martedì 8 aprile 2014

Verso il 12 aprile. Appunti per una “rossa primavera”

Collettivo Militant




L’assemblea nazionale che si era svolta lo scorso 9 febbraio all’Università “La Sapienza” di Roma aveva segnato alcuni appuntamenti sulle agende di movimento. Alcuni, come quelli dello scorso 14 e 15 marzo che mettevano a tema il rapporto tra movimento di classe e apparato repressivo di Stato, hanno sicuramente evidenziato che l’opposizione sociale e politica in questo paese è un esperimento che nasce dal basso, che si innesta nelle contraddizioni quotidiane nel rapporto capitale/lavoro e che, soprattutto in un momento che puzza di campagna elettorale, ha sancito la sua diversità e diametrale opposizione allo spettacolo delle marionette europee. Esperimenti che però, pur nella bontà dello sforzo congiunto, devono ancora ragionare collettivamente per fare un salto di qualità in termini ricompositivi e organizzativi; passaggi obbligati, aggiungiamo, per poter coniugare una dimensione soggettiva del movimento di classe (ovvero, la percezione di sé come opposizione al governo del capitale) con una dimensione di massa del suo messaggio – vale a dire la capacità di essere chiari, ascoltati, di far viaggiare le proprie parole d’ordine. Quell’assemblea, però, aveva avuto anche il pregio di lanciare un nuovo momento di piazza a carattere nazionale, ovvero quello del prossimo 12 aprile, convocato per dare nuova linfa al percorso di continuità di chi aveva costruito il 19 OTTOBRE, e individuando come orizzonte di lotta comune “l’Europa dell’austerity”, la troika e il governo Renzi (in particolare il suo Jobs Act e il Piano Casa del ministro Lupi). Lo sforzo ricompositivo cui accennavamo in precedenza sta passando anche attraverso la convocazione di una piattaforma ampia, capace di chiamare in piazza quanta più gente possibile; non una sommatoria di strutture e parole d’ordine, sia chiaro – ma la possibilità di ricomporre in quella giornata una variegata opposizione alle politiche che da Bruxelles e Strasburgo vengono di riflesso imposte ai vertici politici di questo paese. Il 12 aprile, infatti, si caratterizzerà anche come il primo momento di piazza convocato dai movimenti contro il nuovo teatro di governo; un motivo in più, quindi, per mantenere una piazza che – nelle intenzioni della convocazione ad inizio 2014 – era destinata a porsi come risposta al vertice europeo sulla disoccupazione giovanile che si sarebbe dovuto tenere a Roma (si vociferava) ad aprile o comunque in primavera. Come invece abbiamo avuto modo di sentire e leggere in questi giorni, l’incontro bilaterale Hollande-Renzi ha stabilito che questo vertice si terrà a luglio, sempre a Roma, nei giorni in cui si inaugurerà il semestre italiano alla guida dell’UE: un motivo in più, quindi, per porre al centro del dibattito un ragionamento ancora più approfondito sul tema Europa. Ma forse è proprio a partire da questa parola, abusata tanto nei tg e nelle colonne dei quotidiani quanto in alcune analisi scritte alle nostre latitudini, che si dovrebbe iniziare a ragionare. In primo luogo per provare a capire e definire qual è la controparte (non solo politica) contro cui indirizziamo le nostre energie.
Più di una volta ci è capitato di riflettere sul fatto che va di moda una sostanziale e dannosa coincidenza/sovrapposizione dell’uso del termine Europa in luogo di Unione Europea, e viceversa. La confusione e sovrapposizione della dimensione geografica con quella politica, che determina una percezione distorta del nemico sovrastatale – appunto quel tentativo costituente di dare anche una forma politica e militare ad un esperimento che ad oggi è basato quasi esclusivamente su un’omologazione monetaria. Ed è proprio a partire da specifiche come queste che si può effettivamente dare un senso ampio a momenti di accumulazione e precipitazione di piazza, rimpallando la responsabilità di un disegno sovranazionale targato UE alle propaggini nazionali e impersonate, nel caso del nostro Paese, dal governo Renzi. Prima che venisse rottamato e allontanato da ogni velleità di carrierismo politico, persino Stefano Fassina si dichiarava contrario all’austerity del governo Monti, ma non per questo dalle nostri parti si è mai creduto in una sorta di redenzione mistica dell’ex Vice-ministro dell’Economia. Ma essere intellegibili ai più, oggi, ci impone di chiamare le cose con il loro nome e, se necessario, fermarsi un momento a riflettere. Essere contro l’Europa dell’austerity ci impone l’imperativo di dichiararci in aperta rottura con il disegno sovranazionale dell’Unione Europea; così come ce lo impone dichiararci nemici della troika e del governo Renzi. Fuggendo l’ansia di scivoloni nazionalisti e reazionari, su cui invece prova a proliferare la destra sociale in tutta Europa, dobbiamo essere determinati ad agire un percorso di coordinamento frontista con gli altri movimenti europei, escludendo la sibillina e ipnotica retorica del ritorno ad una sterile sovranità nazionale e facendo nostra, nostra della sinistra di classe, la vocazione internazionalista dell’opposizione all’UE. D’altronde, per le stesse identiche considerazioni i movimenti che oggi costruiscono il 12 aprile, ovvero gli stessi che hanno costruito il 19 ottobre, si sono detti contrari a qualunque cartello elettorale che non solo vuole riesumare le salme di un ceto politico ormai incapace di inserirsi in altro modo nelle complessità del mercato del lavoro, ma che pone in essere anche un ragionamento tossico secondo cui riformare l’Unione Europea a partire dall’elezione del suo Parlamento è una strada percorribile per cambiare lo stato di cose presenti. Il 12 aprile sarà quindi un momento di opposizione sociale e politica al diktat dell’UE, ai suoi sgherri nei parlamenti degli Stati membri e a chi, trincerato dietro l’ipotesi riformista di alternative elettorali, prova a racimolare le briciole lasciate cadere sotto il tavolo delle false rappresentanze.
Soprattutto, poi, la giornata del 12 aprile deve rendere chiare due cose. Prima di tutto, crediamo la giornata di lotta possa avere una centralità e una forza propulsiva solo se si sarà capaci di uscire dal suo aspetto evenemenziale, attribuendogli piuttosto il significato di una tappa sì determinante ma inserita in un ciclo di mobilitazioni che devono prendere di petto il voto europeo di maggio e il vertice di luglio, creando al contempo le premesse per la ricomposizione di un tessuto di lotta maturato anche nell’analisi della definizione del nemico comune, ovvero questo polo imperialista europeo. D’altro canto, poi, va fatta pesare a livello interno la responsabilità politica dell’unico partito che negli ultimi due anni si è mostrato convintamente e compattamente in linea con il disegno dell’UE: vale a dire il PD, noto per le sue mille guerre intestine eppure così unito quando si tratta di sposare la linea di Bruxells&Co. Non è un caso, crediamo, che tra le maglie del centrodestra e della destra sociale si faccia a spintoni per far emergere la propria tendenza anti-europeista e anti-UE, anche se – ne siamo consci – giocata in una chiave populista, antigovernativa e non certo di classe.

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