sabato 8 giugno 2013

OM Carrelli Bari Reportage da una fabbrica in lotta

di Nicola Porfido




Il 17 maggio, dinanzi ai cancelli della fabbrica Om Carrelli Bari, appartenente al gruppo tedesco Kion, ha luogo un’assemblea pubblica presso il presidio permanente dei lavoratori che affrontano l’ennesima minaccia per il proprio posto di lavoro in seguito all’ennesimo fallimento delle trattative di riconversione dell’azienda.
La parola agli operai: no alla gestione padronale fallimentare!
Citiamo dunque la dichiarazione di Francesco Carbonara, operaio Om in lotta nonché militante di Alternativa Comunista, la quale sostiene in toto la lotta dei lavoratori Om:
Dopo l’annuncio della chiusura del sito di Bari da parte della Om Carrelli, il 5 luglio 2011, e dopo due anni di passione segnati da vari tentativi di riconversione industriale falliti, sembrava che le cose avessero cambiato binario. Il 15 gennaio si era infatti firmato al Ministero dello Sviluppo Economico un accordo con gli inglesi della Frazer Nash che si impegnavano a rilevare lo stabilimento e a convertire la produzione per costruire i famosi taxi londinesi. A seguito di questa enunciazione, acquisite le varie rassicurazioni dalle istituzioni, MiSE e Regione Puglia, sulla bontà dell’accordo firmato, i lavoratori sotto direttiva dei sindacati ultimavano la produzione residua di carrelli Om. Si pensava a una storia a lieto fine, per così dire, in netta controtendenza con quella che è la situazione disastrosa in cui versa oggi il mondo del lavoro. Ma il 29 aprile arrivava l’ennesima doccia fredda, ovvero l’annuncio (attraverso una e-mail!) di ritiro da parte di Frazer Nash, che faceva ripiombare i lavoratori in un nuovo incubo.
Anche se oggi i lavoratori, con grande spirito di sacrificio, hanno organizzato un presidio permanente davanti i cancelli per impedire l'uscita dei macchinari, non si può non notare come questa vertenza sia stata gestita con subalternità piena al padronato da parte delle istituzioni. MiSE e Regione Puglia si sono fatte raggirare e non hanno avuto la minima influenza sulle decisioni della multinazionale inglese, la quale notiamo può svincolarsi con estrema facilità da qualunque legame senza pagare alcuna conseguenza, anche dopo aver firmato un accordo quadro in sede ministeriale. Anche il sindacato in questa storia ne esce con le ossa rotte. Oggi gli ex lavoratori Om, affermando che se avranno la fortuna di avere un futuro lavorativo non avranno più una tessera sindacale in tasca, giudicano negativamente l’operato dei sindacati colpevoli di non aver fatto altro che affidarsi alle notizie che arrivavano da Roma, determinando così la scelta di finire la produzione di carrelli. In questo modo Om va via senza aver subito il benché minimo danno. Ad oggi nessuno ha ancora avuto la decenza di dare notizie ufficiali ai veri protagonisti di questa storia, i lavoratori, che vedono così anche calpestata la propria dignità umana oltre che lavorativa. In ogni caso, con grande coerenza, continueremo ad attendere la fine di questa vertenza lì dove è stata sempre la nostra casa, davanti i cancelli della fabbrica
.”
Questo ed altri interventi si susseguono, con l’intervento di lavoratori Om, lavoratori di altre realtà del territorio, dei giovani di Alternativa Comunista, di dirigenti del Pdac, dell’associazionismo del territorio e del Coordinamento Pugliese dei Lavoratori in Lotta (aderente a No Austerity - coordinamento delle lotte). Il filo comune degli interventi si dipana sul "tradimento" delle istituzioni e delle burocrazie sindacali, incapaci di far rispettare i diritti dei lavoratori persino davanti ad un accordo al ministero, mostrando a pieno nei fatti come gli interessi della borghesia e quelli dei lavoratori siano incompatibili e opposti. L'unico interesse del sistema e delle sue istituzioni è allora quello della salvaguardia dei profitti privati socializzando le perdite sulle spalle delle classi più deboli. 
La necessità della gestione operaia
