4 agosto 1974. Nella notte una bomba esplode nella vettura numero 5 dell'espresso Roma-Brennero. I morti sono 12 e i feriti circa 50, ma una strage spaventosa è stata evitata per questione di secondi: se la bomba fosse esplosa nella galleria che porta a San Benedetto Val di Sambro i morti sarebbero stati centinaia. Racconta un testimone della strage: «Il vagone dilaniato dall'esplosione sembra friggere, gli spruzzi degli schiumogeni vi rimbalzano su. Su tutta la zona aleggia l'odore dolciastro e nauseabondo della morte». I due agenti di polizia che hanno assistito alla sciagura raccontano: «Improvvisamente il tunnel da cui doveva sbucare il treno si è illuminato a giorno, la montagna ha tremato, poi è arrivato un boato assordante. Il convoglio, per forza di inerzia, è arrivato fin davanti a noi. Le fiamme erano altissime e abbaglianti. Nella vettura incendiata c'era gente che si muoveva. Vedevamo le loro sagome e le loro espressioni terrorizzate, ma non potevamo fare niente poiché le lamiere esterne erano incandescenti. Dentro doveva già esserci una temperatura da forno crematorio. 'Mettetevi in salvo', abbiamo gridato, senza renderci conto che si trattava di un suggerimento ridicolo data la situazione. Qualcuno si è buttato dal finestrino con gli abiti in fiamme. Sembravano torce. Ritto al centro della vettura un ferroviere, la pelle nera cosparsa di orribili macchie rosse, cercava di spostare qualcosa. Sotto doveva esserci una persona impigliata. 'Vieni via da lì', gli abbiamo gridato, ma proprio in quel momento una vampata lo ha investito facendolo cadere accartocciato al suolo».
I neofascisti non nascondono di essere gli esecutori. Un volantino di Ordine nero proclama: «Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l'autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti». Gli investigatori brancolano nel buio fino a quando un extraparlamentare di sinistra, Aurelio Fianchini, evade dal carcere di Arezzo e fa arrivare alla stampa questa rivelazione: «La bomba è stata messa sul treno dal gruppo eversivo di Mario Tuti che ha ricevuto ordini dal Fronte nazionale rivoluzionario e da Ordine nero. Materialmente hanno agito Piero Malentacchi, che ha piazzato l'esplosivo alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, Luciano Franci, che gli ha fatto da palo, e la donna di quest'ultimo, Margherita Luddi».
Eppure la polizia era informata da tempo che Mario Tuti era un sovversivo e una donna aveva addirittura dichiarato a un giudice che l'autore della strage era proprio lui. Risultato: la denuncia archiviata e la donna mandata in casa di cura come mitomane. Il giudice che aveva raccolto e insabbiato la dichiarazione si chiamava Mario Marsili ed era il genero di Licio Gelli, il gran venerabile della loggia massonica P2.
Si entra così nei misteri della polizia e dei governi-ombra che per alcuni anni hanno condizionato la vita italiana. Il dubbio che la P2 sia implicata nella vicenda induce il giudice bolognese Vella a diffidare della magistratura aretina. Scrive Giampaolo Rossetti, un giornalista che si è occupato per mesi della vicenda: «Arezzo era città di protezione per i fascisti». Basti pensare alla frase strafottente pronunciata da Luciano Franci, il luogotenente di Mario Tuti, rivolgendosi a un camerata che piagnucolava dopo l'arresto: «Non preoccuparti, da queste parti siamo protetti da una setta molto potente». Una setta, ci spiegò poi il giudice Vella, che puzzava di marcio ed era al centro di un potere occulto collegato alle più oscure vicende della vita italiana. Per saperne di più il giudice Vella si rivolse anche ai Servizi segreti, ma per mesi non ottenne risposta. Protestò e allora l'ammiraglio Casardi, capo del servizio militare, gli scrisse rimproverandolo di ignorare «le norme che regolano il nostro servizio». «Le conosco anche troppo» gli rispose Vella, «ed è questo che mi preoccupa». Probabilmente se i Servizi segreti l'avessero aiutato, il giudice sarebbe subito arrivato a Tuti.
