giovedì 24 luglio 2014

Contro l'aggressione sionista!

dichiarazione del Segretariato Internazionale della Lit-Quarta Internazionale
Israele continua i suoi feroci attacchi contro la Striscia di Gaza, attraverso intensi e continui bombardamenti aerei. Allo stesso tempo, il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato che non esclude un'invasione di terra del territorio palestinese [si tenga presente che il testo, che qui presentiamo tradotto, è stato scritto la settimana scorsa - ndt].
Israele mente dicendo che bombarda solo “obiettivi militari”. Gli attacchi hanno già provocato quasi 200 morti –in maggioranza civili– tra cui molti anziani, donne e bambini. Come uno specchio della realtà uno dei luoghi bombardati dall'aviazione è stato un bar in cui dei residenti palestinesi assistevano in tv alla partita di calcio tra Argentina e Olanda, dei Mondiali di calcio in Brasile.
I media occidentali e pro-imperialisti tentano di mostrare ciò che sta accadendo come il risultato di due popoli di religioni diverse (palestinesi ed ebrei) che “non si riconoscono” a vicenda e che, per questo, “non possono vivere in pace”. Ma la realtà buca questa cortina di fumo e le immagini e le informazioni dimostrano con assoluta chiarezza che il vero aggressore è lo Stato sionista e le sue forze militari, armate fino ai denti, contro un popolo che, a confronto, è praticamente disarmato.

Una lunga storia di usurpazioni e aggressioni
Per comprendere l'attuale “questione palestinese” è necessario vedere come è stato creato lo Stato di Israele nel 1948, e cosa significò la sua creazione per il popolo palestinese. Il sionismo, la corrente politico-ideologico che portò avanti la creazione del moderno Israele, giustificò le sue azioni con una grande falsificazione storica sostenendo: "in Israele si unirono 'un popolo senza terra' (quello ebraico) e 'una terra senza popolo' (la Palestina)". Con questa grande menzogna si sono giustificati i crudeli crimini commessi dal sionismo per “cancellare” il popolo palestinese dalla storia.
In un territorio ad assoluta maggioranza araba, durante i primi decenni del ventesimo secolo avevano cominciato a giungere gli immigrati ebrei europei, un processo questo incoraggiato dall'imperialismo (prima quello inglese e dopo quello statunitense). Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale (1945), questo processo si è accentuato. Gli ebrei europei avevano sofferto un atroce genocidio da parte dei nazisti e il mondo era sconvolto da ciò. Questo giusto sentimento fu usato dall'imperialismo e dai sionisti a proprio vantaggio: chi avrebbe potuto opporsi alla creazione di uno Stato dove gli ebrei avrebbero potuto “vivere in pace” e “guarire le proprie ferite”?
Il controllo del Medio Oriente, detentore dei due terzi delle riserve mondiali di petrolio, aveva un valore strategico. Pertanto, gli Usa, oltre a contare sulle petro-monarchie alleate (come quella dell'Arabia Saudita), avevano bisogno di avere una “base propria”, un solido punto di appoggio per controllare la regione. Questo punto sarebbe stato lo Stato di Israele.
Ma nonostante l'aumento dell'immigrazione degli ebrei, gli arabi continuavano ad essere una preponderante maggioranza nel territorio: all'epoca, lì vivevano 1.300.000 arabi palestinesi e 600.000 ebrei. Nonostante ciò l'Onu consegnò a Israele il 52% della superficie, e ai palestinesi il 48%. Cioè, dalla sua stessa nascita Israele ha significato una usurpazione e un furto, perché i palestinesi dovettero cedere il 52% del loro territorio a una minoranza che, oltre tutto, era stata creata artificialmente. Anche nel territorio concesso a Israele, i palestinesi erano la maggioranza (950.000).
