sabato 21 luglio 2012

Bilancio Comune di Cassino

Il consigliere comunale PRC/FDS  Vincenzo Durante
Dichiarazione di Voto sull’approvazione Bilancio di Previsione Esercizio Finanziario 2012 Relazione Previsionale e Programmatica e Bilancio Pluriennale 2012/2014

Il documento contabile che qui oggi ci apprestiamo a votare, sostanzialmente dovrebbe rappresentare l’essenza delle impostazioni politico-programmatiche della coalizione di Governo di “Bene Comune” e l’apertura di una fase di prospettiva, di indirizzo e di sviluppo della città tenendo conto delle sue necessità, alla luce degli impegni assunti in campagna elettorale nei confronti dei cittadini di Cassino, ed il passaggio quindi a quella proposta di cambiamento auspicata nei contenuti programmatici per il ridisegno di una città diversa, da quella ereditata dalle passate e cattive amministrazioni di centro-destra, nonché in discontinuità con la vecchia prassi amministrativa. Sia nel merito che nel metodo, le aspettative di quel voto popolare, sono state nei fatti disattese. Fin da subito, appena dopo il ballottaggio, era talmente chiaro che un programma scaturito dopo un anno, di sana e costruttiva discussione e che vedeva come punto cardine la non alleanza con partiti di centro e di centrodestra, proprio perché antitetici e lontani da quella cultura. Infatti, l’accordo politico fatto con l’UDC, si può considerare a tutti gli effetti un vero e proprio tradimento della volontà di cambiamento voluta da un voto popolare plebiscitario, in alternativa ai vecchi partiti che avevano non governato questa città negli ultimi 50 anni. Avevamo già notato, sin dal primo Consiglio Comunale, che qualcosa invece andasse in senso contrario, proprio con l’investitura alla carica di Presidente del Consiglio Comunale dell’UDC, Marino Fardelli. Siamo stati gli unici a votare contro a questa investitura istituzionale. Siamo stati anche quelli più determinati ad estromettere questa forza politica da una coalizione caratterizzata da un programma in antitesi con questo partito. Nonostante tutto ciò, siamo stati sempre coerenti, sia con il mandato delle nostre posizioni politiche, che leali e collaborativi con il resto della maggioranza, assumendoci sempre le nostre responsabilità, anche rispetto ad alcuni passaggi politici incoerenti con le linee programmatica previste. In tale senso è testimonianza reale, l’impegno ed il contributo fattivo nella realizzazione del Regolamento dell’albo pretorio on-line, del Registro delle unioni civili, dell’Osservatorio sulla legalità, della Costituzione e del Regolamento dei Comitati di Quartiere, dei Gruppi di Acquisto Popolare (Gap), dell’Ampliamento e del Potenziamento della Biblioteca Comunale, che rappresentano un primo passo in avanti dal punto di vista della trasparenza, della legalità e della difesa dei cittadini. Paradossalmente una volta ristabilita la naturale composizione iniziale, abbiamo dovuto riscontrare nel momento più importante dell’attività amministrativa, un’ultima incoerenza proprio nei contenuti del bilancio. Infatti siamo stati costretti a presentare alcuni emendamenti migliorativi per cercare di rendere il documento contabile più consono ad un governo di centro sinistra. Abbiamo presentato un pacchetto di emendamenti proprio per attaccare il disagio sociale, come l’esenzione dell’Addizionale IRPEF aumentando la soglia del reddito a 11.300 Euro; come la reintroduzione della TOSAP sui Passi Carrabili già deliberati dal consiglio comunale in data 30 Gennaio 2012, ed in attesa per l’attuazione della relativa delibera di giunta per una previsione di Entrata di 50.000 euro, finalizzati al pagamento delle utenze domestiche in quanto coloro che non rientrano nel progetto Voucher sono estromessi da qualsiasi intervento di assistenza e di sostegno economico; abbiamo previsto l’istituzione di un Check-Point di turisti diretti a Montecassino con un introito previsto di 300.000 euro, da destinare alle politiche attive del lavoro (progetto di reinserimento socio-lavorativi per persone svantaggiate, reddito di formazione, sostegno al reddito per i fuoriusciti dal mondo del lavoro e riqualificazione professionale). L’unico progetto questo di sviluppo presentato nel bilancio comunale da tutte le forze politiche presenti in consiglio; abbiamo proposto il trasporto pubblico gratuito per gli over 65, in ottemperanza al programma di “Bene Comune” e la proposta del rifinanziamento provocatorio del reddito minimo garantito. Tutti emendamenti ad eccezione del reddito minimo garantito, che hanno avuto parere negativo da parte del collegio dei revisori dei conti, ma che contestualmente ha evidenziato l’assoluta mancanza da parte della maggioranza, di volontà e di indirizzi politici determinati alla realizzazione di risposte concrete e discontinue alla sola imposizione fiscale.

Non è tollerabile, l’accusa infondata rivoltaci soprattutto da parte dei consiglieri di SEL, di “monetizzare” il disagio sociale per tornaconti politici. Accusa grave ed inaspettata da un partito che si definisce di sinistra e che evidentemente risulta nei fatti insensibile a queste tematiche. Vogliamo precisare che con poco più di 600 voti, SEL ha incassato: la delega alla manutenzione, un assessorato, la presidenza della commissione servizi sociali, la rappresentanza nel consorzio dei servizi sociali, il referente nel nucleo di valutazione e l’indicazione di un membro dei revisori dei conti, fermandoci a questi fatti senza far alcuna considerazione. Ci chiediamo semplicemente qual’é il partito che monetizza il disagio sociale, visto che il PRC non ha avuto l’onore di ricevere nessun riconoscimento per l’impegno dimostrato sin dall’inizio del progetto di “Bene Comune”. Ma non è questo il motivo che ci porta, oggi qui a dissentire, rispetto ad una collaborazione durata un anno e che ha visto dagli altri componenti della maggioranza un’azione continua e discriminatoria nei confronti del nostro Partito, a partire dal Sindaco che doveva essere il garante per il rispetto della tenuta di tutta la maggioranza e quell’anello di collegamento tra le varie forze politiche della coalizione. E’ proprio vera la citazione del “non c’è più sordo di chi non vuol sentire”.



Occorre precisare che il fallimento del sistema Voucher è palese ed è sotto gli occhi di tutti i cittadini e di quelle famiglie che convivono con un grande disagio economico-sociale, e che in questi ultimi giorni stanno manifestando ininterrottamente dinanzi al palazzo comunale, perché hanno constatato nei Voucher Lavorativi, la mancanza di quelle risposte concrete alle esigenze di interi nuclei familiari con gravissimi problemi di sussistenza economica. La nostra posizione rispetto alle politiche sociali, così come risulta regolarmente depositata agli atti del Consiglio Comunale, in merito alle osservazioni e proposte del nostro partito, al momento della discussione sugli indirizzi generali di governo del Comune di Cassino, sono state completamente ignorate, forse proprio perché costituivano l’unica risposta seria e fattibile al problema del disagio economico-sociale, tramite la presa in carico dei soggetti per progetti individualizzati, così come previsto al punto n°7 del programma di “Bene Comune”, (che cita testualmente): «Progetti di re-inserimento socio-lavorativi per persone svantaggiate.», cioè l’accompagnamento dalla fuoriuscita dalla condizione di disagio. Questione questa, tragicamente tornata di attualità, e di dimensioni consistenti, come riportato dalle rilevazioni Istat nell’anno 2011/2012 sulle condizioni di povertà, che hanno colpito oltre 11 milioni di cittadini italiani. Come riteniamo demenziale l’affermazione dell’assessore Di Russo, che in un’intervista del 12 Luglio ha dichiarato che è “inutile” parlare di utopia come il Reddito Minimo, attuato inoltre dalla Regione Lazio e non dal Comune e legate all’espletamento del servizio civile. Affermazione questa grave e che denota un’assoluta impreparazione da parte dell’assessore in quanto è assolutamente falso l’erogazione del reddito minimo nell’espletamento del servizio civile, in quanto non previsto dalla legge regionale del reddito minimo. Così come ha segnato il nostro profondo dissenso, per la mancata ricezione da parte del Sindaco di un indirizzo chiaro sulla questione del Piano “Fabbrica Italia”, nel documento presentato al Consiglio Comunale di Torino e che ad oggi, con le vicende che riguardano anche lo stabilimento di Cassino tornano pesantemente d’attualità, evidenziando in maniera oramai palese il fallimento di quel progetto, con anche una indiscutibile e pesantissima ricaduta sulla tenuta occupazionale dello stabilimento e del territorio cassinate, fortemente esposti ad una totale mancanza di una politica industriale da parte della dirigenza Fiat e dalla mancata forte risposta della classe politica, dalle tante forzature dell’amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne, che ha posto sotto ricatto non solo i lavoratori, ma anche la politica e tutto il nostro paese. Noi avevamo concordato un documento politico unitario, con i partiti di SeL ed Idv, perché ci fosse una forte risposta comune, che caratterizzasse la presa di posizione del Sindaco del maggiore comune interessato dalla presenza dello stabilimento Fiat, che dopo esser stato concordato e sottoscritto è stato successivamente di fatto clamorosamente ritirato dagli stessi partiti di SeL ed Idv, vanificando la possibilità di incidere sulle scelte della Fiat e chiamandola a dare certezze e risposte ancora inevase. Tutto questo senza nessuna motivazione di alcun genere. Evidentemente la difficoltà di fare una scelta con cui stare, ha profondamente marcato anche l’assenza del Sindaco Petrarcone dall’ultima manifestazione della Fiom, svoltasi mercoledì 18 nella Piazza di Piedimonte San Germano, proprio sulla questione inerente alla chiusura o all’eventuale ridimensionamento dello stabilimento Fiat di Piedimonte San Germano, che evidentemente è stato considerato da Marchionne, non così importante e necessario mentre si apriva un dibattito serio sulle prospettive e sulle cose da fare e che aveva visto la partecipazione di esponenti di alto livello delle forze politiche e sindacali, come il Segretario Generale della Fiom Maurizio Landini. Tutti noi, cominciano a comprendere come le scelte fatte da Marchionne, rappresentano una vera bufala ed un pericolo per il nostro territorio e per tutti lavoratori. Non c’è nulla di più importante che la salvaguardia e la difesa dell’occupazione del territorio e le prospettive di una qualità di vita migliore per le famiglie della nostra provincia di Frosinone e del nostro comune. Quello che ci ha caratterizzato, nell’ultimo periodo d’impegno politico, è stata una straordinaria raccolta firme per una costituzione di una commissione d’inchiesta terza, che facesse luce sui debiti di bilancio comunali delle passate amministrazioni di centro-destra, e che contemporaneamente ha rilevato un boicottaggio sia da parte della maggioranza che dell’opposizione per la sua istituzione ed attuazione. La vicenda della commissione d’inchiesta sui debiti comunali, sta diventando una mera e pura barzelletta. C’è stata l’ennesima bocciatura per portarla in consiglio comunale per l’approvazione, nonostante le “opportune” modifiche e integrazioni richieste da parte di tutti i capigruppo consiliari nel perfezionare la relativa mozione presentata dal consigliere, Vincenzo Durante. Vorremmo ricordare, per onore di cronaca, che c’era stato chiesto di argomentare, nella riformulata mozione, circa le competenze, la composizione e l’eventuale copertura finanziaria. La Commissione d’Inchiesta sui debiti comunali era il minimo sindacale, che chiedevamo per restituire la promessa di trasparenza e legalità dell’azione politico-amministrativa del comune, ben espressa nel programma di “Bene Comune”. Se avessero voluto capire realmente l’importanza di tale strumento, saremmo arrivati in futuro, a proporre insieme la pubblicazione in rete di tutti gli atti di gestione e di previsione, perché è proprio da lì che si possono effettuare controlli reali su come è costruito il rendiconto o il bilancio. Allora la Commissione d’inchiesta sarebbe stata calata in un progetto più ampio d’’inchiesta democratica sul bilancio”, cioè: “UNA SPENDING REVIEW POPOLARE E DEMOCRATICA”. Ed oggi ci vediamo costretti a subire l’ennesima bocciatura di una commissione d’inchiesta “terza”, a costo zero per l’amministrazione comunale, sia da parte della minoranza di destra che da parte del resto della maggioranza, a partire dal sindaco che non ha recepito l’importanza della nostra richiesta. Oggi quindi ci si appresta a votare un bilancio al buio, dove sono state previste aliquote al massimo delle tasse comunale e vendita del patrimonio edilizio comunale esclusivamente per coprire debiti fuori bilancio determinati da altri amministratori. Ed infatti è notizia di questi giorni in cui sembrano emergere altri debiti fuori bilancio non previsti, come se si stesse appena alzando un coperchio da una pentola piena di soprese, e che comunque a noi sembra che non ci sia la volontà politica di vederci chiaro in tal senso, facendo un vero atto di trasparenza politica per portare a conoscenza di tutta la città di tutto ciò che è successo negli anni precedenti. Così come siamo contrari alle paventate esternalizzazioni che sono esattamente il contrario di ciò previsto nel programma di Bene Comune e cioè l’internalizzazione di tutti i servizi. Così come siamo stati disponibili alla proposta di vendita dei beni immobili anche se contrari politicamente ma come gesto di apertura nei confronti delle esigenze per le casse comunali. Rileviamo inoltre l’assoluta mancanza documentaria sul bilancio per avere una percezione reale dell’ammontare totale del debito che a tutt’ora risulta sconosciuto. Come pure l’assoluta mancanza di coinvolgimento per la stesura del bilancio partecipato, come previsto nel programma e dallo statuto comunale. Infatti registriamo la mancanza della convocazione dalle consulte delle associazioni. Sembra passato un anno ed invece sono passati solo due giorni da questa ennesima “imboscata” prodotta prima di tutto da Petrarcone e dall’Assessore al Bilancio e pensare che fino a due giorni fa immaginavamo che si onorassero “insieme” le promesse fatte ai cittadini per continuare a sperare in un progetto di partecipazione democratica anche con l’ausilio dei deliberati Comitati di Quartiere. Ma quale democrazia e quale partecipazione alla contabilità comunale!!!

