venerdì 27 aprile 2012

Violenza e manganelli, altro che premio di produzione

Lucia Fabi,  Angelino Loffredi

Ricordiamo che il 4 febbraio 1962 le organizzazioni sindacali insieme agli operai del saponificio concordarono di sospendere lo sciopero per poter approfondire meglio i contenuti del contratto nazionale sottoscritto il giorno prima a Roma.
Una sospensione saggia, prudente e responsabile per non compiere errori. Il tema fondamentale riguarda l’istituzione del premio di produzione. Un elemento nuovo nel rapporto fra impresa e lavoratori. L’accettazione da parte dell’azienda non dovrebbe rappresentare un problema visto che un autorevole rappresentante della società, il dottor Carlo Martini, all’inizio di febbraio annunciasse la disponibilità, una volta sottoscritto il contratto nazionale.

Ancora una volta le cose non vanno come dovrebbero andare. Si ricomincia a trattare presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro di Frosinone, ma il commendatore ad ogni incontro nel momento decisivo compie sempre un passo indietro.
Si arriva così al 25 aprile quando alle ore 22 la CGIL e la CISL, dopo aver verificato che l’imprenditore si rifiuta di discutere l’istituzione del premio di produzione, proclamano lo sciopero. E’ opportuno arrivati a questo punto vedere meglio la situazione dell’impresa: nel dopoguerra ha incamerato dallo stato circa 200 milioni di lire come indennizzo per danni subiti durante la guerra; la fabbrica si estende su un area di 50.000 metri quadrati, di cui 30.000 coperti; il lungo periodo di salari bassi ha dato la possibilità di apportare alcune importanti innovazioni tecnologiche. Ha, inoltre, aperto nuovi impianti per la lavorazione e la vendita di copra, farina di cocco, mangime e glicerina. Dal 1955 è il primo produttore italiano di sapone secco e fornitore unico dell’Esercito. Nell’interno del Governo gode di chiare e ostentate protezioni politiche: Augusto Fanelli, Pietro Campilli e Giulio Andreotti. Nell’azienda lavorano 537 operai e 21 impiegati. Il dato veramente significativo consiste nell’aver chiuso il bilancio 1961 con 7 miliardi di lire di utile. Antonio Annunziata è consapevole che tale situazione si protrarrà ancora per tanti anni per cui accettare il premio di produzione per il 1962 significa precostituire un riconoscimento anche per gli anni successivi. La ricchezza prodotta non può essere divisa con nessuno. Neanche in termini irrisori.

