lunedì 4 luglio 2011

Confindustria-Cgil-Cisl-Uil uniti contro i lavoratori

di Alberto Madoglio  LIT (Lega internazionale dei lavoratori)

La situazione politica e sociale in Italia è soggetta, ormai da parecchio, a convulsioni e tensioni. Il governo Berlusconi accentua sempre più la sua parabola discendente. I risultati delle amministrative e dei referendum hanno rappresentato per il governo un duro colpo, anche se al momento non è facile prevedere se ci sarà una precipitazione della crisi che porti ad elezioni anticipate. Come mai in passato, i poteri forti si sono schierati a favore del centrosinistra: a Milano la grande borghesia al completo ha appoggiato la candidatura di Pisapia; Romiti (ex amministratore delegato Fiat) e D’Amato (ex presidente Confindustria, un tempo ultra-berlusconiano), hanno dato giudizi verso la maggioranza di centrodestra che definire sprezzanti è poco. Stesso discorso vale per l’attuale Presidente dell’Associazione degli industriali, Emma Marcegaglia, e per le alte gerarchie ecclesiastiche che non perdono occasione per denunciare il “decadimento morale” dell’Italia governata da Berlusconi.
Dal punto di vista sociale la crisi imperversa sempre più. La disoccupazione aumenta; i salari calano vertiginosamente; è la vigilia dell’ennesima manovra fiscale “lacrime e sangue”, ma solo per i lavoratori; il tutto condito da esplosioni di rabbia operaia come non se ne vedevano da tempo (su tutti, i casi dei lavoratori Fincantieri a Genova e Castellammare). Perfino sindacati “gialli” come Cisl e Uil hanno ultimamente dovuto fingere di alzare la voce contro il governo, consci che la situazione è veramente insostenibile.
Questa situazione non rappresenta una particolarità solamente italiana. La maggior parte dei Paesi europei si trova in una condizione simile: gli eventi che si stanno sviluppando in Nord Africa sono sotto gli occhi di tutti, e anche la Cina (dove nel 2010 si sono registrate migliaia di rivolte e ribellioni sociali) potrebbe essere travolta da un’ondata rivoluzionaria simile a quella che ci fu nel 1989, all’epoca di Piazza Tienanmen.

