sabato 31 maggio 2014

Un primo maggio ed un 25 aprile speciali grazie ad un grande capitano

Luciano Granieri


1 maggio 1983.
Io e Mauro, non ricordo per quale motivo,  non potemmo  andare allo stadio ad assistere a Roma Avellino. Una giornata importante perché con una vittoria la Roma di Di Bartolomei Falcao e soci, poteva matematicamente vincere lo scudetto con  due giornate d’anticipo. Un peccato non esserci, dopo aver gioito, ma anche sofferto, quasi tutte le domeniche nel seguire dalla curva sud le gesta dei ragazzi di Liedholm.  Con Mauro ci siamo dati appuntamento a  casa sua.  Dopo aver visto il gran premo di Imola finito con una rocambolesca vittoria di Tambay sulla Ferrari, ottenuta  a seguito di un fuori pista  all’ultimo giro di Riccardo Patrese che fino ad allora aveva dominato la gara,  decidiamo   di   fare un giro in macchina con la radio a palla ascoltando tutto il calcio minuto per minuto.  Peccato, veramente peccato non essere allo stadio. La prima notizia arriva da Torino, dove l’Inter passa in vantaggio sulla Juve con Altobelli. Se vinciamo siamo campioni d’Italia. Mauro ed io parliamo a mono sillabi, lui non riesce più a guidare. Realizziamo che conviene fermarsi per evitare incidenti. Parcheggiamo davanti al palazzo della Provincia.  C’è una punizione per la Roma.  Centi commette fallo sul capitano Di Bartolomei.  Falcao batte e da venti metri fa partire un missile terra aria che si infila in rete. Uno  a zero. Classifica: Roma 40, Juve 35. Roma campione d’Italia. Apriamo le portiere Mauro scende e comincia a girare intorno alla macchina. Io rimango con un piede fuori e l’altro dentro a tormentare il tappetino.  Punizione   per l’Avellino. Calcia Vignola ma il suo tiro fortunatamente ha una sorte diversa rispetto al bolide di Falcao, si stampa sulla traversa e la Roma si salva. Più attenzione accidenti! bisogna portarla a casa a tutti i costi.  Mentre continuiamo tutti e  due come scemi a girare intorno alla macchina, dalla radio irrompe l’esplosione dell’Olimpico. Dopo un azione tambureggiante la palla arriva a capitan Di Bartolomei. Gran botta d’esterno destro e la rete alle spalle di Tacconi si gonfia per il due  a zero. Ancora il capitano, ancora Di Bartolomei con il suo 7° sigillo stagionale stava per far entrare la Roma nella storia. Mauro non si tiene, imbocca verso Via Firenze, anch’io scendo dalla macchina e comincio a camminare, direzione  Via Brighindi. Probabilmente lasciamo la macchina con gli sportelli aperti, la radio accesa e le chiavi infilate nel cruscotto. Non so cosa sia successo nei minuti successivi, non mi ricordo dove sono andato, se sono rientrato  in macchina. Eravamo ebbri di gioia. Ma quando siamo tornati in noi, la Juve aveva pareggiato con Bettega. Roma 40, Juve 36. Lo scudetto non era vinto, ma a Genova la domenica successiva, sarebbe bastato un paraggio per chiudere il discorso. Sarebbe stata una formalità. Lo capimmo vedendo nel corso di “Novantesimo minuto l’esultanza irrefrenabile di Agostino Di Bartolomei dopo il gol del 2 a 0. Mai Agostino, un calciatore estremamente lucido e compassato aveva festeggiato così. Un esultanza del genere significava una sola cosa “SCUDETTO”.

25 aprile 1984
E’ un pomeriggio dalle temperature estive, nonostante sia aprile. Il sole picchia sulle gradinate della curva. La sud è festante come al solito, anche se la paura di non riuscire a ribaltare lo zero a due rimediato a Dundee contro il Dundee United, si percepiva  forte e chiara. Con Alberto, ed altri amici, avevamo visto la partita d’andata, persa in Scozia, nella sua casa di Pomezia. In una triste serata, piovosa  Derek Starks e David Dodds ci mandarono di traverso la pizza e la birra che stavamo consumando davanti alla TV. Ed ora eccoci  a spingere dalla curva Di Bartolomei e compagni affinchè segnassero i tre gol necessari ad andare in finale senza subirne alcuno. La paura si tramuta in fiducia vedendo giocare la squadra. Del resto avevamo già  rifilato tre gol alla Dinamo di Berlino, dunque si  poteva fare  . Undici uomini facevano correre il pallone come se la certezza di riuscire a passare il turno fosse granitica  . Bruno Conti và in gol ma l’urlo ci si spezza in gola. La rete è annullata per fuori gioco. Il terrore si materializza qualche minuto dopo quando su un cross di Bannon,  Milne  a porta vuota spedisce in tribuna. Ma non c’è problema. Roberto Pruzzo è in grande spolvero . Angolo di Bruno Conti, girata di testa del bomber ed è uno a zero. Nelle gradinate succede il parapiglia, salto ad abbracciare Alberto e gli altri ragazzi. Ma ci ricomponiamo subito. La strada è ancora lunga. Lancio millimetrico di Di Bartolomei per Maldera, il quale manda in area per Pruzzo. Stop di petto e giravolta  in scivolata per il due a zero. Pari e patta. Stavolta l’esultanza è quasi incontenibile. Un massa umana mi salta addosso urlante e festante. Fine primo tempo. Tutti pensano “E’ FATTA” ma nessuno osa dirlo. C’è da segnare ancora, e soprattutto non bisogna prendere gol.  La Roma non si scompone.  Nel secondo tempo scende in campo con la freddezza  e la calma dei forti e infatti dalla nostra metà campo, Graziani serve sulla corsa Cerezo, da questi a Conti che libera Pruzzo  tutto solo davanti al portiere. Ma per entrare nella storia serve lui il capitano.  Agostino di Bartolomei.  Così Pruzzo viene atterrato dal portiere Mc Alpine e sul dischetto del rigore va Di Bartolomei. Freddo come al solito, senza neanche prendere la rincorsa spiazza il portiere  scozzese. Tre a zero e che la festa abbia inizio. Alberto comincia a saltare come tarantolato. Nella bolgia degli abbracci gli cadono gli occhiali e lui ci salta sopra riducendoli in poltiglia. Solo a partita finita Alberto realizza della gravità del danno. Ma per una finale di Coppa dei Campioni, si possono anche ricomprare un paio di occhiali anche se cososi. Ancora Di Bartolomei, l’umile ma autorevole capitano. IL CAPITANO, prima dell’avvento di Totti ovviamente, aveva segnato l’ennesima pagina  importante nella storia della Roma. L’ultima immagine che ricordo di quella giornata è la passeggiata con Alberto orbo ed altri amici per Via del Corso, attorniato di bandiere giallorosse  con i colori di un tramonto mozzafiato che  abbellivano, l’improbabile sagoma dell’Altare della Patria in fondo alla strada.  Uno degli artefici di queste intense emozioni sportive, Agostino Di  Bartolomei, il 30 maggio di vent’anni fa decideva di farla finita con la vita, sparandosi un colpo di pistola alla tempia. Non so se   avrà pensato prima di spararsi a quanti momenti belli, come quelli che ho appena descritto, aveva regalato a centinaia di migliaia di persone. Chissà magari questo pensiero avrebbe fermato la sua mano suicida. Non so se sarebbe bastato. So solo che  personalmente devo ringraziarlo per avermi regalato delle piccole gioie. Perché le gioie del calcio sono piccole, non ti cambiano la vita, ma aiutano. Grazie Capitano.


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