venerdì 16 marzo 2012

siamo tutti qui

Giovanni Morsillo


Abbiamo lasciato trascorrere un tempo sufficientemente lungo e accumulare un quantitativo sufficientemente consistente di provvedimenti che consentisse un giudizio concreto e non un pregiudizio sulla situaizone politica generale del Paese. Al di là del Presidente Monti e dei suoi ministri, dei quali ognuno sa la provenienza, la formazione, l'appartenenza sociale, le inclinazioni culturali. Quello che emerge, e di cui alcuni dei principali capi politici si vantano, è una sostanziale ed effettiva omologazione degli interessi rappresentati nelle istituzioni, cosa che consente oggi di fare e disfare le regole dello Stato e dell'economia, ossia delle condizioni materiali di vita delle persone, sia quelle perbene che quelle finora considerate fuorilegge.
Il tempo trascorso dalla nomina di Monti, che sancisce non solo formalmente il passaggio da una democrazia rappresentativa (già in mora e sterilizzata precedentemente) ad un regime tecnocratico, che vuol dire che non si confrontano più idee diverse di società, ma solo tecniche e strumenti via via preferiti per realizzare l'unica opzione considerata lecita ha confermato le premesse con cui si affacciava alla scena. Insomma, l'ideologia dominante e condivisa da tutti i gruppi dirigenti, quella capitalistica, sgombrato il campo da ipotesi alternative e da una reale partecipazione anche solo consultiva delle masse, si attrezza per affrontare dal suo punto di vista indiscutibile ed indiscusso i nodi funzionali del sistema che sostiene. 
Un esempio chiarissimo - fra i mille altri - è dato dall'esito del vertice di ieri fra i capi del PDL, del PD e dell'UDC, i quali attraverso sfumature che garantiscano i rispettivi interessi aziendali nel mercato elettorale populista, non hanno faticato molto a trovare una sintesi operativa che possa realizzare gli obiettivi di classe di questo sistema. Non fanno certo mistero di condividere l'impianto generale della tesi capitalista, che danno addirittura per scontato, e al massimo discutono sul come. Naturalmente condendo tutto con una generosa dose di retorica democraticista, anche qui usando un linguaggio "nuovo", meno ricco, più asciutto, degno di un'idea efficientista, ammiccante e sbarazzina, che privilegi il risultato sul metodo, che non si faccia troppi scrupoli quando in ballo c'è il succo.
Che i giornali della borghesia titolino oggi che "a Palazzo Chigi ha prevalso la responsabilità" è comprensibile. Però, quel titolo può essere letto anche in un modo diverso: per noi lavoratori è chiaro che costoro siano i responsabili, ma del decadimento della funzione democratica delle Istituzioni! Quale sarebbe infatti il senso di responsabilità di chi si mette d'accordo per accelerare la demolizione dei diritti del lavoro e della società? Di chi, cioè, non spende una parola per ricordare che la precarietà, il caporalato legalizzato oggi ha a disposizione un mostro normativo che consente di utilizzare il lavoratore con assai maggior flessibilità e discrezionalità di una macchina a noleggio? E che nello stesso tempo concorda nuovo terrorismo sociale ai danni dei lavoratori introducendo il licenziamento a piacere dell'azienda, per di più monetizzandolo in puro stile filantropico? 
E' grave, ma è conseguenza logica dei decenni che abbiamo alle spalle, che molti Italiani accettino le tesi della politica responsabile come prova di senso dell'interesse generale, mentre con ogni evidenza serve a rafforzare interessi assai particolari e a trasformare nel contempo la natura stessa dello Stato da democrazia in oligarchia. Questo voler a tutti i costi sostenere che collaborare con l'avversario sia un elemento di maturità fa il paio, ovviamente, con la tesi della fine delle ideologie, in realtà non finite ma abbandonate dai gruppi dirigenti autoreferenziali che hanno occupato il potere attraverso marchingegni elettorali di selezione non rappresentativa.
Terminato il lavoro difficile di porre fine alla rappresentanza, di svuotare cioè di ogni contenuto partecipativo la democrazia, la strada è tutta in discesa: si può procedere spediti, e lo si sta facendo a passo di cavalleria, verso la ridefinizione della Repubblica da solidale e democratica in mercantile e di classe. L'introduzione del pareggio di bilancio obbligatorio a prescindere dalle condizioni egenrali dello sviluppo, insieme alla distruzione dei fondamentali (ossia non rinunciabili, non disponibili, non opzionali) diritti del lavoro quale elemento fondante della libertà dell'individuo e della società, sono una pietra angolare su cui è iniziata l'edificazione del nuovo sistema di relazioni. Non capire questo e continuare ad appellarsi alle illusioni di resistenza che può opporre la parte più avanzata della società (la Fiom, i magistrati, parte degli intellettuali, ecc.) non è solo un errore: è un chiaro sintomo di quello che ha prodotto negli ultimi trent'anni la fine del sistema dei partiti di massa: non nel senso di quelli con milioni di iscritti, ma di quelli dove gli iscritti avevano un ruolo. E questo perché quelle illusioni sono del tutto dentro alla logica della delega, non della partecipazione: l'idea berlusconista secondo cui c'è qualcuno che risolve per te. Qui inizia davvero una Seconda Repubblica, perché qui si cambia la sostanza della Costituzione, per di più senza una Costituente e senza nemmeno il parere del popolo.
Le donne, sempre avanti con il pensiero sociale e con la pratica solidale rispetto alla società nel supo complesso, pur fra mille e una contraddizioni e anche qui con non pochi abbagli, hanno però messo in moto un movimento che hanno chiamato "Se non ora, quando?" Ecco, se non ora, quando? Chi o che cosa aspettiamo per riprenderci il diritto di cittadinanza? Perché non discutiamo di questo nelle sedi politiche invece di attardarci sulla scelta di quale corrente sostenere? Possibile che non si esca dalla concezione leaderistica dell'organizzazione e non si riesca a rimettere i bisogni sociali e delle persone al centro invece dei voti e degli apparati di potere?

Passaggio obbligato

Dante Barontini  http://www.contropiano.org

Con la “riforma del mercato del lavoro” si chiude la pagine gloriosa del movimento operaio del '900.
Nulla di quello che era stato conquistato resta in piedi. In meno di due anni l'offensiva padronale e liberista ha raggiunto obiettivi che sembravano irraggiungibili, se non dopo altri decenni di logoramento delle controparti.
Era scritto nel “modello Pomigliano”, dove per la prima volta il primato dell'impresa sul lavoro veniva esposto e strutturato senza più alcuna mediazione. Chi ha continuato a guardare all'indietro - sul piano storico e strategico - magari conducendo un'onesta battaglia in difesa dei “diritti”, è oggi completamente fuorigioco. Parliamo della Fiom, il più radicato e consistente dei soggetti conflittuali di questi anni, contro cui è lecito attendersi a breve un'operazione camussiana tesa al “commissariamento”. L'esclusione della minoranza dalla discussione in Cgil su “come giudicare” la riforma è più di un segnale: una dichiarazione di guerra senza quartiere, in cui non verranno fatti prigionieri.
Il lavoro non deve avere più diritti né rappresentanza. Questo ci dice l'”accordo” raggiunto al tavolo tra il ministro Fornero e le “parti sociali”, che chiude un'epoca e cancella tre sindacati confederali cambiandone per sempre funzione e ruolo. Per come è strutturata la prassi produttiva in Italia, lo svuotamento dell'articolo 18 – come riconosce anche Sergio Cofferati in un'intervista a il manifesto (“meno autonomia hai nel rappresentare i bisogni e punti di vista delle persone, più difficile diventa l'attività contrattuale”) - distrugge la possibilità del singolo lavoratore di metter bocca su quanto avviene sul posto di lavoro. L'unica attività “sindacale” possibile diventa perciò quella di “servizio d'assistenza”, anello di congiunzione tra le disposizioni dell'ufficio del personale e i minuti bisogni individuali (turni, straordinari, ferie, fisco, ecc).

