Il convegno intitolato “Jobs Act: La Costituzione non è più
la stessa?” organizzato da Comitato Provinciale Frosinone in difesa della Costituzione , che si terrà
sabato 28 marzo a partire dalle ore
18,00 presso il Teatro Comunale a San Donato Val Comino, ha l’enorme
pregio di focalizzare gli effetti nefasti del Jobs Act, sui principi
della Costituzione Italiana.
L’assalto ai cardini costituzionali in atto,
sin da prima del governo Renzi, ma che con questo esecutivo stanno subendo un’inesorabile
accelerazione, sono stati per lo più associati alla riforma del Senato non
elettivo, combinata con una legge
elettorale, non rispettosa dei principi di rappresentanza e di democrazia.
L'articolo pubblicato sul quotidiano “il
manifesto” dal professor Michele Prospero, docente di scienze
politiche e filosofia del diritto, sociologia e comunicazione presso la facoltà
di Scienze politiche dell’università “La
Sapienza” di Roma, dal titolo “Un premier che marcia spedito verso l'800” riporta con estrema brutalità al
processo di decostituzionalizzazione del
lavoro messo in atto dal Jobs Act.
Le lotte sociali e un contemporaneo impegno
politico negli anni ’70 avevano ,
attraverso la promulgazione dello statuto dei lavoratori, determinato un riequilibrio
del potere del lavoro rispetto al potere del capitale. Un equilibrio che
finalmente rendeva effettivo per tutti
il riconoscimento del valore insopprimibile ed inviolabile della persona
umana.
Con il Jobs Act, si afferma la
tirannia del capitale e il totale
dissolvimento del potere del lavoro. Gli strumenti attraverso cui ciò si
esplica sono noti, mi riferisco alla libera facoltà di licenziamento ingiusto,
senza che la magistratura possa sanzionare tale enorme abuso con
una pena di pari gravità rispetto alle condizioni di emarginazione sociale ed
economica che lo stesso abuso determina in chi lo subisce.
Conferire
al capitale un tale potere sulla dignità della vita dei lavoratori significa
produrre uno strappo costituzionale devastante, soprattutto in relazione al
principio personalistico garantito a
tutti i cittadini dalla Costituzione. Tale principio assicura "il riconoscimento
pieno della persona umana , della
pari dignità sociale e dell’eguaglianza di fronte alla legge senza
nessuna distinzione di sesso, di lingua,
di religione, di opinioni i politiche di posizioni personali e sociali”
(art.3). L’elemento principale per il riconoscimento di questo principio è
il diritto al lavoro. Il lavoro è riconosciuto nella Carta Costituzionale come
elemento principe dei rapporti economici….IL LAVORO, NON L’ACCUMULAZIONE
FINANZIARIA. Con il Jobs Act, si
nega dignità sociale. Sulla strada delle vittime schiavizzate
da questa norma pesano come macigni quegli ostacoli di ordine economico
e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione politica, economica e sociale del Paese.
Il Jobs Act
fa strame anche dell’art . 4 In
base al quale “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al
lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Con
l’abolizione dell’art. 18 invece si rende effettivo il diritto al
licenziamento. Il ricatto determinato dal
libero licenziamento anche senza giusta causa, elimina il diritto dei lavoratori a "svolgere attività secondo le
proprie possibilità e la propria scelta". Se poi ci soffermiamo sul titolo III della
Carta , che regola i rapporti economici, il Jobs Act rivela tutta la sua incostituzionalità.
La già richiamata ricattabilità imposta dalla facilità con cui è possibile
licenziare costringe il lavoratore ad
accettare riduzioni di salario, paghe da
fame e ritmi di lavoro disumani. Viene negato in tal modo il
diritto sancito dall’art.36 sul "recepimento di una
retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità lavoro
svolto e in ogni caso sufficiente ad
assicurare a se e alla famiglia un’esistenza libera dignitosa". Sempre l’art. 36 delega alla legge ordinaria
la facoltà di stabilire la durata massima della giornata lavorativa e la
proporzionalità della retribuzione ai livelli di lavoro. E qui entra in ballo
la legislazione sui contratti collettivi nazionali, che il Jobs Act di fatto
distrugge, prevedendo l’abolizione della reintegra anche per i licenziamenti
collettivi senza giusta causa. Sul CCNL pesa anche la legge Sacconi che concede
ampia possibilità di deroga alle aziende rispetto alla contrattazione collettiva
nazionale.
Possono dunque ricorrere le
condizioni per indurre la Corte Costituzionale ad esprimersi sulla costituzionalità del Jobs Act? E’ una
domanda che sottoporrò al professor
Prosperi. Intanto sottoscrivo la sua
valutazione sul carattere unicamente
classista e teso a ripristinare la tirannia del capitale sul lavoro del Jobs
Act. In termini puramente economici, infatti, la misura non produrrà nuovi
posti di lavoro e soprattutto non attiverà la tanto invocata ripresa
economica.
Come molti grandi
imprenditori hanno già sostenuto, salutando con gioia la nuova legge, il
vantaggio in termini di risparmio fiscale per loro è
evidente, ma procederanno a nuove assunzioni solo in presenza di una ripresa
degli ordinativi. Ugualmente resta
difficile immaginare come possano ripartire i consumi, in un quadro, quale
quello determinato dal Jobs Act, in cui
si registrerà diminuzione salariale e, l incertezza sulla continuità lavorativa, renderà impossibile un minimo di accesso al credito.
Come risulta evidente le tematiche e gli spunti sono
molteplici. Non rimane quindi che incontrarci sabato prossimo 28 marzo alle
18,00 a San Dontato Val Comino, per discuterne insieme e con il professor Michele
Prospero . A sabato.
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