giovedì 18 novembre 2010

I conti Fiat e quelli degli operai

di Davide Margiotta,  operaio metalmeccanico, responsabile nazionale lavoro sindacale Pdac



"Io vorrei sapere quante di queste persone sono disposte a fare questa vita qui. Domandi quando è l'ultima volta che sono andato in ferie e poi ne parliamo... si parla sempre di diritti e mai di doveri. Bisogna volere bene a questo Paese e rimboccarsi le maniche per lavorare. Io stamattina quando sono arrivato alle sei e mezza non mi sono preoccupato se i miei diritti erano stati rispettati, sono andato a lavorare”.
No, a parlare non è un minatore di Qitaihe, a parlare è l'Amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, che secondo qualcuno una volta era amico degli operai: quei fannulloni che invece di rimboccarsi le maniche pensano, pensate un po', a fare rispettare i propri diritti!
Nel Manifesto comunista, Marx così rispondeva a chi obiettava che l’abolizione della proprietà privata porterebbe alla fine di ogni attività e che una pigrizia generale si impadronirebbe del mondo: “Se fosse vero, la società borghese avrebbe già da tempo ceduto alla fannulloneria, poiché chi ci lavora non guadagna e chi ci guadagna non lavora!”. Con buona pace del “lavoratore” Marchionne.
E' proprio vero, il capitalismo è un sistema sociale ed economico irrazionale. Un sistema in cui pochissimi possiedono tutto, e in cui (quasi) tutti non possiedono niente - a meno di non voler seriamente considerare il possesso di un telefonino o di un'automobile come “proprietà”, come talvolta si sente dire persino a sinistra! Un sistema in cui gli oppressi devono eleggere i propri oppressori e in cui gli sfruttati devono fare i sacrifici per salvare i propri sfruttatori.
Un sistema in cui un'azienda con un bilancio in crescita può richiedere aiuti per... salvare il proprio bilancio!
 
I conti Fiat
E' questo quanto accade oggi alla Fiat. Dai dati trimestrali la Fiat ha registrato più di 2 miliardi di utile operativo, secondo le parole dello stesso Marchionne.
Nei primi nove mesi del 2010, con 586 miliondi di euro, il Gruppo ha quasi raddoppiato la gestione ordinaria rispetto al 2009. Portando la società a rivedere al rialzo gli obiettivi per quest'anno.
Bene, anzi, ottimo! Se l'azienda va bene, è meglio anche per gli operai. Così ci hanno inculcato da decenni i cantori del capitalismo e del libero mercato. Manco per niente! Nel capitalismo l'impossibile è possibile, e l'assurdo una regola. Infatti, contemporaneamente alla diffusione dei dati, Fiat ha chiesto  la cassa integrazione in deroga (per otto mesi) per 4507 dipendenti dello stabilimento di Pomigliano e 305 dello stabilimento di Nola (con il solo no della Fiom, ma solo perché, si sostiene, il cambio di tipologia – da cig straordinaria per ristrutturazione a cig in deroga, e la nuova newco, non garantiscono il futuro dei lavoratori), e al contempo ha sospeso  la produzione nello stabilimento polacco di Tychy per 2 settimane.
La cosa parrebbe un vero e proprio controsenso, se non fosse che nel capitalismo si produce non ciò che serve, ma ciò che crea profitto. E in nome della logica del profitto azioni che il più comune buonsenso giudicherebbe insensate, diventano perfettamente logiche.
Sempre secondo “l'amico degli operai” Marchionne, di questi utili nemmeno un euro sarebbe arrivato dall'Italia, rinnovando il ricatto sulla chiusura degli stabilimenti se gli operai non abbasseranno la testa sino a leccare le scarpe del padrone.
Affermazione che ha scatenato le ire persino del nuovo paladino della cosiddetta sinistra italiana, Nichi Vendola, scandalizzato dal fatto che “le cose che ha detto sono venate da una specie di insensibilità nei confronti della Patria”.

