sabato 25 febbraio 2012

Articolo 18 principio di giustizie e democrazia

Luciano Granieri


Senigallia,  il comune ha escluso ingiustamente la società “Vettore srl” di Roma dall’appalto per i lavori di ristrutturazione del palazzo della  Gil (Gioventù Italiana del Littorio),   sito da adibire  a museo civico .  La ditta è stata esclusa perché ha consegnato la propria offerta a mano e non a mezzo raccomandata come richiesto dal bando. Un formalismo talmente eccessivo  che il Tar delle Marche ha dato ragione al ricorso della Vettore e ha disposto che il comune di Senigallia indicesse una nuova gara  d’appalto con il “REINTEGRO” della ditta esclusa. Poniamo il caso che la Vettore srl fosse una ditta con più di 15 dipendenti  e che avesse licenziato operai ingiustamente con l’abuso riconosciuto da tribunale. Qualora  fosse abolito l’art.18 i lavoratori esclusi dalla Vettore  non potrebbero essere “REINTEGRATI” nel  loro posto di lavoro. In base a quale norma di civiltà un ditta che ha subito un’ingiustizia nel concorso dell’attribuzione di un appalto  può e deve essere reintegrata  per rientrare nella gara e invece un lavoratore che è stato licenziato, tanto ingiustamente quanto  la ditta di cui sopra, non può essere REINTEGRATO al proprio posto di lavoro?  La legge dovrebbe essere uguale per tutti  E’ sacrosanto che un’azienda interdetta ingiustamente dall’eseguire un’opera  possa, una volta riconosciuto il torto, essere REINTEGRATA, come è sacrosanto che un operaio licenziato ingiustamente possa tornare a svolgere il proprio lavoro. Perché lo stesso  principio di giustizia applicato ad una azienda è legittimo e applicato ad un lavoratore  dovrebbe costituire  un freno per gli investimenti produttivi nel nostro Paese?  Ci rendiamo conto che in base a questo ragionamento  si ammette, o meglio, si certifica  che chi vuole investire in  Italia deve poter  pretendere  delle impunità delinquenziali?   E’ una evidenza talmente palese per cui  sarebbe doveroso  che sindacati, partiti della sinistra  la difendessero strenuamente.  Qualcuno potrebbe obbiettare che tale smembramento di tutele ci è stato imposto dalla Bce e dunque, essendo necessario  uniformarsi ai dettami delle istituzioni economiche europee, è fondamentale adeguarsi. Ma se le istituzioni economiche europee sono dirette dalla peggior feccia di sfruttatori e delinquenti, gente che non ha scrupolo a gettare sul lastrico milioni e milioni di persone, vedi la Grecia,   pur di salvaguardare la loro rendita finanziaria e quella dei loro sodali, va da se che  il discorso sulla legalità di certe pratiche è da contestare e da combattere aspramente senza se e senza ma . Del resto il principio di giustizia contenuto nell’art.18 è suffragato da una giurisprudenza infinita. Solo per citare l’ultimo e più eclatante caso, la Corte d'Appello di Potenza, nell'udienza del 23 febbraio 2012, ha condannato la Fiat Sata di Melfi  per comportamento antisindacale in merito al  licenziamento di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, iscritti alla Fiom-Cgil. La sentenza obbliga Fiat al reintegro dei tre lavoratori sul proprio posto di lavoro . Fondamentalmente molti, se  non tutti i lavoratori, vittime di licenziamento  da parte di grandi aziende , e in particolare FIAT, hanno avuto riconosciuto il diritto al reintegro perché il loro licenziamento è  evidentemente avvenuto senza giusta causa. Tanto è lo spregio alle regole della giustizia e della democrazia determinato dall’accondiscendenza che istituzioni nazionali e sovranazionali  mostrano  verso le multinazionali e il capitale finanziario, che il cerbero Marchionne, non curante di una sentenza emessa da un tribunale, ha intimato ai tre lavoratori reintegrati  di rimanere a casa nonostante tutto. Ovvero la multinazionale italo-americana FIAT si è sottratta al rispetto della sentenza che la vede condannata. Poniamo  un altro paragone. Se un condannato agli arresti domiciliari  scappa da casa, una volta catturato, paga le conseguenze del fatto di non aver rispettato una sentenza emessa a suo carico. Perché la FIAT, può permettersi di  non  pagare dazio  a seguito del non rispetto di una sentenza emanata  a suo carico?  Tutto ciò per affermare il principio che la difesa dell’articolo 18 non è solo una caposaldo forte della lotta di classe, diventa anche il baluardo per la difesa di principi di giustizia e democrazia. Principi che dovrebbero essere difesi non solo dalla classe operaia e dai sindacati, ma dalle istituzioni statali e giuridiche. Se ciò non avviene , ossia se i lavoratori non vengono tutelati né da chi deve difendere il loro diritti sul posto di lavoro  , né da chi deve assicurare a  loro e a tutto il popolo il rispetto della giustizia e della democrazia, veramente non rimane altro che la lotta ad oltranza. Pensiamoci e ORGANIZZIAMOCI.




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