venerdì 12 aprile 2013

Petizione. No al monumento per ricordare un criminale di guerra

Igiaba Scego



Caro presidente Nicola Zingaretti,
mi chiamo Iaba Scego sono una scrittrice figlia di somali  e nata in Italia. Sono una della cosiddetta seconda generazione. Una donna che si sente orgogliosamente somala, italiana, romana e mogadisciana.

Le scrivo perché l’ 11 agosto 2012, ad Affile, un piccolo comune in provincia di Roma, è stato inaugurato un “sacrario” militare al gerarca fascista Rodolfo Graziani. Il monumento è stato finanziato con un finanziamento di 130 mila euro erogati dalla Regione Lazio ed originariamente diretti ad un fondo per il completamento  del parco di Radimonte.

Rodolfo Graziani, come sa, fu fra i più feroci gerarchi che i fascismo abbia mai avuto. Si macchiò di crimini di guerra inenarrabili in Cirenaica ed Etiopia; basta ricordare la strage di diaconi di Debra Libanos e l’uso indiscriminato durante la guerra coloniale del ’36 di gas proibiti dalle convenzioni internazionali.
Dopo la fin del secondo conflitto mondiale, l’imperatore di Etiopia Hailè Selassiè, chiese a gran voce che Rodolfo Graziani fosse inserito nella lista dei criminali di guerra. La commissione  delle Nazioni Unite per i crimini di guerra lo collocò naturalmente al primo posto.

Il monumento  Rodolfo Graziani è quindi un paradosso tragico, una macchia per la nostra democrazia , un’offesa per la nostra Costituzione nata dalla lotta antifascista.
In questi giorni, i neo parlamentari, Kyenge, Ghizzoni e  Beni hanno depositato un’interpellanza affinchè il Governo si pronunci sulla questione Affile.

In qualche modo, legandomi ala loro iniziativa chiedo a Lei, presidente Zingaretti, un impegno concreto contro questo monumento della vergogna . Non solo parole ma fatti (demolizione e/o riconversione del monumento) che possano far risplendere un sole di democrazia in questa Italia che si sta avviando a celebrare il 68° anniversario del 25° aprile.


Mio nonno è stato interprete di Rodolfo Graziani negli anni ’30. Ha dovuto tradurre quei crimini ed io da nipote  non ho mai vissuto bene questa eredità. Mio nonno era suddito coloniale, subalterno, costretto a tradurre, suo malgrado, l’orrore. Oggi nel 2013, io sua nipote, ho un altro destino, per fortuna. Per me e per tutti le chiedo un impegno serio su questa questione cruciale di democrazia.






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