Buon risultato dello sciopero: ora rilanciamo la mobilitazione
contro Jobs Act, legge di stabilità e Accordo della vergogna
Il 14 novembre è stata un'importante giornata di lotta contro le misure anti-operaie del governo Renzi. Centinaia di migliaia di lavoratori e studenti sono scesi in piazza, in tutte le città d'Italia.
Una giornata che è nata come mobilitazione dei sindacati di base e degli studenti, denominata "sciopero sociale" da alcuni settori di movimento. Un'accezione che - al di là di alcune polemiche astratte sull'utilizzo dell'espressione "sciopero sociale" al posto di "sciopero generale" (non a caso avanzate da settori politici che tendenzialmente si accodano alle burocrazie della Cgil e della Fiom) - ha fondamentalmente un valore positivo, se l'intento è quello di coinvolgere in un'azione di lotta unitaria settori - studenteschi, di disoccupati, del cosiddetto "popolo delle partite iva" - che non hanno, tecnicamente, la possibilità di scioperare (nel senso proprio del termine). Oltre agli studenti, ci sono, infatti, ampi settori di piccola borghesi pauperizzata che è necessario coinvolgere in un'azione di unitaria con la classe lavoratrice, anche per tentare di sottrarli alle sirene dell'interclassismo razzista e populista (ben incarnato dal grillismo o da movimenti a direzione piccolo-borghese, come quello dei forconi, che ogni tanto rispunta).
Alla giornata di lotta del 14 novembre si è successivamente unita la Fiom, che ha proclamato una giornata di sciopero generale dei metalmeccanici, anche se solo nelle regioni del nord: al sud invece è previsto uno sciopero il 21 novembre, per una decisione poco comprensibile della direzione dei metalmeccanici della Cgil, che ha così optato ancora una volta per l'indebolimento e la frammentazione del fronte di lotta.
Alla giornata di lotta del 14 novembre si è successivamente unita la Fiom, che ha proclamato una giornata di sciopero generale dei metalmeccanici, anche se solo nelle regioni del nord: al sud invece è previsto uno sciopero il 21 novembre, per una decisione poco comprensibile della direzione dei metalmeccanici della Cgil, che ha così optato ancora una volta per l'indebolimento e la frammentazione del fronte di lotta.
Prima del 14 novembre...
Sono state tante le iniziative assembleari e di mobilitazione che hanno preceduto il 14 novembre e contribuito a rafforzare questa giornata di lotta. Vogliamo ricordare in particolare l'assemblea nazionale contro il Jobs Act e l'accordo della vergogna dell'8 novembre a Firenze: un'assemblea promossa, insieme con il coordinamento No Austerity, da tante differenti realtà sindacali e comitati di lotta di tutta Italia, da Milano a Roma, dalla Puglia al Piemonte, dal Trentino Alto Adige fino alla Campania. Come è possibile leggere nel report sul sito www.coordinamentonoausterity.org, l'assemblea ha approvato all'unanimità una risoluzione e tutte le organizzazioni presenti si sono impegnate a costruire un'azione di lotta unitaria contro le misure anti-operaie del governo, contro razzismo e Accordo della vergogna sulla rappresentanza.
Si parla troppo poco di questo famigerato Accordo - meglio noto come Testo unico sulla rappresentanza - siglato il 10 gennaio 2014 da Confindustria (poi Confcooperative), Cgil, Cisl e Uil. Eppure è un tassello fondamentale dell'attacco sferrato dai padroni e dal governo alla classe lavoratrice. Attraverso questo accordo, che il governo mira a trasformare in legge in breve tempo, si cerca di indebolire o distruggere il sindacalismo conflittuale, estendendo il modello Marchionne, già in vigore in Fiat, a tutto il mondo del lavoro.
Si tratta di una misura al contempo preventiva e repressiva: i padroni sanno di trovarsi di fronte a una pesante crisi sociale, con il rischio di proteste di massa. In questo momento di crisi economica il padronato non è disposto a concedere nessuna briciola alla classe lavoratrice. Per questo, l'usuale funzione concertativa degli apparati sindacali collaborativi (Cgil, Cisl e Uil) è inevitabilmente compromessa: l'unica cosa che oggi possono offrire ai lavoratori questi sindacati è qualche vuota promessa, oppure la rassegnazione. La vicenda Jobs Act ne è un esempio: mentre centinaia di migliaia di lavoratori scendono in piazza con la Cgil per dire no al Jobs Act, la Camusso e Landini si preparano alla resa, dimostrandosi disposti a una "revisione" della legge accentandone l'impianto complessivo.
