lunedì 27 giugno 2011

Ma si è mai visto un cowboy senza il cappello da cowboy?

Andrea Cristofaro

Luglio 2011, siamo ancora un partito. Ci chiamiamo ancora partito della rifondazione comunista, anche se ultimamente molti compagni all’interno del partito si stanno rassegnando ad usare il nome federazione della sinistra. Anche se i manifesti stampati dal partito hanno la sigla della federazione della sinistra. Anche se le feste del nostro partito sempre più spesso vengono denominate festa della fds e non più liberafesta. Anche se i comunicati il più delle volte sono fatti a nome della fds e non a nome del nostro partito. Siamo ancora un partito, ma stiamo facendo di tutto perché all’esterno nessuno se ne accorga. Anche dove gli altri soggetti della fds non esistono, anche dove esistiamo solo noi e solo il nostro partito ha circoli attivi, anche lì ci chiamiamo fds. Ma è questo il problema principale? Sicuramente questo è un grosso problema, perché sta contribuendo allo svuotamento dei nostri circoli. Ma non è l’unico problema. Il problema è la nostra collocazione. Mi spiego: non parlo della nostra collocazione fisica, quella dei militanti che sono sempre collocati nei luoghi di lotta e nelle vertenze. La base del partito è collocata lì dove deve essere collocata la base di un partito comunista, fra la gente e con la gente. Ma nel far questo i militanti incontrano difficoltà crescenti, perché spesso si ha l’impressione di essere fuori posto. Il motivo? Perché il partito, quello con la P maiuscola, quello delle persone che contano, le persone che sanno più di noi e che si comportano come gli adulti che quando fanno i discorsi seri chiudono i piccoli in un’altra stanza, insomma, i dirigenti: il Partito con la P maiuscola appunto, fa discorsi importanti con altri soggetti con la P maiuscola, chiudendo la base in un’altra stanza. E decide che la nostra collocazione deve essere si nei luoghi di lotta, dove giocano i piccoli, ma anche nelle stanze dei bottoni, dove i grandi fanno i loro discorsi seri che i piccoli non devono ascoltare. E così capita a volte che i bambini giocano agli indiani contro i cowboy e si ritrovano a fare oltre che la parte degli indiani anche quella dei cowboy. Questa per un bambino è una situazione paradossale che può creargli problemi seri nei confronti dei compagni di giochi. Inizia a non essere preso sul serio, e siccome i giochi dei bambini sono delle cose molto serie, chi non è preso sul serio non può più giocare. Oppure viene fatto giocare ma senza essere preso in considerazione. Non è bello per un bambino correre per un’ora in un campo di calcio, consumare tutte le energie, non avere più fiato dopo aver corso molto più degli altri bambini, e non aver mai toccato il pallone perché nessuno glielo ha passato. I giochi dei bambini sono cose serie, chi vi partecipa deve seguire le regole. O si è indiano o si è cowboy, non si può essere le due cose insieme. Ed anche se la politica non è seria come i giochi dei bambini, anche in politica se uno vuole fare l’indiano ed il cowboy allo stesso tempo viene emarginato e finisce per dover giocare da solo. Ci raccontano allora che in realtà noi siamo indiani, e i cowboy li facciamo per finta, cioè li facciamo, ma senza pistole. Come senza le pistole? Si è mai visto un cowboy senza le pistole? Come se uno pensasse ad un cowboy senza il cavallo. No, non si è mai visto. E’ fuori dalle regole: nei giochi da bambino nessuno farebbe giocare un cowboy senza pistole, ma come può venire in mente un’astrusità del genere? Certe assurdità possono venire in mente solo ai grandi, perché gli adulti non hanno fantasia, non sono seri, fanno le cose senza impegno, guardano sempre l’orologio, e quindi si inventano anche i cowboy senza pistole e magari i cowboy senza il cappello da cowboy. Ma come si fa a immaginare un cowboy senza il cappello da cowboy? I cowboy finti non esistono, ma loro se li inventano, e se obbligano i piccoli a giocare con i cowboy finti i piccoli si ribellano e alla fine non giocano più: se si gioca, o si gioca seriamente o non si gioca affatto, non si gioca mica per finta. Se uno deve giocare per finta allora tanto vale non giocare. E allora arriviamo al punto: abbiamo stabilito che i giochi dei bambini sono una cosa seria, con delle regole precise e ferree: quando i bambini giocano seguono queste regole, e non gli verrebbe mai in mente di cambiare le regole del gioco a gioco iniziato. Anzi, se a qualcuno viene in mente gli altri lo bloccano subito e fanno rispettare le regole. Se all’inizio del gioco i cowboy sono veri non possono diventare finti a metà gioco. Al massimo se uno fa la proposta di giocare a indiani veri e cowboy finti si deciderà insieme prima di ricominciare a giocare il giorno dopo. Invece quando i piccoli giocano con i grandi, devono stare sempre attenti a che i grandi non cambino le regole del gioco a gioco iniziato. Perché i grandi vogliono per forza vincere, e spesso per vincere più facilmente basta cambiare le regole. Io non so se Lenin conosceva la teoria dei cowboy finti e degli indiani veri, ma ogni volta che dico a qualche compagno dirigente che non si può giocare a cowboy finti perché prima si finisce di giocare, e poi si possono cambiare le regole per il gioco successivo, mi viene risposto di andare a leggere Lenin. Ora, io Lenin non l’ho letto granchè, e prima o poi andrò a cercare il suo scritto in cui parla dei cowboy senza le pistole o senza il cappello da cowboy, ma che cavolo, proprio lui, il grande Lenin, il teorico di una rivoluzione vera, proprio lui avrebbe inventato il cowboy senza cavallo? Però, a pensarci, anche se fosse vero non puoi dire ad un bambino questa cosa, no, non puoi dirgliela, perché se lo fai distruggi la sua voglia di giocare, lui smetterà di giocare ad indiani e cowboy e non giocherà più, o inizierà a fare giochi diversi, con compagnie diverse, e in luoghi diversi. E i grandi? Beh, i grandi una volta rimasti soli giocheranno fra loro ai cowboy finti, cambiando regole di continuo perché nessuno perda, ma poi si accorgeranno che se nessuno perde nessuno vince, e siccome loro vogliono vincere, allora cambieranno le regole per far vincere tutti, e così facendo, secondo la teoria di Lenin che che dice che se uno vince c’è qualcun altro che perde, allora nel momento stesso in cui vinceranno tutti si accorgeranno di aver contemporaneamente perso tutti. P.s. la teoria che “se uno vince c’è qualcuno che perde” non è di Lenin, non so se è di qualcuno, ma io sono sicuro che Lenin potendola leggere sarebbe stato completamente d’accordo.

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