Comunque, all'inizio del '75 viene emesso un mandato di cattura contro Mario Tuti, che però riesce a sfuggire all'arresto. Aspetta che i tre carabinieri andati per arrestano suonino alla porta e poi spara loro addosso uccidendone due e ferendo il terzo. L'uomo riesce ad espatriare, prima ad Ajaccio e poi sulla Costa azzurra. La polizia francese lo rintraccia a Saint-Raphael dove ha luogo di nuovo uno scontro cruento, al termine del quale il terrorista viene arrestato. Al processo terrà un contegno sprezzante. Anni dopo, nel 1987, sarà lui a capeggiare una rivolta nel carcere di Porto Azzurro che terrà l'Italia con il fiato sospeso per alcuni giorni.
Le indagini sull'Italicus e su piazza della Loggia hanno spezzato il fronte dell'omertà. I balordi della provincia nera parlano, ma quando il giudice Tamburrino di Padova o il giudice Arcai di Brescia chiedono conferme o aiuti ai Servizi segreti per indagare sulle alte complicità cala la serranda del «segreto di Stato». Le protezioni di cui godono i fascisti sono sfacciate. Valga questo esempio: il 19 luglio del '75 viene arrestato a Milano l'avvocato Adamo Degli Occhi, capo della «maggioranza silenziosa», movimento d'ordine. I carabinieri di Milano chiedono alla Questura di Brescia, che conduce le indagini sulla strage di piazza della Loggia, se devono perquisire l'alloggio dell'avvocato, ma la Questura dice che non è il caso. Intanto un giornalista fascista, Domenico Siena, è entrato nell'alloggio e ne è uscito con due valigie. Dirà che aveva preso effetti personali da far arrivare in carcere all'avvocato. Il dubbio che fossero carte compromettenti è più che lecito.
da "Gli anni del terrorismo" di Giorgio Bocca (pagg. 291-293)
“Maria Fida Moro ha rivelato ieri un particolare inquietante. Suo padre, il 4 agosto 1974, era salito sul treno Italicus, ma prima di partire venne fatto scendere per firmare delle carte. Poche ore dopo ci fu la strage sull'Appennino. Il vero obiettivo era Aldo Moro?
L'obiettivo della strage dell'Italicus ... L'obiettivo della strage dell'Italicus sarebbe stato Aldo Moro. Un'ipotesi inquietante che, a trent'anni dall'attentato che provocò una strage, viene avanzata dalla figlia dello statista democristiano, Maria Fida Moro. L'annuncio choc è stato dato ieri sera nel corso di una trasmissione di Tele Serenissima, alla quale era presente anche Luigi Bacialli, direttore del Gazzettino. È stata la stessa Maria Fida Moro a telefonare e spiegare al conduttore Gianluca Versace che quel giorno (il 4 agosto del 1974) suo padre era addirittura salito sul treno alla stazione di Roma e stava per partire, quando all'ultimo momento un suo collaboratore gli disse di scendere per firmare alcune carte. Così il treno partì senza di lui. Poche ore dopo, quando l'Italicus percorreva la lunga galleria appenninica di San Benedetto Val di Sambro, una bomba ad orologeria esplose provocando la strage rivendicata da Ordine Nero. Per Moro il destino riservava un'altra morte violenta: il 9 maggio del 1978 venne ucciso dalle Brigate Rosse, dopo un lungo periodo di prigionia.
L'episodio è anche raccontato nel libro "La Nebulosa del caso Moro" che sta per uscire. "Alla fine del libro ho citato un episodio tanto vero quanto non suffragabile, mio padre salì e scese immediatamente dall'Italicus. Fino all'ultimo ero in forse se inserirlo nel volume perché ero certa che sarebbe stato strumentalizzato, ma non prima che "La nebulosa" fosse in libreria".
Maria Fida Moro ha fatto capire di non aver mai rivelato prima questa clamorosa versione sulla strage dell'Italicus, perché sconsigliata da persone a lei vicine. Il collegamento, tra la presunta presenza di Moro e la strage sul treno, non era mai emerso.”
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