Restava, tuttavia, un problema aperto: cosa fare con il popolo palestinese che viveva in quella terra? La “soluzione sionista” fu il terrore e la realizzazione di una “pulizia etnica” per espellere i palestinesi dalle loro case e dalle loro terre. Organizzazioni sioniste armate (come Ergun e Lehi) attaccarono centinaia di villaggi palestinesi, uccidendo uomini, donne e bambini, come nel villaggio di Deir Yassin (vicino Gerusalemme). Sei mesi di “pulizia etnica” (sotto la benevolenza dell'imperialismo e dello stalinismo), ebbero come risultato che solo 138.000 palestinesi rimasero nel territorio israeliano. Il resto era stato espulso violentemente.
I palestinesi espulsi partirono quindi verso l'esilio nei Paesi arabi (specialmente Giordania, Libano e Siria) o per regioni più lontane, come gli Usa e l'America Latina. In questo modo, questo popolo finì per essere diviso in tre settori: quelli che vivono all'interno dei confini di Israele, coloro i quali vivono a Gaza e in Cisgiordania, e quelli che sono andati in esilio. Così nacque la tragedia (Nakba) di questo popolo, causata dalla creazione dello Stato di Israele. Così nacque, anche, la lotta per riconquistare il proprio territorio storico.

La falsa soluzione dei “due Stati”
Lo Stato di Israele è stato creato nel 1948 come un enclave militare imperialista in Medio Oriente. Da allora ad oggi la storia di Israele è stata l'aggressione permanente e la repressione contro il popolo palestinese e l'insieme dei popoli arabi. È stata anche la storia di una continua espansione e occupazione dei territori concessi dall'Onu ai palestinesi, riducendoli alla Striscia di Gaza e a una Cisgiordania tagliata come un “groviera” attraverso il Muro della Vergogna, che la accerchia e la priva delle migliori terre e fonti d'acqua.
L'imperialismo statunitense e l'Onu sostengono che l'unica soluzione agli scontri tra palestinesi e israeliani è quella dei “due popoli, due Stati”. Contano, anche in questo, sull'appoggio di papa Francesco. Questa proposta è appoggiata dall'organizzazione Al Fatah (che oggi governa la Cisgiordania), dall'Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), il fronte di Al Fatah e diverse altre organizzazioni, e gran parte della sinistra mondiale.
Perché è una falsa soluzione? In primo luogo, non è altro che la continuazione della risoluzione dell'Onu del 1947. Vorrebbe dire sancire e legalizzare a livello internazionale il furto e l'usurpazione che significò la creazione di Israele, anche se si adottasse sulla base dei confini precedenti la guerra del 1967. In secondo luogo, il popolo palestinese resterebbe definitivamente diviso in tre settori. Il primo di questi, il milione e mezzo di palestinesi che vivono all'interno di Israele, sarebbe condannato sempre più a sopportare isolato gli attacchi dei governi israeliani che vogliono cancellare la sua memoria e la sua storia, espellerlo direttamente, o lasciarlo in condizioni insostenibili, come coloro che oggi vivono a Gerusalemme Est. I tre milioni e mezzo di abitanti palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, abitanti del futuro mini-stato “indipendente”, dovrebbero vivere in un Paese frammentato, senza alcuna autonomia economica praticabile, senza forze armate e con i suoi confini pattugliati dalle truppe della Nato. Infine, i cinque milioni che vivono fuori della Palestina vedrebbero definitivamente liquidato il loro diritto al ritorno.
Allo stesso tempo, questo mini-stato palestinese dovrebbe coesistere con il mostro militare sionista al suo fianco e con la sua permanente necessità di aggressioni per auto-giustificare la sua esistenza.
Per una Palestina Unica, Laica, Democratica e Non Razzista
Di fronte alla proposta dei “due Stati”, l'unica vera soluzione è la costruzione di una Palestina unica, laica, democratica e non razzista in tutto il suo territorio storico, parola d'ordine centrale del programma di fondazione dell'Olp negli anni '60.
Una Palestina senza muri ne campi di concentramento, a cui possano fare ritorno i milioni di rifugiati espulsi dalla loro terra e recuperare i propri pieni diritti i milioni che rimasero e sono oggi oppressi. Un Paese in cui, a loro volta, possano permanere tutti gli ebrei che siano disposti a convivere in pace e uguaglianza.
