sabato 26 luglio 2014

Una storia straordinaria in un luogo straordinario che stà per sparire

Luciano Granieri

Io e il mio amico Andrea Zanchi, maestro di tennis per sbarcare il lunario, ma pianista di jazz dalle eccellenti ambizioni, passavamo interi pomeriggi a suonare  nella sala teatro    all’interno dello studentato  universitario di  Via Spinola vicino alla Garbatella. Un  pianoforte a mezza coda non del tutto messo male, e una batteria approssimativa,  erano gli strumenti dove io (come schiatta pelli)  e Andrea (al piano) provavamo   standards jazzistici cercando di ispirarci alle performance del trio di Keith Jarret con Jack De Johnnette alla batteria e Gary Peacock al contrabbasso. Ovviamente da noi non c’era il contrabbasso, ma con buona volontà e applicazione, fra un glissato, una spazzolata qua e là, andavamo avanti ad improvvisare su “Stella by Starlight””, “All the Thigs you are”  e altri pezzi. 

Andrea era amico di Enrico Pieranunzi, uno pianista jazz di fama internazionale. Spesso prendeva lezioni da lui. Dopo aver suonato rimanevamo seduti nel giardino della casa dello studente a parlare  della necessità di trovare un contrabbassista, ma anche di tante altre cose inerenti la  nostra musica preferita. Fantasticavamo sulla possibilità un giorno di esibirci nei jazz club e nei festival estivi. Fantasie appunto, perché non ci sentivamo in grado di affrontare il pubblico, per di più senza contrabbassista. 

Una sera dopo aver suonato  di buona lena, Andrea mi invitò  ad un concerto di Enrico Pieranunzi . Non era la prima volta che assistevo ad una esibizione del pianista romano, ma in quella occasione particolare, grazie ad Andrea, avrei potuto conoscerlo.  La performance si sarebbe svolta all’Alexanderplatz. Un nuovo locale sito nel quartiere Prati a due passi dal Vaticano.  Non ero  mai stato all’Alexanderplatz, ero assiduo frequentatore del Music Inn, ma in quel nuovo jazz club non c’ero mai capitato.

 Con la Renault 4 di Andrea arriviamo un po’ troppo presto. Assistemmo  alla titanica impresa di Riccardo Del Fra impegnato a tirare fuori il contrabbasso da una vecchia station wagon. Gli demmo  una mano. Il locale non era grande ma molto accogliente. Mentre aspettavamo l’arrivo di Enrico, buttammo un’occhiata in giro. Era veramente un bel posto. Sobrio con il pavimento a scacchi, un arco che sovrastava il palco, tavoli e sedie in legno brunito a formare un’atmosfera calda e accogliente.  Siamo a metà degli anni ’80 il jazz italiano era in piena espansione e Roma stava diventando la capitale europea della musica afroamericana. Un locale come l’Alexanderplatz, avrebbe certamente contribuito ad arricchire la fama della Città eterna  come grande punto d’incontro dei grandi maestri del jazz mondiale.  

Arrivò  Enrico, insieme a Roberto Gatto, uno dei più grandi batteristi italiani in circolazione. A  questo punto  si capisce quale sarebbe stata la formazione che avrebbe accompagnato Pieranunzi quella sera, ma per chi non è addentro alle cose jazzistiche la ricordiamo. Suonavano Enrico Pieranunzi al pianoforte, Riccardo Del Fra al contrabbasso e Roberto Gatto alla batteria. Andrea mi presentò Enrico, ci parlò degli studi che stava facendo su Bill Evans, scherzammo con lui sulle nostre velleità di jazzisti in erba. 

Iniziò il concerto. Un set straordinario,  Mentre Riccardo Del Fra era impegnato in un assolo vedo che Enrico chiama Andrea. I due parlano fitto. Alla fine il maestro di tennis , con la faccia stralunata si avvicina e mi fa. “Enrico vuole che andiamo a suonare”. “Dove quando?” chiedo io. “ Nella pausa fra la prima e la seconda parte del concerto” è la risposta. “Che suoniamo, come suoniamo……” mentre balbetto queste parole incredulo Andrea aggiunge che Riccardo si unirà a noi con il Contrabbasso. 

Insomma alla fine ci facemmo coraggio salimmo sul palco. Suonammo “God Bless the Child” in una versione tendente al funky, così come proposto dal trio Jarrett, De Johnnette, Peacock  nel disco “Standards Vol.1. Ci facemmo prendere la mano e grazie al robusto contributo di Del Fra  ci divertimmo ad improvvisare  anche su “All Blues”  venne fuori una buona prestazione, per lo meno il pubblico parve gradire, ma soprattutto Enrico, Roberto e Riccardo ci fecero i complimenti.   Vivemmo il nostro quarto d’ora di gloria. Non so per Andrea, ma per me fu uno dei quarti d’ora più belli della   vita. 

Questa storia, inventata ma non troppo, fa parte di quelle storie  che possono nascere solo nel variegato mondo del jazz e in posti straordinari come l’Alexanderplatz.  l’Alexanderplatz, dopo aver ospitato musicisti del calibro di Chick Corea, Chet Baker, Billy Higgins, Michel Petrucciani, Michael Brecker,  e molti altri straordinari jazzisti, oggi sta per chiudere. L’8  luglio scorso è arrivato un avviso di sfratto per morosità.  20 mila euro fra affitti e bollette, impegni  che la famiglia Rubei, instancabile organizzatrice degli eventi, tutti portati avanti senza il minimo aiuto pubblico, non ce la fa più ad onorare. 

Per decenni  la passione di queste persone ha trasformato l’Alexnderplatz  nel più famoso jazz club della Capitale, dando lustro culturale alla città di Roma.  Ma se non si raccoglie la cifra necessaria entro il 28 luglio questo tempio del jazz, questa culla di sogni e di speranze è destinata a morire.  Non è un bel segnale se si affianca alla chiusura di musei e allo smantellamento di Cinecittà. E’ anzi il segno inequivocabile che la grande bellezza della Città eterna sfiorisce perdendo petalo dopo petalo.

 Eugenio Rubei proprietario del locale ha lanciato un appello a musicisti e appassionati per una raccolta fondi che raggiunga entro tre giorni la cifra richiesta per evitare lo sfratto . La risposta dei musicisti non si è fatta attendere. Hanno subito raccolto l’appello: Javier Girotto, Alfredo Paixao, Ada Montellanico, Marcio Rangel, Flavio Boltro, Nicola Angelucci, Antonello Salis, Ronnie Cuber, Ezio Stuardi e All Over Gospel Choir, Mauro Zazzarini e Fabio Mariani. Basterebbe un contributo minimo anche da parte del comune, degli aiuti per aprire una scuola di musica ad esempio. Ma il sindaco Marino è disposto ad aiutare musicisti e appassionati per far continuare a vivere questo tempio della cultura, questa fabbrica di sogni e creatività? Lo dobbiamo e lo vogliamo sperare.
                                                                                                                                                                           



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