Ad ogni buon fine si ricorda agli elettori che tutto ciò era possibile fare, noi abbiamo dato tutto l’impegno per farlo insieme con il resto della maggioranza. A questo punto il PRC di Cassino passa all’opposizione votando No al Bilancio, secondo le indicazioni del direttivo.



Cassino, 20 luglio 2012 Il consigliere comunale PRC/FDS

Vincenzo Durante










venerdì 20 luglio 2012

Un amministratore racconta il dramma della nuova povertà

Sandro Medici   fonte : http://www.ilmanifesto.it


Redditi familiari ai minimi storici, taglio al welfare. Una miscela esplosiva che sta creando situazioni ingestibili sui territori. Dove spesso si riversa tutta la rabbia della gente

Aumenta la povertà. Cresce la disoccupazione. Diminuiscono salari e stipendi. Redditi familiari ai minimi storici. Record di cassa integrazione. La precarietà del lavoro dilaga. Le rilevazioni sulla condizione sociale nel nostro paese ormai si susseguono incalzanti: sempre più allarmanti, quasi disperanti. Tutte ci restituiscono un panorama dolente di un paese piegato e stremato. Un'opacità che induce alla rassegnazione e soffoca anche la speranza.
Sono gli effetti di una crisi economica che da tempo attraversa i continenti. Ma è anche la conseguenza di scelte sciagurate, agite per contrastare le ricadute finanziarie, che però si scaricano come un flagello sulla platea sociale. Un flagello che diventa pena e sofferenza, angoscia di una condizione materiale in cui si dibattono milioni di persone impoverite e tormentate da bisogni che niente e nessuno più può soddisfare perché lo stato sociale è in via di estinzione.
Anziane e anziani, adulti e perfino minori che si ritrovano sulla soglia della sopravvivenza e che quindi si rivolgono all'amministrazione pubblica per essere aiutati, trovando quest'ultima svuotata e disarmata. Chi perde il lavoro e chi non ce l'ha, chi chiude bottega, chi s'indebita con le banche, chi non riesce a pagare le tasse; chi viene sfrattato o è senzacasa, chi non può più pagare l'affitto o il mutuo o le utenze, la luce, il gas, il telefono; chi non ce la fa a tirare avanti con la sola pensione o chi resta solo e vive nell'abbandono; chi si dibatte tra esclusione e precarietà affettiva; chi scappa da abusi e violenze e non sa dove andare, cosa fare; chi ha bisogno (e diritto) a sussidi e assistenza perché disabile o anziano fragile o malato; chi vive in strada o clandestino o variamente labile, o inesorabilmente emarginato, respinto, derelitto.


L'umanità dietro i numeri
E' tutta quest'umanità che poi si trasforma in numeri e percentuali, che finisce nelle statistiche e nelle classificazioni, che compone voci e insiemi, grafici e tabelle. E che infine viene bell'e confezionata, metodologicamente ordinata e scientificamente redatta.
Ma è molto diverso quando questa densità sociale afflitta si palesa concretamente: carne e ossa, sguardo e respiro. Quando chi ha diritto a essere sostenuto e aiutato ti viene a cercare, ti spara addosso tutta la sua collera, t'insulta e si dispera.
Sono un amministratore locale, lavoro in un Municipio romano di duecentomila abitanti, periferia sud-est. A stento, fino a qualche anno fa, si riusciva a gestire (e più o meno soddisfare) la domanda sociale che si rivolgeva ai servizi comunali. Sussidi e contributi non bastavano mai: ma insomma, prendi di qua, trasferisci di là, alla fine nessuno (o quasi) restava escluso. Una ventina di nuovi asilo-nido, una manciata di nuovi centri anziani, case-famiglia per accogliere disabili adulti, servizi d'accoglienza per donne in difficoltà, centri per persone fragili, una cospicua assistenza domiciliare, personale di sostegno nella scuola dell'obbligo, progettazione condivisa con utenti e soggetti gestori, welfare comunitario, sperimentazioni e prefigurazioni per includere e abbattere le liste d'attesa: tutto questo (e anche altro) e in definitiva le tante richieste si riuscivano a fronteggiare.
Non è più così. Oggi tutte le amministrazioni di prossimità, quelle che erogano servizi e tutelano i diritti sociali, non sono più nelle condizioni di fare quello che dovrebbero. Non garantiscono ciò imporrebbe la legge, oltreché la coscienza civile.
C'è un anziano signore con una gamba divorata dalla cancrena. Passa la giornata seduto su una panchina nei giardini del Municipio, di notte sale al quarto piano e dorme su un divano. L'hanno più volte ricoverato, sta in ospedale qualche giorno e poi torna da noi. Parla poco, preferisce guardare e chissà cosa pensa dietro quegli occhi azzurri e sfiniti.
Un paio di giorni fa, una signora ha voluto a tutti i costi parlare con me, sperando che potessi aiutarla. Sono rimasto a sentirla per circa mezz'ora. Tra i suoi problemi, quelli di sua figlia, di suo genero e della sua nipotina c'è da compilare un catalogo di guai e avversità, e soprattutto di richieste d'assistenza. Una pensione al minimo, uno sfratto esecutivo, una disoccupazione cronica, un disagio mentale, una vistosa anoressia. L'ho salutata dicendole che avrei provato ad aiutarla. Non so quanto ci riuscirò. E' probabile che non ci riuscirò.


Gli occhi della disperazione
Con la disperazione negli occhi, un ragazzone senegalese mi ha chiesto se potevo autorizzarlo a mettere su una bancarella. «Un aiuto, prego» - diceva continuamente. I vigili urbani l'avevano più volte dissuaso dal vendere abusivamente e lui non riusciva a capire perché. Ho provato a spiegarglielo di nuovo, ma credo che per lui licenze commerciali, suolo pubblico, ambulantato abbiano continuato a restare cose misteriose. Prima d'andarsene m'ha regalato una giraffa di legno.
Una giovane donna mi ha confessato d'aver occupato un seminterrato in un edificio di case popolari perché era stata sfrattata, e con la sua bambina non ce la faceva più a vivere dentro la sua utilitaria. Chi c'era prima di lei, abusivo anch'esso, l'ha denunciata e quindi rischia di essere sgomberata. «Prima, là dentro, affittavano i letti agli immigrati - dice agitatissima - perché non posso starci io e mia figlia? Se mi cacciano - aggiunge con la pena nel cuore - c'è il rischio che i servizi sociali mi tolgano la bambina».
Una ragazza mi ha fermato per strada, urlando contro di me e contro tutti. Suo padre è malato di Sla, e fino all'anno scorso avevamo attivato un servizio domiciliare per questi casi. Poi hanno tagliato i fondi sociali e siamo stati costretti a interrompere quest'attività. «Sono disperata - diceva - io lavoro e non posso occuparmi di mio padre e l'unico reddito familiare è il mio: come faccio ad andare avanti così?». Bella domanda. Ho provato a spiegarle che il Comune ci aveva ridotto i trasferimenti e che dunque non potevamo più assicurare quel servizio. Temo che non sia servito a nulla. Se n'è andata con tutte le sue ragioni al seguito e io sono rimasto solo con la mia pena.
«Preside', m'aiuti lei» - con una voce appena sussurrata, la settimana scorsa, un anziano signore mi ha confidato che con la sua pensione non riesce più a vivere. E' solo, suo figlio vive all'estero e pare non se la passi troppo bene. Aveva cercato il suo nome nella lista dei sussidi, ma non l'aveva trovato. Ce n'erano altri, di nomi, di altri anziani che evidentemente stanno messi peggio di lui. Abbiamo parlato un po', gli ho detto quello che lui già sapeva e che io sono stanco di ripetere, e cioè che i soldi non sono sufficienti. Ci siamo salutati, ho stretto quella mano un po' tremolante. Mi ha sorriso e ringraziato. Mi è scappato un gran sospiro e sono scappato via.