Non sorprende che questo capitolo sia stato il meno “doloroso” nella cena tra Monti e i tre segretari di partito che lo sostengono: l'adesione ai principi del mercato liberista – o più brutalmente agli interessi dei grandi gruppi multinazionali, banche in prima fila - è tale che certe istanze semplicemente non vengono più considerate, nemmeno strumentalmente, dal punto di vista elettorale futuro. Ai berlusconiani interessava soltanto il completamento del “salvacondotto” già concesso al Cavaliere, con una revisione del reato di concussione che gli permettere di sfangare anche il “caso Ruby”; e di tamponare l'adeguamento “europeo” delle norme contro la corruzione. Al Pd, invece, interessava solo di non essere estromesso defintivamente dalla Rai. A questo è ridotta la “visione strategica” dei più grandi partiti.
Non deve dunque sfuggire la forza costrittiva della “cornice europea”, che detta trasformazioni e riposizionamenti con la brutale evidenza di una “mancanza di alternative”. Bce, Ue e Fmi pilotano le mosse del governo, è vero. Ma sono enormemente facilitati nel compito dal nanismo degli interessi particolari attorno a cui sono aggregati quei tumori impropriamente chiamati “partiti” presenti in Parlamento. È illuminante come il Corsera sintetizzi il punto: “Le esigenze europee dettano ai tre leader un percorso obbligato”. Europa, diktat, direzione, obbedienza. Si ammette qui apertamente che, nell'ordine nuovo europeo, il centro di comando è spostato altrove. E ai “leader” politici nazionali è riservato lo spazio e la funzione di un Quisling, un Karzaj, un Jalil: amministratori locali conto terzi.

Come se ne esce?
Non è tempo di parole grosse sparate con leggerezza. Va reso merito alla Fiom di avere imposto, sui media mainstream, il discorso sulla necessità di un “nuovo modello di sviluppo”, che fin qui era stato patrimonio solo di soggetti politici e sindacali (vedi l'Usb) accuratamente emarginati dal circuito mediatico dominante. Ma questo è un discorso radicale, che rovescia giustamente l'ordine della priorità imposte come senso comune. È un discorso che richiede l'elaborazione di una prospettiva di cambiamento radicale, l'articolazione di un programma di rivendicazioni sociali tale da sollevare, strutturare e orientare momento per momento un movimento politico di massa di lunga durata. Non deve e non può restare una suggestione con cui valorizzare una prassi sindacale – per quanto buona – condannata al confinamento o all'asfissia sul piano strategico.
Il movimento No Debito è solo un primo passo su questa strada. Guai a montarsi la testa e a sopravvalutarne l'influenza, ma è un passo nella direzione giusta. Non dubitiamo che, in questo contesto sociale e politico, troveremo molti compagni di strada disposti a lavorare. Un primo appuntamento è la manifestazione nazionale del 31 marzo a Milano. Ma troveremo anche l'attenzione malevola del potere, come si è visto davanti al Cipe e nei tentativi di sgombero delle occupazioni di case successivi.

giovedì 15 marzo 2012

Lavoratori senza ambivalenze e doppiezze

Lucia Fabi,  Angelino Loffredi

 Tanti operai avevano trascorso la nottata al riparo della tenda “ Giarabub”, la quale ben impermeabilizzata non aveva permesso che la pioggia,  scesa durante la notte  bagnasse i presenti. La tenda era stata collocata ai margini della strada, davanti i cancelli del saponificio, nello stesso posto dove ora è sistemato il monumento che ricorda il sacrificio di Luigi Mastrogiacomo.
Non siamo in grado di riportare con esattezza le dimensioni, possiamo scrivere che la stessa durante i campeggi estivi era in grado di ospitare 20 posti letto, oltre la cucina e il magazzino.
A fianco della tenda gli operai sistemarono una macchina con amplificazione e altoparlante, pertanto, sin dalla mattinata dell’8 novembre sotto la stessa si muoveva e si andava organizzando un vero quartier generale con tavolo e sedie. Si era,quindi, nelle condizioni di discutere con i cittadini e con delegazioni operaie che venivano dalle varie realtà del territorio. L’altro dato veramente significativo da riportare riguarda il fatto che davanti ai cancelli del saponificio lo schieramento di poliziotti e di camionette si era notevolmente ridotto e, a sentire qualche sindacalista, l’atteggiamento dei pochi poliziotti rimasti non era più provocatorio.

Su sollecitazione del Prefetto, Sante Iannone, alle 17, presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro doveva tenersi un incontro fra le parti ma Annunziata, senza addurre alcun motivo, non si presenta.
A fronte di tale ingiustificata diserzione è lo stesso Prefetto a convocare per le 19 in Prefettura Antonio Annunziata e le organizzazioni sindacali. Il Commendatore a questo autorevole invito non può sottrarsi, pertanto, si presenta con puntualità.
Da quello che riporta Luciano Renna su “ Il Messaggero “ del 9 novembre, il Prefetto assume un  ruolo decisivo e ben determinato, infatti entra nel merito della trattativa per fissare il prezzo del premio “una tantum “.
Ricordiamo che nell’ultimo incontro tenuto fra le parti le organizzazioni dei lavoratori avevano chiesto una cifra fra 13.000 e 17.000 lire mentre Annunziata aveva risposto con la somma di 8.000 lire. Posizioni così  lontane avevano portato allo sciopero.
Non siamo in grado di riportare dettagliatamente come si svolse la discussione, possiamo solamente scrivere che  nel momento in cui il Prefetto fissava il prezzo”una tantum “ a 9.260 lire a persona, tale cifra veniva accettata da tutti.
Alle 23 dello stesso giorno presso il Cinema Moderno di Ceccano veniva convocata l’assemblea generale degli operai per discutere l’accordo preso in Prefettura.
In una atmosfera molto tesa, con gli animi accalorati e preoccupati avviene un fatto clamoroso: l’ipotesi di accordo veniva respinta, gli stessi sindacati venivano sconfessati, ma fortunatamente il senso di responsabilità rimaneva integro.