Lo sciopero una volta proclamato presenta, però, anche alcune situazioni di grandi difficoltà: 50 operai non aderiscono e rimarranno giorno e notte in fabbrica. Nello stesso tempo attorno ad Annunziata scattano tanti piccoli e grandi meccanismi di protezione. Nessuno verifica le condizioni igienico-sanitarie esistenti dentro la fabbrica. La polizia che presidia i cancelli della fabbrica permette che gli automezzi vi entrino  per poter caricare il sapone, e così anche l’automezzo del ristoratore che una volta al giorno porta i viveri. Inoltre vengono assunti durante lo sciopero sei persone e costoro raggiungono il posto di lavoro trasportati dai carabinieri.
Gli operai in lotta non si arrendono, godono di un sostegno dell’intera città, vengono aiutati finanziariamente dagli operai delle fabbriche della provincia, i commercianti sono immediatamente disponibili a fare credito. Anche l’unità politica è salda. Il Comitato cittadino lancia lo sciopero di solidarietà cittadina per mercoledì 16 maggio. La manifestazione, per evitare provocazioni della polizia, si deve tenere a cominciare dalle ore 10 nella parte alta della città, su Piazza venticinque luglio. Tutti gli ambulanti, considerato che è di mercoledì, unanimemente aderiscono allo sciopero, i commercianti locali lasciano abbassate le saracinesche.
Mentre la piazza si va riempiendo, alle 9,40 il sindacalista Malandrucco e alcuni operai che presidiano notano che dentro la fabbrica due camionisti della ditta Nicola Turriziani stanno caricando le scatole di sapone sopra i camion. Si tratta della solita, quotidiana razione di illegalità riservata alla città di Ceccano. Il sindacalista e altri operai si agitano, insultano e si avvicinano ai cancelli, chiedono ai poliziotti di intervenire. Ovviamente costoro se ne guardano bene.
A tanti anni di distanza è difficile quantificare quanti fossero, sicuramente non più di venti, tanti infatti erano coloro che normalmente formavano il picchetto, anche perché in quei minuti l’appuntamento per tutti era nella parte superiore della città. Pochi operai, dunque, ma sufficienti a far muovere le forze di polizia. Il Vice questore Grilli, forse, non aspetta altro e da ordine ai commissari Gianfrancesco e Mansiero di far sgomberare il piazzale antistante i cancelli. Gli operai non arretrano. Il Commissario più anziano indossa la fascia tricolore e dopo aver intimato lo sgombero ordina di  suonare la tromba come segnale della carica che arriva immediata. Non sono solo i poliziotti che si muovono manganellando, ma si mettono in moto anche le camionette che fanno sentire le sirene. Gli operai sotto un’eccezionale forza d’urto arretrano, ma non si fanno prendere dal panico. Le sirene suonano, le camionette incominciano a fare i caroselli e dalle stesse si manganellano tutti i presenti che si trovano nelle vicinanze di Piazza Berardi. In questo momento vengono brutalmente fermati 4 cittadini e portati dentro il saponificio e qui sono brutalmente picchiati. Avanti i cancelli, nelle vicinanze della fabbrica non c’è alcun operaio. Non esiste alcuna preoccupazione per l’inviolabilità della fabbrica, i poliziotti e jeep invece continuano a colpire fino dentro il centro storico, al bivio di via Gaeta e fino alla zona Borgata. Com’era già avvenuto nella carica del 7 novembre, il suono delle sirene non mette paura anzi stimola, eccita, invita a rispondere e diventa una chiamata alle armi. Dalla parte alta, coloro che si trovano in piazza corrono verso la zona ponte, attraverso le tante stradine del centro storico, sembrano tanti rivoli di acqua che si ampliano sempre più e che su Piazza Berardi si allarga fino a diventare un fiume in piena.
Sulla riva destra del Sacco l’imprenditore Nestore Evangelisti sta costruendo due fabbricati di notevoli dimensioni. Gli operai e tanti altri cittadini indignati per tanta ingiustificata prepotenza impugnano tanti pezzi di ferro, sbarre di legno e pietre. Prima viene istallato uno sbarramento per fronteggiare l’urto della polizia. Le camionette vengono affrontate, qualche operaio riesce a salire sulle stesse. Poi quando la piazza si riempie ancora di più la barricata diventa mobile, la polizia arretra mentre incominciano a volare sassi che colpiscono con precisione i poliziotti. I rapporti di forza sono modificati. La polizia dopo due cariche è costretta a rinchiudersi nel saponificio. Pur essendo arrivate a Ceccano tutte le forze esistenti nel territorio provinciale, la polizia è in difficoltà, si sente assediata.
Dalla parte superiore del paese scendono il sindaco Bovieri, altri amministratori e sindacalisti. Il questore Tagliavia fa entrare tutti nella fabbrica e apre la discussione mentre fuori regna un clima silenzioso e teso. Chiede al primo cittadino di  impegnarsi per convincere la popolazione a rimuovere l’assedio. In risposta il Sindaco  chiede di liberare i fermati. La trattativa va avanti a fatica: alle 13 viene liberato prima l’operaio Angelo Mizzoni, alle 14,30 il barbiere Fiore Ciotoli, alle 15 Vincenzo Maura, ritornato da pochi giorni dal Venezuela e Giovan Battista Masi, operaio, e più tardi ancora Arnaldo Brunetti. Ogni volta che uno dei fermati usciva dai cancelli si udivano applausi e grida di gioia, che lasciavano trasparire tanta soddisfazione. Il Sindaco e gli altri contribuiscono a normalizzare la situazione, la tensione si allenta. Gran parte dei presenti ritorna a casa.

Si contano anche i feriti: fra gli operai Giovanni Funari si trova ricoverato presso l’Ospedale di Ceccano per ricevere 6 punti di sutura alla gamba. Ne avrà per nove giorni.
Risulta essere più penalizzante la situazione fra le forze dell’ordine: presso l’Ospedale di Frosinone vengono ricoverati i carabinieri Mario Campagna e Leonardo Selvaggi insieme ai poliziotti Cesare Migliozzi e Giuseppe Lombardi mentre i poliziotti Giuseppe di Franco, Giorgio Martignano, Michele Rizzo, Giorgio Germano Belli e Nicola D’Andrea vengono curati e rimandati a casa.
Ma non è finita: lacrimogeni, poliziotti e carabinieri attivamente impegnati, jeep, manganellate ed una forza d’urto inusitata non sono stati in grado di piegare i cittadini, anzi risultano esserci fra le forze dell’ordine tanti feriti e poi c’è la vera e grande mortificazione del  vero e proprio assedio, dove la forza dei militari è stata messa in discussione. Un Questore costretto a chiedere aiuto al Sindaco e trattare con lo stesso il rilascio dei fermati. Tutto questo non può passare inosservato. Alle già tante forze dell’ordine presenti in Ceccano se ne aggiungono altre. Alle 18, infatti, proveniente da Roma, inviato dal Ministro della Difesa arriva un battaglione della VIII brigata mobile. A tanti anni di distanza verremo a sapere che costoro sarebbero stati a disposizione del Generale De Lorenzo per portare avanti nell’estate del 1964 il piano Solo. Sono carabinieri comandati dal Tenente Colonnello Mambor. Arrivano con otto automezzi e vengono accolti con tanti fischi. Non stazionano fuori i cancelli ma entrano dentro la fabbrica. Non debbono avere contatti con i cittadini, non debbono essere contaminati dagli argomenti degli operai. In quei giorni si diceva che i poliziotti, essendo stati troppo a contatto con la gente comune, non avessero  dimostrato durante gli scontri la necessaria durezza e cattiveria.
I volti dei nuovi arrivati manifestano tanta rabbia e lasciano trasparire una volontà di vendetta per riscattare l’affronto subito.

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