giovedì 26 marzo 2015

Jobs Act: la Costituzione non è più la stessa? Se ne discute a San Donato Val di Comino

Luciano Granieri

Il convegno intitolato “Jobs Act: La Costituzione non è più la stessa?” organizzato da Comitato Provinciale Frosinone  in difesa della Costituzione  , che si terrà  sabato 28 marzo a partire dalle ore  18,00 presso il Teatro Comunale a San Donato Val Comino, ha l’enorme pregio di  focalizzare  gli effetti nefasti del Jobs Act, sui principi della  Costituzione Italiana. 

  L’assalto ai cardini costituzionali in atto, sin da prima del governo Renzi, ma che con questo esecutivo stanno subendo un’inesorabile accelerazione, sono stati per lo più associati alla riforma del Senato non elettivo,  combinata con una legge elettorale, non rispettosa dei principi di rappresentanza e di democrazia. 

L'articolo  pubblicato sul quotidiano “il manifesto” dal  professor  Michele Prospero, docente di scienze politiche e filosofia del diritto, sociologia e comunicazione presso la facoltà di Scienze politiche dell’università “La  Sapienza” di Roma,  dal titolo “Un premier che marcia spedito verso l'800 riporta con estrema brutalità al processo di decostituzionalizzazione  del lavoro messo in atto dal Jobs Act.   

Le  lotte sociali e un contemporaneo impegno politico  negli anni ’70 avevano , attraverso la promulgazione dello statuto dei lavoratori, determinato un riequilibrio del potere del lavoro rispetto al potere del capitale. Un equilibrio che finalmente rendeva effettivo per tutti  il riconoscimento del valore insopprimibile ed inviolabile della persona umana.  

Con il Jobs Act, si afferma la tirannia del  capitale e il totale dissolvimento del potere del lavoro. Gli strumenti attraverso cui ciò si esplica sono noti, mi riferisco alla libera facoltà di licenziamento ingiusto, senza  che la magistratura possa  sanzionare tale enorme   abuso con una pena di pari gravità  rispetto  alle condizioni di emarginazione sociale ed economica  che lo stesso  abuso determina in chi lo subisce.

 Conferire al capitale un tale potere sulla dignità della vita dei lavoratori significa produrre uno strappo costituzionale devastante, soprattutto in relazione al principio  personalistico garantito a tutti i cittadini dalla  Costituzione. Tale  principio assicura "il riconoscimento pieno   della persona umana ,  della  pari dignità sociale e dell’eguaglianza di fronte alla legge senza nessuna distinzione di sesso,  di lingua, di religione, di opinioni i politiche di posizioni personali e sociali” (art.3).  L’elemento principale  per il riconoscimento di questo principio è il diritto al lavoro. Il lavoro è riconosciuto nella Carta Costituzionale come elemento principe dei rapporti economici….IL LAVORO, NON L’ACCUMULAZIONE FINANZIARIA.  Con il Jobs Act, si nega   dignità sociale. Sulla strada delle vittime schiavizzate da questa norma  pesano  come macigni quegli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza,  impediscono il pieno sviluppo  della persona umana e l’effettiva partecipazione politica, economica e sociale del Paese.  

Il Jobs Act     fa strame anche dell’art . 4  In  base al quale “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Con l’abolizione dell’art. 18 invece si rende effettivo il diritto al licenziamento. Il ricatto determinato   dal libero licenziamento anche senza giusta causa, elimina il diritto  dei lavoratori a "svolgere attività secondo le proprie possibilità e la propria scelta".  Se poi ci soffermiamo sul titolo III della Carta , che regola i rapporti economici, il Jobs Act rivela tutta la sua incostituzionalità. La già richiamata ricattabilità imposta dalla facilità con cui è possibile licenziare  costringe il lavoratore ad accettare riduzioni di salario,  paghe da fame e ritmi di lavoro disumani. Viene negato in tal modo   il diritto sancito dall’art.36   sul  "recepimento  di  una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità   lavoro svolto  e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se e alla famiglia un’esistenza libera dignitosa".  Sempre l’art. 36 delega alla legge ordinaria la facoltà di stabilire la durata massima della giornata lavorativa e la proporzionalità della retribuzione ai livelli di lavoro. E qui entra in ballo la legislazione sui contratti collettivi nazionali, che il Jobs Act di fatto distrugge, prevedendo l’abolizione della reintegra anche per i licenziamenti collettivi senza giusta causa. Sul CCNL pesa anche la legge Sacconi che concede ampia possibilità di deroga alle aziende  rispetto alla contrattazione collettiva nazionale.  

Possono dunque ricorrere le condizioni per indurre la Corte Costituzionale ad esprimersi  sulla costituzionalità del Jobs Act? E’ una domanda che sottoporrò  al professor Prosperi. Intanto sottoscrivo  la sua valutazione  sul carattere unicamente classista e teso a ripristinare la tirannia del capitale sul lavoro del Jobs Act. In termini puramente economici, infatti, la misura non produrrà nuovi posti di lavoro e soprattutto non attiverà la tanto invocata ripresa economica. 

 Come molti grandi imprenditori hanno già sostenuto, salutando con gioia la nuova legge, il vantaggio in termini di risparmio fiscale per loro   è evidente, ma procederanno a nuove assunzioni solo in presenza di una ripresa degli ordinativi.  Ugualmente resta difficile immaginare come possano ripartire i consumi, in un quadro, quale quello determinato dal Jobs Act,  in cui si registrerà   diminuzione salariale e, l incertezza  sulla continuità lavorativa, renderà  impossibile un minimo di accesso al credito.  

Come risulta evidente le tematiche e gli spunti sono molteplici. Non rimane quindi che incontrarci sabato prossimo 28 marzo alle 18,00 a San Dontato Val Comino, per discuterne insieme e con il professor Michele Prospero . A sabato.


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