Il Prefetto nella tarda mattinata di giovedi 9, presente Tommaso Bruni vicedirettore dell’Ufficio Provinciale del Lavoro, riconvocò per via telefonica, in Prefettura, le parti. L’incontro dura dalle 12 alle 14,30 e si conclude con un accordo. Dal verbale dello stesso, in nostro possesso, siamo nelle condizioni di riportare che “ il comm. Antonio Annunziata aderendo a proposta formulata dal Prefetto, si dichiara disposto a corrispondere lire 10.000 pro-capite a tutti gli operai, a titolo di indennità una tantum”.
La corresponsione della stessa verrà fatta sabato 11 novembre.
La Società  s’impegna, inoltre,  a computare la giornata di sciopero del 9 novembre in conto ferie. Tutti i presenti, invitati dal Prefetto, sottoscrivono l’accordo. Sempre dal verbale risultano quali sottoscrittori: Antonio Annunziata, assistito da Francesco Galella, Giuseppe Malandrucco per la Cgil, Nicola Sferrazza, per la Cisl, e i membri della Commissione Interna Giuseppe Di Piazza, Luigi Roma e Osvaldo Rocca.
Il nuovo accordo, ovviamente, deve essere esaminato ed approvato dall’assemblea generale degli operai. L’incontro, convocato a voce e con altoparlante istallato sulla macchina che circolava in Ceccano, si tenne  presso il Cinema Moderno e durò dalle17,45 alle 20,45. La sala non riuscì a contenere tutti i presenti. Furono 3 ore di discussione aperte da Malandrucco e Sferrazza per motivare l’accordo. La proposta  immediatamente ricevette contrarietà e grandissime  contrapposizioni. La tensione rimase altissima per tutta la durata dell’ incontro, ma non ci furono atti rissosi. Gli interventi che si susseguirono in modo incalzante ed appassionato furono di Giovanni Iannucci, Giovanni Raimondi, Giovanni Loffredi, Francesco Guarcini, Domenico Tanzini e Antonio Mattone. Sei interventi esposti senza ambivalenze e doppiezze, privi di incertezze, diversi per motivazioni ma tutti convergenti nell’affermare che l’accordo così come era sottoscritto non poteva essere approvato. Il dato che  inequivocabilmente si stava affermando era l’adesione molto estesa ed evidente a tali dichiarazioni.
Negli interventi degli operai si chiedeva che il prezzo del” una tantum “ dovesse fare riferimento a 110 ore di lavoro, intese come risarcimento per le inadempienze contrattuali.
L’assemblea venne chiusa dall’intervento di Nicola Sferrazza che saggiamente non pose ai voti la proposta di accordo, ma prese atto che gli operai dopo tre giorni di sciopero fra violenze, trattative e discussioni interne, non mostravano cedimenti ma al contrario intendevano proseguire ancora la lotta fino all’accettazione delle proposte .

Sbanca la banca

fonte : http://rivoltaildebito.globalist.it

Siamo stufi e abbiamo voglia di metterci in gioco. Le banche sono tra i principali responsabili delle politiche che i governi di tutto il mondo hanno perseguito in questi decenni e che hanno generato la crisi del 2007. Le Banche sono tre volte responsabili della crisi e del crescere del debito pubblico:
- Nei decenni passati avendo promosso insieme ai governi liberisti, alla BCE e all’FMI la riduzione delle tasse per rendite e grandi profitti,
- durante la crisi avendo usufruito di aiuti pubblici mastodontici in tutto il mondo,
- adesso che continuano ad essere aiutate con denaro pubblico in vario modo. Un Esempio? La BCE presta denaro in cambio di titoli delle banche garantiti dallo stato (!) ad un tasso di interesse dell’1% e reinvestito dalle banche nel debito pubblico a tassi da strozzini. Nessun beneficio invece per i privati cittadini. Gli aiuti e il denaro pubblico sembrano esistere solo per le banche.
Tutto ciò non fa che aumentare la crisi, il taglio dei servizi, dei salari e delle pensioni per sostenere le banche e i profitti continuano a deprimere l’economia, alimentando la spirale del debito. La Grecia ha dimostrato che l’effetto dell’austerity è stato un aumento di circa il 50% sul pil del debito pubblico. I Tagli ai salari e allo stato sociale aggravano la crisi del debito, questa è la più semplice delle verità.
L’alternativa c’è e si chiama Audit. Il non pagamento del debito attraverso un processo di auditoria, analisi e ristrutturazione controllato dai cittadini, che decida quale parte del debito è legittimo e quale si è costituito solo al fine di favorire l’interesse privato (Banche e non solo) con nessun vantaggio per la collettività. Il non pagamento del debito va associato alla pubblicizzazione del sistema finanziario e bancario, unico meccanismo che permetterebbe un reale controllo dei cittadini sullo strapotere di questi colossi. L’audit e la pubblicizzazione del sistema bancario sono rivendicazioni che crescono nei movimenti sociali in tutto il mondo, Dalla Grecia All’Islanda, Dagli Indignados spagnoli al movimento Occupy negli Stati Uniti. Solo attraverso i movimenti possiamo vincere. La campagna “sbanchiamo le banche” vuole rafforzare, diffondere e suscitare una vera e propria rivolta contro il debito e le banche private. Per questo vogliamo iniziare a boicottarle, chiudendo i nostri conti correnti. Un’azione concreta, un granello di sabbia che vuole divenire valanga, movimento contro il pagamento del debito, incontrando e rafforzando le lotte di chi prova a resistere alla crisi.
E’ efficace togliere i soldi alle banche?
Se fatto in tanti anche una piccola cifra può colpire pesantemente i profitti bancari. Un esempio? Gli occupati italiani sono circa 22 milioni, se togliessimo 591 euro a testa alle banche l’ammontare complessivo del prelievo sarebbe di circa 13 miliardi, pari agli aumenti di capitale necessari al sistema bancario e previsti per l’anno in corso. Se “solo” aderissero 3 milioni di cittadini/e alla campagna la media necessaria sarebbe di circa 3500 euro a testa. Insomma con uno sforzo non enorme il danno sarebbe consistente.
Dove mettere i soldi?
Lo diciamo subito, La banca che vogliamo, pubblica e democratica non esiste, è una nostra rivendicazione che vogliamo perseguire. Ma l’obiettivo è innanzitutto colpire il cuore del sistema bancario privato e per far questo esistono alcune pratiche parziali e contradditorie ma a nostro
avviso efficaci.
1) L’alternativa più semplice è portare una parte dei propri risparmi a casa, anche pochi centinaia di euro farebbero la loro parte.
Se hai qualche risparmio in più e vuoi chiudere il conto si tratta di trovare un nuovo luogo dove depositarli.
2) conto corrente su poste: Poste italiane è una Spa, in quanto tale ha metodi di gestione privatistica e andrebbe ripubblicizzata, però è ancora al 100% proprietà del ministero delle finanze. La legge 27 dicembre 2006, n. 296 all’ Art. 1 prevede che *“i fondi provenienti da raccolta effettuata da Poste Italiane Spa per attivita' di bancoposta presso la clientela privata ai sensi (…) sono investiti in titoli governativi dell'area euro”* come confermato dalla relazione della corte dei conti datata 2011. Spostare i soldi su Poste è un primo passo per rivendicare una banca pubblica che faccia gli interessi della collettività e nell’immediato è utile ad abbassare l’onere dei titoli di stato.
3) La banca pubblica una volta esisteva. La cassa depositi e prestiti serviva a dare credito agevolato a tutti gli enti pubblici. Nel 2003 la sua trasformazione in ente privato, pur a maggioranza pubblica, ha chiuso il rubinetto del credito agevolato e ha spinto alcuni comuni a rivolgersi ai derivati provocando voragini finanziarie pagate dalla collettività. E’ un esempio di ciò che chiamiamo debito illegittimo. E’ un esempio della necessità di una banca pubblica. Vogliamo che cassa depositi e prestiti torni alle sue funzioni originarie e sia lo strumento per ripubblicizzare l’intero sistema bancario. I soldi dei vecchi libretti postali vengono girati a cassa depositi e prestiti. Altra possibilità su cui ragionare, se associata ad una campagna specifica di ripubblicizzazione di CDP che oggi, oltre a essere ente di diritto privato è anche per il 30% in mano alle fondazioni bancarie.
4) Esistono piccole esperimenti e discussioni di gruppi di cittadini che si associano per costruire un circuito di credito autogestito. Piccole esperienze che ci sembrano una strada utile da sperimentare sul modello di altri tentativi (come i Gas- gruppi di acquisto solidale) che hanno il grande valore di dimostrare e far intravedere una via alternativa e democratica di organizzazione economica

