maggiormente manifesto lo sconquasso provocato dall’opportunismo di quel che resta della socialdemocrazia italiana (Prc, Pdci, Sel). Oltre a consentire ai poteri forti di macinare miliardi di profitti con la copertura politica durante il governo Prodi, oggi, questa sinistra indirettamente provoca l’affermazione sulla scena politica di un guitto qualunquista e populista tanto moderato quanto effettivamente pericoloso perché ingannatore di masse disorientate.
Tutto questo la dice lunga sull’assoluta inconsistenza politica, in termini progressivi, dell’esperienza del grillismo. E rende maggiormente manifesto lo sconquasso provocato dall’opportunismo di quel che resta della socialdemocrazia italiana (Prc, Pdci, Sel). Oltre a consentire ai poteri forti di macinare miliardi di profitti con la copertura politica durante il governo Prodi, oggi, questa sinistra indirettamente provoca l’affermazione sulla scena politica di un guitto qualunquista e populista tanto moderato quanto effettivamente pericoloso perché ingannatore di masse disorientate.
Conclusioni
In realtà questi movimenti-sfogatoio fanno comodo ai padroni; buttano fumo negli occhi delle masse, senza evidentemente mettere in discussione i principi-guida del sistema economico capitalistico. Soltanto un vero partito anticapitalista e rivoluzionario, con influenza di massa, è in grado di far comprendere quanto necessaria sia la lotta contro l’intero sistema economico, e non soltanto contro il più marginale dei suoi addentellati, vale a dire il sistema politico.
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