mercoledì 11 gennaio 2012

UN MARX PER FILISTEI

di Francesco Ricci


A proposito delle sensazionali scoperte di Repubblica



Un Marx ridotto a filosofo o a semplice economista, scienziato con la testa fra le nuvole, non merita la prima pagina del più importante quotidiano italiano. Decine di libri usciti negli ultimi anni e infiniti articoli e saggi hanno tentato di declassare il grande rivoluzionario a semplice studioso che avrebbe scoperto cose di notevole utilità per leggere l'attuale crisi del capitalismo purché si abbia l'avvertenza di depurarlo da ogni elemento politico e rivoluzionario. Un Marx sterilizzato, insomma, pronto per l'uso da parte di pennivendoli stipendiati del Capitale, che evidentemente hanno una grande paura di Marx e del marxismo, ben sapendo come possa essere pericolosa questa teoria quando viene fatta propria dalle masse in lotta.
Non è una novità degli ultimi anni, per la verità, visto che Lenin, quasi cento anni fa, iniziava il suo libro più importante (Stato e rivoluzione) irridendo coloro che avevano la pretesa di trasformare Marx in una "icona inoffensiva", di "canonizzarlo", "mentre si svuota del contenuto la sua dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si svilisce". E a quanto pare i tentativi di questo tipo erano anche più vecchi, dato che già il vecchio Engels aveva reputato necessario precisare ai funerali di Marx (1883) che "lo scienziato non era neppure la metà di Marx", perché Marx "era prima di tutto un rivoluzionario" impegnato nella lotta per l'abbattimento della società capitalistica, per l'eliminazione della società divisa in classi.
Trattandosi di un tema che ha superato con abbondanza il secolo, come dicevamo, non fa più notizia. Il Marx innocuo scienziato è un luogo comune obbligato per qualsiasi scribacchino che si rispetti.
La prima rivelazione di Repubblica
Ma di ben altro tenore sono le scoperte sensazionali che ha fatto Andrea Tarquini, corrispondente da Berlino per Repubblica. Scoperte di tale portata che il quotidiano della borghesia cosiddetta progressista gli ha dedicato ben tre paginoni interi sul giornale di domenica 8 e persino un richiamo in prima pagina ("Marx 2020").
E ci mancherebbe il contrario, perbacco! Quello di Tarquini è un vero e proprio scoop, rivelazioni in grado di cambiare radicalmente tutte le nostre conoscenze su Marx e sul marxismo. Cose che, se solo Lenin e Trotsky le avessero sapute per tempo... si sarebbero risparmiati la rivoluzione d'Ottobre. Di più: forse lo stesso Marx, se avesse potuto leggere in vita l'articolo di Tarquini, avrebbe mollato tutto, impegnandosi di più per quel posto di impiegato in ferrovia che si lasciò sfuggire per scrivere più di cento di libroni, costruire un'Internazionale e partiti in mezzo mondo.
Ma è appunto da quei benedetti libroni che parte l'inviato speciale di Repubblica. Tarquini si è recato avventurosamente al numero 22 di Jaegerstrasse, a Berlino, dove si lavora a completare l'edizione integrale delle opere di Marx ed è proprio qui che ha fatto quella che a buon titolo può essere definita come una delle scoperte più sconvolgenti dell'ultimo secolo.
L'inizio di Tarquini è dimesso, piano. Spiega che Marx fu essenzialmente un teorico e uno scienziato. Cioè la filastrocca di cui dicevamo poco sopra e letta la quale si sarebbe tentati di saltare a piè pari le due paginone centrali e di passare direttamente ai programmi tv. Ma ecco la prima rivelazione, che ti costringe a proseguire la lettura: Marx, ci informa Tarquini, "credeva nella democrazia". Di più: Marx "riemerge dal passato come un moderno newlabourista, un progressista tedesco o un liberal americano".
