Abbiamo assistito, in questi giorni e in tanti luoghi diversi, ad una esplosione di incontri, premiazioni, conferenze, dibattiti sul femminicidio tema, che a noi della Rete La Fenice, è molto caro.
Il 25 novembre ricorre la giornata mondiale contro la violenza sulle donne e appare obbligo fare di questo mese un momento di condivisione e di aggiornamento. La banalizzazione del fenomeno -a causa di quel discorso pubblico e mediatico di chi si dice istituzione, fatto solo di stereotipi e luoghi comuni- non ci è apparsa lontana da una spettacolarizzazione esasperata e , a volte,volgare.
Intanto le donne continuano a subire violenze e a morire per mano di un uomo a loro vicino anche il giorno dopo. Diffidiamo dei facili ottimismi progressisti..
Parliamo di una vera “epidemia “di violenza che in Usa risulta essere la prima causa di morte femminile. Il 70% delle donne nel mondo ha subito violenza almeno una volta nella propria vita e, ogni 9 secondi, una donna viene picchiata da un maschio fenomeno questo che appare trasversale alle classi sociali, culture, età, continenti mentre, attualmente, solo 1 donna su 100 sporge denuncia. Nell’ultimo rapporto del 2013- Gender Gap del World Economic Forum- su 136 paesi di tutti i continenti, le Filippine figurano al 5° posto su scala mondiale per parità tra i generi dopo Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia, l’Italia è solo al 71° dopo Cina e Romania. Si deve superare, allora, l’idea di un modello di stile di vita per rintracciare nella violenza intrafamiliare un fenomeno antico che sta oltre la narrazione della virilità. la volontà di reificare e-o annientare le donne si ritrova dentro le nostre stesse società.
La violenza costa alla collettività 17 miliardi l’anno. Di questi solo 6,3 milioni vengono investiti per contrastarla; 154,6 milioni circa finiscono ai servizi sociali; 460 milioni sono i costi sanitari sostenuti, 421 quelli giudiziari; 14,3 miliardi i costi sociali complessivi senza tenere mai conto del costo umano che rappresenta il prezzo peggiore pagato.
Al di là di questo momento e delle promesse ascoltate rimaniamo noi donne della società civile, fuori dai recinti , lo spartiacque continuando oltre le ricorrenze, ad azionare nelle scuole e nelle comunità un processo di educazione sentimentale mai entrato nel vivo della formazione della coscienza sociale.
La famiglia in primo luogo, è quel sistema determinato da vincoli di tipo affettivo in cui si intrecciano affetti positivi e negativi che rischia di trasformarsi, qualora non si sia in grado di decifrarne le anomalie ,in un sistema di attribuzioni dei ruoli maschili e femminili in cui prevale da un lato il modello di dominanza e dall'altro quello di sottomissione.
La violenza in famiglia non rappresenta soltanto l'esplosione di un conflitto ma lo sfogo di insoddisfazioni, tensioni, rabbie, frustrazioni. Nasce da spazi di incomprensioni e dalla convinzione di poter dominare i diritti corporei, spirituali, economici e relazionali del partner. Sono questi i luoghi dove si concentra il disagio e dove la sofferenza si svela, dove l'aggressività è confinata e privata di contenuti sociali senza tralasciare che neoliberismo e crisi del welfare state ,con l’esaltazione di un modello di globalizzazione del mercato e con le politiche di austerità, hanno significato per noi donne un arresto della autonomia e maggiore subalternità e vulnerabilità nella vita privata. L’uso smoderato ed incivile, in fine, del corpo della donna in questo ultimo ventennio politico ha condizionato l’intero sistema di potere istituzionale in quanto la donna, con la complicità dell’opinione pubblica, è stato vissuta come merce di scambio di un ingranaggio governativo corrotto.
Il percorso che il nostro gruppo di lavoro “ L’arte contro il femminicidio” , grazie al sostegno della Provincia , dell’Università di Cassino, del Conservatorio di Musica e delle realtà che ne prendono parte, senza coperture economiche istituzionali ma solo col sostegno di donne ed uomini volenterosi, di esperti , di tecnici parte dalla sensibilizzazione delle persone comuni nei luoghi comuni e debutta – nella sua seconda fase già avviata- nelle scuole.
Questi interventi risultano indicativi di un nuovo modo di intendere il fenomeno che va innanzitutto smedicalizzato. Le vittime hanno una loro identità fuori dal ruolo di pazienti da curare in luoghi protetti : la cultura che vede al centro la donna artefice del proprio destino va, allora, incentivata.
Per concludere, toccherà come sempre solo a noi donne riuscire a liberalizzare quellasoggettività che calata nel sociale consapevolizza il dominio maschile che non potrà più perseguitarci ma sentirsi adeguato e alla pari.
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