sabato 24 settembre 2011

Today at the UN

Cecilie Surasky, Jewish Voice for Peace  

Dear Luciano,
Today, the President of the Palestinian Authority, Mahmoud Abbas, presented a bid for the state of Palestine, based on the 1967 borders, to be considered by the Security Council for full membership in the United Nations. Shortly afterward, he addressed the General Assembly, where he reviewed, from the 1948 Nakba until today, the multitude of ways in which Israel has suppressed Palestinians’ rights. While the question remains if the UN statehood bid adequately addresses the larger issue of Palestinian rights, Abbas’ address importantly gave voice to the Palestinian struggle for self-determination. While there is no uniform support for this UN bid, today was undoubtedly a historic and moving day. After over 63 years struggling for global recognition, it was moving to see the countries of the world represented in the UN general assembly give President Abbas a rousing standing ovation. Not so for Prime Minister Netanyahu, who spoke shortly after Abbas. Netanyahu responded to the Palestinian leader with diversion and doublespeak instead of honest engagement, and peace slogans couched in hostility, aggression, and denial of Palestinian claims—a continuation of the standard Israeli tactic. We know from history that this empty rhetoric has been used by Israeli government for decades and will only mean further pain and oppression for Palestinians in Gaza, the West Bank, East Jerusalem, and all over the world. As a Jewish-American organization, we believe it is important to remain focused on our primary responsibility: having an impact on U.S. policy. As such, we will continue to speak out strongly against the U.S. using its veto power in the Security Council to reject this bid for statehood. We know now that President Obama will not do the right thing. Speaking at the UN on Wednesday, Obama lauded the Arab Spring—but rejected the Palestinian Autumn. The president retreated from his earlier positions that demanded Israeli accountability for its military occupation, and he did not acknowledge the ongoing role of the U.S. in maintaining that imbalance through its extraordinary economic, military, and diplomatic support for Israel, even when its actions violate international law, human rights, and U.S. policy. And he didn’t acknowledge that twenty years of the “peace process” has brought only a more entrenched occupation. Instead, Obama merely said that both sides should “sit down together, to listen to each other, and to understand each other’s hopes and fears.” (1)
While this week has not been an easy one, we at JVP actually feel a redoubled assurance in the promise of our strategy to change the dynamics on display at the United Nations. We know now, more than ever, that the President or Congress will not change on their own. The array of power and money is simply too strong—for now. We know, as with the examples of the civil rights movement and the anti-apartheid movement, to name just two, that it is movements like ours that force our governments to change their policies. It was the steadfastness, the creativity, the demonstrations, the local organizing, and the BDS tactics that helped these movements and so many others for social justice eventually succeed. So we’ll let the politicians play their games, and meanwhile, our work will continue.

Onward,
Jewish Voice for Peace
http://www.nationaljournal.com/whitehouse/obama-s-speech-to-the-un-general-assembly-as-prepared-20110921


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Oggi il presidente dell’autorità palestinese Mhamoud Abbas ha presentato la richiesta   al Consiglio di Sicurezza   affinchè considerasse    la piena adesione della stato di  Palestina,  definito dai confini stabiliti nel 1967, alle Nazioni Unite. Poco dopo si è rivolto all’assemblea generale rivisitando, dal Nakba del 1948 fino ad oggi, gli innumerevoli episodi  in cui Israele ha oppresso i diritti dei Palestinesi. Mentre rimane la questione se la richiesta  di stato indipendente fatta alle Nazioni Unite possa affrontare adeguatamente il problema più grande della difesa dei diritti dei palestinesi, è importante sottolineare come l’ indirizzo preso da Abbas ha dato voce alla lotta palestinese per l’autodetermianziaone. Mentre non c’è un uniforme supporto sulla richiesta  alle Nazione Unite . Oggi indubitabilmente è un giorno storico e commovente.  Dopo 63 anni a lottare  per il riconoscimento globale  è stato commovente vedere i paesi del mondo rappresentati nell’assemblea generale dell’ONU tributare al presidente Mhamoud Abbas  una travolgente standing ovation. Non così  per il primo ministro Netanyahu che ha parlato brevemente dopo Abbas. Netanyahu ha risposto ai leader palestinesi  con un discorso diversivo e ambiguo, invece di un impegno onesto, con slogan di pace, ma  espressi in ostilità  aggressività, negando ciò che i palestinesi reclamano, continuando con la solita tattica israeliana. Noi conosciamo dalla storia che questa vuota retorica  è stata usata dal governo israeliano per decenni  e può solo significare dolore e oppressione per i palestinesi a  Gaza, nella Cisgiordania , a Gerusalemme est e in tutto il mondo. Come organizzazione ebraica Americana,  crediamo sia importanti rimanere concentrati sulla nostra primaria responsabilità:  avere un impatto sulla politica americana . Così continueremo a protestare con forza contro l’utilizzo del potere di veto da parte degli Stati Uniti all’interno del consiglio di sicurezza per rifiutare la richiesta palestinese di essere riconosciuta come stato  . Sappiamo già da adesso che il presidente Obama non farà la cosa giusta. Parlando alle nazione unite mercoledì Obama ha lodato la primavera araba  - ma ha rigettato  l’autunno palestinese . Il presidente recedendo dalla sua più recente posizione che chiedeva conto a Israele della sua occupazione militare ,   non ha riconosciuto il ruolo degli Stati Uniti nel mantenere questo squilibrio attraverso il suo straordinario supporto  economico, militare e diplomatico a Israele, anche quando le sue azioni hanno violato le leggi internazionali e i diritti umani e la politica  stessa degli Stati Uniti. E non ha riconosciuto che venti anni di processo di pace hanno solo contribuito a radicare ulteriormente l’occupazione. Al contrario Obama ha semplicemente detto che entrambi le parti “dovrebbero sedersi insieme” ascoltarsi a vicenda e comprendere l’une le paure dell’altro”. Mentre la settimana passata non è stata facile  noi a JVP attualmente  ci sentiamo di raddoppiare i nostri sforzi nella promessa di attuare la nostra strategia per cambiare le dinamiche in essere presso le Nazioni Unite. Oggi più di sempre sappiamo che il presidente del congresso non cambierà di sua spontanea volontà. La quantità di potere  e di soldi    sono semplicemente troppo forti per adesso. Conosciamo come l’esempio dei movimenti per i diritti civili e dei movimenti anti apartheid  per citarne solo due,     movimenti come il nostro,  siano in gradi di costringere  i nostri  governi   a cambiare le loro politiche. E’ stata la tenacia ,la creatività, le manifestazioni locali, le campagne BDS che hanno aiutato questi movimenti e tanti altri ad ottenere finalmente successi nell’ambito della giustizia sociale . Così lasceremo i politici giocare al loro gioco, nel frattempo il nostro lavoro continuerà.

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