Ma questa proposta non può essere portata avanti e non ci sarà pace in Palestina fino a quando non sarà sconfitto definitivamente e distrutto lo Stato di Israele. Cioè, fino a quando il cancro imperialista che corrode la regione non sarà estirpato in maniera definitiva.
Chiamiamo i lavoratori e il popolo ebraico ad unirsi a questa lotta contro lo Stato razzista e gendarme di Israele. Tuttavia, dobbiamo essere coscienti che, per il carattere della popolazione ebraica israeliana, è più probabile che solo una piccola minoranza accetti questa proposta, mentre la stragrande maggioranza difenderà con le unghie e con i denti il “suo Stato” i suoi e privilegi e pertanto dobbiamo lottare contro di loro fino alla fine.
Le vere ragioni degli attuali attacchi
La scusa usata dal governo israeliano per lanciare il suo nuovo attacco è stato il rapimento e l'assassinio di tre giovani israeliani, i cui corpi sono stati trovati in Cisgiordania, pochi giorni fa. Finora, nessuna organizzazione palestinese ha rivendicato questo fatto e alcuni analisti stanno prendendo in considerazione la possibilità che sia una provocazione montata dagli stessi israeliani. Tuttavia, il governo israeliano ha addossato la colpa di ciò all'organizzazione Hamas.
La ragione di fondo di questi attacchi è un'altra. L'imperialismo statunitense (come quello europeo) stava spingendo per l'apertura di negoziati con i palestinesi nella prospettiva dei “due Stati”. Questo era lo scopo dei viaggi del Segretario di Stato degli Usa, John Kerry, e di papa Francesco. L'accordo tra le organizzazioni di Al Fatah e Hamas (come analizziamo più avanti) si ubicava in questa prospettiva.
Israele e il governo Netanyahu non vogliono aprire questi negoziati e tanto meno vogliono che Hamas si sieda a quel tavolo. L'attacco attuale è, quindi, una maniera di “bombardare” qualsiasi possibilità di trattativa immediata.
L'imperialismo ha una politica tatticamente diversa da quella del governo israeliano, e questi attacchi la mettono in crisi. Ma allo stesso tempo, gli Usa e l'imperialismo nel suo insieme non abbandonano –men che meno– il loro alleato strategico, difendendo il suo “diritto alla difesa” e, una volta di più, senza alcuna sanzione per i suoi crimini.
D'altra parte, la società israeliana sta attraversando una profonda crisi e una divisione che rompe lo “spirito nazionale ebraico” con il quale Israele è stato costruito. Soprattutto perché una parte dei fondatori dello Stato sionista (gli immigrati europei ashkenaziti e i loro discendenti) si è “imborghesita” e già non sembra più disposta a dare la vita per esso. Perciò l'attacco è anche un tentativo di superare questa crisi e recuperare lo spirito di “unità nazionale”, come sempre attraverso la guerra e l'aggressione ai palestinesi.

Le direzioni palestinesi
Dagli accordi di Oslo (1993), l'organizzazione Al Fatah e l'insieme dell'Olp capitolarono all'imperialismo e a Israele riconoscendo la sua esistenza e rinunciando alle loro parole d'ordine fondative. Si trasformarono così in amministratori di quella specie di bantustan (le false repubbliche nere create durante l'apartheid sudafricano) che sono i territori dell'Anp (Autorità Nazionale Palestinese). Nel mentre con la “polizia palestinese” hanno spesso collaborato con Israele nella repressione delle masse popolari.
L'organizzazione islamista Hamas, che governa la Striscia di Gaza, da parte sua, non ha mai tolto dal sua programma la parola d'ordine della distruzione di Israele e della riunificazione della Palestina. Inoltre è permanentemente attaccata da Israele, che la considera ancora un “organizzazione terrorista” e attacca costantemente la Striscia di Gaza. Tuttavia, il governo di Hamas nella Striscia ha represso tutte le espressioni di opposizione, incluse quelle che lottano contro Israele, come ha fatto con le manifestazioni di solidarietà alla rivoluzione egiziana nel 2011.
