domenica 2 febbraio 2014

Chi ruba l’acqua ai palestinesi?

Noemi Colombo


Stanca di spremere solo i cittadini del Lazio e di altre regioni e di fare affari con diversi regimi (Colombia, Honduras, Repubblica Dominicana), Acea ha pensato bene di espandere la propria attività stipulando accordi con la Mekorot, società idrica nazionale di Israele, nota per lo sfruttamento delle fonti idriche palestinesi e per i tagli alle forniture delle comunità palestinesi. Per chiedere ad Acea di non procedere ad alcun ulteriore accordo con la Mekorotè nata una campagna.


La Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese e il Comitato Romano per l’Acqua Pubblica stanno portando avanti, insieme, una campagna per chiedere che Acea, garantisca l’accesso libero all’acqua, bene comune imprescindibile. Acea negli ultimi tempi sta marciando piuttosto male: in Italia rincara le tariffe sulla bolletta idrica mentre gli stipendi dei suoi dirigenti restano altissimi e i dividendi degli azionisti ammontano a ben 64 milioni (dati 2012). Tutti i Comuni della provincia di Roma, serviti da Aceasono mobilitati per scongiurare questo nuovo aumento.
Sul piano internazionale Acea mira ad espandersi in direzione contraria al rispetto dei diritti fondamentali della persona: il 2 dicembre ha sottoscritto un memorandum di intesa con la Mekorot, società idrica nazionale di Israele. Niente di male nello scambiare tecnologie e modelli gestionali, soltanto che la Mekorot è responsabile di gravi violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani. La maggior parte dell’acqua che distribuisce attraverso le sue condotte idriche, la Mekorot la pompa infatti dalle falde palestinesi – cioè dalle sorgenti che sono all’interno del territorio dello Stato di Palestina -, provocandone l’esaurimento. La stessa società, inoltre, pesca in territorio palestinese anche dal fiume Giordano per irrigare le coltivazioni delle colonie israeliane insediate illegalmente nella Valle del Giordano, diminuendo la portata del fiume del 50 per cento. Questo drastico pescaggio ha ripercussioni anche sull’ecosistema del vicino Mar Morto, dove il Giordano defluisce. La  Mekorot, infine, sfrutta le fonti idriche palestinesi, fornisce acqua agli insediamenti e trasferisce l’acqua palestinese al di là della linea verde
Probabilmente a chiunque sia andato in Palestina e Israele sarà capitato di notare un brusco cambiamento cromatico nel giro di poche centinaia di metri: da una parte dominano un colore prevalentemente giallino, sabbia e deserto, dall’altra abbondano il colore verde, sistemi automatizzati di irrigazione dei campi e, addirittura, grosse fontane a forma di colomba che zampillano acqua per il puro piacere degli occhi 
Vi siete mai chiesti perché il percorso del muro sia così tortuoso? In genere a ogni curva slalom corrisponde o un nuovo insediamento da “proteggere” o una sorgente, una falda acquifera, un pozzo. La guerra dell’acqua è molto antica; se ne trovano tracce nella Genesi, Abramo sapeva benissimo che per moltiplicare il numero delle sue greggi nelle sue lunghissime transumanze da Urfa (nel profondo sud dell’attuale Turchia) dove era nato alla terra dei Cananei aveva bisogno dei pozzi e pozzi scavava !  Ora i suoi presunti discendenti Israeliani l’acqua la comprano grazie ad accordi pilotati oppure, direttamente e illegalmente, se la prendono!  Altro che tecnologie avanzatissime da promuovere nel prossimo Expo 2015.
Nel 1982 l’infrastruttura idrica della Cisgiordania controllata dall’esercito israeliano è stata consegnata alla Mekorot per la cifra simbolica di 1 Nis (euro 0,20). Da allora, l’azienda funziona come il braccio esecutivo del governo israeliano per le questioni idriche nei Territori Palestinesi Occupati (Tpo) e gestisce una rete idrica che è collegata con la rete nazionale israeliana.
Nel 2008, il 97,5 per cento dell’acqua fornita agli insediamenti nella Valle del Giordano è stato destinato ad uso agricolo.  La realizzazione di impianti per l’acqua da parte della Mekorot ha consentito l’ampio sviluppo dell’agricoltura intensiva israeliana nei Tpo e contribuisce ai profitti realizzati dagli insediamenti e dai coloni attraverso la coltura  e le esportazioni agricole.
Il consumo di acqua pro capite in Israele è più di cinque volte superiore a quello dei palestinesi della Cisgiordania: 350 litri/persona al giorno in Israele e più di 400 litri/persona al giorno negli insediamenti, rispetto a 60 litri/persona al giorno per i Palestinesi in Cisgiordania.
Durante gli aridi mesi estivi, la Mekorot riduce o taglia temporaneamente le forniture per le comunità palestinesi, mentre i coloni israeliani della porta accanto continuano ad essere riforniti con quantità illimitate di acqua.
Il prezzo di base che Mekorot fa pagare ai coloni e agli utenti israeliani è di 1,8 Nis per metro cubo di acqua, rispetto alla media di 2,5 Nis per metro cubo che pagano i palestinesi, e non hanno certo un tenore di vita superiore agli israeliani.
Per fortuna c’è chi si ribella: Vitens, il primo fornitore di acqua in Olanda, ha interrotto un accordo con la Mekorot motivando la propria decisione con l’impegno profuso nel rispetto della legalità internazionale. Si può fare, e si deve fare anche in Italia, dicono Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese e il Comitato Romano per l’Acqua Pubblica perché in nome dei profitti economici e del benessere di pochi non si possono violare impunemente i diritti fondamentali degli esseri umani.
Per chiedere ad Acea di non procedere ad alcun ulteriore accordo con la società idrica Mekorot è stata lanciata questa petizione:

A tutti viene chiesto di firmare e di far firmare.
Ogni firma manda una mail all’Acea e al Comune di Roma.

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