La fotografia del Social center
Nel nostro Municipio da diverso tempo c'è un servizio preziosissimo, retaggio di stagioni in cui si potevano fare progetti interessanti. E' il Social center, uno sportello unico a cui rivolgersi per l'intera offerta dei servizi sociali: invece di costringere i cittadini a sbattersi da un ufficio all'altro, in questo centro si possono risolvere con efficacia ed efficienza tutti i problemi di pertinenza comunale. Ma il Social center è anche un formidabile strumento di analisi territoriale dei bisogni e della domanda: dalla semplice ricognizione di quanto arriva a quello sportello si coglie immediatamente quali sono le esigenze più diffuse, i soggetti più a rischio, le necessità a cui corrispondere. Ebbene, dagli ultimi dati rilevati (anno 2011) si coglie intanto una sensibile crescita delle persone che si rivolgono al centro, intorno al 28% da un anno all'altro. Sono in particolare persone anziane, quelle che richiedono sussidi e sostegno (+39%). Di queste, il 69% segnala disagi derivanti da una condizione di solitudine e il 52% chiede un'assistenza sanitaria più accurata; mentre all'89% dichiara di considerare insufficiente la propria pensione. Ma il dato che forse più di tutti allarma e avvilisce è che, se fino al 2009 le richieste di sussidio trovavano un pressoché totale accoglimento, l'anno scorso le persone anziane che non hanno potuto ricevere alcun aiuto sono più del 300% di quelle che l'hanno ottenuto.
Forse lo sapevamo già che in questa nostra società sempre più affannata e ripiegata, sono gli anziani i più esposti al disagio e al malessere. Ma non sono purtroppo i soli. Le figure sociali a rischio crescono costantemente. Nuovi sintomi si stratificano su quelli tradizionali, laddove al malessere sociale si aggiunge e s'intreccia quello di natura psicologica (o psichiatrica). C'è il «barbonismo domestico», persone che in casa accumulano di tutto, rifiuti, carte, plastiche, mangiano appena e si esprimono con aggressività. C'è una generalizzata diffidenza paranoide, che spinge a interpretare tutto e tutti come minaccia. C'è un intensificarsi delle richieste di pacchi alimentari, a riesumare l'odioso rito elemosiniero, peraltro incoraggiato dalla stessa giunta Alemanno. C'è il rifugiarsi dove possibile: nei condotti fognari, nelle grotte naturali o in quelle che si scavano in proprio. C'è la progressiva diffusione di abusi e violenze domestiche, spesso derivante da frustrazione sociale.
Insomma, raccontata da una periferia romana, si conferma che la crisi produce povertà e insicurezza. Ma per attenuarne gli effetti non si possono massacrare i più deboli, quasi fossero scorie umane da sacrificare, nella speranza che chi resiste possa poi almeno cavarsela in seguito. Sui tempi lunghi saremo tutti morti, diceva un grande economista, ma il problema è sopravvivere nei tempi brevi.
Ps. Mentre si consuma la messa in liquidazione del welfare, nel mio territorio sono in corso due vertenze operaie che mettono a rischio centinaia di posti di lavoro: negli stabilimenti di Cinecittà e nell'ippodromo di Capannelle.



“AKTION T4” L’OLOCAUSTO DEGLI “INIDONEI”

COBAS: Comitati di base della scuola


Le prime vittime del genocidio nazista furono i malati. Già prima della guerra i nazisti, con il piano T4, diffusero l’idea secondo cui  i malati erano una zavorra superflua e dannosa e nel 1935, un libro di testo introdusse subdolamente questo tema in alcuni esercizi di matematica:
Esercizio 97
Un malato di mente costa circa 4 marchi al giorno, un invalido 5,50 marchi, un delinquente 3,50 marchi. In molti casi un funzionario pubblico guadagna al giorno 4 marchi, un impiegato appena 3,50 marchi, un operaio non qualificato neanche 2 marchi per ciascun membro della famiglia.  Secondo prudenti valutazioni in Germania ci sono 300 000 malati di mente, epilettici ecc. in case di cura..Quanto costano annualmente costoro complessivamente se per ciascuno ci vogliono 4 marchi?
 (E. Collotti, Nazismo e società tedesca (1933-1945), Torino, Loescher, 1982, p. 188)

La revisione di spesa che Monti e i partiti Italiani stanno per approvare definitivamente rappresenta l’ultimo tentativo di ‘liberarsi’, nello stesso subdolo modo, dei docenti che per GRAVI motivi di salute sono stati costretti ad abbandonare le classi ed occupano, ora, posti in Biblioteca, nei laboratori didattici oppure offrono sostegno al piano dell’offerta formativa. Così gli insegnanti saranno  ‘obbligati’ a transitare nei ruoli ATA, lavorando nelle segreterie o diventando assistenti tecnici di laboratorio e costretti a svolgere mansioni troppo gravose per le patologie riportate. Per questi motivi molti docenti non riusciranno a svolgere compiutamente quanto loro assegnato, rischiando così il licenziamento.
Ma i docenti “ idonei ad altri compiti” rivendicano il proprio ruolo nella scuola e nella società, perché nonostante non stiano più in classe, non hanno perso il proprio posto di lavoro e ancora svolgono, con passione e dignità, la funzione per la quale hanno acquisito i titoli necessari ad esercitarla.
I docenti “ idonei ad altri compiti” hanno avanzato, peraltro, una concreta proposta alternativa e indicato le risorse specifiche  per ottenere i risparmi richiesti: utilizzare, infatti, il finanziamento previsto per le Funzioni strumentali ( figure di supporto al piano dell’offerta formativa nelle scuole ), pari a 100/140 milioni di euro, costituirebbe la possibilità concreta di incamerare le somme necessarie alla revisione di spesa per far rimanere gli “ idonei ad altri compiti” sui posti attualmente occupati.
I COBAS, INSIEME AI DOCENTI “IDONEI AD ALTRI COMPITI”
hanno indetto un sit-in permanente il 23-24-26 luglio presso il Senato
e invitano tutti ad essere presenti dalle ore 10 alle 19
di ognuna delle giornate
poiché in quelle date sarà approvato “AKTION T4”
 L’Olocausto degli inidonei

il dito, la luna e landini

Giovanni Morsillo



In merito alla manifestazione del 18 luglio a Piedimonte tenuta dalla FIOM e con la presenza di alcuni partiti, gruppi sindacali di base e tanti lavoratori e cittadini, si sono fatte analisi e commenti da più parti, alcune favorevoli, altre molto meno, altre ancora tendenti classicamente a mistificare ponendo l'accento su questioni del tutto marginali (come qualche slogan di contestazione strillato contro il rappresentante del PD o contro il segretario provinciale della CGIL da alcuni simpaticoni con autocertificazione di rivoluzionari) e tentare così di oscurare i temi e le proposte, oltre che gli impegni di lotta, avanzati dalla FIOM stessa nella persona del suo segretario generale Maurizio Landini.
Di questi ci occupiamo poco, non c'è risposta che serva, per quanto argomentata, per chi non vuole capire, e conviene quindi ragionare su chi anche sbagliando esprime giudizi in buona fede. Fra quelli che hanno criticato la posizione della FIOM ci sono naturalmente coloro che pensano che il conflitto sociale sia un male assoluto, e che derivi sempre e solo dall'incontentabile sete di "privilegi" dei sindacati dei lavoratori. Sebbene si tratti di una minestra assai stantìa, possiamo suggerire a costoro di verificare se le condizioni generali della società sono migliori o peggiori dove più alto è il potere dei lavoratori, dove cioè i diritti sono ampi ed estesi rispetto ai luoghi dove essi sono conculcati o semplicemente ignorati. Non ci pare coerente considerare i paesi in cui i lavoratori sono schiavi e poveri fino all'inverosimile come "Terzo Mondo" e poi proporre più o meno le stesse ricette per le società più avanzate!
I commenti favorevoli che abbiamo registrato sulla stampa e l'informazione locale, a meno di una nostra svista, hanno però generalmente trascurato un paio di aspetti di quanto espresso da Landini e dalla FIOM che riteniamo invece cruciali limitandosi a registrare le prese di posizione sui temi e le vertenze più classiche e imminenti. Il segretario provinciale della CGIL ha avuto invece il merito (ed oggi si può parlare anche di coraggio) di mettere in discussione il ruolo monopolistico della Fiat nella produzione di auto in Italia, spiegando anche come fare. Quella che una volta si chiamava lotta alle concentrazioni, quella che si poneva l'obiettivo di smantellare i monopoli o gli oligopoli, è la politica che riemerge dalle parole di De Santis, e gliene va reso ampio merito. Da sempre le forze del lavoro si oppongono alla formazione di concentrazioni in grado di imporre alla politica ed alla società i loro disegni grazie alla propria potenza economica e al conseguente potere di ricatto. Da tempo però questa consapevolezza ha registrato un affievolimento generale, vinta in parte dalle ideologie dominanti del mercato e dall'isolamento conseguente delle forze meno asservite. Bene De Santis, quindi, e la sua proposta di creare alternative reali alla Fiat per non dismettere anche il comparto automotive nel paese dopo la fine fatta dalla siderurgia, dall'elettronica, dalla chimica, dal tessile, dall'agroalimentare e da tutti quei settori d'eccellenza la cui misera fine è stata ampiamente analizzata e documentata da studiosi del livello di Gallino ed altri economisti e sociologi.
Landini, ha superato poi ogni banalità sconvolgendo gli schemi cui ci hanno avvezzati decenni di remissivismo anche sindacale, ed ha spiccato il volo: ha detto che il tema dei temi è la rappresentanza, che fonda ogni possibilità di conquista dei diritti, sia sul campo specifico del lavoro che più in generale sul terreno della democrazia. Ottimo l'intervento, sia per consequenzialità, per coerenza che per il livello dei temi e degli argomenti. La rappresentanza è stata espulsa dall'agire civile sia nella costruzione dello Stato, e quindi degli organismi che ne regolano il conflitto interno, sia dal lavoro, con il tentativo di riduzione del sindacato da una parte a gestore di pezzi di stato e di welfare (INPS, CAAF, fondi pensione, ecc.) dall'altra a semplice notaio certificatore delle volontà padronali. Questo è il nuovo corso del capitalismo, il sistema post-democratico nel quale non è previsto il dissenso. Benissimo Landini, quindi. Ma bisognerà tornare a scuola, ad imparare che il vero problema non sta nell'effetto, ma nelle cause che lo determinano. Solamente in questo modo si potranno fare scelte in grado di affrontare le crisi non solo economiche, soltanto aggredendo le radici del problema e creando gli strumenti perché non si possano sviluppare. Per capirci, è pura illusione da bravi ragazzi pensare di risolvere la crisi con un po' di soldi elargiti dall'UE o dalla BCE, e non affrontare il problema complessivo del modello economico fondato sulla speculazione mettendo in discussione santuari come la Borsa, il FMI, il WTO e tutta l'impalcatura dell'economia finta che  chiamiamo finanza. Landini non risolverà il problema. Non da solo. Per farlo occorre riconcepire la società, darsi obiettivi certi e lottare per quelli, recuperando la saldatura necessaria fra tematiche e lotte sindacali e questione politica generale. Il lavoro non è un pezzo qualsiasi della democrazia: ne è la sostanza più profonda, ma occorre ricostruire la consapevolezza di questo.