Queste sono solo alcune possibili pratiche per danneggiare il cuore del sistema bancario . Ma intanto iniziamo a sbancare le banche a partire dai colossi Unicredit, Intesa, MPS, BPM, MedioBanca, a cui vanno aggiunte tutte le banche straniere che agiscono in Italia. Tutti colossi che stanno aumentando i propri profitti proprio grazie ai debiti pubblici pagati togliendo soldi e servizi ai cittadini.
Quale piattaforma rivendicativa?
Sbancare le banche per noi è un’azione concreta ispirata a una piattaforma rivendicativa aperta perché vogliamo metterla a disposizione della discussione di chi aderirà alla campagna. Vogliamo però partire da alcuni punti che ci sembrano essenziali:

■Il blocco di tutti i licenziamenti dei lavoratori e delle lavoratrici del settore bancario

■Blocco del pagamento degli interessi sul debito e apertura di una commissione di Audit che organizzi e determini la ristrutturazione del debito Italiano

■Pubblicizzazione del sistema bancario e finanziario, associato a meccanismi di controllo dei lavoratori e delle lavoratrici del settore e dei cittadini sull’utilizzo dei propri risparmi

■Introduzione di una patrimoniale che permetta il rilancio della spesa sociale e degli investimenti pubblici utili a partire da Sanità, scuola, ricerca, pensioni e ambiente

■Taglio drastico delle spese inutili e dannose, dalle spese militari agli sprechi della politica, dalla Tav al ponte sullo stretto e il loro utilizzo ai fini di promuovere la giustizia sociale, la lotta radicale alla precarietà del lavoro, la riconversione del sistema energetico italiano.



sfarfallarsi

Giovanni Morsillo

Quando frequentavamo le scuole elementari la nostra maestra, severissima gendarme di altra epoca, scorgendo qualcuno di noi timidi alunni (allora gli alunni erano purtroppo timidi, educati all'obbedienza e alla gerarchia) con il naso fanciullescamente per aria a scrutare un immutabile quanto spazioso soffitto, sicuramente immaginando quel soffitto come una prateria o un cielo dove materializzare personaggi ed avventure fantastiche e a colori (la TV era in bianco e nero, "a matita", come diceva un nostro cuginetto), lo redarguiva con un rimprovero misto a sarcasmo, e gli chiedeva con cipiglio di gerarca: "Che fai, guardi le farfalle?"
Il poverino spegneva immediatamente la fantasia, tornava disciplinatamente al suo dovere, e ricominciava a confrontarsi con i problemi di aritmetica e la coniugazione dei verbi irregolari.
Secondo noi, nonostante la nostra maestra sia da tempo scomparsa, non molto è cambiato nel nostro destino. O forse sì, forse si è rovesciato. A pensarci bene, mentre allora lo Stato sotto l'aspetto dell'Istituzione scolastica ci dissuadeva energicamente dal distrarci dai nostri doveri di piccoli cittadini guardando le farfalle, oggi lo Stato stesso (forse non lo stesso Stato, chissà?) sotto le vesti dell'Istituzione televisiva ci distrae dai nostri doveri di cittadini cresciuti offrendoci farfalle da guardare. E sembrerebbe che funzioni meglio di allora, poiché se allora il richiamo aveva effetti che duravano al massimo fino al termine dell'esercizio o del riassunto, oggi invece l'attenzione sulle farfalle è molto, molto più resistente.
E così ci dimentichiamo di studiare, e non studiando ci sfugge l'essenza di un potere che ormai ci sbatacchia come vuole e ci succhia il sangue senza ucciderci (salvo tre-quattromila casi collaterali all'anno). Distratti dalle farfalle non vediamo bene che un governo squisitamente di classe, e della punta più avanzata della classe padrona, viene propagandato per governo tecnico, ossia di ordinaria amministrazione, una specie di commissariamento ad acta, o meglio un governo di tutti per il bene di tutti. Una sorta di medicina buona per qualunque sofferente, anoressici e obesi, stressati e annoiati, vecchi e giovani. E invece, senza nemmeno un gridolino di scandalo, ci ritroviamo questo gruppo d'assalto del grande capitale che mette mano alla Costituzione, alle leggi elettorali, ai diritti sociali (pensioni, lavoro, scuola, ecc.). Inutile elencare ancora una volta le aberranti scelte di lorsignori volte a tenere lo spread dei loro titoli sotto controllo come fosse un miracolo di solidarietà sociale, mentre lo spread fra la nostra vita e la loro si allarga fino a perdere l'orizzonte. Sono cose che, se smettiamo solo un poco di osservare certe farfalle, vediamo con facilità. Ma forse è più difficle da cogliere la protervia, il cinismo altezzoso con cui ci stanno convincendo di essere loro dei benefattori e noi degli inetti, dei parassiti che non possono vivere se non a spese di qualcun altro, e che quindi, forse in fondo non lo meritiamo nemmeno. Ma la loro bontà, nonostante noi si sia gente noiosa fino al punto da auspicare un lavoro fisso, sfigati per essere in ritardo sulle richieste del "mercato", nullafacenti e cattivi esecutori di mansioni, il loro buon cuore ci elargisce comunque "paccate di miliardi". Se le farfalle non avessero invaso soavemente i nostri limitati cervelli, vedremmo che quelle paccate, come auspica e lamenta Confindustria, se saranno tirate fuori, andranno ancora una volta ad impinguare le casse dei poveri imprenditori. E soprattutto vedremmo come la propaganda insulta ogni giorno più ferocemente i lavoratori così da giustificare, se ce ne fosse bisogno, le rapine ai loro danni. Ad esempio, chiederemmo al Ministro Fornero, chi mai le abbia detto che i lavoratori italiani vogliono elemosine, chi le abbia suggerito di stanziare paccate di miliardi per la beneficenza pelosa invece che per creare lavoro vero. I lavoratori non scioperano per avere assistenzialismo, di quello godono abbondantemente le imprese e da sempre. Noi vogliamo lavorare in pace, possibilmente senza doverci ogni giorno e ogni notte arrovellare sulle incertezze del domani. Noi vogliamo costruirlo il domani, non solo desiderarlo, e loro devono sapere che sebbene per i nostri figli non sia facile come per i loro, non vogliamo rassegnarci a vederli randagi alla ricerca di un tozzo di pane. Lo hanno fatto i nostri padri, non vogliamo che lo facciano i nostri figli.
Ma per vedere questo e tutto il resto che c'è dietro, dovremmo seguire il consiglio, anzi l'ordine perentorio, della nostra indimenticata maestra autoritaria, e invece di fissare farfalle magari colorate e sfavillanti ma inutili, concentrarci sui libri della nostra esistenza, prima che anch'essa diventi un cortometraggio in bianco e nero, "a matita".

