giovedì 2 dicembre 2010

1 dicembre 1951. Una tragedia cittadina

di Angelino Loffredi



Era un pomeriggio di sabato, umido e triste. Il sole era  gia scomparso dal cielo e velocemente scendeva la sera quando cinque  ragazzi, insieme ad altri, escono dalla scuola: una misera stanza, fredda ed umida, di proprietà Cristofanilli, situata lungo via morolense, proprio davanti l’attuale ingresso alla strada Asi,.
Si dirigono felici verso casa assaporando già il giorno della festa domenicale: un giorno per loro senza scuola, da scorazzare liberamente fra i prati.
Le loro abitazioni si trovano nell’estrema periferia di Ceccano, a ridosso del comune di Patrica. Il tratto da percorre è di circa un chilometro. Lungo la strada si mostrano allegri, indecisi se accelerare il passo o fermarsi a giocare per  recuperare un po’ di vivacità compressa in quelle lunghe ore di lezione sacrificati in una pluriclasse e sempre sotto la minaccia dell’arrivo di qualche imprevista bacchettata.
Mentre i ragazzi sono già in marcia, dalla casa colonica di uno di questi scolari, Nicolina Maura, madre di Giuseppe Ciotoli, sta uscendo per andare incontro al gruppo con un concone sulla testa ed il  figlio piccolo, Antonio in braccio. Compito che svolge abitualmente in concomitanza con l’uscita dalla scuola del figlio.
Di solito la madre si riunisce al figlio ed agli altri ragazzi proprio quando il concone si è riempito d’acqua della fontana della Botte, situata nelle vicinanze. Tutti insieme poi sereni e tranquilli possono  fare il tratto di strada che li separa da casa.

Quel giorno Nicolina mentre si sta avvicinando alla fontana ha la sensazione di sentire in lontananza le voci gioiose dei ragazzi che stanno arrivando. E’ solo un attimo, una rapida percezione perché subito si vede un lampo in cielo accompagnato da un grande scoppio. La tragedia si consuma in località chiamata Vigna Leone. In un batter d’occhio i cinque bambini: Francesca Cristofanilli di undici anni, Domenico Mastrogiacomo di otto anni, Giuseppe Ciotoli di dieci anni, i fratelli Vincenzo e Giuseppe Di Pofi, rispettivamente di dieci e di dodici anni, rimangono per terra, su pochi metri quadrati, senza vita.
Sono le 16,30.
Cosa è successo ? “ La Stampa Sera “ scrive dello scoppio di un ordigno di guerra mentre il giornale  “ L’Unità “ ipotizza lo scoppio di una mina anticarro. Salvatore di Pofi, fratello dei due innocenti deceduti e che all’epoca aveva sedici anni, è convinto invece che si sia trattato dello scoppio di una granata ad elica, arma diffusamente presente nei  terreni circostanti. Anzi prospetta un’ipotesi ancora più inquietante e di cui solo successivamente è venuto a conoscenza:  i ragazzi anche nei giorni precedenti avrebbero  visto e toccato l’ordigno.
Nessuno saprà raccontarci la verità in modo circostanziato. Di certo rimane solo un cratere sulla strada, profondo trenta centimetri e cinque corpicini inermi e senza vita.
Tutti gli abitanti del luogo escono dalle case. Hanno immediatamente capito cosa è avvenuto e pur non essendoci la luce elettrica, aiutati dai lumi e da altre luminarie si impegnano a raccogliere ed a sistemare i corpi. Una contrada intera si adopera per questo triste lavoro.
Ad un certo momento arriva un camion. I corpi vengono caricati e portati nella Cappella del Cimitero. Solo il giorno successivo i resti mortali verranno messi a disposizione delle famiglie ma non verranno  portati a casa.

La città di Ceccano è in lutto, attonita e annichilita da una tragedia così grande ed inaspettata. Il giorno del funerale migliaia di persone e tutte le scolaresche cittadine si accalcano lungo il percorso che dalla Chiesa di San Giovanni porta al Cimitero.
Vicinissimi nelle abitazioni, uniti nella vita, nei giochi, nello studio e nella morte, insieme anche nella sepoltura; le famiglie inconsolabili infatti li hanno voluti anche nel sito funebre uno a fianco all’altro. Il Comune, attraverso il Commissario Prefettizio dell’epoca, ha messo a disposizione di tutti gratuitamente  l’area cimiteriale.
Ancora oggi chi va a visitarli  non deve disperdersi in un lungo percorso  per depositare qualche fiore e ravvivare qualche ricordo.
Sulla lapide di uno di questi bambini una mano pietosa ha scritto alcune semplici considerazioni:
                                    Correvo mamma a te pure quel giorno
                                    del primo libro mio felice e fiero
                                    no più non aspettare il mio ritorno
                                    m’avvolse morte col suo manto nero
                                    dal duro cuor degli uomini chiamata
                                    dei bambini sulla via s’era fermata
                                    Mamma per l’innocente sangue mio
                                    oh  dia pace e perdono al mondo iddio



La tragedia raccontata avveniva il 1° dicembre del 1951. Circa sessanta anni fa. Un tempo che può essere ritenuto lontano e nello stesso tempo vicinissimo per  la  violenza, le profonde  lacerazioni che attraversano l’umanità; per l’ eccezionale  forza  ancora messa in azione dalla cultura della morte, attraverso la quale, proprio in questi giorni,  qualcuno  vorrebbe indicare i fabbricanti di armi impunibili se truffano o corrompono e addirittura  imporli  come  benefattori dell’umanità o salvatori della Patria.

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