“Non c’era cotone da
raccogliere tra il Leon & Eddie’s e
l’East River (locali di New York ndr), ma credetemi, da qualunque punto di
vista la guardaste, era vita da
piantagione. E noi non andavamo lì per guardare; dovevamo viverci.
Fraternizzare coi bianchi era proibito nel modo più assoluto : appena finito il
nostro numero, ci toccava scappar via dalla porta posteriore e metterci a
sedere nel vicolo fuori” Questo era lo scenario che Billie Holiday descrive
della sua esperienza unica, per l’epoca, di cantante nera all’interno di un
orchestra di bianchi. Siamo nel 1938
Lady Day è la stella assoluta della Big Band di Artie Shaw. Impazza la “swing
era”, il jazz è poco più che musica da ballo, non serve per pensare, né per
evocare cose tristi. Ma la presenza di Billie, nera, con la sua voce particolare dalle sonorità evocanti un sassofono tenore, anticipatrice del jazz che
verrà, è un cazzotto allo stomaco del
perbenismo ipocrita e spensierato che aleggia nei club della 52° a New York.
Nonostante fosse una gemma assoluta nel panorama vocale del jazz di tutti i
tempi, Billie Holiday, per accedere ai
locali dove si esibiva con la Big Band, doveva passare dalla porta riservata al personale di servizio, mentre i
suoi colleghi entravano dagli ingressi principali. La band alloggiava nei
grandi alberghi interdetti ai neri. Per lei quindi solo squallide camere in
sudice pensioni di periferia. Non poteva neanche cenare con i suoi colleghe
bianchi, perché lei, non solo era nera,
ma era anche donna. Unica donna dell’orchestra. Tutto questo subiva Billie, nel mondo spensierato della “swing era”, Ma nonostante
le umiliazioni e gli insulti, lei continuava forte delle sue doti canore ed
espressive. Continuava per essere d’esempio, per dimostrare che se un’artista,
donna e nera, riusciva a sfondare, anche altre in futuro ci sarebbero riuscite.
Fu l’anno dopo nel 1939, che Lady Day
decise di mostrare la sua rabbia anche attraverso l’esecuzione del brano. “Strange Fruit”. Una canzone scritta da
Abel Meeropol. Un professore ebreo-russo del Bronx, attivista del partito
comunista americano. L’insegnante rimase profondamente impressionato dalle foto
del linciaggio, avvenuto a Marion nell’Indiana,
di due neri Thomas Shipp ed Abram Smith, trucidati ed impiccati ad un
albero. Quelli erano gli strani frutti
degli alberi del sud. “Gli alberi del
sud danno uno strano frutto, sangue sulle foglie e sangue sulle radici,un
corpo nero dondola nella brezza del sud, strano frutto appeso agli
alberi di pioppo”. Barney Johnson il proprietario del Cafè
Society,locale dove in quel periodo si esibiva Billie, ascoltò il brano
divenuto molto popolare negli ambienti della sinistra statunitense e decise di
far conoscere ad Holiday Abel Meeropol il
quale chiese alla cantante di eseguire la sua composizione. Billie Holiday, che aveva subito le angherie del
razzismo fin dalla nascita, che dovette assistere alla morte del padre, colpito da polmonite, perché tutti gli
ospedali della zona si rifiutarono di ricoverare un nero, accettò
immediatamente. Con questo brano di protesta Billy Holiday raggiunse la fama
mondiale che la annovera ancora oggi fra le artiste più significative della
musica jazz. Ma le difficoltà non mancarono. Durante le esibizioni negli stati
del sud “Strange Fruit” non poteva essere eseguita. A Mobile, nell’Alabama, Lady Day venne cacciata solo per aver
accennato qualche nota della melodia . La Columbia Records, sua etichetta discografica abituale, si rifiutò di
produrre il brano, senza fornire alcuna spiegazione plausibile. Una piccola
casa discografica ebrea di New York permise all’artista di pubblicare il pezzo,
consentendo la divulgazione di una capolavoro, divenuto ormai un classico della
musica afro-americana. Fu così che la forte e fragile Billie Holiday oltre che una
grande artista divenne un’icona nella lotta per i diritti civili del popolo
afroamericano.
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