martedì 3 dicembre 2013

Rogo di Prato, strage di globalizzazione

Luciano Granieri


La globalizzazione  dell’economia in assenza della globalizzazione dei diritti umani,  questo   è li flagello criminale che sta minando la convivenza civile in tutto il mondo.  Fino a quando i capitali potranno spostarsi  e far danno nel tempo di un click, fino a quando il lavoro sarà considerato una variabile di spesa come tante altre,  da comprimere, ridurre all’essenziale,   e non un corpo sociale formato da donne e uomini con il loro sacrosanto diritto di vivere, tragedie come quelle di Prato, ma anche come quelle della Thyssen e di tante altre stragi sul lavoro , non smetteranno mai di mietere vittime.  

Non è una questione di etnia. Non è colpa dei cinesi o dei marocchini o dei cingalesi.  Colpevoli  sono le istituzioni internazionali foraggiate dalle lobby finanziarie le quali permettono che in qualche angolo del mondo ci sia sempre una Cina o una Serbia, o un altro Stato  che schiavizzi i lavoratori. Le conseguenze del dumping occupazionale,  creato ad arte in tutto il mondo per alimentare cospicui profitti per pochi e smisurata povertà per molti, sono le   vite interrotte, spezzate dai fumi  letali delle acciaierie di Taranto, dai roghi di Prato e di Terni. 

Controllare la regolarità della attività produttive, così come accade sull’onda dell’indignazione sopravvenuta dopo un lutto su lavoro è necessario ma inutile. Bisognerebbe attivarsi invece per evitare che ci siano lavoratori disposti a emigrare in un posto dove  vivere perennemente nella fabbrica, senza mai uscire, lavorare 24 ore su 24 e riposarsi poche ore in un preloculo  funerario in cartongesso pronto a prendere fuoco, sia una scelta obbligata  perché  nel loro paese vivano ancora peggio.  

La logica del profitto non guarda in faccia a nessuno. Se si può produrre al minor costo possibile è un delitto non farlo. Pazienza se le conseguenze sono morte e sofferenza. Non è prendendosela con i Cinesi di turno che si  risolve il problema, anzi la rabbia contro il disperato un po’ meno disperato di te è salutare per i veri colpevoli che continuano indisturbati a fare affari sulla pelle della gente,  beandosi della guerra fra poveri che disintegra ogni tentativo di reazione. 

Forse sarebbe ora di scuotersi dal torpore, ribellarsi all’idea che la libera circolazione dei capitali non sia  l’unica via. La vita è un insieme di rapporti sociali liberi, non vincolati da propositi speculativi e competitivi. Solo ribellandosi a questa logica criminale rimettendo al centro dei valori ciò che si è e non ciò che si possiede, sarà possibile evitare altre tragedie. Ma purtroppo questo modo di pensare è eversivo, è da pericolosi terroristi, per cui avanti con il neoliberismo assassino.  Morte e disperazione sono piccoli effetti collaterali.  Cosa può valere la vita di uno schiavo di fronte all’elevato rendimento di un fondo d’investimento?

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