giovedì 2 giugno 2011

Nostra Signora Art, di sceriffi e miserie di Frosinone


 A proposito di Nostra Signora Art, di sceriffi e miserie di Frosinone, mi chiedo qual è il punto di attacco, di cosa dobbiamo occuparci.   Provo a formulare delle ipotesi e a dare un contributo per una discussione sull’arte e la nostra città. 1) Si è trattato di un episodio nato da frustrazione personale con conseguente abuso di potere, ovvero di uso privato della cosa pubblica? Certamente questa componente è presente e diffusa. Quotidianamente siamo bombardati da “opportunità a portato di mano”, ma la stragrande maggioranza delle persone desidera senza mai poter soddisfare i propri desideri. E’ una catena da cui non è facile liberarsi. Non si prende coscienza di essere elemento macchinico di una macchina globale e dunque, anziché sottrarsi al vuoto della condizione desiderante, si vive in perenne affanno e conseguente condizione frustrante. Così possono nascere sceriffe che devono punire chi osa, che vedono madonne, o riti satanici in poesie che circondano tombe volsche. Si spiega solo con questi stati allucinati del quotidiano vivere l’aberrante banalità del potere che fa di una persona contemporaneamente soggetto che rileva un reato (occupazione abusiva di suolo pubblico), giudice che condanna (alla rimozione e alla distruzione dell’opera d’arte) ed esecutore della condanna ( chiamata della società di smaltimento dei rifiuti e avvio in discarica delle opere passate per i compattatori). Si rendono conto i nostri politici della gravità di quanto accaduto? Si rendono conto che se le opere non fossero state recuperate, e se le parti lese non fossero così miti, a che risarcimento danni avrebbero sottoposto le Casse Comunali? 2) E’ forse la Polizia Urbana di Frosinone un corpo separato dell’Istituzione Comunale? Non è la prima volta che il livello politico concede un permesso successivamente negato dalla Polizia Locale. Nel maggio 2009 a zerotremilacento fu impedito di scrivere, sul pavimento stradale (ovviamente con colori che poi avremmo asportato) di via Angeloni e via Garibaldi, poesie proposte da poeti locali. Motivazione: creano problemi alla circolazione. Durante lo stesso evento fu richiesto e concesso, dall’allora assessore responsabile, la chiusura del traffico per consentire due reading poetici e un concerto lirico nella piazzetta Sant’Ormisda, nonché una chiusura per consentire la lettura itinerante di “Racconti per il Centro Storico”. Nonostante i permessi concessi il traffico non fu bloccato, e reading e concerti furono tenuti tra rombi, strombazzi e auto parcheggiate. Morale: la poesia in città? Scherziamo? La scrittura creativa? Che si mangia? Come ebbe a dire poco tempo fa il nostro ministro dell’economia. 3) Si tratta di ignoranza, banale zavorrante ignoranza italiota, quella che definisce opera d’arte qualcosa che sta in una cornice, o dentro un museo, o solo se certificata da qualcuno esterno a se che ha “la patente per dire che quella è arte”, altrimenti con l’arte contemporanea chi ci capisce niente? E’ qui la tragedia del contemporaneo, l’arte contemporanea non è utilizzata/utilizzabile dai contemporanei: si lavora direttamente per l’archeologia futura senza svolgere alcun ruolo contemporaneo. Ci si può rassegnare a questo? No, non si può. Non si deve. Sono cinque anni che zerotremilacento crea, a Frosinone, eventi d’arte in spazi pubblici non deputati, sono tre anni che in città si tiene Nostra Signora Art, possibile che ogni volta siamo punto e a capo? Evidentemente non bastiamo, evidentemente non si tratta solo di depositare opere per le strade. Ci vuole un passo in più. Le opere devono essere realizzate con il concorso dei cittadini, con il coinvolgimento del corpo sociale, da quello istituzionalizzato come le scuole, a quello associativo. Le opere d’arte devono essere realizzate attraverso “Cantieri Aperti” in città. Come coraggiosamente sta facendo Sara Ciuffetta con “Monumento a Vivi”, come da qualche anno fa zerotremilacento con i Cantieri Orti e con “da Cosa nasce cosa”. L’arte non è un corpo estraneo, l’arte può essere sintesi condivisa, nuovi linguaggi che si rapprendono nei processi partecipati. E’ questa la scommessa e la condanna.


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