Assumi tre e paghi uno

Luciano Granieri


 La Fiat nel primo semestre 2012 ha subito un calo di vendite rispetto all’anno precedente, pari al 19,7%. (-24,4% solo a giugno) Questa notizia è musica per le orecchie  del  tagliatore di teste Sergio Marchionne. In realtà, per qualsiasi  amministratore delegato una dato del genere dovrebbe segnare un fallimento, anzi dovrebbe indurre la proprietà a licenziare il suddetto   amministratore delegato che, fra l’altro, percepisce un stipendio 500 volte maggiore  a quello di un operaio.  Non è il caso di  Marchionne. Infatti l’obbiettivo non dichiarato, ma del tutto evidente, del manager italo-canadese e dalla Fiat che lo paga così profumatamente, non è quello di vendere autovetture bensì quello, di svendere mano d’opera .   Ridurre all’osso il  costo del lavoro sbattendo in mezzo alla strada i lavoratori italiani, e trasferendo i siti industriali in Serbia e in altri paesi dove un operaio viene sfruttato con una retribuzione da fame, corrisposta  in parte dallo Stato che ospita gli stabilimenti, è il "must".  Il tutto con somma soddisfazione degli azionisti che grazie a queste operazioni intascano cospicui dividendi . Dunque il calo delle vendite non è una iattura ma una ulteriore giustificazione per chiudere stabilimenti in Italia e trasferirli all’estero. Gli operai questo l’hanno capito bene . La dichiarazione di Marchionne secondo cui, proprio a causa della crisi di vendite, che determina dinamiche  di sovra produzione, è necessario  porre in cassa integrazione gli operai dello stabilimento modello di Pomigliano, e poi chiudere almeno una fabbrica, o quantomeno accorparla con un altro sito, non fanno altro che trasformare  il timore in  crudele e triste presagio. Coloro i quali tremano  più di tutti  sono gli operai di Piedimonte S.Germano che,  vedendo passare sotto la catena di montaggio solo i componenti della Giulietta, sospettano, a ragione, che lo stabilimento ciociaro  sarà il primo ad essere tagliato, o al massimo accorpato a Pomigliano. Prima di addentrarmi sulle ragioni per cui la FIAT subisce un tale bagno di sangue in termini di vendite, vorrei riportare alla memoria quanto accadde in occasione del referendum a Pomigliano.  Vorrei ricordare a tutti i sindacati, gli amministratori locali e nazionali, che invitavano gli operai di Pomigliano a votare il piano schiavista imposto da Marchionne,  perché ciò avrebbe significato l’assicurazione della produzione Panda nello stabilimento campano, l’impegno da parte del manager italo-candese a riassumere tutti gli operai licenziati prima della riapertura , e   a  investire 20 milioni di euro per il rilancio produttivo, che forse non fidarsi delle promesse di un tale squalo sarebbe stata cosa buona e giusta. La FIOM lo aveva capito e ha lottato fino all’ultimo pagando dazio con la cacciata dei propri iscritti dalla fabbrica.  Ricordiamo le dichiarazione del democristiano  Bonanni della Cisl, il quale se la prendeva con i metalmeccanici della CGIL perché, secondo lui, non ci si poteva  arroccare sulla difesa dei   diritti relativi ai metodi   di  lavoro  se il lavoro non c’era. Col senno di poi  ci siamo resi conto   che i diritti sono sfumati, a causa del risultato referendario,   ma è sfumato anche quel lavoro, l’assicurazione del quale,  secondo Bonanni, doveva far digerire le nefandezze iscritte nel  ricatto referendario.  Pomigliano va in cassa integrazione per tutta l’estate, e un altro stabilimento è a rischio concreto di chiusura.  Se fossi un operaio che ha votato a favore del referendum secondo le indicazione del mio sindacato di regime,  pretenderei le dimissioni di coloro che all’interno di quel sindacato hanno spinto affinché si votasse il piano Marchionne, e chiederei la denuncia per truffa di Marchionne stesso.  Ma veniamo al punto relativo alla crisi delle vendite. E’ evidente che tutto il mercato dell’auto segna il passo. La Fiat però oltre che dalla crisi è punita da una gamma di vetture, o obsolete, o  male posizionate in termini di marketing. Cominciamo da Cassino. Oltre alla Giulietta qui si produceva la Lancia Delta, che ha lo stesso autotelaio della Giulietta, e la Bravo. Quest’ultimo modello era già vecchio, in termini di contenuti tecnologici sin dal 2007, data della sua nascita. Il segmento "C" è una  tipologia di autovetture comprendente  Bravo, Giulietta, e Delta, ma anche  Golf,  Audi A3,   Ford Focus, tutte auto  tecnologicamente più avanzate rispetto alla Bravo, che non è mai riuscita a conquistarsi una fetta di mercato significativa . Veniamo alla Punto. Questo forse è il modello che ancora tiene un po’ in piedi la baracca. Prodotta a Melfi,  pur non proponendo  contenuti tecnici eccelsi, presenta comunque un ottimo rapporto qualità prezzo, per cui ancora oggi rimane leader del segmento "B" quello comprendente modelli tipo  la VW Polo, la Opel Corsa e la Ford Fiesta. La 500, vanto dello stabilimento di Tichy (Polonia),  nata come vettura status, tale da presentare un prezzo decisamente sopra la media, ha tenuto fino a quando le condizioni economiche consentivano ai figli di professionisti, o a signore benestanti, di spendere mediamente 15mila euro per un attrezzo che attualmente  viene definito  il beauty case di Jennifer Lopez. Oggi la crisi ha messo in luce il costo eccessivo rispetto ai  contenuti dell’auto, segnando  una caduta delle vendite.Tanto che la Fiat sta cercando di riposizionare il prezzo per renderla più appetibile. L’"Idea" non esiste più  sarà sostituita dalla “Cinquecentona” che anziché essere costruita a Mirafiori,  come promesso da Marchionne in cambio della sottoscrizione  a Torino dello stesso piano schiavista di Pomigliano, verrà prodotta in Serbia, altra truffa ai danni degli operai torinesi. Del Freemont macchinone americano importato in Italia con il marchio Fiat meglio non parlare. Non solo non si vende, addirittura  diventa complicato anche ordinarlo. Ma il flop vero è quello della nuova Panda. La vettura su cui Pomigliano basava la sua rinascita.  Bisogna considerare che la Panda così come conosciuta fino a ieri è stata forse l’ultimo  grande successo della Fiat. 4milioni e cinquecentomila vetture vendute dal momento della presentazione del primo modello fino ad oggi. La Fiat “p’andà ndo’ te pare” era , ed è, perché ancora in produzione (in Polonia), una vettura economica versatile, dalla personalità ben definita che la rende veramente una delle utilitarie di maggior  successo. Andare quindi a modificare  una linea così competitiva  è sempre un’operazione rischiosa. Facendolo snaturando completamente l’immagine del  modello è suicida. La nuova Panda secondo Fiat dovrebbe ricalcare le orme della 500, ossia un’auto  dallo stile  particolare, desiderabile. In effetti la vettura è gradevole in termini di design sia esterni che interni , diciamo pure che è bella, il che dovrebbe giustificare un prezzo di 14mila euro, aria condizionata e radio incluse. L’immagine  Panda però da sempre è  associata ad una vettura economica. Panda è sinonimo di un mezzo che con pochi soldi ti consente di andare dove vuoi con un discreto confort. Quindi le aspettative di che si avvicina  alla nuova creature made in  Pomigliano non sono  quella di trovare un’auto così costosa seppur bella, tutt'altro . Infatti in termini di vendite la vettura è stato un flop vero e proprio e anche in questo caso è in atto da parte di Fiat una massiccia operazione di riposizionamento  del prezzo al ribasso che ancora risulta insufficiente.  Come si vede al di là della assenza completa di investimenti sull’evoluzione tecnologica, la gamma Fiat subisce le conseguenze di politiche di marketing dissennate che pongono i modelli della multinazionale italo-americana fuori dal mercato, in una posizione poco competitiva rispetto alla concorrenza. E perché la causa di queste defaillance di management devono ricadere sugli operai?  Perché, e torniamo al tema con cui abbiamo aperto il post, A FIAT NON INTERESSA VENDERE AUTOVETTURE MA SVENDERE MANO D’OPERA.




