venerdì 11 luglio 2014

Terme romane. O la borsa o il palazzone

Luciano Granieri

La  questione delle terme romane di epoca imperiale,  a rischio sepoltura sotto 35.000 metri cubi di cemento, finalmente  arriverà sul tavolo del ministro dei Beni Culturali Franceschini. Grazie all’interrogazione parlamentare dei senatori Pd Francesco Scalia e Maria Spilabotte, e al parallelo orientamento dei deputati Luca Frusone M5S e Nazareno Pilozzi ex Sel, il ministro dovrà occuparsi dei reperti archeologici presenti nel sottosuolo di Frosinone. 

Non c’è dubbio che la situazione sembra segnare un punto a favore dei movimenti e delle associazioni che si battono per salvaguardare l’enorme patrimonio culturale archeologico  del Capoluogo.  A corroborare questa ipotesi, oltre che all’interessamento di deputati e senatori locali, emerge il giallo  della scomparsa di una nota con cui il dirigente del settore Pianificazione Territoriale e Ambiente, Elio Noce, proponeva alla Direzione Regionale per i Beni Culturali e del Paesaggio di rivedere la tutela diretta e indiretta dell'area d’interesse archeologico  adeguandone l’estensione anche al sito dove dovranno sorgere palazzi e centri commerciali.  La nota in questione è riemersa con somma indignazione da parte delle associazioni che hanno chiesto ragione al Comune  dell’autorizzazione paesaggistica concessa senza prima discutere l’oggetto della valutazione del dirigente Noce. 

Da ultimo, gli scandali che recentemente hanno coinvolto alcuni dirigenti della sopraintendenza aggravano ulteriormente la posizione di chi vorrebbe costruire sulle terme. Ma anche quando il diritto dei cittadini di rientrare in possesso di una ricchezza comune sembra essere rispettato, irrompe la forza della proprietà  e dell’interesse privato. La società interessata alla costruzione del grande blocco residenziale e commerciale sul sito delle terme, con molta calma e tranquillità si dice disposta a rinunciare al suo progetto, ma evidentemente reclama il risarcimento delle spese di scavo , dei lavori svolti fino ad oggi e dei danni per lo stop al cantiere, oltre a ribadire che  quella operazione urbanistica  avrebbe portato nelle casse del comune circa un milione di euro in oneri concessori. La posizione è chiara, che i diritti dei cittadini siano soddisfatti ma…..ridateci i soldi e tanti. 

E’ un argomento questo a cui il Comune non potrà rimanere insensibile per cui, alle fine, interrogazioni, raccolte di firme, proteste, finiranno per soccombere alla ragione del capitale e dell’unico diritto inviolabile nel nostro disgraziato paese  che è quello della proprietà privata. Il tutto però parte da una concezione rovesciata  del problema. 

E’ evidente che il sottosuolo di De Matthaeis  contiene  una vasta area d’interesse archeologico. Un’area che  dalla Villa Comunale si estende almeno fino all’inizio di Via Roma se non oltre. Ed è altrettanto evidente che gli ingegneri e gli architetti  delle terme romane  all’epoca non hanno edificato  la struttura a macchia di leopardo,o a cazzo di cane,  lasciando  un buco vuoto proprio in corrispondenza del terreno dove più di duemila anni dopo un costruttore avrebbe voluto piazzarci il suo bel palazzone senza avere la rogna di imbattersi nei loro cocci. 

Dunque se è vero, come è vero, che tutta l’area di De Matthaeis sorge sopra un enorme insediamento archeologico, su di essa deve essere interdetto ogni tipo di intervento urbanistico che non sia finalizzato alla riscoperta e alla riqualificazione del sito archeologico.  E quand’anche l’esistenza di una parte delle terme non sia evidenziata da uno scavo specifico nell’area interessata,  su questa stessa area dovrebbe rimanere comunque il divieto di edificazione, oppure, in mancanza, come detto , dell’evidenza un privato potrà entrare in possesso dell’area su cui non sono ancora stati  eseguiti  accertamenti  , ma lo farà a suo rischio e pericolo.  Acquisirà il terreno, procederà a sue spese agli scavi per verificare che non vi sia nulla nel sottosuolo, poi se le ricerche saranno negative la costruzione potrà proseguire, se invece dovessero venire alla luce i reperti, il privato restituirà  tutta l’area al Comune senza nulla a pretendere in cambio.  

Queste dovrebbero essere le prescrizioni da seguire in un sito interessato da reperti archeologici. La difesa delle potenzialità culturali del territorio e la loro fruibilità da parte della collettività dovrebbe essere il primo obbiettivo da perseguire, dopo e solo dopo arriva l’eventuale interesse del costruttore privato.  In questo caso in vece si è proceduto in senso contrario. Il privato costruisce comunque,  l’interesse sarà quello di fermare ogni tentativo di accertamento sotto il suolo oggetto dell’edificazione e di depotenziare e negare qualsiasi documentazione che attesti la presenza di reperti archeologici. 

Se anche questo tentativo dovesse fallire l’ultima ratio sarà quella di rinunciare a far valere i diritti dei cittadini perché la decisione sarebbe troppo onerosa per il Comune che dovrà risarcire il costruttore per lo stop dei lavori e rinunciare agli oneri di urbanizzazione. Insomma così come è messa la situazione, sarà difficile fermare il progetto residenziale. E sarà sempre  più difficile in futuro se non si riuscirà  a sottomettere gli interessi privati agli interessi della collettività.  

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