sabato 28 maggio 2011

Berlusconi e il plagio letterario

Giacomo Salerno


Silvio Berlusconi non si priva nemmeno del plagio letterario, molto indicativo della sua personalità inclinata verso la manipolazione di fatti e persone. L’imputato Silvio Berlusconi non si è fatto mancare nella sua carriera anche il gusto di aver rubato e fatto proprio uno scritto altrui: pubblica a suo nome una edizione di Utopia di Tommaso Moro, copiata di sana pianta dall’edizione del professore Luigi Firpo di Torino per l’editore Guida di Napoli. Ecco il resoconto dei fatti come narrati da quotidiano L’Unità.

“Un giorno d’estate di metà anni 80 Luigi Firpo se ne stava in poltrona nella sua villa sulla collina torinese con la moglie Laura. Faceva zapping in tv. Su Canale 5 una graziosa signorina intervistava il padrone, Silvio Berlusconi. E ne magnificava l’enorme bagaglio culturale: “Lei è anche un grande studioso dei classici…”. Il Cavaliere si schermiva: “Ma no, non dica così…”. E lei: “Sì, invece, non faccia il modesto. Lei, dottore, ha appena pubblicato un’edizione pregiata dell’Utopia di Tommaso Moro, con una bellissima prefazione e una perfetta traduzione dal latino…”. E lui: “Beh, in effetti il latino non lo conosciamo tutti, bisogna tradurlo…”

Firpo, grande intellettuale torinese, polemista della “Stampa” con i suoi “Cattivi pensieri”, soprattutto docente universitario di storia delle dottrine politiche e fra i massimi esperti di cultura rinascimentale, drizzò le antenne. Anche perché aveva da poco tradotto e commentato un’edizione dell’”Utopia” per l’editore Guida di Napoli. L’intervistatrice comincia a leggere la prefazione del Cavaliere.

Dopo le prime due frasi, l’anziano studioso fa un salto sul divano: “Ma la prefazione la mia! Copiata parola per parola! Chi è questo signore? Come si permette?”. L’episodio è tornato in mente a Laura Salvetti Firpo, la vedova, qualche giorno fa, quando Silvio Berlusconi in una delle sue tele-esternazioni elettorali si è così descritto in terza persona: “Il presidente del Consiglio si è nutrito di ottime letture e ha un curriculum di studi rilevantissimo…”. È corsa in archivio, ha estratto una cartella intitolata “Berlusconi”, ha trovato uno strano bigliettino autografo del Cavaliere e ha deciso di raccontarne il retroscena.

“Era subito dopo le vacanze estive, credo in settembre. Firpo (lei lo chiama rispettosamente così, ndr), quando scoprì in tv che Berlusconi aveva copiato la sua versione dell’Utopia, si attaccò subito al telefono per avere quel libro. Gli risposero che era un’edizione privata, in pochi esemplari, riservata all’entourage del Cavaliere. Tramite l’associazione milanese degli Amici di Thomas More, riuscì a procurarsi una copia in visione. La sfogliò e sbottò: ‘Non è un plagio, è peggio! Quello ha copiato interi brani della mia prefazione e la mia traduzione integrale dal latino, mettendoci la sua firma. Non ha cambiato nemmeno le virgole!’. Prese carta e penna e scrisse a Berlusconi, intimando di ritirare subito tutte le copie e annunciando che avrebbe sporto denuncia. Qualche giorno dopo squillò il telefono di casa: era Berlusconi”.

A questo punto inizia un irresistibile balletto telefonico, con il Cavaliere che cerca scuse puerili per placare l’ira dell’austero cattedratico, e questi che, sbollita la furia, si diverte a giocare al gatto col topo. Firpo si fa beffe del plagiatore smascherato, minacciando di mettere in piazza tutto e trascinarlo in tribunale. “Berlusconi – ricorda la moglie – incolpò subito una collaboratrice, che a suo dire avrebbe copiato prefazione e traduzione a sua insaputa. E implorò Firpo di soprassedere, pur precisando di non poter ritirare le mille copie già stampate e regalate ad amici e collaboratori. Firpo, capito il personaggio, cominciò a divertirsi alle sue spalle. Lo teneva sulla corda con la causa giudiziaria. E Berlusconi continuava a telefonare un giorno sì e un giorno no, con una fifa nera. Pregava di risparmiarlo, piagnucolava che uno scandalo l’avrebbe rovinato”.

Pure Franzo Grande Stevens, famoso avvocato e consigliere di casa Agnelli, che di Firpo era amico anche per via della comune candidatura nel Pri, seguì la faccenda da vicino: “Firpo mi raccontò di quel plagio. Era esterrefatto. Anche perché Berlusconi, anziché scusarsi, dava la colpa a una segretaria: ‘Eh professore, sapesse, qui non ci si può più fidare di nessuno…’. Poi cercò di rabbonirlo con regali costosi, che il professore rispedì sdegnosamente al mittente”. “Passava – ricorda la moglie Laura – intere mezz’ore al telefono col Cavaliere. E alla fine correva a raccontarmele, fra l’indignato e il divertito: ‘Sapessi quante barzellette conosce quel Berlusconi. È un mercante di tappeti, una faccia di bronzo da non credere, sembra di essere in una televendita”.

Il tira e molla si trascinò per diversi mesi. Anche con uno scambio di lettere, ancora riservate (saranno pubbliche solo nel 2009, vent’anni dopo la morte dello studioso). Per ora c’è solo quel bigliettino rimasto nei cassetti della signora Laura, visto che era indirizzato anche a lei: “Accompagnava un doppio regalo per Natale, credo del 1986. Nel frattempo Berlusconi aveva pubblicato un’edizione riveduta e corretta dell’Utopia, senza più la prefazione copiata e con la traduzione di Firpo regolarmente citata. Ma Firpo seguitava a fare l’offeso, ripeteva che la cosa era grave e la stava ancora valutando con gli avvocati.

Un giorno lo invitarono a Canale 5 per parlare del Papa e si ritrovò Berlusconi dietro le quinte che gli porgeva una busta con del denaro, ‘per il suo disturbo e l’onore che ci fa’. Naturalmente la rifiutò. Poi a Natale arrivò un corriere da Segrate con un bouquet di orchidee che non entrava neppure dalla porta e un pacco: dentro c’era una valigetta ventiquattrore in coccodrillo con le cifre LF in oro”. Il biglietto d’accompagnamento è intestato Silvio Berlusconi, datato “Natale 1986″ (ma l’ultima cifra è uno scarabocchio) e scritto a penna: “Molti cordiali auguri e a presto… Spero! Silvio Berlusconi”. Poi una frase aggiunta a biro: “Per carità non mi rovini!”. Ma Firpo continuò il suo gioco: “Rispedì la borsa a Berlusconi, con un biglietto beffardo: ‘Gentile dottore, la ringrazio della sua generosità, ma gli oggetti di lusso non mi si confanno: sono un vecchio professore abituato a girare con una borsa sdrucita a cui sono molto affezionato. Quanto ai fiori, la prego anche a nome di mia moglie Laura di non inviarcene più: per noi, i fiori tagliati sono organi sessuali recisi’… Non lo sentimmo mai più”.

Ecco l’uomo, un buffone, mentitore di professione che per apparire colto deve rubare quello che non è né potrà mai essere perché non si compra con i soldi come si comprano le prostitute e i cardinali.

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