Ritornando all’iniziativa pubblica, è di importante rilevanza citare un secondo filo conduttore degli interventi susseguitisi, cioè la necessità di non affidare più al padrone aziendale o alla multinazionale la direzione della produzione di uno stabilimento. Se queste, dopo anni di finanziamenti pubblici, dichiarano di non essere in grado di poter garantire produzione e lavoro allora stabilimento e macchinari passino nelle mani dei lavoratori, che sono coloro che in realtà portano avanti una fabbrica, ricevendo però solo una misera parte del profitto che invece va a gonfiare le tasche già stracolme di imprenditori e dirigenti che a piacimento lasciano chiudere stabilimenti per aprirne di altri dove la manodopera costa meno e dove quindi hanno possibilità di accrescere i loro già enormi profitti, sulle spalle di proletari e lavoratori in qualche altra parte del mondo… prima di abbandonare anche loro dopo un po’, s'intende.
Tema conclusivo dell’assemblea pubblica è l’organizzazione di una manifestazione nella città di Bari, per portare questo piccolo nucleo di lotta alla ricerca di altre realtà magari isolate e fiaccate dalle ormai note manovre di pompieraggio dei focolai di lotta da parte di istituzioni e parti sociali concertative.
Le intimidazioni poliziesche e la determinazione della lotta
Da segnalare anche l’intervento delle cosiddette forze dell’ordine il 20 maggio. Ai cancelli della fabbrica arrivano due camionette della polizia in assetto antisommossa ed alcuni agenti della Digos. A conti fatti si è trattata solo di un’azione di intimidazione con un timido tentativo di far entrare in azienda un camion per prendere i macchinari già smontati. Gli operai accorsi si sono seduti davanti i cancelli aperti impedendo qualunque passaggio e così il camion è andato via. Questa azione è sicuramente servita come deterrente da parte dell’azienda per dimostrare la “illegalità”  del presidio permanente dei lavoratori. Ma allo stesso tempo ha potuto portare alla ribalta  delle testate giornalistiche una situazione stranamente taciuta fino a quel momento.
La manifestazione del 29 maggio e l'occupazione del lungomare di Bari
Ha infine luogo, il 29 maggio, la manifestazione dei lavoratori dinanzi al sede della regione Puglia sul lungomare di Bari. Alla manifestazione accorrono un buon numero di lavoratori dell’Om e di altre realtà lavorative e associazioniste. Pieno appoggio all’iniziativa ovviamente viene anche stavolta da Alternativa Comunista e dai suoi militanti presenti al sit-in. Così, armati di tamburi e megafoni, in attesa del colloquio con l’assessore, i lavoratori invadono la strada prendendo a passeggiare avanti e indietro tra i due lati della strada, intonando cori e parlando tutti quanti tramite megafono ed improvvisando difatti un’assemblea pubblica sul momento. Scontati i tentativi di sgombrare la strada da parte degli agenti, prima con le buone e poi con la minaccia di denuncia e la seguente azione intimidatoria da parte di un agente a volto coperto, il quale prende a scattare foto ai presenti, comprese persone tranquillamente sedute ben lontane dalla strada.
Volontà comune, chiesta a gran voce, è di far scendere l’assessore a parlare per strada, alla porta del palazzo della regione, piuttosto che arroccarsi ancora una volta dietro un tavolo al chiuso di un ufficio istituzionale. Questa volontà viene ovviamente lasciata inascoltata e dopo un po’ i sindacati entrano del palazzo della regione. La manifestazione intanto prosegue incessantemente e la strada non viene sgomberata nonostante le citate intimidazioni delle forze dell’ordine. Dopo un’ora e mezza i rappresentanti sindacali tornano in strada portando la testimonianza di impegni presi a parole da parte dell’assessore e del prefetto (contattato telefonicamente) in un continuo ringraziamento alle istituzioni, nonostante il tema di cori e slogan dei lavoratori manifestanti ricordasse chiaramente e senza ambiguità come, ad esempio, in campagna elettorale la situazione dell’Om era data per risolta da parte del governatore Vendola, salvo poi ritrovarsi al punto di partenza ancora una volta. Insomma niente di nuovo viene fuori dai palazzi di governo, tranne il solito rinvio al solito tavolo istituzionale a Roma. Detto questo, chiunque avrebbe potuto raccogliere tra le facce e le parole dei lavoratori la totale sfiducia nel sentire ancora una volta le stesse parole di promessa e rinvio, un’eterna agonia per chi ha da dare subito una risposta alle proprie famiglie stremate dai costanti sacrifici che sono costrette ad affrontare da anni.

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