Saluti svegli.

mercoledì 14 marzo 2012

Paccate bollenti

Luciano Granieri


Fino a quando dovremmo sopportare la protervia di questo governo? Fino a che punto è lecito subire  le prese in giro di infallibili, sobri, fantomatici tecnici i quali, oltre che a toglierci il diritto di campare decentemente,  si esprimono con dileggio verso le loro vittime? Non siamo ancora al disprezzo dei soldati americani che urinano sui cadaveri afghani, ma le frasi sconsiderate espresse dai docenti illuminati e “ammanicati”:  Fornero ,  Martone, e lo stesso Monti,  hanno un uguale valore  simbolico.  Noi non abbiamo bisogno di “PACCATE DI MILIARDI” ma di LAVORO. Non pretendiamo di mangiare gli spaghetti a uffa a spese della comunità; gli spaghetti al caviale da 180 euro a  porzione sono altri a mangiarli. Noi vogliamo semplicemente poter campare quando,  per foraggiare la voracità dei signori degli edge found e delle private bank, ci capita di  essere scippati del nostro sacrosanto diritto al lavoro.  Ciò è quanto pretendiamo. Non siamo accattoni. Non siamo come la grande imprenditoria illuminata italiana tramandata da padre in  figlio che da decenni -  dopo aver contrattato, sopra  e sotto   banco, agevolazioni tributarie per darsi poi ad un’impunita evasione fiscale, dopo aver  sperperato milioni di euro di denaro pubblico   ricevuti   in cambio dell’effimera promessa di creare occupazione -  per rendere ricchi  i propri azionisti - delocalizza  verso lidi in cui c’è carne fresca  da sfruttare e buttare nel tritacarne del liberismo.  Non siamo come onorevoli, senatori, consiglieri, incollati alla propria poltrona che per un solo minuto di presenza  in aula con il casco in mano pronti a scappare  maturano gettoni di partecipazione pari a tre giornate di stipendio di un operaio. Non siamo come quei possessori eterei  (per il fisco) di yacht che non attraccano a Portofino perché la capitaneria di porto locale non riesce ad assicurare il gasolio con le accise agevolate.  Noi chiediamo semplicemente di contribuire con il nostro lavoro alla sopravvivenza della comunità e, una volta raggiunta l’età  che non ci consente più di fornire un apporto efficiente alla causa, chiediamo di avere una giusta pensione, da noi  maturata pagando  fior di contributi, in modo che ci sia consentito di  lasciare il posto di lavoro ai giovani. Crediamo che questo sia un diritto sacrosanto, non un privilegio. E se una casta SPOCCHIOSA di politicanti, finanzieri, nemici del popolo NON LO CAPISCE, è necessario farglielo capire. I sindacati della triplice non sono in grado di farlo. E’ da tempo che CISL, UIL, e anche la CGIL, con l’eccezione della FIOM, limitatamente alle grandi vertenze,  sono diventate passacarte, quando non beneficiarie occulte e conniventi,  della grande casta. Dal momento che non è più tollerabile essere “cornuti e mazziati” bisogna reagire. E’ necessario mettere in campo una mobilitazione seria, non sciopericchi di quattro ore, ma astensioni generali importanti, se possibile, ad oltranza. Bisogna far capire che una società senza lavoro si blocca, non progredisce. La speculazione finanziaria non produce  benessere, ma smisurata ricchezza per i pochi che le praticano e desolante povertà per il resto della popolazione. Non è ancora abbastanza chiaro che l’annullamento dei diritti acquisiti in anni di lotte,  unitao al disprezzo e alla presa in giro che il nostro nemico di classe, il quale  incorpora una buona parte di coloro che  a tutt’oggi si professano ipocritamente dalla parte dei  lavoratori,  determinano una grave sconfitta del nostro blocco sociale?  Non è ancora abbastanza chiaro che tale blocco sociale, l’ex proletariato, ha visto progressivamente inglobare nelle proprie fila, non solo il lavoro dipendente, ma la piccola imprenditoria agricola, manifatturiera e operante nei servizi,  tale che lo stato di povertà e ingiustizia sociale dilagante si sta diffondendo più rapidamente di una virus letale in molta parte della società?  Siamo stanchi di subire e se né sindacati, né partiti istituzionali sono in grado di rappresentarci allora bisogna fare da soli ma questa volta sul serio. Forse si può ancora contare sul sindacalismo di base e sui partiti a sinistra del Pd. Ma è necessario che, soprattutto fra questi ultimi, venga fatta chiarezza. Ciò vuol dire  che Sel, e Rifondazione devono mandare  segnali forti sui loro reali obbiettivi. Segnali che inequivocabilmente devono connotare la loro posizione a fianco dei lavoratori senza se e senza ma, altrimenti certi bei discorsi e narrazioni saranno l’ennesima presa in giro.

Di seguito un antenato della Fornero distribuiva "paccate" di denaro ai lavoratori.





Ma i denari della Fornero si raffredderanno?????

Coltan e Congo

da una segnalazione di Franca Dumano


IL COLTAN, INSIEME DI DUE MINERALI, VIENE IN MASSIMA PARTE ESTRATTO DAL CONGO (CIRCA IL 90% DELLA PRODUZIONE), PAESE RICCO DI QUESTO TIPO DI RISORSE MA RESO POVERO DALLE GRANDI INDUSTRIE CHE SE NE APPROFITTANO.. CI SIAMO DI MEZZO TUTTI NOI PERCHE' COL COLTAN CI SI FANNO TELEFONINI, TABLET, PC, CONSOLE, VIDEOGAMES, ECC...... 



martedì 13 marzo 2012

Precari B.R.O.S. incontrano Assessori e Consiglieri Comunali

Fonte: http://www.napoliurbanblog.com


(Servizio: Daniela Giordano – Video: Carlo Maria Alfarano)
Stamane s’è tenuto un incontro nei giardini antistanti Palazzo San Giacomo tra idisoccupati del Progetto B.R.O.S., che da diciotto giorni sono in presidio permanente, e i rappresentanti del comune. Al tavolo allestito in piazza sedevanol’Assessore Beni Comuni Alberto Lucarelli, l’Assessore alle Politiche Sociali Sergio D’Angelo e i Consiglieri: Alessandro Fucito (Federazione della Sinistra), Vittorio Vasquez e Pietro Rinaldi (Napoli è Tua).
“Il presidio non s’interrompe e continuerà ancora a tempo indeterminato”, ha dichiarato Gino Monteleone dei Precari B.R.O.S., lamentando l’assenza dell’Assessore al Lavoro Marco Esposito.
il Progetto B.R.O.S. – acronimo che sta per Budget di Reinserimento Occupazionale e Sociale – è stato finanziato alcuni anni fa dalla Regione Campania nel tentativo di risolvere i problemi che più di tutti stanno soffocando la città: la disoccupazione e la gestione dei rifiuti. Migliaia di persone che sono state formate, attraverso il progetto, per specializzarsi nella raccolta differenziata, bonifiche e riqualificazione del territorio, con la prospettiva poi di un’assunzione nel momento in cui sarebbe partito il progetto di raccolta “porta a porta”.
Quell’assunzione però non è arrivata, nemmeno con il cambio di amministrazione                      De Magistris, nonostante fosse stato uno dei temi principali della campagna elettorale. E siamo, ormai, a un anno dall’insediamento. Né è partita ancora (e questo è il caso più grave), la raccolta “porta a porta” dei rifiuti, nonostante lo stato di emergenza che la città vive da anni e nonostante le concomitanti proteste contro l’apertura delle discariche.
L’incontro di oggi rappresenta soltanto un piccolo passo. Non in avanti, sul posto. Un principio di dialogo tra le parti, una lingua comune da stabilire per essere ascoltati e sperare in un risultato soddisfacente.