Questa prima rivelazione non è da poco. A quanto si sapeva finora (da opere e atti) Marx non credeva per nulla nella "democrazia" di cui parla Tarquini, che per la precisione è la democrazia borghese. Anzi -così pensavamo di sapere fino a ieri- il marxismo si basa sul concetto per cui le sovrastrutture politiche, ideologiche, giuridiche sono storicamente determinate, non esiste una "democrazia" come ente metafisico, pura, così come non esistono istituzioni al di sopra delle classi. Per questo i comunisti (quelli veri) sono rivoluzionari, perché non pensano di riformare le istituzioni del capitalismo ma operano per rovesciarle, spezzarne lo Stato, convinti che a una diversa organizzazione economica della società (che passa per l'esproprio degli espropriatori) corrisponda una struttura altra della società; alla dittatura della borghesia (la democrazia di Tarquini) sostituiscono la dittatura del proletariato, ecc.
Su queste certezze ci riposavamo beatamente fino alla mattina dell'8 gennaio. Lo stesso Marx ci aveva tratto in inganno asserendo (in quella famosa lettera a Weydemeyer) che l'essenziale della sua opera consisteva nel legare la lotta di classe allo sbocco della dittatura del proletariato (cioè al potere dei lavoratori) da guadagnarsi attraverso una rivoluzione.
Ma dove, potrebbe chiedersi un lettore ingenuo, dove Tarquini ha scoperto invece queste posizioni riformiste, addirittura liberal, di Marx? D'accordo, la domanda è lecita, a questo punto della lettura dei tre paginoni. Ma è una domanda che rivela l'ingenuità di chi crede che simili affermazioni debbano essere suffragate da prove, citazioni precise di testi, titoli, date; nonché da un'analisi sul come mai miliardi di uomini siano rimasti fino ad oggi all'oscuro di questo reale pensiero di Marx; di come mai l'intera sua opera (nella parte finora conosciuta), per tacere di tutta la sua attività pratica, di come mai tutto ciò abbia fin qui celato così bene questo Marx liberal. Che si tratti di un tipico caso di schizofrenia? Di uno sdoppiamento degno della penna di Stevenson (quello del Dr Jekyll e Mr Hyde, per intenderci)? Certo è che l'occultamento di questo Marx autentico (e autenticato da Tarquini) è stato per decenni così perfetto che viene quasi il sospetto che Marx stesso non ne fosse consapevole (ovviamente prima di leggere, dal suo caldo cantuccio all'inferno, l'articolo di Tarquini). Altri tirerebbero in ballo il dottor Freud, un qualche trauma nel piccolo Marx, la rimozione, ecc. Tarquini no: semplicemente non giustifica in nessun modo queste sue affermazioni. Non ci annoia con riferimenti o citazioni (cose da volgari materialisti). Si limita a dire che così gli è stato assicurato dagli studiosi che stanno frugando tra le carte inedite di Marx. Perché non credergli?
L'Epifania trasforma Marx nel reverendo Berkeley
Un Marx liberal sarebbe già sufficiente per riempire la prima domenica dopo l'Epifania. Ma le rivelazioni non sono finite, come si conviene d'altra parte, è noto a ogni buon credente, a una giornata di miracoli, visioni, rivelazioni sacre.
All'Accademia delle scienze di Berlino, Tarquini ha fatto almeno altre due scoperte ben più sconvolgenti. E scrive infatti: "Frugando nelle carte consunte dal tempo si scoprono cose che i contemporanei di Marx vollero ignorare". Quali? E qui arriviamo alla seconda rivelazione, tenetevi forte. Tarquini scrive: "Insomma: la teoria secondo cui l'esistenza materiale determina la coscienza, base del materialismo storico era un'idea in cui Marx non credeva."
Dopo aver scritto questa frase, Tarquini cambia incredibilmente discorso. Possibile che non si renda conto della portata di una simile rivelazione? Difficile, visto l'acume scientifico che lo caratterizza. Più probabile che voglia dosare la suspence, come in certi vecchi film del grande Hitchcock. Ma la sorpresa è tale che noi non riusciamo a continuare la lettura. Dobbiamo fermarci, rivedere non solo tutto quanto sapevamo di Marx ma anche della stessa storia della filosofia degli ultimi duemila anni nonché della scienza moderna. Difatti, quella che Tarquini definisce una "idea in cui Marx non credeva" è il fondamento di qualsiasi pensiero scientifico ed era già stata ideata, per così dire, già qualche millennio prima che