P.S.
Per chi ancora non lo sapesse, preciso che la mia professione è quella di consulente di vendita presso una concessionaria Fiat della zona, per cui le problematiche commerciali della casa torinese, mi sono ben note.

giovedì 19 luglio 2012

repubblica prostituzionale

Giovanni Morsillo


Dopo decenni di mistificazioni in termini su concetti come riformismo, democrazia, legalità ecc., siamo ormai sufficientemente intossicati da accettare supinamente qualsiasi stravolgimento anche eversivo della base costituzionale del nostro paese se l'apparato mediatico che chiamiamo politica (anche questo assai impropriamente) ne diffonde una interpretazione falsa ma univoca e quindi convincente.
Dal ventennio delle leggi ad personam e pro domo reo alla definizione guzzantiana di mignottocrazia applicata al nuovo corso delle istituzioni repubblicane, siamo però ormai pervenuti non solo ad un inquinamento gnerale di tutti i livelli del potere collegiale rappresentativo e non, cosa percepita in maniera abbastanza corretta perfino dall'opinione pubblica notoriamente più informata sui gossip e le imprese calcistiche che sugli indirizzi della politica sociale, economica ed istituzionale, ma alla radicale trasformazione (eversiva) delle basi stesse dello Stato in qualcosa di profondamente diverso. Dai tempi in cui Giuliano Ferrara predicava l'urgenza di gettare nel cestino dei rifiuti la Costituzione intera senza troppi rovelli sulle parti da salvare, da modificare o da cancellare, avendo preso atto del fatto che il capitalismo liberista (mercato) vincente non ne aveva più alcun bisogno, fino ad oggi di strada se ne è fatta, all'indietro. Allora gli anticorpi residui ancora vivi nell'organismo sociale italiano, superstiti elementi di autodifesa iniettati nel nostro sangue dalla Resistenza, reagivano e ribattevano con prese di posizione informate e determinate; oggi semplicemente non ci si fa troppo caso, e si scivola su queste questioni considerate tutto sommato secondarie rispetto al costo della benzina. Qualcuno dice che questi gruppi dirigenti siano incapaci, ma ci chiediamo: se riescono a costruire questo livello di egemonia su politiche tanto nefaste quanto palesemente inique, come non dar loro l'attestato di grandi dirigenti di massa?
Ormai, dicevamo, l'inquinamento sembra aver dismesso i panni del fenomeno distorsivo, dell'aberrazione inaspettata sebbene fisiologicamente presente in qualsiasi sistema umanamente concepito, per indossare quelli della scelta consapevole, del disegno progettato e costruito coerentemente con fini prima ripugnanti, oggi trionfanti.
Il massimo livello della trasformazione istituzionale è segnato simbolicamente - ma non solo - dall'intervento di Napolitano sui magistrati di Palermo. Se le istituzioni fossero quelle che la Costituzione descrive, il Presidente non avrebbe dovuto ordinare extra legem la distruzione delle registrazioni, benché penalmente irrilevanti, ma se ci fu pressione di Mancino denunciarla immediatamente alla magistratura competente, se non ci fu, far pubblicare su tutti i quotidiani a diffusione nazionale il testo integrale delle intercettazioni.
Ma la trasformazione della Repubblica costituzionale in repubblica prostituzionale viene percepita dalle masse come qualcosa che fa schifo, sì, ma non ci riguarda più di tanto. Lo scambio di favori e protezioni a tutti i livelli delle istituzioni (non siamo certi che Napolitano e Mancino abbiano fatto ciò che si dice, ma non è certo da questo caso che dipende un giudizio più generale e complessivo) sembra essere diventato una questione di basso spettacolo di intrattenimento, con costi che nessuno conosce e che nessuno, soprattutto, mette in relazione con il debito e la crisi. E' più comodo dire che il peso insopportabile della nostra economia sia quello dei lavoratori e dei pensionati, che peraltro hanno pagato profumatamente ed in anticipo le loro misere pensioni da sopravvivenza. E siccome lo dicono tutti in coro, e quelli che dicono il contrario non vanno in telelvisione perché non ammessi, quella diventa la verità, come Goebbels insegna.
Non è solo questione di decoro, né siamo impegnati nella contabilità del tasso di maitresses e di trote presenti nei banchi dei consigli di governo ai vari livelli, ché già buttando un'occhiata veloce se ne coglie l'esuberante quantità, ma più in generale è la concezione stessa delle istituzioni come merce di scambio e luogo di impiego assai privilegiato per faccendieri in realtà utili a ben altre cause che quelle proprie del ruolo quello che dovrebbe togliere il sonno ad ogni cittadino dotato di discernimento. E', cioè, l'occupazione e compravendita successiva dei seggi e la loro conseguente sottomissione ad interessi particolari che definisce con chiarezza la trasformazione almeno controriformista della struttura democratica dello Stato.
Cianciare quindi di riformismo per coprire ogni passo criminale di questa infame marcia eversiva può forse divertire dirigenti autoreferenziali che come balene spiaggiate consumano la loro agonia al sole senza potersi rendere conto che l'acqua in cui nuotare è fuori dalla portata, e che la sabbia su cui pensavano di poter vivere è in realtà un terreno mortifero per loro. Ma non si avvicina neppure ad una idea seria e concreta di alternativa, rimanenedo a pascolare pigramente in una capricciosa pretesa di alternanza. Essi parlano del mare, di navigazioni fantastiche, ma sono pesantemente rovesciati su un fianco sulla sabbia e non si muovono nemmeno per scacciare le mosche che li divorano.
Abbiamo già invitato a rileggere le pagine di Gramsci sul sovversivismo delle classi dirigenti. Oggi ci sembra quanto mai urgente, altrimenti si continueranno a scambiare i tecnici per gente imparziale, i politici per degli inetti e la politica per una sciagura.
 
Saluti insubordinati

mercoledì 18 luglio 2012

Poveri al lavoro

Marco Revelli da "il manifesto" del 17/07/2012


Qualcuno li aveva chiamati - bestemmiando - privilegiati. Intendo gli operai: quelli che hanno avuto il privilegio, appunto - non il diritto - di possedere un posto di lavoro. Oggi scopriamo che un buon numero di loro sono poveri. Tecnicamente poveri. L'Istat, nella sua nota annuale su "La povertà in Italia" ci dice che il 15,4% delle famiglie «con a capo un operaio o assimilato» - quasi una su sei - è in condizione di povertà relativa: cioè che la loro spesa mensile sta del 50% sotto quella della media del resto della popolazione. Che sono, di fatto, degli emarginati. Nel Meridione la percentuale arriva al livello record del 30%, quasi una famiglia operaia su tre è povera.

Ancor più sconvolgente il dato sulla povertà assoluta (coloro che non possono permettersi neppure il minimo indispensabile per condurre una vita dignitosa: cibo, abitazione, cure...). Il 7,5% delle famiglie operaie in Italia è «assolutamente povero», in crescita di oltre un punto percentuale rispetto allo scorso anno, mentre se almeno uno dei componenti (un figlio, normalmente) è alla ricerca di lavoro, la percentuale sale all'11,5%. Figuriamoci cosa accade tra le famiglie in cui non ci sono né occupati né "ritirati dal lavoro": qui la percentuale di povertà assoluta schizza al 22,3%, quasi tre punti in più rispetto al 2010, e quella relativa cresce addirittura di dieci punti, dal 40,2% al 50,7%, a dimostrazione di quanto sanguinosi devono essere stati i tagli ai sussidi pubblici.

Difficile non parlare, di fronte a questi numeri, di macelleria sociale a cielo aperto, tanto più che chi conosce bene i meccanismi di questa triste matematica sa che le rilevazioni ufficiali si limitano a rendere visibile la punta dell'iceberg, la povertà conclamata, senza registrare la fascia ampia di chi sta appena al di sopra della soglia di povertà, ma è di fatto un "povero" per via dei debiti contratti, del mutuo da pagare, del peso di un'invalidità o una non-autosufficienza in famiglia...
Ora, se incrociamo queste crude cifre con le ricette dei gendarmi finanziari internazionali - della famigerata troika, sotto la cui scure prima o poi si va a finire -; se confrontiamo la misura della povertà sociale, giunta ormai al fatidico osso, con la richiesta, standardizzata, di ulteriori tagli alle remunerazioni e agli organici, ai servizi alle persone e alla spesa sociale imposti oggi alla Grecia domani forse a noi, abbiamo chiara la visione dell'impraticabilità del paradigma dominante.
Un conflitto ormai visibile a occhio nudo tra i suoi dogmi e la stessa nuda vita.
C'è uno zoccolo duro che non può essere intaccato, costituito dalla pura, elementare esistenza. I dati ci dicono che su di esso la crisi ha incominciato a premere con tutto il suo peso, e che non ci sono altri margini di manovra. Altra flessibilità da gestire. C'è un mondo del lavoro che ha dato tutto, e anche qualcosa di più: dai suoi punti di resistenza occorre ripartire per ridefinire le linee di un nuovo paradigma socio produttivo e politico, rovesciando priorità, valori e programmi. Questo è il vero conflitto di competenza di cui occuparci oggi.