La funzione del famigerato Accordo della vergogna è quella di costringere i sindacati a rinunciare a qualsiasi opzione conflittuale, limitandosi a svolgere il ruolo di "agenzie di servizi", utili solo a ratificare le decisioni del padrone (eventualmente con qualche azione di sciopero o di lotta meramente rituali). E' un accordo che è non è stato sottoscritto solo da Cgil, Cisl e Uil: anche la Fiom, nonostante la contrarietà a parole, lo sta firmando in occasione dei rinnovi delle rsu. Non solo: persino alcuni settori del sindacalismo "di base" hanno capitolato, come lo Snater e i Cobas Lavoro Privato, che hanno firmato l'accordo (seppur con una presunta clausola di salvaguardia, respinta dalla controparte e dagli altri sindacati firmatari).
Rafforzare il fronte di lotta contro l'accordo è molto importante, perché se questo accordo diventerà legge il sindacalismo conflittuale verrà fortemente indebolito e i provvedimenti del governo e gli attacchi dei padroni troveranno molti meno ostacoli sulla loro strada. Lottare contro il Jobs Act significa anche lottare per respingere l'Accordo della vergogna: per questo riteniamo fondamentale la campagna contro l'accordo (promossa dal coordinamento No Austerity insieme con tante realtà sindacali e di lotta). L'assemblea di Firenze ha rappresentato uno straordinario passo in avanti nella costruzione di un fronte ampio e unitario: un percorso che dobbiamo continuare a rafforzare.
Si parla troppo poco di questo famigerato Accordo - meglio noto come Testo unico sulla rappresentanza - siglato il 10 gennaio 2014 da Confindustria (poi Confcooperative), Cgil, Cisl e Uil. Eppure è un tassello fondamentale dell'attacco sferrato dai padroni e dal governo alla classe lavoratrice. Attraverso questo accordo, che il governo mira a trasformare in legge in breve tempo, si cerca di indebolire o distruggere il sindacalismo conflittuale, estendendo il modello Marchionne, già in vigore in Fiat, a tutto il mondo del lavoro.
Si tratta di una misura al contempo preventiva e repressiva: i padroni sanno di trovarsi di fronte a una pesante crisi sociale, con il rischio di proteste di massa. In questo momento di crisi economica il padronato non è disposto a concedere nessuna briciola alla classe lavoratrice. Per questo, l'usuale funzione concertativa degli apparati sindacali collaborativi (Cgil, Cisl e Uil) è inevitabilmente compromessa: l'unica cosa che oggi possono offrire ai lavoratori questi sindacati è qualche vuota promessa, oppure la rassegnazione. La vicenda Jobs Act ne è un esempio: mentre centinaia di migliaia di lavoratori scendono in piazza con la Cgil per dire no al Jobs Act, la Camusso e Landini si preparano alla resa, dimostrandosi disposti a una "revisione" della legge accentandone l'impianto complessivo.
La funzione del famigerato Accordo della vergogna è quella di costringere i sindacati a rinunciare a qualsiasi opzione conflittuale, limitandosi a svolgere il ruolo di "agenzie di servizi", utili solo a ratificare le decisioni del padrone (eventualmente con qualche azione di sciopero o di lotta meramente rituali). E' un accordo che è non è stato sottoscritto solo da Cgil, Cisl e Uil: anche la Fiom, nonostante la contrarietà a parole, lo sta firmando in occasione dei rinnovi delle rsu. Non solo: persino alcuni settori del sindacalismo "di base" hanno capitolato, come lo Snater e i Cobas Lavoro Privato, che hanno firmato l'accordo (seppur con una presunta clausola di salvaguardia, respinta dalla controparte e dagli altri sindacati firmatari).
Rafforzare il fronte di lotta contro l'accordo è molto importante, perché se questo accordo diventerà legge il sindacalismo conflittuale verrà fortemente indebolito e i provvedimenti del governo e gli attacchi dei padroni troveranno molti meno ostacoli sulla loro strada. Lottare contro il Jobs Act significa anche lottare per respingere l'Accordo della vergogna: per questo riteniamo fondamentale la campagna contro l'accordo (promossa dal coordinamento No Austerity insieme con tante realtà sindacali e di lotta). L'assemblea di Firenze ha rappresentato uno straordinario passo in avanti nella costruzione di un fronte ampio e unitario: un percorso che dobbiamo continuare a rafforzare.
...e dopo il 14 novembre
Tante e molto partecipate sono state le manifestazioni in occasione dello sciopero generale del 14 novembre. Una giornata che avrebbe potuto essere ancora più combattiva e incisiva, se alcune direzioni sindacali avessero fatto altre scelte: abbiamo citato il caso della direzione Fiom, che ha deciso di dividere lo sciopero dei metalmeccanici in due giornate differenti (14 novembre al nord e 21 novembre al sud); ma simile è stato l'atteggiamento della direzione di Usb, che ha preferito organizzare uno sciopero in solitaria il 24 ottobre, di fatto depotenziando la giornata del 14 novembre (anche se Usb ha comunque proclamato lo sciopero di 4 ore il 14).