a Marx ed Engels venisse in mente di elaborare il materialismo dialettico. Vogliamo dire che la rivelazione di Tarquini non pone dei problemi solo rispetto al marxismo ma rispetto a tutta la storia del pensiero umano. Se "la teoria" per cui "l'esistenza materiale determina la coscienza" è solo una sciocchezza, un equivoco puerile, una cosa in cui Marx "non credeva", dobbiamo supporre al contrario che sia la coscienza a determinare la materia. Aveva cioè ragione il vescovo Berkeley (roba del Settecento): non esistono gli oggetti, ma solo lo spirito. "Esse est percipi", "l'essere è un essere percepito". E' Dio la causa della realtà naturale, tutto ciò che vediamo e tocchiamo è solo la Sua Idea calata nel mondo. Detta in altre parole, anche le pagine di Repubblica che stiamo sfogliando non esistono materialmente e nella realtà materiale non esistono Tarquini stesso, con le sue braccia, le sue gambe, il suo cervello (l'ultima cosa, a ben pensarci, non dovrebbe stupire più di tanto).
Prima di continuare la lettura cerchiamo di abituarci a queste due rivelazioni che da ora in poi cambieranno completamente il nostro modo di guardare al marxismo. Ripetiamole: Marx era un liberal e credeva nell'Idea (o Spirito) come origine della materia.
Digerite queste due prime scoperte, con più difficoltà del cotechino mangiato a Natale, con la testa che ci gira vorticosamente, proseguiamo, quasi timorosi di cosa possa aver scoperto di ancor più clamoroso l'inviato speciale di Repubblica in Jaegerstrasse, a Berlino.
Un Marx anti-politico
Come in un crescendo rossiniano, Tarquini ha tenuto il colpo di cimbali per il gran finale. Siete pronti? "Karl [così lo chiama il giornalista, esibendo una antica consuetudine, ndr] aveva rinunciato alla politica, annotava la sua fiducia nel libero dibattito e confronto tra idee e forze politiche." Di più, aggiunge Tarquini, quella "fitta rete di scambi epistolari internazionali" che fino ad oggi si pensava fossero necessari a Marx ed Engels per costruire il partito internazionale della rivoluzione erano in realtà "il primo social network".
Dunque un Marx non solo liberal e idealista ma anche disinteressato alla politica e proto-utilizzatore di facebook e twitter...
I più impertinenti tra voi si chiederanno, a questo punto, quanto Repubblica paghi un inviato a Berlino che riesce a scrivere tre pagine tre su Marx senza aver mai letto (gliene va dato atto) un solo rigo di Marx. Ma a noi la domanda sembra mal posta perché non c'è nulla di banale in questo articolo. Anzi, ora non ci appare più banale neppure quel sottotitolo dell'articolo di Tarquini che inizialmente avevamo preso per la solita litania, quel richiamo alla nota frase di Marx, quel suo ironico "Tutto quello che so e che non sono marxista", con cui il grande rivoluzionario si difendeva profeticamente dalle interpretazioni à la Tarquini. Pensateci bene. Non vedete il diverso significato che assume quella f
rase, riletta adesso, dopo aver appreso le tre rivelazioni di Tarquini (che sono tre come i misteri di Fatima, non a caso rivelati dalla Madonna a tre pastorelli nel 1917, quando i marxisti russi, ignari tanto delle rivelazioni di Fatima come di quelle di Tarquini, rovesciavano il capitalismo utilizzando il marxismo)?. Riletta oggi, capiamo fino in fondo cosa intendeva dire Marx e siamo convinti che se Marx avesse potuto leggere il ritratto che gli dedica Tarquini avrebbe ripetuto non una ma cento volte: "Tutto quello che so è che non sono marxista".
Per il resto si sarebbe limitato a una risata omerica. Che è appunto quanto lui ed Engels riservavano a quei filistei (questo il termine poco rispettoso del "libero dibattito" che usavano per i Tarquini dell'epoca, alternandolo ad asino o somaro) ignoranti e idealisti che sono convinti di poter fermare la forza brutale della rivoluzione che li spazzerà via trincerandosi dietro tre pagine di scemenze in corpo 10.

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