Tav, 14 domande al governo

Paolo Cacciari : fonte "il manifesto" del 13/03/2012



Il governo ha pubblicato in internet e dato alla stampa UN DOCUMENTO con cui spiega le sue ragioni sul treno ad alta velocità Torino Lione. Ne ha tutto il diritto. Anzi, si tratta di una uscita attesa. Peccato solo che il governo abbia scelto una strana forma di comunicazione “non tecnica”, ammiccante e di comodo. La formula, infatti, vorrebbe assomigliare a quella spesso usata nella comunicazione aziendale: le “FAQ”, Frequently Asked Questions.  È un modo svelto ed efficace per facilitare l’uso di un prodotto tenendo conto delle capacità di comprensione dei clienti/utenti. Una sorta di istruzioni guidate per l’uso.
Ma c’è un’etica deontologica anche nella comunicazione commerciale: per funzionare davvero le  questions devono essere le domande che realmente si pongono i clienti alle prese con un nuovo prodotto, non quelle che l’azienda si immagina o preferirebbe le venissero rivolte. C’è una bella differenza Nel primo caso – FAQ davvero utili – l’azienda raccoglie in modo obiettivo i quesiti e si mette in relazione di ascolto con il cliente per cercare di adeguare la propria azione ai suoi bisogni, nel secondo caso – FAQ farlocche – si tratta di un penoso tentativo di manipolazione da marketing: far credere che ogni problema sia superabile. Insomma, se davvero il Governo avesse voluto avviare una operazione di verità e trasparenza avrebbe dovuto limitarsi a raccogliere in modo scientifico le domande vere più frequenti che si fanno gli abitanti della Val di Susa sul Tav da ventidue anni e, a queste, rispondere. Se ne è capace.
Le 14 sedicenti domande sono una brutta caduta di stile per un Governo sedicente tecnico. O si è tecnici o si è imbonitori. O si accetta un confronto circostanziato e documentato, o “si fa politica” alla vecchia maniera. O si assume il metodo (giusto) usato per bocciare le Olimpiadi a Roma o quello (sbagliato) del Tav in Val di Susa.
Vi ricordate quando un bravo giornalista di “la Repubblica”, il compianto Peppe D’Avanzo, incalzava quotidianamente Berlusconi con la stessa serie di domande (ovviamente rimaste inevase) sui suoi comportamenti? Bene, sarebbe una bella dimostrazione di obiettività e di servizio pubblico se lo stesso metodo venisse usato anche nel caso del Tav. Provo ad elencare alcune delle domande vere che si fa la popolazione  della Valle.
  1. Perché non è stata elaborata una analisi comparata preliminare tra varie ipotesi progettuali alternative (tra cui l’ammodernamento delle tratte esistenti che potrebbero assorbire una crescita da 4 a 8 volte i volumi di traffico attuali )? In tutta Europa si fa e si chiama VAS: Valutazione Ambientale  Strategica. Perché il governo non la prevede?
  2. Come fa il governo ad essere così sicuro che l’opera verrà comunque realizzata e che non avrà impatti ambientali negativi (ma è verosimile?) se ancora non esiste un Progetto Definitivo e  tantomeno vi è stata una procedura di Valutazione di Impatto Ambientale integrale (richiesta dalle Direttive europee) sull’intera opera?
  3. Perché il progetto è stato approvato da governo prima ancora di una analisi economica costi/ricavi?
  4. Quali priorità si è dato il Governo nell’opera di ammodernamento delle linee ferroviarie italiane, considerando che non si è dotato di un piano nazionale della mobilità?
  5. Per quali ragioni tutte le tratte per Tav  realizzate fino ad ora in Italia hanno totalizzato, a consuntivo, aumenti dei costi di sei, otto, dieci volte?
  6. Per quale motivo è venuto meno il finanziamento inizialmente promesso dai privati per il 60%, tant’è che ora nessuno più propone il “project financing” ?
  7. Di quanto tempo sarà abbreviato il percorso con il Tav  sulla tratta Milano Parigi e, di conseguenza, quale dovrà essere il costo reale del biglietto per passeggero trasportato per raggiungere il pareggio di bilancio della linea (ammortamenti e costi di gestione)?
  8. Identico ragionamento va riproposto per quanto riguarda le merci: tempo risparmiato, costo per collo trasportato.
  9. Per quale motivo sono state scelte procedure “semplificate” nell’esecuzione dei lavori che non rispettano le normali procedure di informazione della popolazione interessata e nemmeno la normale tutela degli interessi dei proprietari dei terreni espropriati (occupati manu militari), evadendo persino l’applicazione di idonee misure di sicurezza del cantiere?
  10. Quali sono i piani e i costi dettagliati per le indagini epidemiologiche, il monitoraggio e lo smaltimento dell’”amianto sporadico” presente fino al 15% nel materiale di scavo (“smarino”)? E quali procedure verrebbero adottate nel caso ci si imbatta in una vena significativa di materiale uranifero?
  11. Quali misure saranno adottate per abbattere a zero l’inaccettabile aumento dal 10 al 20% (previsto negli stessi studi dei proponenti) della malattie cardiovascolari e respiratorie dovute agli anni di cantiere (come è già stato accertato in casi di lavori analoghi, per esempio al Mugello)?
  12. In forza a quali regole di trasparenza e buona amministrazione i lavori per realizzare la nuova galleria geognostica di Chiomonte non sono stati assegnati con regolare gara, preferendo invece il vecchio raggruppamento di imprese sorto per realizzare la galleria di Venaus cancellata dopo il 2005 che era profondamente diversa nel tracciato e molto meno costosa?
  13. Con quali risorse sarà possibile tenere aperta la ferrovia in quota (che serve i paesi e le località turistiche dell’alta valle) quando dovesse venire aperta la galleria di base (come dimostra ampiamente la sorte di treni pendolari, intercity e notturni cancellati dalla rete ordinaria per dare ossigeno all’attuale dorsale TAV)?
  14. Perché il Governo non adotta processi di democrazia partecipativa, sul modello del débat public francese o analogo  public hearing anglosassone, e si rifiuta di istituire un tavolo di valutazione tecnico super partes (per esempio, composto da persone estratte a sorte, sul modello delle giurie popolari) a cui cedere il potere decisionale?
Fino a che il governo e i suoi sostenitori non vorranno rispondere a queste domande, i valsusini – e noi con loro – saremo autorizzati a pensare che le uniche vere ragioni per realizzare l’opera siano quelle delle lobby della movimentazione terra e del cemento.




lunedì 12 marzo 2012

Così è se lui para (Palermo-Roma 0-1)

Kansas City 1927


Riaffacciasse sur calcio giocato dopo na settimana come quella appena trascorsa non è facile, de voglia ce n’è poca. I più hanno colto l’occasione pe coltivà altri interessi, ma dopo alcuni giorni de sincero interesse pe il giardinaggio, dopo un breve periodo de bambinesco stupore pe l’origami, dopo appena poche ore de malcelata eccitazione pe la saggistica scientifica in lingua russa, ce se rassegna al fatto che de Roma non ce se po disintossicà. E allora annamo a Palermo, co la squadra sventrata da infortuni e squalifiche, cor pacchetto difensivo Lobont-Rosi-Heinze-Kjaer-@Jose Angel, accolita che nell’immaginario der tifoso, per qualità ed eleganza, rappresenta l’equivalente der cast de un cinepanettone, cor Cannicane nella parte dell’attore de livello che se piega pe na volta alle esigenze de botteghino.

A centrocampo manca Pjanic, ragion per cui tutti s’aspettamo de vedè dall’inizio l’Acquistinho de gennaio, ragione per cui El Miste ne mette nantro, ragion per cui se rivede er profilo greco de Profilo Greco, ragion per cui er malumore prepartita monta. Ma questo è il momento, bisogna fa co quello che c’è, e Dio o chi per lui, lo Spirito Santo, l’Angeli, la Volta Celeste, la Cappella Sistina i Cherubini e i Sabatini hanno voluto che tra le cose che ce stanno ce stia pure Borini Fabio nato a Bentivoglio, più che na città d’origine na profezia ad avverazione permanente. Perchè a sto giro ce bastano tre minuti pe voleje bene.