Nonostante questi limiti, lo sciopero è indubbiamente riuscito. Le piazze erano piene e combattive, nonostante in alcune situazioni si sia riscontrata un'eccessiva frammentazione dei cortei e delle manifestazioni. E' emblematico il caso di Milano, dove si sono snodati per la città ben tre cortei: uno della Fiom (con un ampio spezzone del Si.Cobas), un partecipato corteo dei sindacati di base (Cub, Usi, Usb, Conf. Cobas) e infine un corteo degli studenti (che ha subito una pesante carica da parte della polizia, fatto su cui si sono avventati i mass media, al fine di occultare le ragioni dello sciopero e della protesta).
I militanti del Pdac erano presenti nelle diverse piazze della protesta: da Milano (in tutti e tre i cortei) a Bari (con uno spezzone di partito), da Palermo alla Campania, ecc. Nelle piazze e nei cortei, i comunisti devono stare al fianco dei lavoratori, anche quando vengono chiamati a manifestare dalle direzioni burocratiche della Fiom e della Cgil: ma al contempo compito dei comunisti è quello di dire ai lavoratori che non devono fidarsi dei quelle direzioni, anche se oggi appaiono a milioni di lavoratori, disoccupati, studenti come un punto di riferimento alternativo ai piani del governo (emblematica in tal senso è la figura di Landini). In realtà, né la Camusso né Landini offrono ai lavoratori un'alternativa a questo sistema economico e sociale, poiché l'unico loro fine è quello di difendere i propri interessi di apparato. La riprova sta nel fatto che Landini e la Camusso già stanno trattando con Renzi una semplice revisione del Jobs Act.
Una reale risposta alle esigenze della classe lavoratrice, dei disoccupati e degli studenti, può venire solo dalla costruzione di un'altra direzione delle lotte e degli scioperi, quella direzione che ancora manca: una direzione politica rivoluzionaria, che ponga all'ordine del giorno la cacciata del governo Renzi e lotti per la prospettiva di un governo dei lavoratori per i lavoratori. La costruzione di quella direzione su scala internazionale è l'obiettivo che si pongono il Pdac e le sezioni della Lit: un obiettivo non proclamato o astratto, ma che vogliamo e dobbiamo costruire nel vivo delle lotte, insieme con le avanguardie combattive che animano gli scioperi, i picchetti, le manifestazioni.
Nonostante questi limiti, lo sciopero è indubbiamente riuscito. Le piazze erano piene e combattive, nonostante in alcune situazioni si sia riscontrata un'eccessiva frammentazione dei cortei e delle manifestazioni. E' emblematico il caso di Milano, dove si sono snodati per la città ben tre cortei: uno della Fiom (con un ampio spezzone del Si.Cobas), un partecipato corteo dei sindacati di base (Cub, Usi, Usb, Conf. Cobas) e infine un corteo degli studenti (che ha subito una pesante carica da parte della polizia, fatto su cui si sono avventati i mass media, al fine di occultare le ragioni dello sciopero e della protesta).
I militanti del Pdac erano presenti nelle diverse piazze della protesta: da Milano (in tutti e tre i cortei) a Bari (con uno spezzone di partito), da Palermo alla Campania, ecc. Nelle piazze e nei cortei, i comunisti devono stare al fianco dei lavoratori, anche quando vengono chiamati a manifestare dalle direzioni burocratiche della Fiom e della Cgil: ma al contempo compito dei comunisti è quello di dire ai lavoratori che non devono fidarsi dei quelle direzioni, anche se oggi appaiono a milioni di lavoratori, disoccupati, studenti come un punto di riferimento alternativo ai piani del governo (emblematica in tal senso è la figura di Landini). In realtà, né la Camusso né Landini offrono ai lavoratori un'alternativa a questo sistema economico e sociale, poiché l'unico loro fine è quello di difendere i propri interessi di apparato. La riprova sta nel fatto che Landini e la Camusso già stanno trattando con Renzi una semplice revisione del Jobs Act.
Una reale risposta alle esigenze della classe lavoratrice, dei disoccupati e degli studenti, può venire solo dalla costruzione di un'altra direzione delle lotte e degli scioperi, quella direzione che ancora manca: una direzione politica rivoluzionaria, che ponga all'ordine del giorno la cacciata del governo Renzi e lotti per la prospettiva di un governo dei lavoratori per i lavoratori. La costruzione di quella direzione su scala internazionale è l'obiettivo che si pongono il Pdac e le sezioni della Lit: un obiettivo non proclamato o astratto, ma che vogliamo e dobbiamo costruire nel vivo delle lotte, insieme con le avanguardie combattive che animano gli scioperi, i picchetti, le manifestazioni.
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