martedì 17 luglio 2012

CARO MARCHIONNE LA FIAT DI CASSINO NON SI TOCCA

La sezione del Prc-Fds “M. De Santis



La sezione del Prc-Fds “M. De Santis” esprime forte preoccupazione per la  situazione “particolare” e critica  del  comparto Fiat a Cassino ed in tutta Italia.  Infatti, l’A.D. di Fiat Auto ha dichiarato recentemente sui principali quotidiani nazionali,  “Se le vendite di autovetture non ripartono in Italia, per FIAT c’è uno stabilimento di troppo”.
Queste parole tuonano violentemente perché subito le parole di Marchionne è iniziata a correre voce di in un ipotetico accorpamento dello stabilimento di Cassino a quello di Pomigliano d’Arco, con conseguenti eventuali esuberi di 2000 operai cassinati,  in un territorio già martoriato dal decreto SalvaItalia (governo Berlusconi) e dallo Spending Review (governo Monti) che sanciscono entrambi la soppressione del ns. Tribunale.
Il Piano Fabbrica Italia non ha portato i risultati prefissati. Sono passati solo 2 anni da quando Marchionne presso il Lingotto dichiarò che attraverso il P.F.I si sarebbe rilanciata l’industria dell’auto in Italia. Anche grazie ad un piano d’investimento di 20 miliardi di € tutto da realizzare entro 4 anni, con un raddoppio della produzione nazionale di auto.
La fumosità delle dichiarazioni del CEO di Fiat,  riguardo ai nuovi modelli (a Cassino promessi 10 nuovi modelli e 6 restyling) che addirittura ipotizzavano una saturazione massima degli impianti in vista del 2014 grazie all’introduzione di nuovi progetti automobilistici, ed invece prospettano di fatto per Cassino una fase d’incertezza tale che ha portato ad un massicccio ricorso alla Cassa Integrazione, notando che moltissimi tecnici, ingegneri ed operai specializzati da diverso tempo fuggono in Serbia per la produzione della 500L sottratta a Mirafiori e data, appunto, allo stabilimento di Kragujevac. Ciò sicuramente si è tradotto  in un indebolimento fisiologico del territorio cassinate tutto, da sempre legato a “doppio filo” con la realtà industriale torinese.
Le chiacchiere stanno a zero: Marchionne, aveva dichiarato, nel Piano Fabbrica Italia, che nello stabilimento di Cassino nel 2014 si sarebbe prodotto circa 400.000 vetture l’anno (ottimizzando la capacità produttiva attuale per effetto anche dell’applicazione dei 18 turni di lavoro) Ad oggi la capacità produttiva dello stabilimento è di 240.000 vetture (1.100 al giorno x 220 giorni lavorativi) ma nei fatti ne ha prodotto da gennaio a giugno di quest’anno circa 55.000 con una media annua di 110.000 vetture (considerato che si lavora solo 3 giorni la settimana). Quindi è chiaro a tutti che qualche problema c’è e non è assolutamente attribuibile ai lavoratori. Ma sicuramente a chi manovra i tasti di comando della FIAT e spara fumosità.
Dopo le dismissioni delle sedi della Irisbus, di Termini Imerese, della situazione critica di Pomigliano, di Mirafiori, di Melfi ed anche di Cassino, dei continui ricatti subiti dalla Fiom da parte della FIAT che è stata più volte condannata per attività anti-sindacale, cosa si prospetterà per lo stabilimento Cassinate è ciò che ci chiediamo.
Ma quale Piano Industriale ha in mente (se ce l’ha) Marchionne?
Le offese subite  dai lavoratori del nostro paese da parte di Marchionne che con il suo tanto decantato “disegno” (chiamato paradossalmente “Piano Fabbrica Italia”) volto a demolire le ben poche certezze dei lavoratori e a snaturare  nei fatti la dimensione da sempre “italiana” di Fiat Auto, stanno rappresentando il risultato finale di quello che è, al giorno d’oggi, il legame torbido degli interessi industriali nazionali e del mondo politico. Questo, per quanto non di certo  una novità per la storia del nostro paese, sta divenendo un “intreccio” oscuro avente l’obiettivo di destabilizzare, per altro in un periodo di crisi,  il già debole equilibrio sociale nel nostro paese. Ben vengano le convocazioni di iniziative come quella proposta dalla FIOM-CGIL di Frosinone attraverso forma di Assemblea Pubblica in data 18 luglio 2012 alle ore 17.30 presso la Piazza del Municipio di Piedimonte San Germano. E  a cui invitiamo i cassinati tutti a parteciparvi e tutta l’amministrazione comunale.
L’ipotesi di accorpamento a Pomigliano, anche se scongiurato da alcune sigle sindacali locali, diventa quindi, un ulteriore provocazione a tutto il territorio,. Una provocazione per la nostra gente abitutata a rialzarsi dritta dopo le macerie della guerra e che vanta un “Polo della Logistica” (costato tantissimo con finanziamenti regionali ed europei) fortemente voluto dal “Consorzio Industriale del Lazio Meridionale” che è l’unica struttura in tutta Europa a garantire un sistema logistico integrato alla produzione di FIAT AUTO. Una provocazione per lo stabilimento Fiat di Cassino che risulta il più automatizzato dal punto di vista tecnologico del gruppo e vanta circa 10.000 lavoratori (per tutto l’indotto con 82 aziende) in un territorio i cui abitanti dei comuni circostanti sono meno di 70.000.
Infatti, a tal proposito, ricordiamo che l’amministrazione comunale targata “Bene Comune”  ha nel proprio programma, proprio la garanzia di tutelare in tutte le forme e le modalità possibili il comparto industriale del territorio cassinate. E ricordiamo che, in occasione della manifestazione della Fiom-Cgil a Cassino del 28 Gennaio 2011, lo stesso sindaco e gli stessi partiti che lo sostennero in campagna elettorale, sfilarono per la città con l’obiettivo di chiedere all’azienda Torinese, rassicurazioni riguardo alla situazione dei lavoratori Fiat e dell’indotto.
Il circolo Prc-Fds di Cassino, in conclusione, chiede al sindaco Petrarcone, alla giunta comunale e ai consiglieri, di porsi in una posizione tale da garantire il rispetto del programma elettorale sulla questione-lavoro e quindi di portavoce delle istanze dei lavoratori  che da tempo oramai, non possono sentirsi garantiti né tutelati da una politica troppo distante ed evanescente sui temi sopra riportati (quindi mettere in discussione apertamente il Piano Fabbrica Italia ma per fargli capire a Marchionne che se si fanno i conti senza l’oste i conti non tornano).


Cassino, 14 Luglio 2012                                                             
                                                                                                             CIRCOLO PRC/FDS
“M. De Santis” CASSINO

Mio figlio massacrato dallo stato italiano

Patrizia Moretti



I poliziotti che hanno massacrato di botte e ucciso mio figlio 18enne Federico Aldrovandi non andranno in carcere e sono ancora in servizio. Vi prego di unirvi a me perchiedere una legge forte contro la tortura che faccia pagare le forze dell'ordine per i reati commessi e prevenga omicidi come questo. Firma la petizione- la consegnerò direttamente nelle mani del Ministro degli Interni non appena raggiungeremo le 100.000 firme:



Firma la petizione





Cari Amici
I poliziotti condannati per aver picchiato e ucciso mio figlio 18enne Federico Aldrovandi non andranno in carcere e sono ancora in servizio. C'è un solo modo per evitare ad altre madri quello che ho dovuto soffrire io: adottare in Italia una legge contro la tortura.


La morte di mio figlio non è un'eccezione: diversi abusi e omicidi commessi dalle forze dell'ordine rimangono impuniti. Ma finalmente possiamo fare qualcosa: alcuni parlamentari si sono uniti al mio appello disperato e hanno chiesto diadottare subito una legge contro la tortura che punirebbe i poliziotti che si macchiano di questi crimini. Per portare a casa il risultato però hanno bisogno di tutti noi.



Oggi è il compleanno di mio figlio e vorrei onorare la sua memoria con il vostro aiuto: insieme possiamo superare le vergognose resistenze ai vertici delle forze dell'ordine e battere gli oppositori che faranno di tutto per affossare la proposta. Ma dobbiamo farlo prima che il Parlamento vada in ferie! Vi chiedo di firmare la petizione per una legge forte che spazzi via l'impunità di stato in Italia e di dirlo a tutti - la consegnerò direttamente nelle mani del Ministro dell'Interno non appena avremo raggiunto le 100.000 firme:




Federico era già ammanettato quando i poliziotti lo hanno picchiato così forte da spaccare due manganelli e da mettere fine alla sua giovane vita. Dopo anni di vero e proprio calvario, la Corte di Cassazione li ha condannati per eccesso colposo a tre anni e mezzo, ma i poliziotti dovranno scontare solo 6 mesi senza farsi neanche un giorno di carcere a causa dell'indulto e incredibilmente sono ancora in servizio. L'impunità succede spesso in casi come questo, perché il governo non ha ancora adottato un reato preciso e quelli esistenti cadono spesso in prescrizione.



La perdita di mio figlio mi ha quasi distrutto, ma sono determinata a cambiare il sistema. I difensori dei diritti umani ritengono che una legge che adotti la Convenzione Onu contro la tortura, che l'Italia ha ratificato nel 1989 e che non ha mai rispettato, garantirebbe alle vittime italiane della tortura e della brutalità dello stato un corso veloce della giustizia e sanzioni appropriate, da accompagnare alla riforma per la riconoscibilità dei poliziotti. Ma ancora più importante, metterebbe fine una volta per tutte all'impunità che garantisce che oggi i poliziotti siano al di sopra della legge.



L'Italia non è il Sudan. Non c'è alcuna ragione per cui il nostro sistema giudiziario provi a mettere sotto silenzio reati commessi dalle forze dell'ordine come violenze, stupri e omicidi, dal massacro alla Diaz al G8 di Genova alle recenti uccisioni come quella di Stefano Cucchi, Giuseppe Uva e Aldo Bianzino. Per favore UNITEVI a me e insieme costruiamo un appello assordante per una legge forte per fermare la tortura e per far espellere gli agenti responsabili di questi crimini odiosi dalle nostre forze dell'ordine - firma sotto e dillo a tutti i tuoi amici:




Nessuno potrà restituirmi mio figlio, e oggi non potrò festeggiare il suo 25° compleanno con lui. Ma insieme possiamo ripristinare la giustizia e aiutare a prevenire la sofferenza che ho dovuto provare io per la perdita di un figlio portato via dallo stato ad altre madri e ad altre famiglie.



Con speranza e determinazione,



Patrizia Moretti, madre di Federico.

Berlusconi is back

Luciano Granieri.