Cgil garante della pace sociale. Sindacati di base prigionieri di direzioni inadeguate
Davanti a un quadro decisamente preoccupante per le classi dominanti, in cui debolezza del governo, crisi economica e rabbia sociale possono dar vita ad un cocktail esplosivo, difficilmente controllabile, il ruolo della maggiore organizzazione sindacale del paese, la Cgil, diventa quello già tante volte visto in passato: quello di un soggetto che tenta in ogni modo di garantire la pace sociale, in altre parole che i padroni continuino a fare i loro profitti e che scioperi, manifestazioni e focolai di rivolta, non degenerino in un movimento di più ampia portata, in grado di mettere seriamente in discussione il secolare dominio della borghesia in Italia.
Nonostante la grande partecipazione dei lavoratori allo sciopero generale del 6 maggio scorso, i burocrati sindacali, non contenti di averlo fortemente depotenziato (astensione dal lavoro di sole 4 ore, manifestazioni locali invece di una grande manifestazione nazionale, piattaforma ultra moderata sulla quale lo sciopero stesso è stato costruito), si sono immediatamente mobilitati per evitare che, anche una mobilitazione “rituale” e sostanzialmente innocua come quella di maggio, potesse diventare la scintilla di una ribellione di massa (come è capitato nel caso degli scioperi generali in Grecia).
Invece di tentare di organizzare i lavoratori, di radicalizzare le rivendicazioni sindacali, di provare a mettere in campo un piano di mobilitazione per cercare di far pagare, per la prima volta, ai padroni la crisi, le decisioni assunte dalla Cgil vanno in una direzione contraria.
Quanto al sindacalismo di base, che avrebbe in questo quadro grandi potenzialità, resta in balia del settarismo e di gruppi dirigenti che appaiono interessati solo a recintare l'orto di casa e a proteggerlo contro chiunque contesti questa linea di isolamento (si veda l'intervista a Fabiana Stefanoni, pubblicata ieri su questo sito: espulsa da Usb perché in dissenso con le scelte dell'Esecutivo del sindacato).
Giugno 2011: morte del Contratto nazionale di lavoro
Segnali della volontà del gruppo dirigente della Cgil si erano visti nella riunione del Direttivo di metà maggio, ma la conferma più clamorosa è stata la sottoscrizione dell’accordo con Confindustria, Cisl e Uil sul nuovo sistema contrattuale.
Cerchiamo di analizzarlo. A prima vista si potrebbe essere indotti a pensare che venga riconfermato il ruolo del Contratto nazionale, come strumento in grado di garantire trattamenti normativi ed economici validi per tutti i lavoratori.
In realtà, proseguendo nella lettura, si vede che il contratto nazionale può prevedere ampie deroghe da decidere azienda per azienda. Non solo. Si stabilisce che in presenza di situazioni particolari, si può derogare anche per materie che dovrebbe essere di competenza del Ccnl.
La potestà di siglare accordi è riservata nei fatti alle burocrazie sindacali confederali. Il sistema per valutare il consenso di una organizzazione sindacale, è truffaldino. Si ribadisce il ruolo delle Rsu, elette in modo antidemocratico, con una riserva di stampo feudale pari ad un terzo dei posti per i sindacati maggioritari. Inoltre si introduce il sistema dell’iscrizione certificata (incrociando i dati con l’Inps), non considerando che in molti posti di lavoro, per evitare le rappresaglie dei padroni, le iscrizioni vengono fatte direttamente presso le sedi sindacali, non risultando in questo modo ufficialmente. Si aggiunga che gli accordi, una volta siglati dalla maggioranza delle burocrazie, impediscono a quei sindacati che sono in disaccordo, di proclamare scioperi (che oltre ad essere un modo per respingere accordi truffa, è anche lo strumento attraverso il quale si può guadagnare il sostegno dei lavoratori). E’ perfettamente chiaro che ci troviamo davanti ad un attacco pesantissimo ai diritti che i lavoratori si sono conquistati in decenni di lotte.
Landini e soci, ovvero l'opposizione di sua maestà Camusso
Contro questo accordo, in Cgil si è alzata la protesta della sinistra interna, in sostanza della Fiom e di ciò che rimane della Rete 28 Aprile di Cremaschi.
Tuttavia è presumibile che, sulla scorta delle esperienze passate, a partire dal caso dello scandaloso accordo alla Fiat Bertone, siglato dalla Rsu Fiom con l’avallo dei leader nazionali, il dissenso si limiterà al Comitato Direttivo, a qualche intervista dai toni battaglieri, magari a qualche assemblea nazionale di protesta, e nulla più. Vero che questo accordo colpisce duramente anche il peso e la forza contrattuale della burocrazia dirigente del sindacato dei metalmeccanici della Cgil, ma già le prime dichiarazioni di Landini, “non romperemo mai con la Confederazione”, provano la miopia e l’opportunismo di questi presunti dirigenti radicali.
E’ necessario altro. E’ necessaria una battaglia frontale da parte di tutte le avanguardie di classe, al di là delle loro appartenenze sindacali, che trascini un nuovo movimento di massa per impedire una pesante sconfitta.
Allo stesso tempo non bisogna avere illusioni su nessuno dei settori della burocrazia sindacale o pensare che essi possano in qualche modo rappresentare un argine agli attacchi che sono e saranno sferrati ai lavoratori.
I burocrati di centro, di destra o di sinistra, presenti nelle grandi centrali sindacali o in piccoli sindacati di base hanno un solo interesse: il mantenimento della loro posizione di prestigio e di potere, piccolo o grande che sia, e per questo sono disposti ad accettare qualsiasi cosa.
Autunno 1993, autunno 2011: cacciamoli coi bulloni!
E’ probabile però che stavolta la Camusso, fotografata in grandi abbracci con la Marcegaglia, abbia fatto i conti senza l’oste. Le lotte che iniziano a svilupparsi in questi mesi in Italia, come nel resto d’Europa, provano che la pazienza dei lavoratori è arrivata al limite.
Di fronte all’ennesimo tradimento, giovani, operai, disoccupati, potrebbero rispondere con la lotta non solo contro governo e padroni, che correttamente vengono percepiti come responsabili del loro impoverimento, ma anche contro quei sindacati e partiti che a parole non perdono occasione per sostenerli, ma che nei fatti continuano a pugnalarli alle spalle.
La lotta è solo all’inizio e la parola d’ordine per farla avanzare deve essere una sola: cacciamo i burocrati dal sindacato, uniamo le lotte che padroni e burocrati vogliono dividere! Che la crisi la paghino, finalmente, i padroni.

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