martedì 18 giugno 2013

In memoria di Massimo Urbani.

Luciano Granieri



Roma esterno notte.  Da piazza Venezia a due passi da Via Giulia non ci vuole molto anche a piedi. L’inverno romano non è mai troppo rigido ed è sempre piacevole camminare anche se a passo svelto .  In  L.go dei Fiorentini c’è il Music Inn, lo storico jazz club romano. Spesso le mie  serate di studentello squattrinato  finivano li ad aspettare una performance di Enrico Pierannunzi, o di Roberto Gatto, ma anche di Chet che spesso passava di là  e ci regalava delle notti indimenticabili. L’ambiente del jazz romano, ma anche italiano e mondiale,  ha animato la mia vita di giovanetto scapestrato, batterista in erba, rimasto in erba, affascinato dalle gesta di Elvin Jones,  Tony Williams, Jack De Johnette e di  grandi batteristi italiani che ho avuto l’onore di apprezzare dal vivo come Roberto Gatto, Giampaolo Ascolese.  Ma quando entrava lui il nebbioso ambiente invernale rimaneva fuori dalla grotta di Largo Fiorentini che rifulgeva del sacro fuoco della trans improvvisativa di un alto sassofonista assolutamente fuori dal comune.  Un po’ Parker, un po’ Coltrane, un po’ Ayler , ma tanto, tanto Massimo Urbani.  Ogni volta ascoltare Massimo era un crogiuolo di sensazioni. Passava dal lirismo e la leggerezza nell’esecuzione di un standard,  al fraseggio frenetico e velocissimo  di improvvisazioni free sempre con il suo linguaggio originale. Massimo ha concesso a molti jazzisti  italiani europei e mondiali il privilegio di dialogare con la sua straordinaria tecnica. Una tecnica che derivava da un grande intuito armonico. Un solo altro sassofonista era in grado di ascoltare un’armonia, capirne le potenzialità melodiche e svilupparle nel giro di pochi minuti. Era Charlie Parker.  Il  figlio del popolo Massimo Urbani era capace di improvvisare  con Freddie Hubbard , Jack De Johnette nei più grandi jazz festival  ,ma anche di suonare  per gli abitanti di Primavalle esibendosi in un prato vicino alla sezione del Partito Comunsita.  Prodotto di una Roma proletaria , nato nel quartiere Trionfale, figlio di un bidello, Massimo fu il sassofonista preferito    degli Area di Demetrio Stratos,  ha messo il suo talento e la sua creatività, per anni al servizio di musicisti e appassionati  di tutto il mondo. La sua via, fatta di inquietudini , e travagli interni, in continua alternanza fra depressione ed esuberanza, purtroppo era  minata da una grave tossicodipendenza .  Nella notte fra il 23 e 24 giugno del 1993 a soli 36 anni (era nato nel 1957) fu stroncato da  un collasso cardiocircolatorio. A venti anni dalla sua morte Aut lo ricorda con un bellissimo documentario dal titolo emblematico "Massimo Urbani nella fabbrica abandonata"  di Paolo Colangeli girato per Jazz from  Italy. Ciao Massimo ancora ci manchi
Good Vibrations







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