martedì 7 maggio 2013

A cena con amici palestinesi

Luciano Granieri

Sawsan e Mahmoud

 Leggere delle terribili storie che accadono in Palestina è sempre disarmante . La violenza dei coloni israeliani  nei territori occupati verso i Palestinesi, la loro prepotenza coperta e protetta dell’esercito Israeliano lascia ogni volta basiti. 

Ma  è ancora più incredibile ascoltare  testimonianze dirette   dalle parole di chi ogni giorno subisce quelle angherie. Domenica scorsa a Supino a casa di  Luisa Morgantini, ex parlamentare ed  eletta nel 2007 vice presidente del Parlamento europeo, abbiamo cenato con degli ospiti veramente  speciali . Mahmoud Hamanda la figlia Sawsan , e altri amici fra cui Maha Bader che insieme con l’attivista Teresa Calvieri dell’associazione non governativa “Operazione  colomba” ci traducevano le parole di Mahmoud e Sawsan . 

 La loro storia è semplice nella sua crudeltà.  Sawsan è una ragazza di 23 anni, come tante ragazze della sua età vorrebbe studiare frequentare amiche e amici, e invece ha dovuto difendere la sua casa dall’assalto dell’ esercito israeliano. E’ stato il baluardo decisivo affinchè  la sua abitazione non venisse distrutta dai bulldozer israeliani. 

Quando alcuni militari  sono entrati nell’abitazione di  Sawsan si sono trovati davanti una ragazza piccola e debole  di fronte alle armi spianate, ma con una determinazione così forte che ha stupito gli  stessi soldati.  “Controllate tutto ma non la nostra testa. Noi volgiamo dimostrare a Israele che nonostante loro possiamo fare tutto” queste le parole di Sawsan  rivolte ai militari. Uno di loro con ferocia  l’ha picchiata,  gettata violentemente a terra e immobilizzata con l’aiuto degli altri militari. Anche la cugina di  Sawsan lanciatasi contro i soldati per difenderla è stata colpita .  Sawsan giaceva immobilizzata a terra. Chiedeva acqua per schiarirsi la gola resa ruvida dalla rabbia e dall’umiliazione. La cugina con un ultimo sforzo gli stava porgendo una bottiglia d’acqua, ma un soldato israeliano glielo ha impedito. La reazione della ragazza è stata immediata e ha rovesciato il contenuto della bottiglia in faccia al soldato, il quale l’ha colpita ancora una volta.  

  Sawsan è stata arrestata. Per due giorni è stata tenuta prigioniera con le mani legate e gli occhi bendati. E ’stata poi tradotta in un altro penitenziario deve i detenuti erano tutti israeliani e a lei non era concesso andare al bagno e neanche lavarsi. Ovviamente  la famiglia di  Sawsan  non sapeva nulla dei destini della  loro figlia e neanche della cugina. Per sapere qualche notizia  Mahmoud ha dovuto pagare 5.000 shekel , circa 1.000 euro. Dopo sette giorni di prigionia vagando per i penitenziari più crudeli e inumani, grazie al pagamento da parte della famiglia 10.000 shekel e altri 75.000 shekel   corrisposti a garanzia  da  altri   parenti, Susan è stata avviata al processo. 

 Mahmoud ci faceva notare come gli israeliani esigendo tali somme per fornire informazioni a familiari degli arrestati, oltre che la libertà,  rubano ai palestinesi anche gran parte delle loro risorse economiche.   Sawsan ci ha riportato lo sconforto  che ha provato nel vedere lo sguardo di odio che il pubblico ministero gli rivolgeva nel corso del processo. In fin dei conti l’unica colpa che avevano Sawsan  e la cugina era quella di aver difeso la loro abitazione dalla distruzione di bulldozer israeliani. Le accuse invece rivolte alle due ragazze sono state, per   Sawsan di aggressione ai soldati per aver gettato  loro addosso grosse pietre. La conformazione fisica di  Sawsan , che si vede dalle foto pubblicate a margine del post, è la migliore testimonianza di come l’accusa potesse essere infondata. La cugina invece è stata accusata di aver sputato addosso ad un soldato. L’acqua con cui la ragazza aveva schizzato il militare che gli impediva di dissetare Sawsan  si è trasformata come d’incanto in sputo. 

Questa testimonianza diretta riporta uno dei tanti episodi di violenza e soprusi che si verificano nei territori occupati. Ed è ancora più grave quanto riferiva Teresa Calvieri e cioè che i figli dei coloni, bambini in tenera età,  vengono educati dai propri genitori nell’odio verso gli abitanti palestinesi. E’ del tutto evidente che un processo di pace non può neanche iniziare sotto questi presupposti.   Mahmoud diceva che la loro più grande arma è quella di ignorare e sopportare le violenze e le angherie dei coloni e dell’esercito israeliano , perché è loro convinzione che la  violenza è espressione del male, chi è nel giusto non può lasciarsi andare a reazioni aggressive , arreca molto più danno l’indifferenza che non azioni  violente. Alla fine della cena dopo aver sentito queste drammatiche  storie, non ho potuto fare a meno di provare una profonda ammirazione per il popolo palestinese. Donne e uomini che chiedono solo di poter vivere una vita normale, di studiare, di lavorare di incontrarsi e andare a cena insieme.  

Questo resoconto purtroppo no sarà molto rigoroso nella ricostruzione dei fatti  . Non sapevo che alla cena avrebbero partecipato gli amici palestinesi, per cui non avevo con me né videocamera né macchina fotografica, ho preso solo qualche appunto su un block notes . Credo però che il racconto possa egualmente riportare fedelmente il dramma che quotidianamente subisce quella popolazione. Il video è stato girato con il cellulare.  

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