Ladolescente recupera er cuoio subito fori area loro, e come l’avversario je apre le gambe sente tutti i pruriti della pubertà che je strillano “Mettice la palla!”, e così, de classe e de sessualità ancora confusa, indovina il tunnel che sbuca paro paro sui piedi affamati der Caciara, che intanto s’è scrollato de dosso tutta la difesa e se ritrova solo davanti a Viviano. “Tu non puoi passare!” ringhia guardingo l’estremo rosanero, “Ma levate dar cazzo” risponde sereno l’omo che sussurrava ar forigioco, mentre, freddo come l’alba islandese, pratico come l’Ikea svedese, puntuale come er tè inglese, insomma co tutta na serie de prerogative europee, la butta dentro e ce fa strillà. A sto giro la squadra manna in rappresentanza diplomatica l’ambasciata de Capitani presenti e futuri a prodursi nella coreografia dell’abbraccio, co na serie de controfigure buttate lì a fa massa che danno a tratti l’illusione ottica de na sorta de rappresentazione de tiepido affetto.

“Amo segnato troppo presto” sibilano prevedibili i più esperti de noi, “Ringrazia che amo segnato” contrappongono concreti i meno avvezzi al calcolo. Da lì in poi iniziano 87 minuti ai quali pensiamo de dovvecce approccià co la pacatezza degli spartani alle Termopili, e invece no, perlomeno, non subito. Il temuto ruggito der leone rosanero ferito tarda a farsi sentire. S’aspettamo un “RRRROOAAARRR” e invece a tratti se percepiscono dei vaghi “meoww”, “fff”, “hrhrhrr”, e allora giocamo pure noi.

Succede che il primo tempo passa senza esse un assedio, e anzi a na certa, forte de un compleanno appena archiviato, ce manca poco che er Pupo non diventi er cucciolo de bestia nera dei rosanero, quando lanciato a cresta spiegata verso la porta se libera der difensore co la performance “Ode a Pizarro: e guardo il mondo da na piroetta”, ma poi, sempre pe quer discorso dell’identità sessuale ancora in divenire, je la mette in bocca al portiere.

Poco dopo dale parti nostre er Romario der Salento mette un cross mezzo e mezzo de quelli che se te dice culo capace pure che entrano senza che li tocca nessuno, ma Lobont la vede arivà e je dice “Aò, tu sarai pure Mario der Salento, ma io so Bogdan daa Transilvania, ce vorà ben altro per canzonarmi, e ce vorrà Ben Harper se la voi fa caruccia, sta canzone”. Straniti dala risposta strana i palermi ce riprovano da fori, co un tentativo meno cross e decisamente più tiro, ma er pallavolista rumeno, rozzo ma efficace, se estende e se produce in un intervento che divide la tifoseria. I partiti “Parata inguardabile” e “Ottima schiacciata” se contendono la maggioranza senza far rilevare uno scarto apprezzabile tra le due fazioni. I primi 45 se ne vanno così, lasciandoce a rigiracce tra le mani sto vantaggio striminzito e vagamente precario, ma magari a finicce l’artri 45, che oggi c’è solo da fa punti, der come, a sto giro, se po serenamente affermà che non je ne frega un cazzo a nessuno.

Se rimbocca sul rettangolo e i padroni de casa buttano dentro er gazzellone Hernandez, che gode del doppio status de reiterato obiettivo de mercato durante l’estate scorsa e de rientrante in campo dopo un’era geologica, condizioni che contro de noi lo dovrebbero iscrive de diritto ner tabellino marcatori, ma a parte un colpo de testah su un cross de Acquah non combinerah moltoh. Noi agimo de rimessa ma senza vomità, de contropiede ma senza infierì, ebbri de la mejo gioventù che nei panni Delladolescente decide de fa un cost quel che cost alla Weah senza segnà, che alla fine è l’unico motivo per cui tutti se ricordamo er coast to coast de Weah. I rosanero (ahahahha, fa sempre ride chiamà na squadra così, o sapemo, ma se chiamano così e non ce po fa gnente nessuno) attaccano a testa bassa e quando la testa bassa è quella der più basso in campo, succede che quello non s’accorga de finì tra le zanne de chi coi chiwawa ce fa la merenda der pomeriggio.

Ar Cannicane, nse capisce bene quando né perché, je tocca in sorte de abbassà lo sguardo pe incrocià quello der padre de Suomi. Il Che Guevara dar sopracciglio rastrellato, se fa scudo de tutto er garantismo che un campo de carcio ingiustamente conferisce ai 22 contendenti, per dare nuova prova dell’adagio che vole che più er contendente sia piccolo più cachi er cazzo, comportandosi in maniera diametralmente opposta a come farebbe prima e dopo i 90. Miccoli arza na mano, Heinze quasi je la stacca sbavando na ringhiata che conferisce 3d pure ai Telefunken. Tra i due litiganti, Capitan Moh porta pace e saggezza popolare: “Fabrì, questo è scemo, te la stacca, pe uno coi problemi tua le mano so importanti. Pensa a Maradona. Me dici senza na mano come la faceva la mano de Dios? E quell’esultanza stronza che fai quando segni co la mano davanti la faccia? Come fai a falla? Pensace Fabrì”. Miccoli non acconsente ma tace e sgomma via mentre er Cannicane sporpa na caviglia della gazzella Hernandez, ignara der detto pampero che dice: “che tu sia nano o gazzella, se vedi er Cannicane sgomma”.

La caciara che tante gioie ci dà si riversa rosanero (ahahahahha, ok, basta) nella nostra area, e se a vorte è addirittura er mai domo Caciara a mettece na pezza da terzino e nantro mezzo gò meno inzaghesco der solito, per il resto ce pensano le asperità de Chiaia, alcune #cose da #normodotato de @Joseangel tarmente #bizzarre da faccelo confonde co Aquistinho (che tra l’altro è l’unico che ce prova da fori area, e fallo giocà più de 10 minuti a partita magari segna pure) appena entrato, e soprattutto Lobont.
Con le movenze anni 70 che furono di Mattolini, Pizzaballa, Ginulfi e Paolo Conti, come portiere de Subbuteo guidato da na stecca, Lobont si esalta, sciorinando un vastissimo repertorio di miracoli, cazzate e rimedi alle cazzate tale da tenere la porta inviolata, che alla fine della fiera, è quello che conta.


Appelllo: "Quando alle parole è necessario far seguire i fatti: non serve tensione ma attenzione sociale".

(P-CARC) Sezione “A.Gramsci” Roma, 


La tensione sociale che si sta generando intorno all'emergenza abitativa e all'indebolimento di meccanismi di welfare, di tutela dei diritti primari, di sostegno al reddito, rischia di produrre momenti difficili come quello registrato di fronte al CIPE lo scorso venerdì. Le necessità dei movimenti sociali, delle associazioni territoriali, dei comitati di quartiere, delle realtà sindacali e studentesche sempre più spesso non trovano riscontri adeguati nelle risposte che arrivano dal governo e di conseguenza dalle amministrazioni locali.
Sempre più spesso gli organismi istituzionali di prossimità sono ingabbiati dalle misure anti crisi gestite a livello centrale, misure che peggiorano continuamente le condizioni economiche di milioni di persone.
Gli strumenti di copertura sociale diventano sempre più inadeguati se non decisamente insufficienti.
A poco serve affermare che attraverso le grandi opere e il rilancio degli investimenti ad esse collegati si può uscire dalla crisi, se a questo non si accompagnano misure concrete di tutela sociale generalizzata.
La precarietà di vita che cresce tra strati sociali sempre più ampi non consente più a nessuno di avere dubbi: bisogna mettere mano a un rinnovato sistema di welfare che impegni risorse e patrimonio pubblico a tutela dei diritti.
La pressione che sale dal basso e che chiede casa, reddito, servizi, lavoro non precario, accoglienza non può essere trascurata e affrontata con un inasprimento delle misure di controllo e di gestione dura dell'ordine pubblico.
Il disagio sociale che monta non è frutto di strumentali operazioni di questa o quella fazione o parte politica, è lo stato reale della società italiana e non solo, in questo momento. Risolvere tutto con misure cautelari e rafforzamento degli apparati repressivi avrebbe le stesse caratteristiche di chi vuole svuotare il mare con un cucchiaino. Significa inoltre altre risorse impegnate impropriamente, togliendole di fatto a necessità più impellenti.
Per questo riteniamo che fino a quando la gestione delle risorse pubbliche non sarà chiaramente mirata verso un riconoscibile welfare di cittadinanza, noi saremo impegnati in una mobilitazione permanente che intende poter decidere sull'uso del denaro, del suolo, del nostro futuro, insieme ai fratelli e alle sorelle migranti, abitanti dei nostri territori, per un'emancipazione collettiva e solidale. Tanti uomini e tante donne che non consideriamo come numeri o come forza lavoro precaria, ma come cittadini e cittadine in lotta per i propri diritti.
 
