Se il costo del lavoro pesa solo per il 7% sul valore di un'auto Fiat, perché tanta enfasi su quel 7%? Qualche ipotesi, in attesa di dati certi che la Fiat non dà
Nel dibattito sulla Fiat di queste settimane manca qualsiasi dato che consenta di avere le idee più chiare sul problema. Sorprende molto che non li richiedano i sindacati (e il governo); un po’ meno che non li fornisca la Fiat di propria sponte.
Due anni fa Marchionne affermava che il peso del costo del lavoro diretto in Fiat non superava il 7% sul valore del prodotto. Sarebbe utile capire se questa affermazione, a prima vista sorprendente, abbia qualche implicazione per ciò di cui si sta discutendo.
L’elemento decisivo per inquadrare il problema è l’impatto dei costi fissi, conseguenza diretta dell’utilizzo degli impianti. Quale che sia il livello di produzione di uno stabilimento (ad esempio, Mirafiori), i costi diretti per ogni vettura sono sempre quelli. A titolo puramente esemplificativo - le cifre non le conosco, e le invento sul momento (augurandomi che Fiat le fornisca): 3.000 euro di acquisti dall’esterno (motori, freni, sedili, etc.), e 5 ore di manodopera sulla linea di montaggio, per un totale di 300 euro a 60 eu/ora. Totale costi diretti: 3.300 eu/vettura.
I costi indiretti sono di due tipi: da un lato l’ammortamento dell’impianto (costo fisso), dall’altro gli oneri finanziari, di R&D, di distribuzione (costo quasi fisso). Supponiamo che l’impianto valga 4 miliardi da ammortizzare in 10 anni, e che gli altri costi fissi ammontino a 200 milioni /anno se le vetture prodotte sono 1 milione, poco meno se sono la metà.
Lo stabilimento consente di produrre, a capacità completamente utilizzata, 1 milione di vetture /anno. In tale caso il costo totale per vettura sarà: 3.000 + 300 + 400 (ammortamenti) + 200 (oneri + distribuzione) = 3.900 eu. Il costo del lavoro incide per il 7,7%.
Se però Fiat produce solo per metà della capacità potenziale, 500 mila vetture/anno, il costo totale per vettura sarà: 3.000 + 300 + 800 (ammortamenti) + 350 (oneri + distribuzione) = 4.450. L’incidenza degli ammortamenti deve raddoppiare, quella della distribuzione non proprio, ma ci va vicina. Il costo del lavoro scende al 6,7%. Se la produzione si riducesse ulteriormente, l’incidenza del costo del lavoro si ridurrebbe ulteriormente.
Cosa se ne deduce? Escluderei che il motivo per cui Fiat abbia recentemente prodotto solo metà delle vetture che produceva qualche anno fa sia da attribuire a problemi dell’organizzazione di fabbrica (scarsa flessibilità, scioperi, difficoltà di gestire gli straordinari, assenteismo, quant’altro che abbia a che fare con il lavoro). Il problema è di mercato: la Fiat non vende abbastanza, forse perché mancano i modelli, perché la qualità non è quella richiesta, forse per via della concorrenza spietata, per la crisi, la saturazione del mercato, o forse per tutti questi motivi assieme. Certo è che se Fiat avesse pensato di potere vendere 1 milione di vetture, le avrebbe assemblate anche senza avere risolto tutti i problemi di organizzazione di fabbrica che oggi sembrano essere sul tappeto e alla base dell’accordo contestato da tante parti.
Morale: i veri problemi della Fiat sono altri. Hanno relativamente poco a che fare con l’organizzazione del lavoro. Che anche su quel fronte si possa fare di meglio è probabile. Un accordo negoziato sarebbe stato auspicabile e possibile. Certamente non è stato neppure tentato. Accordo non è stato, ma una imposizione su cui la Fiat non era disposta a cedere nulla. Oggi c’è solo da sperare che le promesse di nuovi investimenti non solo vengano mantenute, ma che consentano alla Fiat di ripresentarsi sul mercato mondiale con nuove e più convincenti carte in mano.
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