martedì 22 maggio 2012

Grilletti

Giovanni Morsillo


Populismo: è la parola più usata ed abusata di questa tornata elettorale. Non che sia nuova, ma stavolta ha assunto la funzione di barriera, peraltro assai inconsistente, contro il consenso montante ai candidati del movimento di Beppe Grillo. E di populismo ce n'è a bizzeffe nei suoi comizi-show, dagli insulti da caserma alle maggiori cariche istituzionali fino al miscuglio indefinito di geniali banalità servite in contenitori assai opachi dove tutto fa insalata. Ambiente, disoccupazione, corruzione, informazione, tutto un brodone senza capo né coda, che sguazza nella confusione, la accresce e se ne nutre. Fin quando dura, sarà il nuovo mantra del maldestro "rialzare la testa", la farsa di un nuovo che avanza, ma che in realtà non muove un passo dal vecchio lamentoso "dagli all'untore" cui siamo abituati dalla storia di tutte le repubbliche che abbiamo attraversato. Era già successo con la Lega, ci hanno messo una ventina d'anni (sempre questo Ventennio, fosse un problema di cabala?) ma sono crollati su sé stessi.
Non che le classi dirigenti che si sono succedute non meritino il ludibrio, anzi! Ma esse vanno combattute e possibilmente battute proprio per difendere le istituzioni che hanno occupato ignobilmente e farle funzionare secondo gli scopi per cui furono ideate, non per demolirle e sostituirle con le chiacchierate e le invettive via web. Ma cosa farà il Movimento lo vedremo, non è questo il punto oggi, checché ne pensi Rosy Bindi.
Quello che importa adesso è fare il punto sullo stato dell'arte, non tanto per fotografare quanto accade nel corpo elettorale (che poi corrisponde ai contirbuenti, ai lavoratori con o senza lavoro, ai genitori degli studenti, ai figli degli anziani abbandonati, ecc. ecc.) quanto per capire se i relitti oggi aggrappati ai seggi parlamentari, alle segreterie di partito, alle dirigenze locali e nazionali dello stato e dell'economia abbiano chiaro il rischio.
Vogliamo essere chiari: Beppe Grillo è un matto, un guitto della migliore tradizione (Dario Fo ci ha insegnato a declinare questi termini nella loro accezione più nobile, e così li pensiamo per Grillo); un comico simpatico che imita i politici millantando di essere il nuovo mentre ripete le stesse cose da oltre quarant'anni. E' un matto, quindi, ma un matto buono, divertente, non è un violento né un golpista. Ma i suoi elettori, da quanto si sente in giro (dagli analisti, ovviamente, non dai giornali a pagamento) lo votano (anche) perché abbondantemente esausti da decenni di spettacoli idecenti e a caro prezzo che la "vecchia" politica ci ha propinato e obbligato ad ingerire. Non solo voto di protesta, certo, ma speranza in un cambiamento , magari radicale quanto indefinito nei "programmi" (?) del genovese arrabbiato. Fra la speranza e la fiducia ce ne corre, certo, e una delle differenze principali è la partecipazione, che ovviamente è cosa diversa dalla delega. Chissà quanto durerà il grillismo, visto che sta crollando l'ambiente stesso in cui è nato, non potrà cioè approfittare come la Lega o il  berlusconismo del terreno di coltura costituito dal sistema stesso che dicevano di voler rivoltare e soprattutto delle risorse che quel sistema metteva a disposizione.
Ma la domanda ancora più rilevante è: se invece del simpatico sfasciacarrozze genovese venisse fuori qualcun altro con tendenze più concrete, uno che magari potesse godere di appoggi in parti dello Stato e della sicurezza che in passato tanto fecero per cambiare l'ordine costituito in senso autoritario, qualcuno cioè in grado di offrire una scena di ordine e disciplina più attraente della farsa di cui sopra, siamo sicuri che non otterrebbe non solo la forza, ma anche i consensi popolari necessari al suo progetto reazionario? Quanto si sentivano sicuri gli italiani nel 1922? e i tedeschi nel 1933?
Quel che resta dei gruppi dirigenti dei partiti democratici, dovrebbe avere la preoccupazione di leggere questi aspetti delle frane elettorali, compreso l'astensionismo, e mettere in moto processi di reale rinnovamento, non solo degli uomini ma delle politiche, ossia dei metodi, ritrovando la capacità di rischiare promuovendo la partecipazione, il protagonismo dei cittadini, la rappresentanza al posto del leaderismo. Non c'è da sforzarsi per avvicinare la politica alla gente: bisogna, ed è urgente, restituire la politica alla gente, farla decidere.
La sensazione, invece, è che si tenti nuovamente di affrontare il problema sul piano del marketing, non a caso Alfano ha già sparlato di "nuova offerta politica". Che lo faccia lui, che è figlio dell'ideologia mercantilista, non stupisce. Se gli vanno dietro quelli che dovrebbero proporre l'alternativa, è la rovina.
 
Saluti svegli

1 commento:

  1. Ragazzi, ve l'ho detto in tempi non sospetti: quando il Popolo si muove bisogna andare a vedere, non trincerarsi dietro le proprie convinzioni, giuste o sbagliate che siano. Anche perché, quando il Popolo si muove, le guide se le sceglie tra quelli che trova sul posto: se voi non ci siete, che cazzo vi potete aspettare? Che il Popolo vi venga a cercare a casa?

    Che senso ha fare l'analisi del sangue a Beppe Grillo, e ignorare le ragioni che hanno spinto migliaia e migliaia di attivisti in tutta Italia, per anni, a darsi da fare?

    O credete che il successo del M5S sia solo il frutto di una campagna di marketing? Sveglia compagni! Meno spocchia e muovere le chiappe! Andate in mezzo al Popolo che si è messo in movimento. Per andare dove? E chi lo sa? Che ne dite di andarglielo a dire, o a chiedere, invece di continuare a fare la parte di quelli che sanno già tutto, hanno capito tutto, e "se non si fa il comunismo allora sono fascisti"? SVEGLIA!

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