Allo stesso tempo, ha sempre cercato un accordo con Al Fatah e con il governo di Mahmoud Abbas (Abu Mazen), accettando che questo continui ad essere presidente della Anp e che continui a negoziare accordi di sicurezza con Israele. Nei fatti questo significa accettare anche la politica dei “due Stati”. Questo è il significato della recente riconciliazione, che in pratica rappresenta una capitolazione di Hamas.
L'accordo Al Fatah-Hamas sarebbe quindi una maniera di mostrare all'imperialismo che c'è una direzione palestinese (con un “fronte unito” delle principali organizzazioni) capace di controllare il processo nei territori e governare il mini-Stato palestinese.
Con la loro politica, le direzioni di Al Fatah e di Hamas esprimono sostanzialmente gli interessi dei settori borghesi della Cisgiordania e di Gaza, per i quali la creazione del mini-stato palestinese potrebbe portare qualche beneficio. Ma lo fanno sacrificando gli altri due settori palestinesi. In sostanza gli esuli, che come abbiamo visto, perderebbero ogni possibilità di ritorno.
Per adempiere al compito storico di recuperare il territorio palestinese e conseguire l'obiettivo dichiarato della fondazione dell'Olp sarà necessario, quindi, l'emergere di nuove direzioni dalla lotta e dalle nuove generazioni di giovani (tanto nei territori come nell'esilio), sempre più lontane dalle vecchie organizzazioni e non disposte ad “ammainare le bandiere” storiche.
Diamo impulso ad una grande campagna internazionale per fermare la nuova aggressione israeliana
Ripudiamo questa nuova aggressione dello Stato sionista al popolo palestinese e esprimiamo ancora una volta la nostra solidarietà e il nostro appoggio ai palestinesi. L'isolamento internazionale di Israele (il vero aggressore) è sempre più grande.
In molte città del mondo arabo, in Europa e in America si stanno sviluppando mobilitazioni di solidarietà con i palestinesi. Facciamo appello a raddoppiare e aumentare questa campagna internazionale per obbligare Israele a fermare questa nuova azione genocida.
È inoltre necessario, esigere azioni concrete da parte dei governi, come la rottura delle relazioni diplomatiche e degli accordi commerciali privilegiati (come quelli che ha il Mercosur) con Israele, nel quadro della campagna che la Bds (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) e altre organizzazioni stanno sviluppando.
Ciò è particolarmente importante nel mondo arabo. Il presidente egiziano Al Sisi, ha detto che appoggia la causa palestinese. Dobbiamo quindi esigere che apra incondizionatamente la frontiera tra Egitto e Gaza e permetta il passaggio di armi affinché Hamas e l'intera popolazione di quel territorio possano difendersi da questa aggressione. L'organizzazione libanese Hezbollah è stata l'unica che ha sconfitto militarmente l'esercito israeliano nel 2006. Ora però le sue forze sono impegnate in Siria nella difesa del dittatore Al Assad. Esigiamo che lasci la Siria e ponga tutta la sua forza ed esperienza militare per combattere insieme ai palestinesi contro Israele. Anche il dittatore siriano Assad dice di appoggiare i palestinesi (e questo è uno dei motivi centrali per cui viene difeso da gran parte della sinistra mondiale). Ma oggi la frontiera tra il suo Paese e lo Stato sionista è considerata una delle “più tranquille” dagli israeliani stessi. La smetta di attaccare i “ribelli” siriani e i palestinesi del campo di Yarmouk e aiuti i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania a fermare l'attacco israeliano!
Fermiamo subito l'aggressione israeliana!
Tutta la nostra solidarietà e appoggio al popolo palestinese!
Per una Palestina Unica, Laica, Democratica e Non Razzista!
(traduzione dall'originale spagnolo di Giovanni “Ivan” Alberotanza)

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