 Nuntio vobis gaudium magnum er berlusca è tornato!!!  Nuova  rivoluzione per il mini rais di Arcore che “et voilà” con l’ennesimo colpo di bacchetta magica, si rigenera e si ripresenta a chiedere il consenso al popolo che lo reclama a gran voce. L’operazione di riciclaggio, manco a dirlo, è fatta secondo i crismi berlusconiani: Congressi di partito, primarie, liste civiche? Tutta roba buona per quei pappamolle del Pd che già fanno delle figure di merda da soli figurati quando si riuniscono in assemblea generale, vedi l’ultima assise di Roma. No, la rigenerazione berlusconiana prevede ben altro. Regime di vita zemaniano, con diete e  gradoni  con  sacchi di 25 chili sulle spalle,  revisione totale del lifting con riasfaltatura integrale dello scalpo. Poi ci vuole una bella giravolta sulla crisi.  A differenza di quanto sostenuto prima della defenestrazione subita dai banchieri, oggi  bisogna affermare che  la crisi c’è,  si vede ed è colpa dell’euro. I ristoranti pieni erano un miraggio e se si facesse l’aeroporto a Frosinone basterebbe un aero-stoppista per far atterrare un boeing a tirarlo su. Altro elemento della new age è la sobrietà nella spesa :  Via i calciatori più costosi dal Milan (Ibrahimovic  e Thiago Silva) con un risparmio di 65milioni di euro centesimo più centesimo meno,  e possibile acquisizione di nuovi voti da juventini e interisti, tanto i milanisti lo votano ugualmente.  Va da se che i calciatori suddetti hanno accettato di buon grado considerato che  le nuove loro destinazioni alla corte  degli sceicchi d’istanza a Parigi gli garantiscono gli stessi guadagni milionari di prima se non più di prima . Via le troie più costose dalle istituzioni (Nicole Minetti) con un risparmio che in soldi non è quantificabile ma in cazzate è notevole senza contare il  piccolo sollievo arrecato ai  cittadini lombardi. Non  sappiamo se la defenestrazione della Minetti  sarà  accettata dalla   pulzella ex igienista dentale,  la quale, non potendosi garantire una successione pari a quella di Ibrahimovic  e Thiago Silva, pare irremovibile nel tenere ancorate le sue tornite terga sullo scranno regionale. Siamo in attesa di sviluppi sulla “mignotting review”. Comunque anche in questo campo la volontà di rivoluzione è forte. E’ pronto dunque il grande ritorno! Gaudio per le casalinghe di Voghera, ma soprattutto GAUDIO per i riformisti e stampa annessa.  Vi rendete conto a quale vita grama erano ridotti il Pd, i giornali tipo, Repubblica, l’Unità, e gli altri cantori della galassia riformista?  Vi rendete conto che sofferenza celebrare ogni giorno un governo capace di mettere con il culo  per terra milioni di lavoratori, precari, disoccupati, piccoli borghesi, ceti da sempre bacino elettorale dei sedicenti riformisti . Tutto ciò   solo per il fatto che è l’Europa a chiedercelo e che per questo la stessa Europa trova in Mario Monti il partner credibile e serio capace di accontentare i mercati.  Che noia, non una intercettazione dell’olgettina di turno, non una strafalcione di Scilipoti o Straquadagno da denigrare, non uno scandalo da svelare. Niente di niente. Ma a livello  di cazzate questi del nuovo governo non sono da meno, ne hanno dette: Si va dall’affermazione della Fornero secondo cui il lavoro non  è un diritto,  dall’altra stronzata proferita dallo stesso Presidente del consiglio Monti  sulla storia che il lavoro fisso è una noia, fino agli “sfigati”, quelli  che non  si laureano entro 28 anni cosi li ha  apostrofati il  vice ministro  al lavoro Michel Martone , uno che nel suo curriculum presenta più calci in culo di un pallone degli europei.  La sequela di stupidaggini è talmente cospicua che per snocciolarla tutta non basterebbero tre post ma per i riformisti sono cazzate dette sobriamente e tanto basta . Il guaio  è che alle  parole sono seguiti i fatti. Ma ci pensate se il casino degli esodati lo avesse combinato l’ex ministro Sacconi! Repubblica e l’Espresso avrebbero invitato i cittadini alla rivolta, all’Aventino alla lotta di liberazione  (sobria evidentemente). Addirittura sulla stampa riformista alcune gravi decisioni prese alla chetichella da questo governo e condivise dai partiti di riferimento, non vengono neanche riportate.  Ad esempio il neo ministro della difesa Giampaolo Di Paola, il 28 gennaio scorso, nel silenzio generale, ha informato la commissione difesa del parlamento della decisione di percorrere  sul campo afghano «ogni possibilità degli assetti presenti in teatro, senza limitazione» armando con ordigni micidiali gli  aerei Amx, che fino ad allora, deputati a compiti di ricognizione, volavano senza bombe. Così dal 27 giugno dal cielo sono iniziate a piovere  sulla popolazione afghana anche le letali bombe italiane alla faccia dell’articolo 11 della costituzione. Il presidente Napolitano, anziché litigare con la magistratura di Palermo come capo delle forze armate non poteva informasi?  O già sapeva e ha fatto finta di niente? E il Pd? E i giornali riformisti, nulla hanno da dire?  Evidentemente no se a dare la notizia è stato l’organo di stampa di confindustria “Il sole 24 ore”.  Vi immaginate se questa vicenda avesse visto come protagonista il precedente ministro della difesa Ignazio La Russa? Apriti cielo! Intere pagine dei giornali riformisti avrebbero gridato allo  strappo costituzionale, si sarebbero PRETESE le dimissioni del ministro guerrafondaio e fascista. Si sarebbero moltiplicati gli appelli on line al presidente Napolitano affinché non avvallasse questo scempio. Al sobrio generale Giampaolo di Paola  invece è concesso di fare la guerra senza se e senza ma. Ecco perché il “ritorno in pista” (questa è la nuova metafora che sostituisce la discesa in campo) di Berlusconi è una manna per questi signori, che finalmente potranno tornare a riempire le proprie pagine con le nuove scempiaggini del cavaliere e lasciare che il governo tecnico prosegua sotto silenzio la sua opera devastatrice.

lunedì 16 luglio 2012

Have a good trip, Jon, on the highway star

Luciano Granieri


Era il natale del 1974, da bambino tredicenne scartare i regali sotto l’albero era ancora un momento magico e atteso,  in particolare quell’anno.  Infatti mio cugino, sentendomi picchiare per tutta l’estate su scatoloni e ghirbe di plastica con bacchette improvvisate cercando di tenere il tempo su “Eppur mi son scordato di te" della Formula tre, capì che già covava dentro di me un ‘anima rock blues . Mi promise quindi un regalo diverso dai soliti giochi o peggio dai ritiriti maglioni di mia zia. Non volle dirmi nulla e quella notte  sotto l’albero trovai un pacchetto  diverso dal solito. Aprii e dentro c’erano tre Lp, tre incisioni fantastiche: Per un amico della PFM, Caranvanserai  di Carlos Santana e Who do we think we are dei Deep Purple. I  tre dischi erano stupendi ,   ma quando misi sul piatto Who do we think we are, che fra l’altro sfoggiava una copertina molto natalizia, alle prime note saltai dalla sedia. In particolare quando  iniziò un blues molto “IGNORANTE”  dal titolo “Place in line” capii che quella era la mia musica  e da li sarebbe iniziato il percorso di grande appassionato di rock,  blues, jazz e della world music in generale. In “Place in Line”  mi colpì molto l’assolo del tastierista, un musicista formidabile, forse uno dei migliori esecutori all’organo Hammond. Il suo nome era Jon Lord.  Jon ,   insieme a Ritchie Blackmoore, alla chitarra, allo straordinario mancino Ian Paice alla batteria, a Roger Glover al basso, poi sostituito da Glenn Hughes,  al  leggendario vocalist Ian Gillan ,sostituito in seguito da Dave Coverdale, fu autore della colonna sonora della mia adolescenza  . Dei Deep Purple  divorai tutti i dischi  in particolare consumai sul piatto dello stereo   i classici “In Rock” “Fireball” Machine Head”,  fra le cui tracce figurava l’immortale “Smoke on the water”,  e  il live “Made in Japan” . In tutti quei brani ascoltati e riascoltati all’infinito l’Hammond di Jon Lord era sempre una sorpresa, nei suoi assolo si scopriva sempre qualcosa di nuovo, un fraseggio, una sviata, un glissato.  Putroppo   con tristezza e malinconia oggi apprendiamo che Jon Lord è deceduto . Il tastierista co-fondatore dei Deep Purple si è spento  a 71 anni in ospedale a Londra per le complicazioni di un embolia polmonare . Quando se ne va un musicista è sempre molto triste, ma quando se ne va un artista  i cui fraseggi, hanno segnato i  minuti e le ore della tua vita,  un musicista le cui note ti facevano pavoneggiare  con i   compagni di scuola, ti hanno fatto conquistare una ragazza (Child in time), sono state il veicolo  per  trasmettere a tuo figlio il sacro fuoco della musica, allora senti il vuoto. Un vuoto sordo, è come se ti portassero via un pezzo della tua storia personale.  Ora Jon non c’è più ma resta la sua straordinaria musica,  la sua stupefacente sensibilità blues , i suoi virtuosismi impressionanti ma mai ridondanti o eccessivi.   Vogliamo ricordarlo con due contributi. Il primo è un raccolta dei suoi assoli più significativi, il secondo vede Jon  impegnato con i compagni di tante battaglie i Deep Purple, nella line Up composta da Ian Paice alla batteria, Ritchie Blackmoore  alla chitarra, Glenn Hughes al basso e voce, Dave Coverdale  voce. Il brano è il deflagrante “Burn”. Thank you for all Jon




domenica 15 luglio 2012

Anatomia di un pezzo immortale e di Heloìsa che la ispirò

Francesco  Adinolfi.  Fonte "Alias"  del 14 luglio

The girl from Ipanema”, la bossanova scritta da Antonio Carlos Jobim e da Vinicius De Moraes nasceva d’estate, 50 anni fa.