 
Come nazionalizzare la Fiat
Sempre nel corso della trasmissione Che tempo che fa di Fazio (che lo ascoltava con sguardo entusiastico), Marchionne ha anche detto che Fiat è l'unica azienda durante la crisi a non avere bussato al governo per avere aiuti, e che per quanto riguarda gli aiuti passati... “qualsiasi cosa sia successa è successa, è passata. Lo Stato è sempre stato ripagato creando realtà industriali”; mentre gli incentivi sarebbero “soldi dati ai consumatori, non a noi direttamente”.
Secondo gli studi della Cgia di Mestre negli ultimi 30 anni Fiat ha ricevuto dallo Stato (in realtà, dai lavoratori, cioè dagli unici che devono pagare le tasse) poco meno di 8 miliardi di euro, ed in questa analisi viene specificatamente detto che non è stato tenuto conto dell'importo sostenuto per gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione etc.).
Come dire che la Fiat è già stata nazionalizzata dai lavoratori italiani. Che non è però ancora quello di cui ci sarebbe bisogno, perché le aziende in crisi, dove il sangue e le lacrime dei lavoratori è scorso copioso negli anni, vessati e sfruttati fino al limite della sopportazione umana, devono essere nazionalizzate davvero, e cioè senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori. Altro che pagare 8 miliardi di euro per avere ciò che già ci dovrebbe appartenere!
 
Cassa integrazione o lotta di classe
All'inizio della crisi, siamo stati l'unico partito della sinistra italiana (ogni tanto bisogna pur dirlo) ad avanzare la parola d'ordine “No alla cassa integrazione!”, consapevoli che questa altro non è che uno strumento in mano al capitale per fare pagare la crisi ai lavoratori e per rompere la solidarietà operaia: dividendoli e allontanandoli dai luoghi di lavoro al fine di prevenire possibili esplosioni di lotta. Quanto sta accadendo a Pomigliano è la migliore riprova di quanto avessimo (ahinoi) ragione. Basti pensare a cosa avrebbe potuto facilmente portare la coraggiosa resistenza degli operai in lotta in una situazione diversa da quella attuale (in cui gli operai sono di fatto messi fuori dalla fabbrica).
Per la fine di questo mese la Cgil ha indetto l'ennesima manifestazione di sabato. Cioè l'ennesima parata voluta dal gruppo dirigente, che ora ha anche il compito di incoronare la neo-segretaria Susanna Camusso, craxiana salita al vertice del sindacato con il mandato di piegare le resistenze della Fiom e di firmare il patto sul nuovo modello contrattuale che il suo predecessore non aveva potuto firmare.
Di ben altro ci sarebbe bisogno per ribaltare i rapporti di forza e gettare le basi per fare pagare la crisi a chi l'ha causata, padroni e banchieri. Ma lo diciamo chiaramente: nemmeno lo sciopero generale, giustamente tanto invocato dai lavoratori, se isolato, sarebbe sufficiente.
Il momento che stiamo vivendo non è un momento storico come un altro. Si sta giocando l'esistenza  stessa delle classi in lotta. La borghesia rischia di perdere tutto (e se non l'ha già perso, è solo perché ai lavoratori manca una direzione rivoluzionaria), i lavoratori di tornare indietro di 50 anni.
La borghesia, almeno quella più illuminata, sa del rischio potenzialmente enorme che sta correndo: che è molto più grande della caduta dei profitti: è quello dell'ascesa rivoluzionaria del proletariato, suo nemico e successore naturale alla guida della società umana. E allora non esita a giocare tutte le carte in suo possesso: dai manganelli della polizia a... Nichi Vendola, identificato come nuovo pompiere ideale per spegnere i fuochi delle lotte. Per questo, se si vuole provare a vincere, che oggi equivale a dire a non soccombere, occorre una prova di forza straordinaria, che vada ben al di là dello sciopero generale.
Occorre uno sciopero prolungato, occorre togliere ai padroni quello che hanno di più caro: le loro aziende. E da lì costruire una vertenza generale che unifichi tutte le istanze di lotta della società (immigrati, precari, donne, casa, studio, gblqt, sanità, ecc.).
Una prova di forza che deve unire il proletariato del mondo intero, a partire dall'Europa che già si sta sollevando, anche se per ora ognuno nel proprio Stato nazionale, a causa delle barriere erette dalle burocrazie sindacali e dalla socialdemocrazia. Bisogna invece unire le lotte su scala internazionale: perché la vittoria dei lavoratori (cioè la rivoluzione) o è mondiale, o non è.

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