venerdì 13 settembre 2013

Furto con strage e ricatto

Luciano Granieri


Questa è la storia di un furto aggravato e continuato. Un coacervo di azioni criminose, che ha lasciato, lascia e continuerà a lasciare dietro di se una scia di morte  disperazione. Una storia da romanzo criminale, solo che di romanzato non c’è nulla. E’ tutto vero e la cruda la realtà supera la più perversa delle fantasie. 

E’ la vicenda di un imprenditore, o meglio di una famiglia di imprenditori, che riesce ad avere in dono per un tozzo di pane una delle più grandi acciaierie di Europa. Nell’era delle grandi privatizzazioni sulla scia delle prescrizioni firedmaniane uno dei più grandi poli pubblici della siderurgia italiana  l’Italsider, è smembrata e le sue spoglie vengono regalate al gotha della classe accattona imprenditoriale italiana. 

Chiuso l’impianto di Bagnoli, cedute le strutture di Comigliano e Piombino, quest’ultima al gruppo bresciano Lucchini, la parte più consistente, il mega impianto di Taranto, viene    regalata al gruppo  Riva, che riesuma il vecchio nome dell’Ilva. Dal 1995, anno dell’acquisizione dell’impianto, la famiglia comincia a realizzare enormi profitti. Ricchezze accumulate  sulle spalle degli operai costretti a turni massacranti, messi gli uni contro gli altri attraverso liste di proscrizione in cui i lavoratori più rompicoglioni venivano  sono segnalati con un segno rosso sulla busta paga e messi alla gogna a monito degli altri più consenzienti il cui foglio paga è vergato di vede . Quel segno rosso era una sordida minaccia, che indicava a chi lo riceveva   che il suo modo di fare non era gradito ai padroni. Era l’anticamera del licenziamento. 

Sulla pelle delle maestranze condannate a morte in un ambiente di lavoro malsano e altamente nocivo, la famiglia Riva ha prosperato. Ma l’acciaieria non è fabbrica di semplice gestione. Tutta i processi produttivi sono ad alto impatto ambientale, l’inquinamento coinvolge oltre che gli impianti anche il territorio che li ospita. E’ dunque necessario aggiornare continuamente i sistemi di controllo delle emissioni inquinanti, della dispersioni delle polveri nell’aria, in mare e nel terreno. 

E’ obbligatorio rispettare ferree procedure  stabilite dalla legge per    contrastare l’inquinamento e ciò evidentemente comporta l’esborso di ingenti quantità di denaro. Qui comincia il furto. Degli enormi profitti realizzati, non un centesimo viene investito dal management per rispettare le procedure. I denari prendono la via dei paradisi fiscali. Non vengono usati   per l’aggiornamento degli impianti ma  addirittura nascosti al fisco. Si trasformano in patrimoni immobiliari sterminati e in guadagni da speculazione finanziaria. 

Non si disdegna fra l’altro di aiutare amici e amici degli amici. Per far contento l’amico Berlusconi, si investe nella sciagurata operazione del salvataggio di Alitalia, un presidente del consiglio può far sempre comodo, vedi le prescrizioni ambientali all’acqua di rose che il ministro dell’ambiente berlusconiano Stefania Prestigiacomo ha imposto  all’Ilva. 

Si pagano lautamente campagne elettorali di politici di destra Berlusconi, ma anche di sinistra. Bersani. La distrazione per uso personale e criminoso di questi fondi, determina il deterioramento ambientale  dello stabilimento di Taranto il cui inquinamento uccide operai e popolazione limitrofa. Furto con strage. 

Nel silenzio della politica corrotta, si erge la voce della magistratura   che denuncia per disastro ambientale i Riva, predisponendo gli arresti domiciliari per Emilio Riva, oggi di nuovo libero per decorrenza dei termini,  e il blocco della produzione fino a che gli impianti non verranno adeguati alle norme anti inquinamento più moderne. 

Dopo la guerra fra poveri scatenata dall’imprenditore, con la contrapposizione fra diritto al lavoro e diritto alla salute. Dopo che è imposto un investimento di 8miliardi per la messa in sicurezza degli impianti, fondi mai erogati dai Riva,   lo stabilimento viene commissariato, posto sotto il controllo dello stato che guarda caso nomina  a guardia della ferriera un manager di fiducia dello stesso Riva: il tagliatore di testa Enrico Bondi. Cioè il controllore è praticamente scelto dal controllato. 

Mentre la politica cincischia la magistratura va avanti. Scopre che gli 8 miliardi necessari alla bonifica erano nella disponibilità dei Riva i quali li hanno di fatto rubati  alla collettività, trasferendoli all’estero, nascondendoli al fisco. Dunque come è normale in uno stato di diritto, la magistratura   impone  che quei soldi tornino alla comunità e  il 24 maggio scorso dispone  il sequestro di beni mobili e immobili sia di Ilva che di Riva Fire spa altro gruppo facente capo ai Riva, e del patrimonio personale della  famiglia fra cui alcuni conti correnti privati . 

Passano 4 mesi, siamo ad oggi e l’indole criminale dei Riva emerge in tutta la sua crudeltà. La famiglia sacrifica,   a difesa dei beni posti sotto sequestro,  dei veri e propri  scudi umani. Baluardi incarnati nei 1400 addetti impiegati nelle altre aziende del gruppo, quelle poste al di fuori del perimetro dell’Ilva di Taranto ormai commissariata. 

Come ritorsione al sequestro si fermano gli stabilimenti  facenti capo ai gruppi Riva Acciaio, Riva Energia, e Muzzana Trasporti.  Da Cuneo a Varese, da Lecco a Brescia a Verona viene disposta la chiusura di  aziende floride, produttive  e la “messa in libertà” di 1400 operai sena cassa integrazione. 

Furto, strage, ricatto, frode, evasione fiscale. Serve altro per convincere un governo a nazionalizzare tutte le aziende di questa congrega di criminali? Cosa si aspetta a reintegrare tutti gli operai e a pagare loro lo stipendio usando i fondi dei beni sequestrati ai Riva? I quali continuano ad alimentare la guerra fra poveri mettendo i lavoratori delle imprese poste al nord contro quelli di Taranto e tutti contro il  gip Patrizia Todisco. Purtroppo in questo dannato paese,  così come la legge è uguale per tutti, ma per alcuni è più uguale di altri,  anche i criminali sono tutti uguali, ma alcuni sono più uguali di altri… o più criminali?  Dunque l’esproprio senza indennizzo di tutto il gruppo non avverrà mai. 

E pensare  che  questo potrebbe costituire un primo importante passo verso la nazionalizzazione di tante altre aziende in cui altrettanti criminali giocano con la vita dei lavoratori  e della collettività che frodano con l’evasione, e la delocalizzazione. Sarebbe ora di farla finita con questa classe opulenta e accattona che ha costruito le sue fortune sulle spalle della gente comune, a cominciare dal delinquente arcoriano che con le sue truppe di servi da un ventennio occupa abusivamente il Parlamento.

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