Quella del ‘62 fu un’estate importante in Brasile. Senza saperlo il compositore Antònio  Carlos Jobim e il poeta Vinicius de Moraes sdoganavano a livello internazionale la bossanova e soprattutto formalizzavano uno stile, l’easy listening, di cui The girl from Ipanema   fu al cuore . Quella canzone nasceva cinquant’anni fa e cambiava le carte in tavola del pop .  Non nacque per caso ma fu il risultato di una ossessione erotica e divenne l’incarnazione della pulcritudine femminile. Quando due anni dopo uscirà negli Usa sbancherà il mondo. In origine apparve sull’album Getz/Gilberto con Joao Gilberto alla chitarra (e testo in portoghese) e Astrud , la moglie  di Gilberto, alla parte inglese; da qui fu estratto un 45 giri solo in inglese  e solo con Astrud alla voce che divenne subito disco dell’anno innescando una mania che ancora oggi resiste. Da Caetano Veloso,  Frank Sinatra, da Lou Rawls e Madonna fino a Bruno Martino, primo ad inciderla in Italia, pochi sono gli artisti che hanno resistito  al fascino di quel brano . Per la rivista Performing Songwriter  sarebbe addirittura il pezzo più rieseguito della storia, secondo solo a Yesterday . In ogni caso fu l’ultimo guizzo pre-Beatles e il più apprezzato. Il 1962 fu, effettivamente, un anno fondamentale per Jobim. Il suo pezzo Desafinado  era stato inserito nel disco Jazz Samba  di Stan Getz e Charlie Byrd e lo stesso artista  era stato invitato ad esibirsi alla Carnagie Hall con Byrd, Getz, Gillespie  e Joao Gilberto. Una carriera in gran crescita dal ’58 quando Jobim aveva collaborato con il chitarrista/cantante  Joao Gilberto, con la vocalist Elizete  Cardoso e con il poeta Vinicius de Moraes dando vita a una serie di registrazioni tra cui Chega de saudade  pezzo che segnerà l’avvio della bossanova (letteralmente la nuova tendenza) . Niente a che vedere, però, con quello che sarebbe successo quattro anni dopo , niente  a che vedere con la visone celestiale di Heloisa Eneida Menezes Paes Pinto, meglio nota come Helò Pinhero.  Splendida, 18 anni appena compiuti , occhi verdi , capelli neri, fisico asciutto, alta 1,72. Lieve “come una samba che dondola così ammodo e si piega cosi dolcemente”. Tutto succedeva a Ipanema, il quartiere di gran moda a Rio , tendenzialmente “quello degli artisti”. A un isolato dalla spiaggia c’era il luogo di ritrovo preferito di Tom Jobim, il Bar  Veloso. All’aperto verandato, ideale per bere,   chiacchierare, leggere  i quotidiani e incrociare lo sguardo delle ragazze che passavano da lì, compravano sigarette e giornali. Tutti i giorni ci capitava anche lei, tra le poche al tempo a scendere in spiaggia in bikini;  non guardava mai nessuno negli occhi, tirava dritta al banco, comprava le sigarette per la mamma e filava via. Dietro una salva di fischi compiacenti e ammiccanti. Era l’inverno del ’62 e lei passava spesso da quelle parti; non solo per entrare al bar ma anche per andare a scuola, per andare dal dentista , dal parrucchiere , dalla sarta . Del resto per tornare a casa doveva passarci per forza. Jobim se ne era invaghito, ma era un’infatuazione solo sua, intima , personalissima. Era sposato, aveva due figli e non si azzardava a rivolgerle la parola. Chiese all’amico Vinicius de Moraes di condividere quell’emozione .  Si  appostarono al bar per qualche ora di seguito finchè la ragazza non si rifece viva . Jobim chiese “Nao a coisa mais linda?” Non è la cosa più bella? L’altro rispose: “E’ coisa cheia del graca”, è così aggraziata. Poi Vincius si appuntò quei due versi su un tovagliolo : perfetti per iniziarci il brano. Ovviamente  - nonostante la leggenda – il pezzo non fu scritto al Veloso ma composto al piano da Jobim nella sua nuova casa di Rua Barro da Torre. De Moraes scriveva, invece,  nella sua casa di Petròpolis, vicino Rio. In origine il  brano si intitolava Menina  que passa  (La ragazza che passa) e fu presentato per la prima volta il 12 agosto 1962 a Un encontro, spettacolo musicale al ristorante Au Bon Gourmet  di Rio. In scena quel giorno c’erano Jobim , Vinicius de Moraes, Joao Gilberto e il gruppo vocale Os Cariocas.  Tra i pezzi anche Sò danco samba e Samba do aviao.  Primo in Brasile ad eseguire il pezzo fu Pery Ribeiro ( scomparso lo scorso febbraio) nel 1963 nell’album Pery è todo bossa.  Nel frattempo il titolo era cambiato in Garota de Ipanema  la ragazza di Ipanema, tanto per rendere umore più urbano e vicino ai linguaggi di strada di Rio . Poi nel marzo del ’63 Jobim e Gilberto volarono a New York per registrare , Getz/Gilberto,  album  uscito nel ’64 che esporrà il mondo alla Garota . Per l’occasione il produttore Creed Taylor  pensò che il pezzo dovesse avere anche un parte in inglese. Fu cooptato il paroliere Norman Gimbel che il gruppo aveva  già conosciuto tempo prima al concerto della Carnagie Hall. Per la voce fu scelta Astrud, la moglie di Gilberto, presente in studio per dare una mano ai cori. Anche se parlava inglese, la dizione non era però perfetta , ciononostante risultava seducente e sensuale il giusto.  Con il sax di Stan Getz che irrompe rendendo tutto così etereo, impalpabile. Sul suo sito la stessa Astrud ricorda di non essere mai stata una cantante professionista , e si sente. Spesso enfatizza i suoni sbagliati e quasi si affida alla trascrizione fonetica delle parole. Il primo termine del pezzo , “tall” (alta), suona, infatti, come “doll”, (bambola); inoltre fece un errore imperdonabile per Gimbel.  Astrud  canta “ she looks straight ahead not at he”   ma invece doveva dire  - piu logicamente -  “me”. Cioè : guarda dritta davanti a sè e non me,  altro che he,  lui. Gimbel  si alterò molto; nelle interviste diceva di volersi strappare i capelli, che quell’episodio lo aveva davvero infastidito, ma tant’è.  Abbinati al resto dell’ensemble, al piano gentile e lieve di Jobim, a quel sassofono così languido , gli errori suonavano deliziosamente stranieri , esotici e irresistibili come la ragazza descritta nel pezzo. E allora : “tall and tan young and lovely/The girl from Ipanema goes walking/ And  whwn se passes, each one she passes goes, “Aaah…”/When  she walks she’s like a samba/That swings so cool  sways so gently/That  when she passes, each one she passes  goes “Aaah…” /Oh but he watches so sadly-/How  can he tell her he loves her?/Yes, he would give his heart glady/ But each day when she walks to the sea, /She lokks straight ahead – not at he (…)”. Va da sè che la versione “ristretta” a 45 giri, senza cioè l’inserto in portoghese, fu quella che volò in classifica negli Usa aggiudicandosi nel ’65 il grammy come disco dell’anno;  si impose anche nel resto del mondo e sopratutto in Brasile accompagnando la ripresa economica di un paese che già volava alto sulla scia delle due vittorie di seguito ai mondiali di calcio, nel  ’58 e  nel ’62. Quel miracolo sarebbe imploso due anni dopo sopraffatto da gestioni dissennate dello stato, corruzione e una devastante dittatura militare. Ma prima di allora il Brasile era “alto, abbronzato,  giovane e bello”. Ovviamente la questione dell’identità della ragazza cominciò a farsi strada sui giornali di mezzo mondo. Chi era? E soprattutto: esisteva davvero una ragazza?  Jobim e de Moraes  non si esponevano e il mistero si infittiva. Anche se il pezzo era stato scritto nel ’62, Heloisa seppe di sé e della canzone solo nel ’64. Figlia di un generale dell’esercito da cui la mamma aveva divorziato, era cresciuta a pochi passi dal Bar Veloso. Era timidissima, denti non perfettamente allineati e quel fisico così mingherlino che la faceva disperare; soffriva  d’asma e aveva un’allergia che le arrossava il volto.  Jobim non aveva mai avuto il coraggio di fermarla, di parlarle; finchè alcuni amici comuni non gliela presentarono e il ghiaccio si ruppe. Al  secondo incontro Jobim si dichiarò e addirittura le chiese di sposarlo, ma lei rifiutò; per due motivi: il musicista era già sposato e Helò non aveva avuto esperienze di alcun tipo , si considerava incapace di gestire una storia adulta. Inoltre aveva un flirt  da due anni con un ragazzino di nome Fernando Pinheiro, cresciuto in una ricca famiglia  di Leblon.  Jobim si fece ancora più insistente confessando che era lei l’ispirazione della canzone. La ragazza ne fu entusiasta ma  anche stavolta si schermì e rifiutò. Poi, nel ’65 il mondo conobbe la verità: stanco di voci, pettegolezzi, dicerie e  in particolare di una competizione che in Brasile avrebbe dovuto eleggere la vera “Ragazza di Ipanema” , Vinicius de Moraes tenne una conferenza  mentre si trovava in una clinica  di riabilitazione a Rio. Helò era vicino a lui. “E’ una ragazza piena di luce –dichiarò il poeta- . Così aggraziata, ma con una tristezza legata al fatto che la giovinezza passa  e che la bellezza non si può conservare . Lei è come il dono della vita , è la bellezza e la malinconia delle onde che salgono e si abbassano”.  Nella sua autobiografia del 1996, Helò  racconta che nel Brasile machista e medio borghese di allora il compito di una ragazza era quello di restare in famiglia e accudire i figli; inoltre Fernando e la famiglia  del ragazzo non le consentivano  (aveva ormai 21 anni) di lasciare il paese . Rifiutò così mille offerte  che arrivavano da mezzo mondo, soprattutto dagli Stati Uniti. Nel 1966 si  sposerà e Jobim sarà il suo testimone di nozze. Nel ’78 le prime sfortune; i Pinheiro caddero in disgrazia con l’impresa siderurgica di famiglia  che non riusciva  a competere con le importazione dall’estero. Inoltre il quarto figlio della coppia Fernando Jr. era nato con seri problemi cognitivi e necessitava di cure.  Toccava a Helò rimettere in sesto la famiglia riattualizzando il mito della “Ragazza di Ipanema” . La sequela di offerte stavolta non la colse impreparata, in fondo le aspettava da tutta la vita: apparizioni tv, conduzioni radiofoniche, rubriche sui giornali, un’agenzia di moda, concorsi di bellezza e le sponsorizzazioni di una sfilza di prodotti. Oggi i Pinheiro vivono a Sao Paolo con il figlio Fernando. La figlia Kiki è una ex modella divenuta imprenditrice , l’altra figlia Georgiani è una psicologa mentre la splendida Ticiane è una top model di grande successo  (insieme alla mamma apparve sull’edizione brasiliana di Playboy nel marzo 2003, mentre Helò fu playmate nell’edizione del maggio ’78). Oggi Heloisa Pinheiro ha 67 anni continua  a farsi intervistare, a frequentare radio e tv;  ma soprattutto gestisce al boutique Garota de Ipanema a Sao Pauolo e a Rio dove vende costumi e abbigliamento femminile da spiaggia. Nel 2001 anche quel  sogno e quella denominazione volevano toglierli. Uno dei prodotti che offre da sempre è , infatti, una t –shirt con sopra lo spartito originale firmato da Vinicius de Moraes e Jobim. I figli degli autori sostenevano che non potesse venderla, che le parole e a musica appartenevano agli eredi . Nel 2004 la sentenza definitiva di un tribunale brasiliano sostenne invece che “senza di lei quella canzone non sarebbe mai esistita”. E così è.