Definire il governo Monti in funzione della sua classe di appartenenza è fin troppo agevole: provenienza dei componenti, gruppi sociali che lo sostengono, scelte politiche effettuate non lasciano spazio a sottigliezze, nemmeno se si volesse in malafede sostenerne un'equidistanza, già di per sé iniqua, nel distribuire sacrifici e tutele fra classi diverse con evidente diverso livello di autoprotezione. Tuttavia, causa l'indicibile situazione di putrefazione sociale ed istituzionale da cui proveniamo dopo un ventennio o quasi di sciagura, molti hanno tirato un sospiro alla sua nomina, sentendo che qualsiasi cosa sarebbe stata un progresso rispetto al balletto di clan e caste cui ci eravamo tristemente sottomessi. Lo si può comprendere; ma ora bisogna superare questo stato di grazia surreale e farsi carico di responsabilità civili urgenti. Meno miti e più chiarezza.
Le dichiarazioni offensive (e i provvedimenti vessatori) che molti dei componenti di questo governo distribuiscono giornalmente ai lavoratori italiani ed europei non vanno contrastati con risposte che lasciano il tempo che trovano, ma con dati e letture della situazione reale che spiegano molto meglio di qualsiasi slogan cosa sta succedendo. Se i ministri Fornero e Cancellieri chiosano sul valore del posto fisso come lusso o addirittura come vizietto (il posto vicino a mamma e papà è davvero, come dire, una cretinata), se Martone definisce sfigato chi non gode dell'opportunità di essere figlio di un magistrato della P3, se il Sen. Monti stesso storce il blasonato naso di fronte alla seccatura di una vita di lavoro stabile, qualcosa ci sarà che lega tutto questo.
E allora bisogna guardare più in là, vedere cioè quale effetto nascondono le tesi che lorsignori inoculano nelle teste dei subalterni per convincerli che il loro ruolo di pagatori, questo sì stabile e progressivo, sia non solo ineluttabile, ma anche virtuoso. Quando costoro ciarlano di "salvare il Paese", a noi viene in mente direttamente in concetto di "salvare le banche", mentre quando parlano di distribuire i sacrifici, ci assale un brivido e ci si parano davanti prospettive lugubri di nuove privazioni, di nuove incertezze, di nuovi arretramenti delle nostre possibilità civili. Facciamo un esempio piccolo piccolo: la Fiat ha avuto dal precedente governo, con la complicità di parte delle opposizioni, un sostegno aprioristico e acritico quando non apertamente impegnato per le sue scelte antioccupazionali, antinazionali (se ancora ha un senso), antisociali. Atteggiamento non corretto ma anzi consolidato dal presente esecutivo e dalla quasi totalità del Parlamento che ora ha anche la foglia di fico dietro cui celarsi. Dovevano venire investimenti miliardari da parte del Lingotto a sostegno della riqualificazione della produzione italiana, e quindi (sempre questi maledetti due tempi!) una espansione dell'occupazione reale. Intanto che tutto questo non accade, gli azionisti si sono divisi altri 240 milioni di utili, e brindato al successo dell'Operazione Marchionne ed al lenimento delle loro preoccupazioni per la recessione. E lo hanno ringraziato con un piccolo cadeau, un presente per dirgli quanto gli sono grati: 50 milioni in azioni del gruppo, che per la vecchiaia fanno sempre comodo ad uno che non gode delle protezioni dell'art. 18 e della pensione. Ma non si era detto che si stavano distribuendo i sacrifici? O Marchionne e soci sono esentati perché tutti residenti all'estero?
Adesso tutti diranno che non è così, che i problemi economici sono di altra origine, che Monti ed i suoi sono tutti profesisonisti di altissimo valore, e così efficientando. Ma intanto, quali che siano le ragioni della crisi, loro si dividono i milioni e noi i balzelli.
Tornando al governo e senza voler fare paragoni inappropriati, ma solo per chiarire il concetto, anche Mastro Titta era un professionista di alto valore, le cui capacità erano riconosciute ed apprezzate; tuttavia chi veniva assoggettato ai suoi provvedimenti di rado se ne compiaceva.
Nessuno dubita delle qualità professionali di questi ministri e sottosegretari (salvo qualcuno, ma non fa statistica); però la capacità professionale non coincide per forza con l'affidabilità sociale delle persone, e non sempre per malafede. Noi non crediamo che Monti, Fornero, Cancellieri, Di Paola e tutti gli altri ce l'abbiano con i lavoratori perché malvagi o perché moralmente discutibili. A parte qualcuno, sono tutte figure di alto valore, solo che hanno un punto di vista che non coincide con gli interessi generali ma con quelli del sistema, ed è un sistema che ha prodotto quello che oggi ci toglie il sonno. Questo governo non va giudicato sulla base dell'onestà, della professionalità, dell'interesse personale: esso va invece valutato per la sua collocazione sociale, che è tutta e solo dalla parte del padronato (imprese è un eufemismo ad alta digeribilità, come ognun si avvede), in specie di quello più terrificante, quello finanziario. Questo merita una risposta tutta di classe, perché i lavoratori non siano per l'ennesima volta i becchini di sé stessi, ruolo che invece secondo Karl Marx spetterebbe proprio al capitalismo.
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