martedì 1 settembre 2015

Attivista o web journalist? A volte è un bel dilemma

Luciano Granieri


Nella primavera scorsa , l’Osservatorio Peppino Impastato organizzò, un corso di giornalismo partecipato. Un nuovo modo di fare informazione nell’era della rete. La notizia viene raccolta e diffusa direttamente dal cittadino. E’ ciò che è capitato al sottoscritto ieri mattina. 

Mi ero recato presso la Asl, per prenotare una visita. Incamminandomi verso l’ospedale incontro una delegazione del Comitato  Ospedale San Benedetto di Alatri. All’interno della palazzina della dirigenza  il Dottor Retrosi, portavoce del movimento, era a colloquio con la manager, Dottoressa Mastrobuono  per derimere  l’annosa questione del reparto di ostetrica   del nosocomio alatrese.  

Come è noto presso l’Ospedale San Benedetto   è in apertura la così definita “Casa del Parto”.  Una struttura che dovrebbe supportare, (o forse sostituire?)  Il reparto vero e proprio. Nelle scorse settimane ostetricia    è stata chiusa per concedere ai medici un periodo di ferie. Attualmente i sanitari sono   rientrati, ma non tutti ad Alatri. Alcuni sono stati dirottati presso l’ospedale Spaziani di Frosinone.  Il reparto  del San Benedetto ha ripreso a funzionare,   parzializzato a quattro posti letto, in luogo dei dodici disponibili prima delle ferie, e senza la guardia medica notturna. Una situazione che avvallerebbe il sospetto dei sindaci  del distretto A e dei cittadini, sull’imminente chiusura, non solo del reparto ma dell’intera struttura ospedaliera. 

Questo era il motivo per cui la delegazione del comitato in difesa dell’Ospedale di Alatri era presente sotto la palazzina della dirigenza Asl. Mentre provvedevo con il cellulare a raccogliere qualche impressione presso i membri del comitato, giungeva  l’invito  alla delegazione, tramite l’addetto stampa della manager,  a confrontarsi con la Dottoressa Mastrobuono. Come membro del coordinamento provinciale per la sanità, organismo al quale appartiene il comitato dell’ospedale San Benedetto, venivo  invitato anch’io. 

Inizialmente non volevo partecipare, un po’ perché non avevo un mandato preciso da parte del movimento di Alatri, un po’ per mancanza di tempo-ero li per tutt' altre faccende - un po’ perché psicologicamente non predisposto ad intavolare una vertenza con la manager Asl. Ma su pressione della delegazione del comitato, sollecitato telefonicamente anche dai vertici, decido di salire. 

La Dottoressa Mastrobuono ci ha ricevuto  in una piccola sala riunioni. L’inizio non è  stato dei più piacevoli. La manager ci informava  di aver denunciato per diffamazione il comitato San Benedetto di Alatri, per un comunicato stampa ingiurioso nei suoi confronti, uscito sul sito Tg24 info. Il testo è rimasto on line per poco tempo, subito ritirato dalla redazione del giornale , ma ciò non è bastato.  La Dottoressa Mastrobuono  si è sentita offesa oltre che personalmente, anche professionalmente da qui la denuncia. I membri del comitato che erano con me non ne sapevano nulla, ma inequivocabilmente il comunicato era firmato dal Comitato San Benedetto di Alatri.  Non conosco le modalità con cui vengono decisi i contenuti dei comunicati stampa in seno al movimento, ma percorrere la via dell’insulto personale, oltre che rischioso in termini giuridici è anche deleterio in funzione delle rivendicazioni che si vogliono portare avanti. 

Ma veniamo a quanto la Mastrobuono ha affermato in merito alla situazione del reparto di ostetricia. L’apertura della “casa del parto è un’assoluta garanzia del fatto che l’ospedale di Alatri rimarrà attivo. Anzi proprio l’accorpamento con Frosinone e la conseguente riorganizzazione ne garantirà  la sopravvivenza. Nelle prossima legge di stabilità, infatti,  il Governo centrale ha previsto ulteriori 10 miliardi di tagli alla sanità. Il salasso colpirà soprattutto quelle strutture non ritenute efficienti in termini di appropriatezza delle cure.  

Secondo la Mastrobuono l’ospedale di Alatri, non superando  i 500 parti annui e  avendo operato un numero di interventi cesarei elevato, pari al 55% delle nascite, rispetto alla media che si aggira attorno al 25-30%, sarebbe stato  il primo candidato alla chiusura proprio per l’inefficienza che i numeri citati certificava. Con l’inserimento di una struttura più snella come “la casa del parto”, un luogo in cui verranno assistiti per lo più i parti naturali, con il trasferimento dei casi più gravi a Frosinone e l’abbattimento   degli interventi cesarei, è possibile rendere l’ospedale più efficiente e garantirne  la sopravvivenza. 

Una  mia prima obiezione ha riguardato la capacità  della struttura di gestire comunque  le emergenze, quei   casi   talmente critici da non consentire il trasferimento a Frosinone ed esigere un intervento immediato sul posto. La manager ha assicurato che all’interno della “casa del parto” sarà attiva un’unità operatoria completa di chirurghi e anestesisti. Era in atto una sorta di magnificazione della casa del parto un po’ come era avvenuto per la casa della salute di Pontecorvo.I dubbi rimanevano. Ma il cellulare ha squillato. Mi richiamava all’ordine alle incombenze per le quali ero uscito di casa. Mi sono dunque scusato con i membri del comitato, con la Mastrobuono, ed ho dovuto abbandonare la riunione. 

Non so come sia andata a finire,ma questo ennesimo incontro ha rafforzato in me l’idea che bisogna inserire la lotta per la sanità locale in un quadro più ampio. La stessa Mastrobuono, confermando il salasso di ulteriori 10 milliardi al sistema sanitario, ha involontariamente dimostrato come sia in atto un piano di destrutturazione dei servizi pubblici per favorire gli affari dei privati su sanità, acqua, energia. La difesa dell’ospedale di Alatri comincia dal rafforzamento della lotta per la difesa della sanità pubblica di qualità per tutti. Se non si parte da qui non sarà solo l’ospedale San Bendetto a chiudere, ma verrà seguito da tante altre strutture indipendentemente dai manager che si succederanno alla Mastrobuono.

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