mercoledì 19 ottobre 2011

Province e riordino degli Enti

Angelino Loffredi

Finalmente ho potuto leggere considerazioni serie e pertinenti riguardanti il ruolo delle amministrazioni provinciali. Me ne ha dato l’opportunità un articolo di Antonio Simiele apparso sul sito
www.edicolaciociara.it, il quale, fortunatamente, non si è fatto travolgere da questo clima da bar dello sport, ovvero fra ciechi abolizionisti e non, ma ha messo al centro del suo ragionamento una opportuna ricostruzione storica sul ruolo dell’Ente per trarne condivisibili considerazioni finali.

La necessaria ricostruzione, infatti, deve partire da quello che avvenne all’indomani dell’ istituzione delle Regioni e dall’appassionato dibattito negli enti locali per l’attuazione dei decreti della legge 382, necessari e propedeutici per il decentramento dello Stato.

E’ doveroso, inoltre, ricordare che fino agli anni ottanta le province avevano solo tre competenze: viabilità provinciale, assistenza psichiatrica, istituti tecnici superiori. Forse per questo esiguo ruolo di funzioni, spingeva alcuni, a cominciare dal PRI, a chiederne l’abolizione.

Gli anni ottanta evidenziano anche un fenomeno inquietante: cosi come precedentemente era avvenuto con i ministeri si va affermando nelle Regioni un nuovo centralismo. Gli assessori sono allergici e refrattari ad ogni dialettica istituzionale con le province ed i comuni, sono insomma i nuovi satrapi. A tale proposito mi limito a ricordare i tempi biblici necessari per approvare un piano regolatore.

Il movimento delle autonomie locali mise al centro della propria iniziativa il ruolo della Provincia come snodo della programmazione regionale e di coordinamento fra i comuni. Questo era ed è stato l’obbiettivo. Tale cammino è stato difficile, contraddittorio e tuttora non realizzato pienamente. Anzi, è rimesso in discussione da chi vuole abolirle, ipotizzando confuse e pasticciate soluzioni sostitutive.

Inoltre pur con pochissima popolazione residente sono state create negli ultimi anni più di trenta nuove province e conseguentemente altrettante prefetture con conseguente crescita della burocrazia e della spesa.

Purtroppo il tema onnipresente, l’argomento dominante, è costituito dai tagli e non dalle funzioni.

Il taglio dei costi viene fatto alla cieca e male, privo di una strategia d’insieme, con solenni annunci a veder bene incoerenti e sempre contraddetti il giorno successivo.

Per quel poco che potrà interessare difendo il ruolo delle province, ma sono per la riduzione del numero delle stesse. E’ necessario invece per quanto riguarda i tagli guardare in altre direzioni: alcuni consorzi, primo fra tutti , in provincia di Frosinone, l’ Anagni sud, creato negli anni 50 per sviluppare l’agricoltura ma coincidente già da un trentennio con estese aree industriali. Un monumento all’inutilità ed allo spreco.

Sempre guardando in piccolo, penso ai due consorzi industriali presenti in provincia e se considero che trenta anni fa, quando gli opifici industriali erano quattro volte di più ma diretti da un solo consorzio, con amministratori e personale dipendente che gravavano molto di meno sulla pubblica amministrazione, c’è da trasecolare a vedere tale sperpero. Infine, certamente molto più consistente delle precedenti indicate esiste una questione dimenticata: le Comunità Montane.

Nel Lazio ne esistono 22, con altrettanti Presidenti e Giunte e tutti lautamente super pagati. I compiti di questi enti potrebbero essere facilmente esercitati dalle amministrazioni provinciali.

La cosa che più mi rattrista non è solo quella di non vedere un progetto organico, coerente e ben definito che elimini gli enti superflui, gli sprechi e identifichi gli enti locali come motore di sviluppo, innovazione e crescita ma quella di non vedere prendere nemmeno provvedimenti facili, semplici ma significativi: l’abolizione del cumulo di due, tre, a volte quattro indennità riscosse dai politici e ridurle semplicemente ad una sola.

Fare una legge, con un solo articolo, sarebbe un buon segnale, darebbe una speranza, ridurrebbe il numero degli scettici ed dei delusi, dimostrerebbe che esiste un ceto politico che non guarda solamente al proprio portafoglio ma alla condizione di vita di milioni di persone ed all’efficienza dello Stato.

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