Invitiamo tutti e tutte a sostenere questo appello e a partecipare alle mobilitazioni dei prossimi giorni:
lunedì 12 marzo ore 12 conferenza stampa davanti al CIPE, via della Mercede 9
giovedì 15 marzo ore 16.30 centro congressi di via Cavour assemblea pubblica per la libertà di movimento
sabato 17 marzo ore 15 concentramento a piazza Vittorio per una manifestazione cittadina

Per firmare, mandate una mail a  iralinks@hotmail.com

Sugli arresti del 9 Marzo a Roma contro il movimento per il diritto alla casa

Partito dei CARC Sezione "A.GRAMSCI" Roma

Venerdì 9 Marzo a Roma, mentre la città era attraversata dal grande corteo promosso dalla FIOM, la Questura ha lanciato un’operazione repressiva in grande stile contro il movimento romano di lotta per la casa e in maniera particolare contro gli esponenti dei Blocchi Precari Metropolitani e il loro circuito di occupazioni. Le grandi manovre della Questura hanno avuto inizio nella mattinata con le cariche e gli arresti davanti al CIPE nei confronti dei compagni che manifestavano (quel giorno il CIPE doveva infatti stanziare le compensazioni ai comuni interessati dalla costruzione della TAV) e sono proseguite nel corso di tutta la giornata con lo sgombero della tendopoli di Via Boglione, i tentativi di sgombero (prontamente respinti dagli occupanti) dell’ occupazione di Casal Boccone e del Metropoliz di Via Prenestina.
Nel giro di una giornata la Questura di Roma agli ordini della Giunta Alemanno e del Ministero degli Interni ha tentato in un colpo solo di stroncare un’importante realtà di lotta della citta come i BPM (arrestandone i punti di riferimento e tentando di sgomberarne le occupazioni) e dare così una lezione esemplare alla diffusa opposizione sociale e a quanti osano generalizzare e coordinare le lotte che dal Nord al Sud percorrono il paese.
Con gli arresti, i manganelli e gli sgomberi si vuole far passare il divieto di solidarietà con la Val Susa in lotta contro la devastazione ambientale e la speculazione. L’operazione del 9 Marzo è il seguito della caccia all’uomo scatenata alla stazione di Torino il 25 Febbraio contro i manifestanti inermi di ritorno dal corteo NO TAV! Infatti questa operazione in grande stile è scattata, come abbiamo già detto, con lo sgombero del presidio dei BPM davanti la sede del CIPE che aveva lo scopo di  chiedere la destinazione all’emergenza abitativa dei fondi stanziati per la costruzione della TAV in Val Susa.
Allo stesso modo si vuole far passare un divieto di generalizzazione e coordinamento delle lotte: le cariche davanti al CIPE scattano mentre Roma era inondata dalla grande manifestazione nazionale tenuta dalla FIOM a Roma in occasione dello sciopero generale. E’ utile ricordare che prima che si caricassero gli occupanti di case di fronte al liceo Righi i fascisti di “Controtempo” aggredivano gli studenti in partenza per la partecipazione al corteo FIOM (anche a questi compagni va la nostra solidarietà).
Esprimiamo la nostra solidarietà a Paolo Di Vetta e agli altri compagni dei Blocchi Precari Metropolitani e del Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa arrestati. Ugualmente la nostra solidarietà va a tutto il movimento per il diritto all’abitare della città di Roma per l’escalation di azioni repressive subite in questi giorni.
Di fronte al divieto di solidarietà con la Val Susa in lotta e ai divieti di coordinamento dell’opposizione sociale bisogna rispondere passando al contrattacco. Estendiamo e rafforziamo la solidarietà nei confronti della Val Susa in lotta contro la TAV! Estendiamo e rafforziamo il coordinamento delle organizzazioni operaie e popolari e delle molteplici esperienze di lotta e opposizione sociale che da un capo all’altro percorrono il paese. Stronchiamo sul nascere le prove di autoritarismo del governo Monti e dei suoi lacchè al Comune, in Questura e nella Magistratura!
Di fronte all’avanzare della crisi non avanziamo in ordine sparso ma marciamo uniti per imporre alle Autorità misure d’emergenza per far fronte agli effetti peggiori della crisi! Per far fronte efficacemente alle molteplici emergenze prodotte e amplificate dalla crisi (casa, lavoro, sanità, servizi ecc.) occorre anzitutto coordinare le forze per un’ Amministrazione Comunale d’Emergenza della nostra città che emani dal tessuto delle organizzazioni operaie e popolari cittadine, che anteponga la creazione di lavoro utile e dignitoso per tutti, il diritto alla casa per tutti ecc. al rispetto dei patti di stabilità e alla tutela degli interessi dei soliti poteri forti cittadini (palazzinari, clero, ecc.). Questo è l’obiettivo attorno a cui devono unirsi tutte le forze che animano il movimento di resistenza alla crisi nella città di Roma: dai movimenti per il diritto alla casa alla FIOM fino al sindacalismo di base, dalle reti per i beni comuni alla miriade di comitati di lotta. Unito e coordinato in un fronte ampio e indipendente dal teatrino della politica il movimento delle organizzazioni operaie e popolari romane ha la forza per imporre misure d’emergenza alla stessa Giunta del fascista Alemanno, per cacciarlo via e per imporre un Amministrazione Comunale d’Emergenza Popolare della città! E’ vero e sacrosanto quanto rivendicavano gli occupanti di case il 9 Marzo ovvero che i soldi destinati alla TAV sarebbero una robusta cura per il dramma dell’emergenza abitativa se venissero destinati alla costruzione di alloggi popolari anziché alle tasche degli speculatori. 10, 100, 1000 assedi dei palazzi del potere economico e politico del paese! Ma per fermare lo scempio della TAV e destinare lo stesso denaro alla creazione di lavoro utile e dignitoso e alla soluzione dell’emergenza abitativa occorre anzitutto imporre un governo del paese capace di prendere provvedimenti simili. Occorre imporre un governo determinato a prendere queste misure perché sorretto dalla mobilitazione delle organizzazioni operaie e popolari del paese (dalla FIOM al sindacalismo di base, dai movimenti contro le nocività al NO TAV, dai movimenti per il diritto alla casa ai movimenti dei lavoratori autonomi –Pastori Sardi e Forconi- passando per il movimento No Debito ecc.) e composto da persone che godano di tutta la loro fiducia. Questa è l’alternativa che dobbiamo costruire! Costruirla è possibile, dipende da tutti noi!